Un buon numero di lettori ci scrive chiedendoci chiarimenti sull’origine del termine barzelletta.
La parola barzelletta, con quattro sillabe e col segmento -etta, è in grado di suscitare qualche curiosità circa la sua origine: ha tutta l’aria di un derivato, anzi di un diminutivo, e quindi può indurre a chiedersi quale sia la parola che ne costituisce la base e che tuttavia non appare evidente. A trovare una risposta molti vocabolari aiutano poco: dichiarano etimo incerto lo Zingarelli 2021, il Garzanti online e varie opere dell’Istituto Treccani (vedi per esempio nel Vocabolario online). Questo diffuso stato di incertezza è il riflesso delle spiegazioni varie e poco convincenti che si leggono nei vocabolari etimologici e che passiamo in rassegna.
Il DEI di Carlo Battisti e Giovanni Alessio rimanda a una variante settentrionale del femminile di bargello ‘ufficiale di polizia’, dunque a un’ipotetica forma barzella, che avrebbe indicato – così si deve immaginare – una donna energica e rude come un bargello, quindi una “donna sfacciata”. Al significato attuale, che è quello di ‘facezia, storiella divertente’, si sarebbe arrivati attraverso quello di ‘facezia grassoccia o triviale’. Questa ipotesi è stata seguita da altri, per esempio da Giacomo Devoto (1966) e, con dubbi, dal GDLI.
Il DELI di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli corregge un po’ il tiro e afferma che al valore di ‘facezia’ si può semmai arrivare attraverso quello di ‘azione da bargello’, quindi ‘misfatto, birichinata, imbroglio’. Insieme, però, viene fatto un altro rilievo: alla sua comparsa, nel Rinascimento maturo, la parola significa ‘breve e rapida canzone a ballo popolare’: la prima attestazione riportata dal DELI, in una forma leggermente diversa da quella attuale, cioè balzeretta, si trova infatti in una lettera inviata nel 1504 dal poeta Galeotto del Carretto, il quale si riferisce appunto ad alcune sue composizioni poetico-musicali. In base a questi dati – prosegue il DELI – sarebbe il caso di verificare una vecchia ipotesi accennata dal musicologo Fausto Torrefranca (1939: p. 277), che proponeva di rimandare barzelletta al francese bergerette: questa voce, che significa ‘pastorella’, è infatti anche il nome di un tipo di poesia musicale.
Il LEI di Max Pfister (IV 1021) segue il suggerimento del DELI, ma solo per quanto riguarda il significato primario della parola, che sarebbe stato quello poetico-musicale. La forma balzeretta, che – si è visto – pare essere la prima, invita tuttavia a seguire un’altra strada, quella del verbo balzellare ‘saltellare’: dopotutto si tratta di un’antica canzone a ballo. In balzellare abbiamo una -z- sorda, cioè [ts], è vero, ma per la sonora [dz] di barzelletta si può invocare un influsso da parte del solito ‘bargello’ settentrionale. Accetta questa ipotesi, mettendo in evidenza qualche problema di derivazione, l’Etimologico di Alberto Nocentini.
L’ipotesi, però, pone problemi anche sul piano semantico, perché ‘balzellare’ e ‘ballare’, tutto sommato, sono azioni non troppo simili. Rimane comunque il fatto che per l’etimologia di barzelletta si deve fare i conti col significato poetico-musicale, che, oltre ad essere il primo documentato, e molto solidamente, si giustifica bene come antefatto del valore attuale. Va ricordato che la barzelletta, una breve ballata costituita tipicamente di strofe di ottonari, ebbe larga fortuna nel Cinquecento, e un po’ anche in precedenza: Lorenzo de’ Medici non la chiamava così, ma l’esempio più noto di barzelletta è la sua Canzona di Bacco (“Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia” ecc.). Si trattava insomma di un discorso leggero, che mirava a dare un breve divertimento.
Conviene dunque seguire la stata indicata dal Torrefranca, cioè che barzelletta sia un adattamento del francese bergerette. Di fatto in Francia il nome bergerette designa un genere poetico molto vicino alla nostra barzelletta e compare un po’ prima, a metà Quattrocento. Questo genere di poesia, di argomento originariamente pastorale – lo dice il nome –, ebbe subito una buona risonanza e i suoi echi arrivarono presto anche in Italia: in una raccolta musicale che verrà stampata a Venezia nel 1503 troviamo un brano dal titolo Berzeretta savoyena, cioè ‘Pastorella di Savoia’, con una forma appena ritoccata che è abbastanza vicina alla nostra.
Ora, se si prendono in considerazione con più attenzione le prime attestazioni, la bontà dell’ipotesi si mostra come indubitabile e i mutamenti formali richiesti si fanno ben chiari. Queste prime attestazioni si trovano nel carteggio fra il già citato Galeotto del Carretto, nativo forse del Monferrato, e Isabella d’Este, marchesa di Mantova (il carteggio si legge in Turba 1971, su cui vedi anche Minutelli 2004, con osservazioni utili su barzelletta nella nota 53 di p. 137): in più lettere, a partire dal 1497, Galeotto usa numerose volte la forma belzeretta (non il riportato balzeretta, che veniva da una lettura precedente). Vediamo il primo esempio: “La S(ignoria) V. sa che a la partita mia da Mantua mi promesse de mandarmi alchuni canti de le mie belzerette fatti per lo Tromboncino” (Turba 1971: p. 104; le poesie in questione erano state dunque adattate dal musicista Bartolomeo Tromboncino).
La forma usata da Galeotto è quasi identica a quella del titolo Berzeretta savoyena visto sopra, con l’unica differenza di -l- al posto del primo caso di -r-. La differenza si può spiegare per via di una semplice dissimilazione: due -r- in punti diversi della stessa parola possono darsi fastidio, come mostrano i casi di albero, dal latino arbor, e di mercoledì, da mercurii dies, dove si registra il passaggio a -l- di una delle due consonanti. Lo stesso si riscontra nelle forme popolari albitro e pultroppo.
Per spiegare il successivo percorso da belzeretta a barzelletta o, meglio, barzeletta – siamo nel Nord dell’Italia – servono due passaggi e conviene anzitutto ricordare che le consonanti -l- e -r-, tradizionalmente dette liquide, possono anche scambiarsi di posto: il caso più noto è quello dello spagnolo milagro, forma semidotta risalente al latino miraculum (Corominas-Pascual 1981: p. 84). Si può aggiungere che “in qualche zona della Toscana si trova arale per alare (AIS, 933), balire per barile” (Rohlfs 1966: p. 456). Da belzeretta, insomma, si arriva bene a *berzeletta. Conviene inoltre ricordare che la vocale ‑e- priva di accento e davanti a -r- si apre volentieri in -a-, come in sternutire, che passa a starnutire. E si può infine notare che una forma barzeletta, quasi la stessa di quella attuale, si trova già nel citato carteggio di Galeotto del Carretto (Turba 1971: p. 112), in una lettera del 1499 firmata da Isabella d’Este.
Nota bibliografica:
Alessandro Parenti
22 ottobre 2021
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