Consonanti doppie o scempie? Questo è (a volte) il problema

Ci sono arrivati vari quesiti circa la correttezza di grafie di parole che presentano consonanti doppie come pressocché, ovverossia, treccento, invece di pressoché, ovverosia, trecento.

Risposta

Per dissipare i dubbi dei nostri lettori, basterebbe rimandare alla nuova edizione del DOP, disponibile in rete, che registra solo trecento e che, nel caso di ovverosia e pressoché, precisa “non pressocché” e “non ovverossia”. Ma quest’ultima forma è registrata, come semplice variante di ovverosia, nel GRADIT e nello Zingarelli (a partire almeno dall’11a ed., del 1990, dove è indicata come rara), mentre pressocché è variante ammessa di pressoché sia nello stesso dizionario (almeno a partire dallo Zingarelli 2015, che la etichetta come lett. e rara; la prima marca è omessa nelle edizioni più recenti), sia nel Devoto-Oli 2023 in rete (consultato il 28 giugno 2023). Ci pare allora opportuno inserire i dubbi dei nostri lettori e le diverse indicazioni fornite dai dizionari in un discorso più generale.

L’italiano standard di base tosco-fiorentina è una delle non moltissime lingue in cui la durata delle consonanti in posizione intervocalica all’interno di parola ha valore fonologico, serve cioè a distinguere vocaboli di significato diverso, come pala e palla, caro e carro, fato e fatto. Come si vede da questi esempi, nella scrittura la lunghezza consonantica viene resa con la ripetizione della stessa consonante. Così, mentre in fonetica e in fonologia si distingue tra consonanti brevi o tenui e consonanti lunghe o intense, in grafematica si parla di consonanti scempie (dal lat. sĭmplum ‘singolo, semplice’; la voce si usa anche, in senso figurato, col valore di ‘sempliciotto, sciocco’) e doppie. Normalmente, nello standard, la grafia corrisponde alla fonetica: le eccezioni riguardano soprattutto la lettera zeta, sia sorda sia sonora, che, almeno nell’italiano standard (anche nella sua pronuncia romana) è sempre intensa, pure in parole che presentano graficamente una sola z, soprattutto nelle sequenze grafiche zia/zie/zi(i)/zio: grazia, azienda, vizi, inizio.

Ma ci sono altri dati da tenere presenti. Anzitutto la varietà delle pronunce regionali: al Nord si tende ad abbreviare le consonanti lunghe, mentre da Roma in giù si pronunciano generalmente intense la b, la g palatale e spesso anche la m. Ci sono allungamenti consonantici ampiamente diffusi nel parlato non ammessi nello scritto: è il caso di accelerare e derivati, in cui la l è intensa come in scellerato. Non mancano alternative da considerare entrambe corrette (obiettivo/obbiettivo), né mutamenti avvenuti nel corso del tempo per ragioni diverse (rettorica, normale in italiano antico, ha poi ceduto a retorica; susurrare è ormai divenuto arcaico rispetto a sussurrare; grafie latineggianti come imagine e academia erano usate in passato, ma sono ormai divenute idiosincratiche).

I parlanti meno colti da un lato tendono a trasferire la loro pronuncia nello scritto, dall’altro, per reazione alla loro tendenza naturale, tendono a “ipercorreggersi”, raddoppiando o scempiando indebitamente una consonante (frequenti, in questi tipi di testi, sono anche forme come bacciare e baccio, forse adoperate pure per salvaguardare la pronuncia affricata di ci). Inoltre, la “regola” per cui la pronuncia intensa deve essere resa con la doppia non è facile da interiorizzare e quindi grafie come gato per gatto, casa per cassa, ecc. si trovano non solo in scriventi semicolti settentrionali, ma anche in testi meridionali, nonché in produzioni scolastiche della scuola primaria o secondaria di primo grado provenienti un po’ da tutta Italia.

Un caso particolare è poi rappresentato dal cosiddetto raddoppiamento (o rafforzamento) fonosintattico, per cui, in certe condizioni (per lo più dopo parole accentate sull’ultima vocale e monosillabi tonici che in latino terminavano in consonante, ma anche dopo il bisillabo sopra), le consonanti iniziali di parola vengono rafforzate (a casa, io e te, virtù somma, sopra tutto), ma si raddoppiano solo in caso di univerbazione (affresco, ebbene, caffellatte, sopraggiungere). Ora, se da un lato il fenomeno è in regressione nell’italiano neostandard (che preferisce ciononostante a cionnonostante, tivù a tivvù, sopratassa a soprattassa; ma per le parole formate con sopra- e sovra- e il conseguente raddoppiamento si veda la risposta di Iacobini e Cordisco), dall’altro le regole del raddoppiamento sintattico (naturali per i parlanti toscani e, con poche differenze, romani) sono sconosciute altrove e in particolare al Nord, in cui il fenomeno nel parlato non avviene. Ecco così che, a volte, abbiamo grafie e pronunce che presentano raddoppiamenti e allungamenti indebiti.

Ma torniamo alle nostre tre voci. In ovverossia è evidente l’influsso di ossia, che del resto gli è sinonimo, così come ovvero. Ora, la doppia v in ovvero come la s in ossia e la p in oppure si debbono alla congiunzione o, dal lat. aut, mentre la doppia s in ovverossia non è giustificata. La parola infatti rappresenta l’univerbazione di ovvero sia e (ov)vero non provoca il raddoppiamento sintattico; forse la sua reinterpretazione come composto di ovvero + ossia può spiegare la presenza della doppia s, che del resto, come si è visto, è qui tollerata (neppure il correttore automatico che sto usando mi segnala l’errore). Anzi, bisogna dire che nel PTLLIN le occorrenze di ovverosia sono solo 2 (entrambe dalle Novelle del ducato in fiamme di Carlo Emilio Gadda, 1953), mentre quelle di ovverossia 9 (6 nel Maestro di Vigevano di Luciano Mastronardi, 1962; 2 in L’occhio del gatto di Alberto Bevilacqua, 1968; 1 in Paese d’ombre di Giuseppe Dessì, 1972).

Quanto a pressoché, si tratta dell’univerbazione di presso che (la grafia separata è ormai rara, ma non proprio desueta) e l’avverbio presso non provoca il raddoppiamento fonosintattico. In questo caso la forma *pressocché si può spiegare con l’influsso da un lato di pressappoco (univerbazione di presso a poco, in cui la doppia è provocata dalla preposizione a, dal lat. ad), dall’altro di congiunzioni come giacché, sicché, cosicché, in cui a determinare il raddoppiamento di che sono monosillabi tronchi come già, , così. Pur se, come si è visto, non ammessa dal DOP e non citata nel GRADIT, questa forma (tollerata anch’essa dal mio correttore automatico), sembra godere di una certa diffusione: tra coloro che ci hanno scritto c’è anzi chi sostiene di averla imparata dalla propria maestra (e considera pressoché un’innovazione); ne troviamo 5 occorrenze (anche nella grafia pressocchè, con l’accento grave) tra i messaggi che ci sono arrivati per proporci altri quesiti (a fronte di 39 esempi di pressoché). In questo caso, il corpus PTLLIN è invece concorde per pressoché: c’è un unico esempio con la doppia, favorito dall’a capo: “Gli sci sono ancora strumenti troppo rudimentali. Anzitutto mancano di freni. Poi danno un terribile impaccio, sulla neve: con la minima pendenza del terreno, rendono pressoc-ché impossibile l’equilibrio” (Achille Campanile, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima, Milano, Rizzoli, 1974, p. 251), a fronte di 93 occorrenze di pressoché in 15 opere, compresa quella appena citata (oltre a 1 caso di presso che in Novelle dal ducato in fiamme e 2 in Paese d’ombre).

Quanto a treccento, la forma, come si è visto, è attestata molto di rado nello scritto (non a caso nostri lettori fanno riferimento alla pronuncia e si potrebbe richiamare al riguardo la risposta di Vittorio Coletti su stassera) ed è più marcata in senso antinormativo. Evidentemente il numerale è stato sentito come un composto di tre e cento (lo considera tale, del resto, anche il Devoto-Oli 2023) e tre (lat. tres), effettivamente, provoca il raddoppiamento fonosintattico (per un esempio univerbato basti citare il nome proprio Treccani); ma (data anche l’assenza della forma nel corpus OVI e nel GDLI), si tratta di un derivato, per tradizione diretta, del latino trecĕntos (Zingarelli). In ogni caso, la scempia risulta giustificata anche sul piano etimologico; la grafia e anche la pronuncia con la doppia, per le quali darei una spiegazione analoga a quella fornita sopra per bacciare, sono dunque assolutamente da evitare.

Paolo D'Achille

22 novembre 2023


Agenda eventi

  Evento di Crusca

  Collaborazione di Crusca

  Evento esterno


Avvisi

Non ci sono avvisi da mostrare.

Vai alla sezione

Notizie dall'Accademia

Italiano e inglese nei corsi universitari: la lettera aperta del Presidente dell'Accademia al Rettore dell’Alma Mater Studiorum e alla Ministra dell’Università

23 feb 2024

Giornata Internazionale della lingua madre: il contributo video del presidente dell'Accademia Paolo D'Achille

21 feb 2024

"Sao ko kelle terre... Piccola storia della lingua italiana": la Compagnia delle Seggiole in scena alla Villa medicea di Castello con uno spettacolo dedicato alla storia dell'italiano

25 gen 2024

Il restauro degli infissi dell'Accademia per il concorso Art Bonus 2024

25 gen 2024

Scomparso l'Accademico Angelo Stella

15 dic 2023

Corso di formazione per insegnanti Le parole dell’italiano: idee e pratiche efficaci per insegnare e apprendere il lessico

15 nov 2023

25 ottobre 2023: il Collegio della Crusca nomina 10 nuovi accademici

27 ott 2023

Aspettando la Piazza delle lingue: quattro incontri all'Accademia della Crusca

05 ott 2023

Vai alla sezione