Funerale o funerali? Funerale civile o laico?

Alcuni lettori ci chiedono se sia più corretto usare la forma singolare o plurale del sostantivo funerale. Altri lettori, invece, vorrebbero sapere se si debba dire funerale civile oppure funerale laico per indicare la funzione priva di qualsiasi riferimento religioso.

Risposta

Rispondiamo subito a un lettore che sostiene che la forma plurale del sostantivo sia scorretta: in realtà non è così in quanto è sempre esistita in italiano, anzi, come vedremo, è, e continua a essere, la forma più diffusa e usata, in tutti i tipi di contesti.

Partiamo dall’etimologia del termine: funerale deriva dall’aggettivo latino della II classe funerālis, -e ‘funebre, relativo al funerale’, che deriva a sua volta dal sostantivo fūnus, -ĕris ‘funerale’ (cfr. l’Etimologico). Il termine arriva dal latino nell’italiano delle origini come aggettivo: le prime attestazioni risalgono al XIV secolo, in Boccaccio, che usa, rispettivamente nel poema Teseida e nel Decameron, fuochi funerali e funeral pompa, in cui funerale significa ‘confacente a onorare un defunto (secondo un uso codificato)’ (cfr. la voce funerale agg. di Elisa Guadagnini, nel TLIO). Nelle Deche di Tito Livio (volgarizzamento di area fiorentina, risalente al XIV sec.) e ancora in Boccaccio (nel Corbaccio e nel Teseida) l’aggettivo, in associazione a ufficio, indicava propriamente il ‘rito che si celebra per dare l’estremo saluto a un defunto, in occasione della sua inumazione’, ossia la locuzione ufficio funerale aveva il significato che diamo oggi al sostantivo funerale:

e gli uffici funerali eran continui, e la morte davanti agli occhi era, e d’ogni parte la notte e ’l giorno s’udivano pianti. (Deca Terza di Tito Livio [XIV sec.], in Le Deche di Tito Livio, a cura di Francesco Pizzorno, vol. IV, Gli ultimi sei libri della terza Deca di Tito Livio volgarizzata, Savona, Sambolino, 1845, p. 59.11)

Mandati adunque ad esecuzione tutti gli ufici funerali, poiché il mio corpo, terra divenuto, fu alla terra renduto [...]. (Giovanni Boccaccio, Corbaccio [1354-55], a cura di Tauno Nurmela, Helsinki, Suomalainen Tiedeakatemia, 1968, parr. 421-430, p. 117.14)

Nel decimo l’uficio funerale | fanno li greci re a’ morti loro; | e Teseo chiama Itmon senza dimoro, | il qual d’Arcita il mal dice mortale. (Giovanni Boccaccio, Teseida delle nozze d’Emilia, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di Vittore Branca, Vol. II, Milano, Mondadori, 1964, pp. 253-664, a p. 567 v.3 [a cura di Alberto Limentani])

Nella maggior parte dei testi delle origini che presentano la locuzione, questa è riportata al plurale nel significato di ‘insieme dei rituali e delle cerimonie che accompagnano l’addio e la sepoltura del defunto’. Prima di arrivare alla relazione tra la semantica del termine e la sua forma plurale, dobbiamo considerare la forma tardolatina neutra plurale funerālĭa (da cui deriva il sostantivo plurale francese funérailles ‘funerale’, cfr. il TLFi), registrata nel repertorio lessicografico del latino medievale di Du Cange con il significato di ‘esequie, il funerale stesso’ ma anche ‘le offerte e gli oboli lasciati dalla famiglia del defunto per le sepolture’ e pure ‘tutti gli ornamenti che si riferiscono al corteo funebre, come ad esempio le candele’ (Du Cange et al., Glossarium mediae et infimae latinitatis [1678], éd. augm., Niort, L. Favre, 1883-1887, consultabile online, s.v. funeralia1). Du Cange riporta anche il significato, sviluppatosi indipendentemente rispetto ai precedenti, di ‘diritto spettante alla Chiesa, quando qualcuno muore’ (s.v. funeralia2); inoltre il sostantivo funus, che nel latino classico indicava ‘funerale’, in quello medievale si era specializzato nel significato di ‘cadavere’ e anche di ‘battaglia’.

Le prime attestazioni di funerale come sostantivo in italiano, secondo le ricerche effettuate attraverso la consultazione dei testi digitalizzati in Google libri, risalgono alla seconda metà del XV secolo, in cui il termine compare prevalentemente al plurale:

Etiam la laude cantata de lamento & funerali non è dicta hymno: ma acantico de lamento per le quale cose dicessi il sentimento del titulo de questo psalmo cioè dirizando noi nel fine in Christo egli hymno cioè egli laude di dio col canto. (I principali misteri della Passione di Giesù Christo Signore Nostro, chiamati volgarmente le Cascate, Adam von Ambergau, 1463, p. 284)

Il di lui Genitore punto non ingombro dalla Malenconia, anzi fortunato chiamandosi, per haver un figlio morto per ferir la Patria, ne celebrò con ogni pompa nella Chiesa dei Padri Gesuiti il funerale: ove sopra Bara bene adobbata vedevasi il Cadavere dell’estinto, colla spada nuda in una mano, e nell’altra la Palma in legno della riportata Vittoria: questi funerali, alla fine che paion Trionfi si devono a coloro, che muoiono per mantener alla Patria la vita. (Giovan Battista Romano e Colonna, Della congiura de’ Ministri del Re di Spagna contro la fedelissima ed esemplare Città di Messina, vol. II, Lione, Jean et Jaques Anisson e Jean Posuel, 1478, pp. 248-249)

Nei testi del XVI secolo, specie nelle cronache redatte per descrivere le esequie di personaggi illustri, il singolare funerale, spesso utilizzato con valore aggettivale in associazione a oratione, pompa, apparato, corona, ricorre in funzione sostantivale con maggiore incidenza rispetto al plurale funerali. In tutti i secoli successivi, invece, il plurale è quello maggiormente impiegato, ma ricorre solo raramente in funzione aggettivale (ad esempio con pompe e sermoni). Nel Trionfo del dolore. Funerali per Illustrissima, ed Eccellentissima Signora Donna Giovanna di Sandro di Fulgenzio Arminio Monforte, ad esempio, funerale ricorre solo come aggettivo (assieme a pira e letto), mentre come sostantivo si una sempre funerali:

Queste poche parole potranno persuadere non meno a i Posteri che a i Presenti, come i funerali, che qui si descrivono, si celebrarono più per sodisfare in qualche parte al debito, di cui si fece creditor l’altri merito, [...].
Morì finalmente, e come si crede, che si fosse trasferito nel Cielo a mietere ivi le palme, che quivi havea piantate con tanta gloria; così habbiamo per certo, che la sua morte fu pianta da tutti i buoni Cattolici: gridandosi ad alta voce nel tempio de suoi funerali [...].
Volle il Re assistere a suoi funerali, facendo vestire a bruno tutti i suoi familiari per quella morte, [...]. (Fulgenzio Arminio Monforte, Il Trionfo del dolore. Funerali per la Illustrissima, ed Eccellentissima Signora La Signora Donna Giovanna di Sangro, principessa di S. Severo, Napoli, Girolamo Fasulo, 1674, pp. 2-3, 229, 308)

Con un po’ di scaramanzia, riportiamo anche un brano che riguarda direttamente la Crusca: si tratta dell’orazione pronunciata da Carlo Roberto Dati nella sede dell’Accademia in occasione dell’Adunanza generale del 1663:

Io per me, benché a dismisura innamorato della nostra Accademia, non son così tenero di cuore, che più tosto io non elegga francamente di vederla morire, che infiacchirsi, ammollirsi, e viver tanto da sé diversa. Anzi, scorgendola così trasmutata per la tolleranza degli abusi, per l’inosservanza delle leggi, e per l’ozio, l’ho già pianta per morta. Sì, morta è l’Accademia della Crusca [...]. Celebriamo i funerali di sì gran dama, e non seguitiamo a ingannare il mondo sostenendo ch’ella sia viva. (Carlo Roberto Dati, Orazione detta nell’Accademia della Crusca per l’Adunanza generale del 1663, in Scritti vari di Lorenzo Panciatichi, a cura di Cesare Guasti, Firenze, Le Monnier, 1856, pp. XXII-XXXI: pp. XXIII-XXIV)

Allo Smarrito (pseudonimo dell’accademico Dati), si deve un’intensa attività in Crusca, soprattutto (ma non solo, come leggiamo nel brano) in relazione alla compilazione della terza edizione del Vocabolario. Proprio a partire da questa edizione (1691), funerale viene inserito anche come sostantivo (senza far riferimento alla forma plurale, che invece il Dati usa), come sinonimo di mortorio, quando invece nella prima (1612) e seconda (1623) edizione era registrato solo come aggettivo. Nel Lemmario della quinta edizione del Vocabolario e nel Tommaseo-Bellini, alla voce funerale (sostantivo) vengono riportati molti esempi in cui ricorre al plurale.

Ancora oggi, come in passato, la forma plurale del sostantivo funerale risulta essere quella più diffusa: nelle pagine in italiano di Google “il funerale” ha 4.230.000 risultati, “i funerali” 7.370.000; nell’archivio della “Repubblica” “il funerale” ha 7.986 r., “i funerali” 20.886 r.; nell’archivio del “Corriere della Sera” “il funerale” ha 7.085 r.; “i funerali” 41.609 (le ricerche sono state aggiornate il 25/2/2024).

La maggior frequenza della forma plurale va ricondotta a diversi fattori, oltre alla diffusione, nel tardo latino, del neutro plurale funeralia: 1) la presenza in italiano (come eredità latina) del sostantivo plurale esequie, attestato, secondo il GRADIT, già dal Trecento, che indica lo stesso referente, e che dunque può aver influito nella flessione plurale di funerale; 2) il fatto che il termine di solito si riferisce a una serie, quindi a un insieme, di rituali, di cerimoniali (e, in alcune culture e religioni, anche di festeggiamenti), che si dispongono lungo un arco temporale che va dalla morte del defunto fino alla sua sepoltura (e a volte anche oltre). Quest’ultimo fattore, che unisce caratteristiche semantiche a strutture morfologiche, può aver conferito al plurale funerali una connotazione di maggiore solennità (come si sottolinea alla voce funerale, nel Vocabolario Treccani online, l’unico dizionario, tra l’altro, a dare una motivazione semantica della forma plurale).

Rispondiamo ora ai numerosi lettori che ci chiedono quale sia la forma corretta tra funerale/i civile/i e funerale/i laico/i per indicare le funzioni prive di qualsiasi riferimento religioso. Anzitutto abbiamo riscontrato che, accanto a queste due locuzioni, ne ricorrono almeno altre due, meno frequenti ma comunque rilevanti: funerale/i ateo/i e funerale/i umanista/i (oltre a funerale/i aconfessionale/i e funerale/i agnostico/i, registrate nei quotidiani, che contano, però, nelle pagine in italiano di Google, solo poche occorrenze: 54 e 4 rispettivamente). Cominciamo da funerale civile, che è l’unica (e la più antica) locuzione inserita nei dizionari: nel GDLI (s.v. civile) si legge funerale, trasporto civile ‘non accompagnato da riti religiosi’; ancora nel GDLI (s.v. funerale) e nel GRADIT la locuzione viene registrata come ‘funerale senza l’intervento di un ministro del culto’; nel Devoto-Oli online ‘non celebrato in chiesa’. Le attestazioni riportate dal GDLI appartengono a testi del primo Novecento:

No, no. Non voglio il prete. Non lo voglio. Voglio i funerali civili. (Giovanni Comisso, Il grande ozio, Milano, Longanesi, 1964, p. 35)

Lei forse è al corrente delle opinioni del morto. Il funerale va fatto in forma civile. (Carlo Cassola, La casa di via Valadier, in Id., Il taglio del bosco. Racconti lunghi e romanzi brevi, Torino, Einaudi, 1959, p. 280)

C’era l’avvocato Galassi-Tarabini, democristiano, che, preoccupato di trovarsi lì, al seguito di un funerale puramente civile...si teneva al fianco di Don Bedogni dell’Azione cattolica. (Giorgio Bassani, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, in Cinque storie ferraresi, Torino, Einaudi, 1956, p. 158)

Le prime attestazioni di funerale/i civile/i che siamo riusciti a reperire tramite Google libri risalgono alla metà del XIX secolo:

Si notò la presenza di parecchie deputazioni di guardia nazionale dalle località vicine a Torino. E fu rimarcato con piacere che in tutto il convoglio non si vide né un lume, né una stola, né una croce. Fu un vero funerale civile – una dimostrazione anti-clericale – ecco il suo significato. (I Funerali di Vincenzo Gioberti, “Italia e Popolo”, II, 321, 24 novembre 1852, p. 1202)

Nel 1868 il Consiglio comunale della città di Milano redige un regolamento per i funerali civili o, più precisamente, per la parte civile del funerale, ossia la manifestazione pubblica, lontana dai luoghi di culto, che interessa l’ordinamento civile senza che si escluda, eventualmente, il significato religioso:

Art. 2.° Le disposizioni contenute in questo regolamento riguardano solo la parte civile del funerale, la quale consiste negli apparati e nei modi con cui trasportasi ed accompagnasi la salma di un defunto alla sepoltura. Essa è obbligatoria per tutti. La cerimonia religiosa è estranea al presente regolamento. Art. 3.° I ministri ed i rappresentanti dei diversi culti non hanno diritto in tale loro qualità di prender parte alla cerimonia funebre civile, quando non ne siano richiesti dai commettenti; e in questo caso possono prendervi parte recitando senza canto le preci consuete. Art. 4.° Quando lo richiedano i commettenti, potranno esser posti sul feretro simboli ed emblemi della religione professata. [...] Art. 18.° Le somme dovute per funerale civile alle imprese saranno ad esse pagate dalla cassa municipale, restando così esonerati e gli imprenditori ed i commettenti da ogni rapporto diretto tra loro a questo scopo; meno il caso contemplato nell’ultimo alinea dell’art. 8.°. (Regolamento pei funerali civili della città di Milano, approvato colle relative tariffe dal Consiglio Comunale nella seduta 13 maggio 1867, sanzionato dalla Deputazione Provinciale con Decreto N.° 1516-B, 19 luglio detto anno, “Annali universali di medicina”, LIV, 68, 1868, pp. 679-687: p. 680, p. 682)

Durante l’Ottocento si ebbe una vera e propria querelle circa la legittimità della funzione funebre civile, che invece si stava ormai radicando in altre città europee, come Londra, Parigi e Vienna. Dalle ricerche effettuate attraverso Google libri risulta che in questi stessi anni cominciano a essere impiegate, con una connotazione senz’altro negativa, le locuzioni funerale laico e ateo, che contano però molte meno occorrenze: “funerale civile” 390 r.; “funerali civili” 1.400 r.; “funerale laico” 2 r. (nessuna per “funerali laici”), “funerale ateo” 1 r. (nessuno per “funerali atei”; l’assenza di forme al plurale avvalora e contrario l’ipotesi che il plurale venga utilizzato per sottolineare la solennità di una celebrazione che, nella sua forma laica, in questo periodo storico, veniva considerata abietta):

Giacché nel caso attuale col permettere alla scolaresca un funerale ateo, si è impedito precisamente ad essa il render un tributo d’affetto alla memoria d’un compagno, giacché l’affetto de’ fanciulli cattolici si sarebbe dimostrato coll’espressione dei sentimenti religiosi, ai quali si suppone che siano educati nelle scuole cattoliche di una Roma cattolica, e non già col far mostra d’ateismo e d’incredulità. (Interpellanza Malatesta al Campidoglio, “Il Divin Salvatore”, XVII, 65, 14 maggio 1881, pp. 1034-1035: p. 1035)

E poiché non è possibile il definire in 24 ore (periodo durante il quale può sospendersi l’inumazione) le pratiche necessarie per la verifica delle scritture, delle manifestazioni di volontà, ecc. così il sindaco che, come il giudice di pace, è un dipendente del governo, può ordinare provvisoriamente il seppellimento, e così l’effetto di un funerale laico è ottenuto! (Cose Straniere. Francia, “La Civiltà cattolica”, serie XIII, II, 859, 1886, pp. 122-128: p. 125)

Se in passato funerale/i civile/i era sicuramente più usuale rispetto a funerale/i laico/i, oggi la situazione risulta essere cambiata totalmente: nelle pagine in italiano di Google la prima locuzione (nella somma delle forme singolari e plurali) conta 13.230 r. (94 occorrenze nell’archivio della “Repubblica”), la seconda 28.800 r. (381 nell’archivio della “Repubblica”). L’accezione di funerale/i civile/i (a volte, ma meno, funerale/i laico/i) si sta progressivamente avvicinando e sovrapponendo a quella di funerale/i di Stato, con cui si indica ‘funerale celebrato in forma solenne e a spese pubbliche per onorare un estinto illustre o la cui morte è avvenuta in particolari circostanze’ (GRADIT, s.v. funerale), cioè indicherebbe un funerale che ha un coinvolgimento cittadino e che ha una manifestazione pubblica. Infatti l’aggettivo civile significa propriamente a ‘del cittadino, dei cittadini, in quanto membri di una collettività, di uno stato’ (GRADIT), mentre l’aggettivo laico (così come, a fortiori, ateo) riflette maggiormente la credenza della persona, in quanto, oltre al significato etimologico (dal gr. laïkós ‘del popolo’), ha sviluppato anche quello di ‘improntato, ispirato ai principi e agli ideali del laicismo’ e ‘[di gruppo, movimento e sim.] che dichiara programmaticamente la propria autonomia rispetto a qualsiasi dogmatismo ideologico’. Il significato che oggi ha la funzione funebre non religiosa è proprio questo: la dichiarata assenza, per volontà, ideologia e credenza del defunto, di qualsiasi riferimento religioso, anche nella sua manifestazione più intima, senza che si tratti necessariamente di una celebrazione civile o pubblica. Inoltre le definizioni proposte dai dizionari per funerale/i civile/i risultano imprecise, in quanto oggi il “ministro del culto” può anche essere un celebrante laico (come leggiamo nel seguente articolo: Antonella Barina, Celebranti laici, dai matrimoni ai funerali umanisti, “il Venerdì”, repubblica.it, 20/5/2022). Non solo: oggi la definizione ‘non celebrato in chiesa’ non è neppure del tutto appropriata perché può accadere che, all’interno di una funzione religiosa in chiesa, sia previsto uno spazio dedicato a tutti quei familiari e conoscenti che vogliono onorare il defunto in forma laica, riconoscendone maggiormente la parte umana e terrena secondo la loro personale ideologia.

Confrontando i dati dell’archivio della “Repubblica” e del “Corriere della Sera”, questa riflessione sulle differenze tra funerale/i civile/i e laico/i è emersa nel corso del 2016, con la morte di Umberto Eco, Dario Fo e Umberto Veronesi, che decisero, tutti e tre, di essere sepolti dopo una funzione priva di qualsiasi riferimento religioso. La scelta personale di un funerale non religioso da parte delle tre personalità non ha avuto una finalità civile, nel senso di ‘che ha manifestazione statale’, ed era dovuta al rispetto del credo e dell’ideologia di ciascuno di loro, coerente con quanto hanno professato in vita: per questo motivo, sebbene in alcuni articoli venga usato funerale/i civile/i, la forma maggiormente impiegata è funerale/i laico/i:

Negli ultimi mesi Milano ha perduto tre cittadini importanti: Umberto Eco, Dario Fo e Umberto Veronesi. Pur appartenendo a mondi diversi, hanno condiviso una scelta comune: i funerali civili. Commenti?
C’è chi crede che dio sia morto, chi vede il Dio Vivente ogni minuto della sua vita. Noi europei, cristiani o no, abbiamo conquistato con grande fatica la libertà di scegliere. Fo, Eco, Veronesi hanno «potuto» organizzarsi i funerali laici senza problemi, perché per noi non c’è Dio tra le fonti della legge. [...] Ecco, passato Natale e Capodanno, quei funerali laici mi spingono a questa riflessione: la libertà è importante anche quando si muore, non solo quando si vive. (Tito Livraghi, Il senso dei funerali laici anche nella morte, “la Repubblica”, sez. Lettere, 3/1/2017, p. 8)

Concludendo, possiamo dire che oggi la locuzione più spesso impiegata per indicare il rito funebre non religioso è funerale/i laico/i, non registrata in nessun dizionario contemporaneo e che trova le sue primissime attestazioni, con una connotazione negativa oggi completamente assente, nell’Ottocento. La locuzione funerale/i civile/i, registrata in tutti i dizionari e ben attestata nell’Ottocento, oggi indica spesso la manifestazione pubblica e quindi cittadina di un rito funebre, non necessariamente priva di riferimenti religiosi. Accanto a queste, funerale/i ateo/i e funerale/i agnostico/i sono locuzioni che si stanno diffondendo negli ultimi anni e che tramite l’uso degli aggettivi laico e agnostico cercano di mettere l’accento maggiormente sull’ideologia e credo del defunto. Infine, nel sito Uaar (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti) e in alcuni articoli di giornale abbiamo rilevato la locuzione funerale/i umanistico/i, in questo caso ispirata ai valori dell’umanesimo, in cui l’essere umano, essendo autore e fautore della propria vita, esclude ogni possibile ingerenza da parte della divinità.


Miriam Di Carlo

20 settembre 2024


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