Lasagna o lasagne?

In riferimento a questo importantissimo piatto della nostra tradizione culinaria, alcuni lettori si domandano quale sia la forma corretta: parliamo di lasagne (al plurale) o di lasagna (al singolare)? In quali contesti si usano l’una e l’altra forma? E qual è la differenza?

Risposta

Oltre a essere uno dei piatti più blasonati della cucina italiana, questa preparazione a base di pasta, ragù e besciamella è al centro di una discussione linguistica capace di infiammare i pranzi di famiglia: sarà capitato a molti, infatti, di utilizzare la forma singolare, lasagna, alternatamente a quella plurale, lasagne. In questa risposta si cercherà di fare luce sugli utilizzi di entrambe le forme per poi formulare un bilancio finale.

Breve storia

La storia delle lasagne comincia nel Medioevo. Come testimoniano Grieco e Redon, si tratta molto probabilmente del primo tipo di pasta italiana, il più antico, presente in tutti i libri di ricette a partire proprio da questo periodo (cfr. Grieco-Redon 1989, p. 86, e Frosini 1993, p. 61).

La prima comparsa di questo piatto, infatti, è ricondotta al Liber de coquina, un testo scritto a Napoli presso la corte angioina all’inizio del Trecento; qui le lasagne non compaiono condite con besciamella (visto che quest’ultima è un’acquisizione settecentesca), ma solo con formaggio.

Nel Liber, infatti, si legge il procedimento per la realizzazione delle lasagne, secondo cui la pasta deve essere fermentata (particolarità che in qualche modo la assimila al pane), deve essere stesa fino a che non diventa molto sottile e poi divisa in quadrati della larghezza di tre dita. Bisogna, poi, bollirla in acqua e condirla a strati alterni, con formaggio grattugiato (caseum grattatum) e spezie in polvere a piacere (bonas species pulverizatas, cfr. Frosini 1993, pp. 59-60 e Montanari 2016).

Nel Libro della cocina, testo anonimo toscano collocato tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, si parla della preparazione De le lasagne:

Togli farina bona, bianca; distempera con acqua tepida, e fa che sia spessa: poi la stendi sottilmente e lassa sciugare: debbiansi cocere nel brodo del cappone o d’altra carne grassa: poi metti nel piattello col cascio grasso grattato, a suolo a suolo, come ti piace. (Frosini 1993, p. 60)

Si tratta di un “piatto non ordinario”, che anche nelle antiche mense viene acquistato già fatto dai lasagnai (cfr. Davidsohn 1956-1968, VI, pp. 88-89 in Frosini 1993, p. 61). Più tardi, Sabadino degli Arienti, nella seconda metà del Quattrocento, parla di lasagne in una sua novella, nella quale alcuni monaci bolognesi di S. Procolo mangiano attingendo da un contenitore molto caldo, chiamato catino (cfr. Montanari 2016). Nelle corti rinascimentali, come si legge nelle ricette di Bartolomeo Scappi, le lasagne fanno da contorno alle carni, mentre nell’uso popolare esse rappresentano un piatto complesso, nutriente e completo di cui si fa sfoggio in caso di ospiti o durante le festività (cfr. Montanari 2016).

Nel 1634, Giovan Battista Crisci pubblica a Napoli il libro La lucerna de’ corteggiani, che contiene la ricetta delle lasagne di monache stufate, mozzarella e cacio, nella quale per la prima volta questo piatto viene condito con un formaggio a pasta filata e poi cotto nel forno. In seguito all’unità d’Italia, nonostante l’assenza di questo piatto nella Scienza in cucina di Pellegrino Artusi (1891), alcuni ristoratori bolognesi codificano la ricetta delle lasagne, che poi viene pubblicata da Paolo Monelli nel 1935, nel suo Ghiottone errante.

Nel 2003, l’Accademia italiana della cucina deposita la ricetta delle lasagne verdi alla bolognese presso la Camera di Commercio felsinea: la ricetta emiliana, infatti, prevede proprio che la pasta sia preparata con spinaci e poi condita con ragù alla bolognese, parmigiano reggiano, burro e besciamella; le lasagne bianche, invece, quelle con la sfoglia chiara, sono un tipico piatto carnevalesco della cucina napoletana che viene servito con ragù napoletano, polpette, ricotta, provola, pecorino, olio d’oliva (cfr. Massimo Lanari, Lasagne, l’eterna sfida tra Bologna e Napoli, www.lacucinaitaliana.it, 12/10/2015).

Un’etimologia incerta

Dopo il breve profilo storico appena presentato, torniamo al dubbio linguistico dei nostri lettori e cerchiamo di capire da dove proviene il termine lasagna. Il DEI riconduce lasagna al latino *lasania, da lasanum, ‘pentola’; lo stesso fa il GDLI, aggiungendo anche l’ipotesi dell’origine dal greco lavsanon, ‘treppiede da cucina’ e segnalando anche quanto indica Panzini, cioè che lasagna “è proprio parola nostra, benché incerta ne sia la etimologia, probabilmente dal lat. làsanum nel senso di ‘pentola’ (un supposto lasània, significherebbe pasta cotta nella pentola)”. Il DELI avanza l’ipotesi che lasagna possa avere la stessa origine di losanga ‘rombo’, che a sua volta potrebbe provenire dal gallico lausina, derivato di lausa, ‘pietra piatta’.

Altre volte l’origine di lasagna è ricondotta all’arabo lawzig, ‘dolce di mandorle’, dal pahlevi lawzēnak, derivato da lawz ‘mandorla’; anche l’Etimologico segue quest’ipotesi e parla proprio di una preparazione dolce con diversi strati di pasta farciti con mandorle, zucchero e spezie. Carlo Alberto Mastrelli osserva, in particolare, che questa tesi, di contro a quella che riporta l’origine di lasagna al lasanum, dunque alla pentola (come pasta cotta, appunto, in pentola), trova un suo fondamento nella cultura materiale, poiché è riconducibile, come già visto, alla losanga: ed è proprio a fette quadrate che il dolce arabo in questione viene solitamente servito. Sempre Mastrelli, inoltre, sulla base di uno studio di Alice Vollenweider, specifica che anche nei più antichi ricettari francesi e italiani (a partire dal sec. XIV) si legge di preparazioni a più strati simili alle lasagne, servite proprio a fette quadrate. È sempre in questo periodo, poi, che si attesta la presenza di lasagne al di fuori dei confini italiani: in Inghilterra, ad esempio, fino al secolo XV, le lasagne

vengono chiamate loscyns, losens o ancora losyngys, termini che identificano preparazioni diversificate la cui caratteristica comune è la forma romboidale. Si parla di pasta al formaggio come di “sfoglia di pasta sottile come carta”, “sottili sfoglie di pasta a forma di losanga, grandi quanto una mano” che vengono fritte come bigné, o ancora di dolci composti di losanghe di pasta e pasta di mandorle. (Sabban-Serventi 2011)

A questo proposito, è interessante considerare anche la testimonianza fornita dal dizionario di John Florio, A world of wordes (1598), nel quale la lasagna (al singolare) è definita

A kind of thin paste meate used in Italie.

Si ha, così, conferma che la circolazione di questo piatto era già consolidata anche al di fuori dei confini italiani, in questo caso nell’Inghilterra di fine Cinquecento. E si hanno tracce in area francese anche nel Seicento: nel Thresor de la santé, infatti, ci si riferisce proprio alla preparazione dei losans di pasta, tagliati in forma di losanghe (Sabban-Serventi 2011).

Nonostante tutto, Mastrelli non si dimostra totalmente convinto dell’ipotesi legata alla forma della losanga, visto che nei dizionari dialettali di alcune aree mediane si attestano forme quali rasagna e rasagnolo, rispettivamente riferite a ‘lasagna’ e ‘mattarello’ con r- iniziale al posto di l-; si potrebbe pensare, perciò, a un’altra possibilità per cui le forme con r- potrebbero risultare da un incrocio con la forma verbale *rasclare, nel senso di ‘spianare, stendere la pasta sfoglia’ e lagano ‘lasagna, schiacciata’. Quest’ipotesi potrebbe essere esclusa se si considera che in queste zone molto spesso l’uso di r e l (cioè, le consonanti liquide) si confondono (cfr. AIS 984).

Le ipotesi sull’etimologia di lasagna restano aperte: comprenderne le origini, comunque, potrebbe aiutarci a formulare una risposta ai dubbi dei lettori riguardo alla distinzione nell’uso della forma singolare (lasagna) e della forma plurale (lasagne). Come appena visto, la forma singolare lasagna, dal punto di vista semantico, potrebbe più spesso accostarsi alla losanga, cioè, alla forma quadrata. Come vedremo più avanti, invece, con le lasagne al plurale ci si riferisce il più delle volte al piatto preparato, cioè all’insieme delle strisce di pasta di forma quadrata (o rettangolare) messe insieme con diversi condimenti, oppure, secondo altre interpretazioni possibili, alla fetta quadrata, dunque a forma di losanga, che si taglia per essere servita. Non si esclude, però, che in alcuni casi tra le due forme ci sia un rapporto di sinonimia: esse, cioè, potrebbero essere usate indistintamente per riferirsi al piatto completo, soprattutto in contesti informali o nel parlato. Altre volte, invece, entrambe le forme sono impiegate con altri significati oltre a quello culinario. Resta, quindi, un’ambiguità nell’utilizzo di lasagna e lasagne, che si riscontrerà anche negli altri contesti qui di seguito considerati.

Nella lessicografia

La prima comparsa nei vocabolari riguarda la forma plurale lasagne, che, messa a lemma, si trova già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) col significato di “pasta di farina di grano, che si distende sottilissimamente sopra graticci, e si secca, per cibo”. Un riferimento a questa preparazione compare anche nella pala dello Stritolato, Accademico della Crusca dal 1586: insieme al motto petrarchesco come m’ha concio il foco, l’immagine raffigura il telaio quadrangolare che si usava mettere nel forno per la cottura delle lasagne, affinché l’impasto, appunto, non si “stritolasse”, cioè non si rompesse a causa del fuoco.

Qualche anno dopo, Adriano Politi, proprio sul modello degli Accademici della Crusca, inserisce nel suo Dittionario toscano compendio del Vocabolario della Crusca (Venezia, Guerigli e Bolzetta, 1615), la voce lasagne, con la stessa definizione della Crusca.

Nel Settecento, la quarta edizione del Vocabolario degli Accademici mette a lemma il singolare lasagna, sempre con la stessa definizione, ma con molti esempi in più; succede lo stesso anche nella quinta impressione. Nel 1861 il Tommaseo-Bellini, alla voce lasagna, segue il modello della Crusca.

Nel 1905 il Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni di Alfredo Panzini (Milano, Hoepli) parla di lasagne verdi, come

specialità di Romagna e di Bologna, aggraziate con tartufi e regaglie, opulentate con tuorli d’uovo, ricamate con balsamella.

Nei vocabolari di oggi, la forma messa a lemma è sempre quella al singolare (lasagna), mentre i contesti segnalati (che rappresentano gli usi più frequenti) riportano più spesso la forma al plurale (lasagne). Nel Vocabolario Treccani, ad esempio, la voce è, appunto, lasagna (al singolare), ma si segnala un uso più frequente al plurale; il primo significato è quello culinario, perciò si parla di un piatto di lasagne; lasagne al sugo, al forno, alla bolognese; un pasticcio, un timballo di lasagne. Seguono, poi, altre accezioni, con riferimento alle decorazioni sulla divisa degli ufficiali, a indicarne il grado (un alto ufficiale, con tante l. sul berretto). Lasagna, al singolare, è usata anche per indicare una banconota di grosso taglio, come si legge anche nel terzo significato proposto dal DEI, nel quale la lasagna è un “buono da 5000 o 10.000 lire; dalla v. gergale che indica cambiale, per la lunghezza (cfr. bologn. lunghél buono da 5000 lire)”. Anticamente, poi, sempre con lasagna si indicava uno strato di cera con cui si spalmavano le forme di gesso. Nello Zingarelli 2021, la prima definizione della voce lasagna è sempre quella culinaria, di “pasta all’uovo a strisce larghe, che si mangia asciutta”, mentre è frequente l’uso al plurale nelle accezioni relative alle lasagne al forno (“lessate e disposte a strati, condite con ragù e besciamella e gratinate al forno”) e alle lasagne verdi (“in cui alla pasta sono mescolati spinaci lessati e tritati”). Come testimonia il GDLI, anche nell’àmbito della lingua popolare si parla di lasagne (al plurale) in locuzioni quali aspettare a bocca aperta che piovano in bocca le lasagne (volere qualcosa senza far nulla per ottenerla), cascare a qualcuno il formaggio sulle lasagne o le lasagne nel formaggio (avere un’occasione fortunata), nuotare nelle lasagne (essere favorito dalla fortuna), pioverci lasagne (grande abbondanza), oltre che nel proverbio chi fa lasagne nella farina altrui, fa un castello senza muro né fosso (chi nell’agire si disinteressa della reazione altrui, si espone a gravi pericoli); la forma singolare è presente in occorrere altro cacio a tal lasagna (necessitare di ben altre abilità e capacità per ottenere un certo risultato).

Sono interessanti anche gli usi figurati di àmbito gergale, nei quali si allude “agli strati farciti della pietanza”, a “portafoglio” (Devoto Oli 2021), quali lasagnetta e lasagnotta (al femminile singolare), lasagnotto (addirittura, al maschile singolare), oltre ai derivati lasagnaio (chi produce e vende lasagne), lasagnatore (tavola per la realizzazione delle lasagne), lasagnero (che è buono solo a mangiare lasagne), lasagnolo (termine regionale che indica il mattarello), lasagnino (varietà di cavolo utilizzata per zuppe e minestre), lasagnone (persona di grande corporatura, goffa e sciocca); è interessante notare che tutte le forme appena segnalate sono attestate fin dai testi più antichi (cfr. GDLI, Zingarelli 2021, Devoto Oli 2021).

In tutti i contesti finora considerati, si vede quindi che la forma plurale lasagne è quella più frequente nei contesti culinari, ma si rintracciano accezioni anche in altri settori (come già visto, le decorazioni sulla divisa degli ufficiali). Allo stesso modo, lasagna al singolare assume spesso il significato culinario, ma anche altre accezioni.

Nell’uso scritto (letteratura, saggistica e testi di settore)

Tra lasagna e lasagne c’è un’ambiguità nell’uso scritto già riscontrata fin dai testi più antichi e continuata fino alla letteratura contemporanea. È molto frequente, infatti, che nei contesti letterari entrambe le forme si riferiscano in modo equivalente alla stessa cosa, cioè al tanto amato piatto della domenica.

Nel Tesoro della lingua italiana delle origini (il TLIO), infatti, la prima attestazione come piatto di pregio risale alle Rime dei Memoriali bolognesi, un testo del periodo 1279-1300 (in particolare, la testimonianza che ci interessa risale all’anno 1282). In questo testo, le lasagne sono menzionate in forma plurale con riferimento alla porzione consumata durante la festa. Tante altre sono le testimonianze medievali di tutte le zone della penisola, dal genovese al siciliano, ed è interessante notare che alcune contengono anche notizie sulla preparazione di questo piatto, che già veniva servito con una generosa quantità di formaggio. Si veda, infatti, un esempio dalla Pratica della mercatura di Francesco Pegolotti (prima metà del Trecento):

fa tagliare le dette foglie del tuo oro secondo la lunghezza della pignatta ove si dee mettere a cimento in fuoco, e acconciarlo nella pignatta a suolo a suolo come s’acconciano lasagne col cacio grattugiato in questo modo...

In Boccaccio, poi, le lasagne sono maritate, a indicare quel “piatto preparato cuocendo al forno di tale pasta alternati con strati di condimenti e intingoli vari” (GDLI), come si vede anche nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca nella quale si riporta un’attestazione dal Corbaccio (1345-1355):

Bocc. lab. n. 191. le zuppe lombarde, le lasagne maritate, le frittellette sambucate, ec. Lasagne maritate, crediamo, che voglia dire quelle, che noi chiamiamo BASSOTTI, che si cuocono nella tegghia, con peverada di carne, e si ruosolano.

Nei testi dal sec. XVI in poi continua la tendenza della forma plurale, lasagne, come si legge in un contesto dei Capitoli di Giovanni della Casa (1528):

Venere segue poi quell’altro bacio, / La quale in ver senza di lui sarebbe, / Come son le lasagne senza cacio.

O nella Vita di Giovanni Francesco Rustici di Giorgio Vasari (1568):

nel mezzo era posto un leggìo da coro fatto di vitella fredda, con un libro di lasagne che aveva le lettere e le note da cantare di granella di pepe…

E nella più nota opera di Giuseppe Parini, il Giorno, nella quarta parte (Notte) uscita postuma (dunque, dopo il 1799):

Con la gobba enorme / e il naso enorme e la forchetta enorme / le cadenti lasagne avido ingoia

Si trovano, poi, esempi di lasagne in Giovanni Verga, nella sua Cavalleria rusticana (1880):

per mantenere tutta quella gente, col biscotto alla mattina e il pane e l’arancia amara a colazione, e la merenda, e le lasagne alla sera, ci volevano dei denari a manate, e le lasagne si scodellavano nelle madie larghe come tinozze.

E nelle Opere di Carducci, nell’edizione del 1950:

La festa sarà tenuta con un simposio a cui si darà cominciamento con un piatto di lasagne, e si mangeranno oche, paperi e salsiccie, il tutto affogato in un fiumicel di vernaccia.

Insolita, invece, l’assenza di questo piatto nella Scienza in cucina di Pellegrino Artusi. Si fa menzione delle lasagne, al plurale, soltanto nella ricetta n. 272 (anatra domestica):

Con questo sugo e parmigiano potete condire una minestra di strisce o di lasagne fatte in casa…

Una dimenticanza, questa, che sembra sia dovuta all’attenzione con cui le famiglie bolognesi custodivano la ricetta di questo piatto, che veniva cucinato in occasione delle feste più importanti (cfr. Alessia Rossi, Storia e ricetta delle lasagne “alla bolognese”: il piatto fortunato degli osti, www.ilgiornaledelcibo.it, 9/4/2020).

Esempi di lasagne si trovano anche in pubblicazioni recenti, come nella Cucina romanesca di Tarquinio De Rosa (Firenze, Giunti Demetra, 2005) in cui si legge la ricetta delle lasagne al forno; mentre in Falce, martello e lasagne: il turismo romagnolo dal dopoguerra a oggi (Rimini, Panozzo editore, 2014), oltre che l’attestazione del titolo, si legge:

Dietro la cucina, nel piccolo cortile, capitava ogni tanto di vedere un “barbone” – allora gli emarginati si chiamavano così – mangiare un piatto di lasagne. Era costume non negare ai poveri di passaggio un piatto di pasta.

Gli esempi proposti propendono, quindi, per la forma plurale, ma non mancano casi, fin dai testi antichi, in cui la lasagna è al singolare, come in questa testimonianza dei Proverbia pseudoiacoponici, testo umbro della prima metà del sec. XIV:

quale à più gran potentia dicalo chi ne mangna; / chi guarda maiurentia spesse volte s’inganna: / granel di pepe vence per vertute lasangnia.

La lasagna non può mancare tra le righe di un autore quattrocentesco come Luigi Pulci, che menziona questa preparazione in uno dei suoi sonetti contro Matteo Franco:

Levar ti postu, ser Matheo, del lecto / come d’in sul graticcio la lasagna, / ché come Idio è sol senza magagna / tu se’ d’ogni bontà sbucchiato et necto.

Ma anche nella sua opera maggiore, il Morgante (1483), nel modo di dire

altro cacio bisogna a tal lasagna!

Nel Cinquecento, lasagna compare nelle Rime contro Pietro Aretino di Niccolò Franco (1545):

Perché la tua scienza dottrinale / con la vaga presenza s’accompagna, / più che non fa ’l formaggio e la lasagna

Lasagna si trova anche nel Teatro comico del veneziano Carlo Goldoni (1750):

Piuttosto ti, che ti è una lasagna senza dreto, e senza roverso.

Non sono molte le attestazioni otto e novecentesche, mentre sono molte di più quelle dei testi contemporanei, soprattutto per la forma al singolare (lasagna). Un libro del 2018, ad esempio, si intitola proprio Dietro la lasagna. Ricette da gustare strato dopo strato e tante idee per salse, vellutate e paste al forno (Milano, Gribaudo Editore), mentre un altro del 2020 di Mauro Bassini ha come titolo Qui era tutta lasagna. Volti e storie di ristoranti nella Bologna di ieri e di oggi (Argelato [BO], Minerva edizioni). Nel 2011, in La pasta: storia e cultura di un cibo universale (di Françoise Sabban e Silvano Serventi, Laterza), si trova il capitolo dedicato alla lasagna come “sfoglia matrice” per altre preparazioni. Lo chef Carlo Cracco, nel 2016, nel suo libro In principio era l’anguria salata. Viaggio al centro del gusto (Milano, Rizzoli), parla della lasagna al singolare:

O magari mi verrà voglia di una lasagna, perché il pomodoro c’è. Se ho la pasta fresca in casa, vedo di fare una lasagna classica, se ho la carne, ma posso anche cambiare strada e fare una lasagna di magro, e allora la preparo solo con il formaggio, o addirittura senza niente, uso giusto le mie verdure e il basilico.

E anche la nota presentatrice Mara Venier scrive nel suo libro del 2019 (Amori della zia, Milano, Piemme):

“Ma non ti sei ancora stufata? Ma la lasagna non l’hai ancora fatta?”. E io gli rispondo: “Ancora no!”. Eccola qua, allora, la mia lasagna. Che è una cosa buona, buonissima, ma non tanto bella.

A differenza di quanto riscontrato nei vocabolari, nei contesti qui considerati la forma singolare (lasagna) e quella plurale (lasagne) sono utilizzate come sinonimi, sempre in riferimento al piatto cucinato.

In rete

Nei siti specializzati in argomenti culinari, è ancora molto frequente trovare la forma al plurale, come si legge, ad esempio, tra le pagine del portale Giallo Zafferano, dove si possono consultare le ricette delle lasagne di pesce, delle lasagne verdi o delle classiche lasagne alla bolognese. Per lasagna, si hanno alcuni esempi dal Cucchiaio d’argento, in cui la forma singolare è utilizzata per riferirsi alla versione dolce del piatto, la lasagna al cioccolato; su Agrodolce si rintraccia, invece, un uso combinato delle due forme, che compaiono ugualmente nei titoli delle ricette proposte e nei testi.

Altri esempi emergono dal Corpus ColiWeb. Si legga quanto rintracciato per lasagne:

Scusate adesso mi fermo perché vado a mangiare le lasagne. Ci sentiamo più avanti per il resto. (Universo Piatto, sul forum Coelestis - Il Forum Italiano di Astronomia, www.trekportal.it, 6/4/2003)

[…] se siete ad una cena, magari vi riempirà il piatto dicendovi che una “porzioncina” in più di lasagne non ha mai ucciso nessuno. (Maurizio Tommasini, Se mangi sano sei un po’ strano?, www.mauriziotommasini.it, 28/6/2015)

Trascorso questo tempo, è il momento di tirare la sfoglia, che dovrà avere uno spessore diverso in base alla preparazione che vogliamo ottenere (ravioli, tortellini, lasagne o pappardelle). (Pasta fatta in casa, come si tira la sfoglia, magazine.artigianoinfiera.it, 24/12/2016)

Il primo di questi tre esempi proviene da un intervento di un forum online (dunque, si tratta di un contesto linguistico poco sorvegliato), il secondo dal blog personale di un nutrizionista, mentre il terzo da una rivista online. In tutti i casi si è utilizzata proprio la forma plurale.

Ed ecco qua alcuni esempi per lasagna, sempre estratti dal Corpus ColiWeb:

Già etruschi e romani, a quanto risulta da rilevi archeologici, preparavano e mangiavano la lagana, l’antenata della moderna lasagna, composta da sfoglie di pasta imbottita di carne cotte nel forno. (Chi ha inventato la pasta? Cenni storici e curiosità, magazineartigianoinfiera.it, 18/05/2018)

Eccomi al piatto che mi intriga di più, e che intriga anche mio padre, che accorre dal salotto sentendo parlare di lasagna e rimane un po’ deluso trovandosi davanti un piatto di alghe. (Valentina Dirindin, Abbiamo provato Voilà, il pacco che porta il ristorante Del Cambio a casa tua, articolo in www.dissapore.com, 23/12/2016)

Questa sorta di “larga tagliatella” è il tipo di pasta lunga più larga e non è da escludere che, per questo motivo, una sua varietà ancor più imponente sia stata definita lasagna. (Riccardo Borgacci, Lasagne, articolo in www.my-personaltrainer.it, 23/1/2020)

Tutti e tre gli esempi proposti provengono da blog specializzati (siti di lifestyle, di cucina, di cura della persona). Come si può vedere, nei primi due contesti la forma singolare lasagna è utilizzata per riferirsi al piatto cucinato, quindi come sinonimo di lasagne al plurale, mentre nell’ultimo indica la tipologia di pasta. Dunque, ritorna qui la stessa ambiguità già riscontrata.

Nella stampa

La forma plurale lasagne è ben radicata anche nei quotidiani più diffusi, come dimostrano questi esempi tratti dall’archivio digitale della “Repubblica”:

Lazzari ha anche detto che spera di poter mangiare presto fagiano e lasagne. (Lazzari alla radio: ‘Mi sento bene e sono sereno’, “la Repubblica”, 19/11/1985)

Accolto da scroscianti applausi, il film scelto per celebrare il decennale della manifestazione, è stato seguito da una grande festa italiana, a base di lasagne e di pinot bianco. (Renzo Fegatelli, Monaco, un decennale con l’Italia di Amelio, “la Repubblica”, 10/7/1992)

Tokyo 2020, la confessione di Tamberi: “Dopo l’oro basta dieta, da adesso lasagne e cannoli” (Repubblica.it, 6/8/2021)

O i titoli di alcuni articoli del “Corriere”:

Una famiglia di nove persone all’ospedale dopo il pranzo di Capodanno con le lasagne (“Corriere della Sera”, 3/1/1984)

Al fast-food arrivano le lasagne (“Corriere della Sera”, 17/8/1991)

Mense scolastiche con lasagne e ribollita fiorentina (“Corriere della Sera”, 29/1/2010)

Ma anche la lasagna trova il suo posto nei quotidiani, come testimoniano i seguenti esempi:

Nelle Ricette della nonna piatti classici come la lasagna al forno, le fettuccine, i maltagliati alla crema, pasta ai quattro formaggi, penne ai piselli e così via. (Marta Mandò, Spaghetti, bavette, mezze maniche & co., “la Repubblica”, 23/10/1988)

Gualtiero si converte, ma la lasagna non è più lei (Massimo Alberini, “Corriere della Sera”, 19/11/1989)

«Qui Rimini, tutti tranquilli». La lasagna calma l’hooligan (Gianluigi Da Rold, Corriere della Sera”, 25/6/1990)

Ditelo con i fiori, ma anche - che male c’è - con una lasagna (Tutto esaurito per le magiche, e costose, cene d’amore organizzate, “la Repubblica”, 12/2/1999)

Cucinerò io la cena: la lasagna e poi il tiramisù (Riccardo Caponetti, L'ansia dei romani a Londra “Alla conquista di Wembley”, “la Repubblica”, 11/7/2021)

In questi contesti appena visti, lasagna e lasagne compaiono sempre come sinonimi, con significati legati all’àmbito culinario, anche in senso figurato: nel primo contesto, infatti, l’espressione sperare di poter mangiare presto fagiano e lasagne è una metafora che indica la speranza di riacquistare presto la salute; mentre, quando si dice che la lasagna calma l’hooligan, ci si riferisce all’arrivo della tifoseria inglese in Romagna, a Rimini.

Nei media

Riguardo ai mezzi di comunicazione, almeno fino all’anno 2006, si rintracciano alcuni esempi di lasagna tratti dal LIT. Il primo proviene da una puntata del TG3 del 9/3/2006:

la lasagna sotto l’ombrellone

Il secondo esempio che si propone, invece, è ripreso da una puntata del talk show Alice e le altre… Il paese delle meraviglie del 03/06/2006:

oggi invece / la michetta / contro la piadina // il risotto / contro la lasagna // chi vincerà

Non si rintraccia nessuna attestazione per la forma lasagne al plurale. In entrambi i casi, comunque, con lasagna ci si riferisce alla preparazione completa del piatto.

Un bilancio: singolare o plurale?

In risposta al dubbio avanzato dai lettori, si è cercato di tracciare un quadro il più possibile esaustivo riguardo all’uso delle forme lasagna (al singolare) e lasagne (al plurale). Quanto emerge rende conto di una situazione certamente particolare: entrambe le forme sono generalmente utilizzate per indicare il famoso piatto della nostra tradizione culinaria; si tratta, infatti, di un uso molto diffuso nella lingua, su tutti i piani della comunicazione: dallo scritto al parlato, dal testo letterario a quello giornalistico, fino ai blog e ai forum in rete (quindi, in testi linguisticamente sorvegliati e non).

In alcuni casi, però, in virtù dell’ipotesi etimologica qui analizzata, che riconduce alla forma quadrata della losanga, lasagna e lasagne possono avere altri referenti: con le lasagne al plurale, in ambito militare, ci si riferisce anche alle decorazioni sulla divisa; mentre con lasagna al singolare ci si può riferire anche a un taglio di banconota.

Si potrebbe anche avanzare l’ipotesi che l’uso al singolare per l’àmbito culinario, ai nostri tempi, sia frutto di una moda linguistica. Oltre agli esempi già considerati, infatti, si possono qui esaminare casi in cui altri tipi di pasta sono utilizzati al singolare, anche quando si tratta del piatto cucinato. Si pensi allo spaghetto di mezzanotte:

Segno dei tempi, oggi lo Spaghetto di Mezzanotte ha una giornata nazionale tutta sua, il 5 luglio. (Pasta di sera: combatte insonnia e stress (e non ingrassa). E i millennials rilanciano la moda della spaghettata di mezzanotte, www.pastaria.it, 15/3/2019)

Cosa fate quest’estate? Siete della scuola dell’hotel mezza pensione o del villaggio tutto compreso, serviti e riveriti dalla colazione allo spaghetto di mezzanotte? (Francesca Romana Mezzadri, Lista antistress degli attrezzi che chi cucina molto porta in vacanza, articolo in www.dissapore.com, 1/7/2015)

O al fusillo di gragnano:

Fusillo di Gragnano alla norma non normale ma super. (commento Buono e onesto - Recensioni su Gabry MarcoMAle - Osteria Schietta, Roma - Tripadvisor sul forum www.tripadvisor.it, 12/5/2021)

Riguardo alla cucina il noto ristorante di via Lepanto si muove lungo il fil rouge della tradizione napoletana, con portate di primi come il fusillo di Gragnano, il ragù napoletano, braciola, uvetta e pecorino, la pasta fagioli e cotiche, la pasta “mischiata” con patate e provola, la genovese e il sartù di riso. (Mario Cardone, La formula “magica” del ristorante Trigaio è in “tre piani di felicità”: tutto pronto per un allegro Natale, articolo in www.madeinpompei.it, 17/12/2018)

Tutti questi esempi sono tratti dalla rete, cioè da contesti di scrittura informale (blog, commenti su forum, articoli), ma rendono comunque l’idea di come questi utilizzi siano ben presenti nella nostra lingua.

Come in molti altri casi, specialmente per i termini relativi a elementi della cultura materiale e della quotidianità, si ha un’ambiguità nell’uso dovuta proprio alla grande diffusione delle forme in questione in tanti àmbiti e registri della lingua.

L’àmbito culinario, comunque, resta quello privilegiato per l’uso di entrambe le forme, com’è confermato dalle molte testimonianze analizzate, fin dal periodo medievale. La scelta, dunque, è rimessa in larga parte alla sensibilità (e, in questo caso, al gusto) dei parlanti, che per riferirsi, in particolare, al piatto cucinato possono dire sia di aver preparato una teglia di lasagne, sia di aver cucinato una lasagna.

Nota bibliografica:

  • Davidsohn 1956-1968: Robert Davidsohn, Storia di Firenze, 8 voll., Firenze, Sansoni, 1956-1968.
  • Florio 1598: John Florio, A worlde of wordes. A critical edition with an introduction by Hermann W. Haller, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 2013.
  • Frosini 1993: Giovanna Frosini, Il cibo e i signori. La mensa dei priori nel quinto decennio del sec. XIV, Firenze, presso l’Accademia della Crusca, 1993.
  • Grieco-Redon 1989: Allen J. Grieco – Odile Redon, La cuisine toscane au Moyen Age, «Les langues modernes», 6 (1989), pp. 85-92.
  • Mastrelli 2015: Carlo Alberto Mastrelli, Le “mentite spoglie” della lasagna. Una vicenda linguistica tra Tardoantico e Medioevo, “Studi medievali”, 56 (2015), pp. 41-78.
  • Montanari 2016: Massimo Montanari, Il sugo della storia, Roma-Bari, Laterza, 2016 (ed. digitale).
  • Sabban-Serventi 2011: Françoise Sabban, Silvano Serventi, La pasta. Storia e cultura di un cibo universale, Roma-Bari, Laterza, 2011 (ed. digitale).
  • Vollenweider 1963: Alice Vollenweider, Der Einfluss der italienischen auf die französische Kochkunst im Spiegel der Sprache, “Vox Romanica”, XXII (1963), pp. 440-443.


Caterina Canneti

26 agosto 2022


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