I privilegi dei medici

Il 25 dicembre 2021 ho ricevuto la seguente lettera dal prof. Roberto Mario Scarpa, Professore Ordinario di Urologia nell'Università Campus Biomedico di Roma, Direttore della Scuola di Specializzazione in Urologia, Direttore della Struttura Complessa di Urologia, già Presidente della Società Italiana di Urologia. Il prof. Scarpa, illustre studioso, è anche un amico con cui condivido interessi linguistici, a cui egli si dedica con passione profonda e competenza non comune. Ecco il testo della sua lettera:

Recentemente l’Amministrazione del Campus Biomedico mi ha chiesto di assegnare i “privilegi” operativi ad un neo assunto medico. Sono rimasto perplesso di fronte all’uso di tale termine, anche se con una visione filologicamente molto “larga” lo si potrebbe avvicinare al concetto della disposizione legale per il singolo; ma, mi pare, che l’evoluzione dei significati che ha la parola nella nostra lingua corrente non vada proprio in questo senso. Mi sembra più che altro un’acritica acquisizione dall’inglese, dove parrebbe possedere anche il concetto espresso dall’italiano prerogativa, che a me pare potrebbe egregiamente indicare l’insieme delle attività che sono consentite al medico, più o meno professionalmente anziano, all’interno di una struttura ospedaliera. Ma proprio oggi leggo, debbo dire con una certa delusione, che la Regione Sicilia ha dato dignità di legge regionale al termine “privileges” aiutando, nel suo piccolo, l’anglicizzazione strisciante dell’italiano medico.
Le allego i documenti del Campus Biomedico di Roma che si occupano dei “privileges” e il collegamento Internet della norma di Regione Sicilia.
Spero di non darle troppo incomodo nel chiedere il suo autorevole parere sulla questione e, se lo ritenesse opportuno e meritevole, farne oggetto di un chiarimento sul sito dell’Accademia.
Colgo l’occasione per porgerle i miei auguri di Buon Natale e Prospero Anno Nuovo

Roberto M. Scarpa

Risposta

Riproduco qui un campione dei documenti del Campus biomedico di Roma.


Documento n. 1


Documento n. 2


Come si vede, ricorrono alternativamente i termini in italiano e in inglese (seppure in corsivo). Osservando l’indice del documento n. 2, si può verificare che chi ha elaborato il testo si è giustamente preoccupato di spiegare il contenuto concettuale di una parola non ritenuta di comune e immediata comprensibilità. Si è avvertita la necessità (e ciò è positivo) di una definizione rigorosa. Tale definizione è assunta da un testo inglese, citato in nota, ma tradotto in italiano nella parte che più interessa (da notare, nel testo che qui sotto riporto in riproduzione fotografica, che al terzo rigo si parla di “Un privileges”, con articolo italiano singolare premesso al plurale inglese):


Perplessità di fronte all’uso di privileges in campo medico è stata manifestata anche da altri, per esempio dal dott. Raffaele Spiazzi, Direttore Sanitario dell’Ospedale dei Bambini di Brescia, in un articolo intitolato Il “privilegio” di essere medici, in “Brescia medica. Notiziario dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della Provincia di Brescia”, n. 368, maggio-giugno-luglio 2013:

Quando tuttavia si è trattato di tradurre in italiano la parola privileges, termine derivato dagli standard Joint Commission International (JCI) e utilizzato per “autorizzare tutti i medici a ricoverare e a curare i pazienti e a erogare altre prestazioni cliniche in funzione delle rispettive qualifiche” (standard SQE.10 del Manuale degli Standard JCI per l’accreditamento degli ospedali, IV edizione 2011), non si è trovato di meglio che utilizzare il consonante termine privilegi, che nella nostra lingua assume un significato differente e poco rappresenta il senso di quanto richiesto dallo standard. (p.37)

In inglese, a prescindere dall’uso medico di cui ci stiamo ora occupando, il significato generico di privilege (dal lat. privilegium) è “a special right, advantage, or immunity granted or available only to a particular person or group” (così l’Oxford Dictionary, ed. elettronica per cellulare). L’uso medico è dunque un’estensione del significato primario e generico, per definire una qualifica, un diritto speciale a operare e compiere una serie definita di operazioni che richiedono una competenza certificata, con la relativa assunzione di responsabilità.

In italiano, già il vocabolario di Tommaseo, nella definizione di privilegio (s.v.), evocava una “autorità conceduta da chi può”, cioè una facoltà, una prerogativa speciale. Nel linguaggio giuridico ottocentesco si parlava di privilegi relativi alla professione medica nella legislazione del Regno delle Due Sicilie:

In essa casa comunale, ed in presenza del Sindaco e Cancelliere, sarà quindi disposto, che i medici e chirurgi, che esercitano colà le indicate professioni, presentino le loro lauree (art. 6.), o gli antichi privilegi ottenuti dagli aboliti Collegi, e muniti del visto (art. 7.); o quelli che siansi cambiati (art. 8.), o rinnovellati (art. 10.); e che gli speziali, i dentisti, e che altrimenti vanno talvolta co’ nomi di bracherai; i salassatori, le levatrici presentino le loro cedole (art. 6.). Se anche codesti esercenti gl’indicali rami non siano muniti di laurea, o non abbiano messi in regola i loro antichi privilegi, o manchino di cedola, e sieno quindi abusivi, eglino dovranno però presentarsi alla ispezione intimata, esponendo ingenuamente tutto ciò che li concerne per questo lato: imperocchè, come si è detto nell’art. 12, in siffatta prima ispezione è voto di questo Ufficio generale protomedicale, di avere una esatta conoscenza dello stato di legalità, od illegalità con cui si esercita l’arte, per darsi in seguito, e con norma la più equa, le provvidenze che sono nella legge. (Regolamento del 3 giugno 1823 emesso dal protomedico generale per la visita che debbono eseguire i vice-protometici e speziali verificatori, in Collezione di reali rescritti … raccolti dal 1806 fino a tutto il 1840, Napoli, Borel e Bompard, 1846, pp. 128-139: p. 132)

In questo caso, i privilegi erano i titoli che permettevano, anche in assenza di laurea, di esercitare comunque la professione. In sostanza, ricorre nella terminologia legale ottocentesca il temine privilegio per indicare un’attribuzione esclusiva e personale, una sorta di qualifica che permette di operare o di esercitare uno speciale diritto, in vari campi. Fin dal Cinquecento esistevano anche i privilegi degli stampatori, cioè le concessioni dell’autorità statale per garantire che l’opera non fosse riprodotta senza permesso dai concorrenti: ciò che noi oggi chiameremmo appunto una “esclusiva”. In qualche modo, il termine di origine anglosassone privileges, con il suo etimo latino, si apparenta con questo termine italiano, all’interno di una più vasta area semantica che confina con concetti legati a un principio di “autorizzazione”, quali possono essere, in riferimento all’attività medica, idoneità, facoltà o prerogativa: quest’ultimo è proprio il termine a cui ha fatto riferimento il prof. Scarpa nella sua lettera, allo scopo di suggerire un miglior traducente dell’inglese privileges.

Si tratta ora di verificare se nell’italiano moderno sia più conveniente adottare un termine antico, ora riproposto attraverso una mediazione dell’inglese (e dunque con il vantaggio, consueto in questi casi, della circolazione internazionale), oppure sia meglio ricorrere a un termine italiano differente. Senza dubbio, privilegio ha assunto nell’italiano moderno il carattere soggettivo di un vantaggio acquisito non per merito, ma per concessione benevola di un’autorità, o frutto di circostanze fortuite (come quando si dice “ho il privilegio di avere tra gli ospiti XY…”, dove equivale a fortuna o onore). Per verificarlo, basta scorrere le definizioni dei dizionari considerando l’ordine storico. La Crusca del 1612, per esempio porta varie citazioni di Dante, spiegato fra l’altro con un passo del commentatore Francesco da Buti: “Privilegio è alcuna autorità conceduta da chi può […]”. Tale definizione continuerà a circolare nei lessici italiani, che per secoli ebbero appunto come fonte la Crusca. Il significato arcaico dantesco, così come interpretato dal Buti, si adatta alla necessità del tecnicismo medico moderno. È insomma uno di quei casi in cui l’anglismo veicola un arcaismo. Certamente, però, nei secoli più recenti, la percezione immediata della parola, la sua “aura semantica”, condizionata dagli sviluppi della storia politico-sociale, ha fatto scivolare il termine privilegio verso un orizzonte negativo. Ne trovo forse una prima lieve traccia percepibile nella definizione adottata dal Nòvo dizionario universale della lingua italiana di Petrocchi (1894), che si distacca da quella tradizionale della Crusca: “PRIVILEGIO […] Vantaggio speciale e particolare contro il diritto comune”. L'aspetto negativo del privilegio, inteso come vantaggio immeritato, non appare per la verità in maniera esplicita nelle definizioni di grandi dizionari moderni come VOLIT e GRADIT, in cui anzi prevale la definizione tecnica e storica del privilegio come atto di concessione, più o meno nel senso che gli attribuiva Dante e che abbiamo trovato bene spiegato dal Buti. Il significato negativo si ricava meglio dal Grande dizionario analogico di Raffaele Simone. Direi anzi che uno dei pregi dell’analogico sia proprio quello di rendere evidenti le connessioni più profonde della lingua, quelle che agiscono in maniera sotterranea, ma non certo inefficace, nella comunicazione quotidiana tra i parlanti. Nell’Analogico di Simone, tra gli “affini e associati” del termine Privilegio, troviamo “favore, favoritismo, parzialità, preferenza”; e poi, ancora, “bustarella, clientelismo, familismo, favore, favoritismo”. Queste associazioni svelano le cause di un naturale sospetto che insorge nel parlante, quando si imbatta nel tecnicismo privilegio, introdotto in qualche modo in un testo normativo, anche se di per sé non c'è alcun motivo per ridurre il tecnicismo alla sua qualificazione negativa. Il termine prerogativa, invece, di uso meno frequente, sembra immune da implicazioni corruttive, ma d’altra parte, nella definizione di prerogativa fornita dal già citato Vocabolario Treccani di Aldo Duro (VOLIT), ricorre pur sempre il riferimento a privilegio, perché il significato di prerogativa viene spiegato così: “Diritto particolare, privilegio”. Si crea dunque una certa circolarità tra i concetti.

In conclusione, credo che tutto sommato si potrebbe almeno evitare di usare nei documenti medici ufficiali il termine inglese privileges, impiegando per contro solo le parole italiane privilegi o prerogative, e forse optando per il primo elemento della coppia. Ovviamente apprezzo il fastidio dichiarato dai prof. Scarpa e dal dott. Spiazzi, medici particolarmente sensibili al fascino della lingua italiana. Tuttavia ho l’impressione che privilegi abbia maggiore possibilità di essere accolto da chi opera nel settore, cioè dai loro colleghi, ormai profondamente condizionati da un intenso uso dell’inglese, come si è visto bene durante lo svolgimento della pandemia da Sars-Cov-2, fino all’arrivo dell’ultimo prodotto di questa disponibilità al prestito “di lusso”, come il recentissimo booster al posto del normalissimo, consueto e perfettamente equivalente richiamo. Possiamo notare che privilegi ha già una certa circolazione tra gli addetti ai lavori, e per questo può essere verosimilmente inteso meglio da chi abbia in mente l’equivalente inglese privileges, così come (per citare un caso analogo), nel linguaggio medico-accademico, sottomettere non richiama il dominio di un individuo o di un popolo su di un altro (associazione invece immediata per un umanista e per uno storico), ma si collega prioritariamente all’uso di to submit inglese, per quell’uso che in ambito umanistico indicheremmo preferibilmente con il verbo sottoporre (ad es.: s. un articolo a valutazione). L’uso di privilegi potrebbe dunque farci scansare l’adozione di un ulteriore prestito integrale, rimpiazzando l’inglese con un accettabile calco, limitato ovviamente al solo linguaggio tecnico specialistico e burocratico della medicina, facendo così rientrare in gioco un antico significato italiano. Un anglismo integrale in meno sarebbe comunque un vantaggio.

Claudio Marazzini

10 gennaio 2022


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