Molti lettori ci chiedono quale sia la forma più “corretta” tra ricuperare e recuperare e quale sia il motivo di questa alternanza.
Entrambe le forme risalgono alla stessa voce latina. Il DELI, che riporta come lemma principale ricuperare, a cui rinvia recuperare, scrive: “Voce dotta, latino recuperāre, ‘prendere (căpere) di nuovo (re-)’ [..] Per l’equivalente popolare italiano v. ricoverare”, mettendo così in gioco una terza variante. L’evoluzione diretta del parlato dal latino rĕcuperare al volgare ha infatti prodotto anche il verbo ricoverare, che un tempo manteneva il significato dell’etimo latino (‛recuperare’, appunto) ma, a partire dalla seconda metà dell’’800, secondo il GDLI si è specializzato e ha ridotto il suo dominio semantico a “accogliere in un luogo di cura o di assistenza”, usato anche assolutamente (Zingarelli 2019).
Il corpus OVI, testimone dell’italiano antico di tutta la penisola, mostra attestazioni risalenti al XIII secolo sia di forme con la e (recovrare, recuverare, recoverare, recuperare), sia di forme con la i (ricoverare, ricuperare).
Sulla base dei dati OVI sembra di poter affermare che in quasi tutti i testi toscani ci sia, già in questa prima fase, una maggiore presenza delle forme in ri-, mentre nelle altre zone prevalgono quelle in e.
La chiusura della e protonica (cioè posta prima della sillaba accentata) è un fenomeno fonetico tipico dell’area toscana, estesosipoi anche a tante parole italiane; la stessa cosa accade, ma meno sistematicamente, alla o, che tende a passare a u in posizione protonica. Questi mutamenti comunque non costituiscono una regola fissa nel toscano, anzi vi sono molti casi in cui le e e la o pretoniche rimangono tali e non si chiudono in i eu (cfr. Rohlfs 1966, pp. 162-163). Proprio dalla realizzazione o meno di questo mutamento derivano alternanze frequenti anche in Toscana, fra cui quella che ci interessa.
Per fare un solo esempio, il corpus OVI mostra per il Boccaccio nel Filocolo (1336-38) l’alternanza tra recuperare e ricoverare, mentre nel Decameron (1370 circa) sono presenti solo forme in re-: forse si ha a quest’altezza cronologica un “recupero” consapevole, da parte dello scrittore, del vocalismo latineggiante.
Il corpus della Biblioteca italiana (si tratta di una biblioteca digitale che raccoglie testi significativi di tutta la nostra letteratura) mostra 27 occorrenze di ricupera, a partire dal ’500 fino all’’800, mentre recupera si ritrova 13 volte, in testi del ’400 e del ’500. Ricuperato si ha in 34 documenti, dal ’400 fino a testi di Svevo e Pascoli del secolo scorso; l’alternativa recuperato invece occorre solo 15 volte, dal ’300 al ’600. Dunque nei testi letterari della tradizione sembra che la forma in ri- sia maggioritaria, anche perché più radicata nel toscano, a cui la lingua letteraria si rifà.
Per quel che riguarda le registrazioni nella lessicografia di lingua, il Vocabolario degli Accademici della Crusca, nelle prime quattro edizioni (1612; 1623; 1691; 1729-1738), da ricuperare rimanda a recuperare (anche se poi negli esempi e nelle definizioni non manca l’impiego della forma in ri-; tale incoerenza è probabilmente dovuta al modello trecentesco seguito dagli Accademici, modello lontano in molti aspetti dalla lingua a loro contemporanea); nel Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini (1861-1879) la voce principale è ricuperare, mentre recuperare è indicata come forma ormai in disuso; il Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (1875) presenta unicamente la forma in ri, come anche il Novo dizionario universale della lingua italiana di Policarpo Petrocchi, che inserisce il verbo anche tra gli usi locali, seguito dalla definizione “ritirare; ricoverarsi; termine tipico del Montale: ritrovarsi, intralciarsi (piante fitte che le si ricuperano ‘ntra di loro)”. Nello Zingarelli 1917 sono a lemma entrambe le forme, anche se la trattazione di ricuperare risulta più ampia e articolata. Il Vocabolario della lingua italiana di Giulio Cappuccini, nell’edizione del 1945 a cura di Bruno Migliorini, da recuperare rimanda a ricuperare; anche il GDLI registra come lemma principale la forma in ri-, così come il DOP, che alla voce ricuperare scrive “anche recuperare”, senza fornire restrizioni o differenze d’uso. Al contrario i vocabolari più recenti (GRADIT 2000, Sabatini-Coletti 2008, Zingarelli 2018, Devoto-Oli 2018) tendenzialmente registrano come principale la forma recuperare (ricuperare è inserita ma con rimando). Sembra dunque che la lessicografia otto e novecentesca optasse per la forma ricuperare e che ci sia stata un’inversione di tendenza nei dizionari più vicini a noi.
Nell’uso contemporaneo, stando alla Rete, risulta preponderante la scelta di recuperare: da una ricerca su Google (limitata alle pagine in italiano) la forma recuperava ha 306.000 occorrenze, contro le 10.700 di ricuperava; anche la terza persona singolare del presente, recupera, restituisce 48.300.000 risultati, mentre ricupera ne ha solo 41.900.
Gli archivi in Rete di alcuni quotidiani confermano la tendenza riscontrata nei vocabolari, testimoniando la netta preferenza accordata a recuperare: “Repubblica”, il cui archivio online copre il periodo dal 1984 a oggi, dà per la terza persona singolare del presente (recupera) 15.513 risultati, mentre, per ricupera, solo 77; la ricerca di recuperato restituisce 32.761 risultati (per la variante con la i del participio passato se ne ottengono soltanto 90). “La Stampa” (il cui archivio sul web comprende gli articoli dal 1867 a oggi) ci offre dati analoghi seppur meno distanti: recupera presenta 18.199 risultati, con picco nel decennio 1970-1980; mentre ricupera ne restituisce 1475, la maggior parte dei quali risale al periodo 1940-1950, con un ultimo picco nel decennio 1960-70.
Anche il sostantivo derivato dal verbo presenta le due varianti recupero e ricupero, entrambe relativamente recenti. L’attestazione più antica del sostantivo risalirebbe al 1793, secondo il GRADIT, s.v. recupero; ma nel corpus della Biblioteca Italiana, mentre recupero trova una sola occorrenza (Ranieri Grassi, Pisa e le sue adiacenze, 1836-38), ricupero ne ha sei, di cui due anteriori al 1793 (Simone Contarini, Relazione di Costantinopoli, 1612; Francesco Morosini, Relazione di Francia, 1752).
Come era prevedibile, il Vocabolario degli Accademici della Crusca non riporta nessuna delle due forme. Solo nella quarta edizione (1729-38) compaiono i sostantivi recuperazione ericuperazione (oltre a ricuperamento, già presente nelle giunte alla terza edizione); mentre la quinta Crusca (1863-1923), fermandosi alla lettera o, non arriva alla forma. Il Tommaseo, nel suo Dizionario, alla voce ricupero scrive: “Taluni lo dicono per Ricuperamento e Ricuperazione. Inut.”, bollando tale uso con due croci, indicanti le parole e le accezioni da evitare. Indica anche un altro significato specifico dell’ambito marinaro (“atto di salvare uomini od oggetti o la nave stessa perduti in mare”). Ricupero si riferisce all’atto del ricuperare, limitato esclusivamente al linguaggio della navigazione, nel Vocabolario di Rigutini e Fanfani e nel Dizionario di Petrocchi. Nello Zingarelli 1917 sotto recuperare è attestato solo il derivato recuperazione; sotto ricuperare abbiamo invece anche ricupero, col significato di “ricuperazione, cosa ricuperata”. Anche il Vocabolario di Cappuccini e Migliorini ignora la variante recupero e mette a lemma solo ricupero e ricuperazione. Sembra quindi che la lessicografia recepisca in un primo momento, fino circa alla metà del ’900, solo la forma in ri- del sostantivo.
Un’inversione di tendenza si trova per esempio nel DOP, che alla voce ricupero, dopo aver elencato le varianti non comuni, letterarie o antiquate, aggiunge: “solo recupero, o (ma di rado) ricupero, in ogni modo, negli usi più recenti o tecnici, come per es. corsi di recupero, partita di recupero, il recupero del centro storico, il recupero degli emarginati”.
Il GDLI riporta a lemma, come per il verbo e tutti i suoi derivati, la forma con i del sostantivo (il volume RIB-ROBA è datato 1992), la cui prima attestazione è individuata nel Dizionario di marina di Luigi Fincati, del 1870, con il significato specifico di: “atto di salvare uomini od oggetti o la nave istessa perduta in mare […] ciò che è precisamente l’opposto di fare abbandono”. Il GDLI cita anche l’espressione ricupero crediti: “nel gergo commerciale, il conseguimento del pagamento di un credito (in partic. di origine commerciale) nei confronti di un debitore inadempiente, mediante l’esercizio di apposite iniziative legali […]” e riporta come prima attestazione un articolo della “Stampa” del 1986 in cui però, significativamente, la forma citata è recupero crediti.
Il GRADIT alla voce recupero riporta tra le accezioni più comuni: ‛il recuperare qualcosa che era stato rubato, che si era perso e sim.’; ‛figurato, il riacquistare energie, facoltà fisiche o psichiche, spec. dopo una malattia’; ‛reinserimento nella società, nel mondo del lavoro di persone disabili o disadattate ’; ‛riutilizzazione di quanto era stato posto in disuso, nuova valorizzazione, rilancio ’ e altri. Illustra inoltre le diverse accezioni tecnico-specialistiche del sostantivo (attinenti a urbanistica, sport, linguistica, psicologia, e altri: si pensi ai minuti di recupero di una partita, o al recupero crediti; o ancora a corso, lezioni di recupero). Come lo Zingarelli 2018, il Devoto-Oli 2018 e il Sabatini-Coletti, il GRADIT indica ricupero, ma solo come alternativa secondaria.
Nell’uso attuale, ricupero sta decisamente perdendo terreno: su Google è notevole lo scarto tra recupero (36.900.000 occorrenze) e ricupero (237.000). Nel linguaggio giornalistico è testimoniato quasi esclusivamente recupero: nell’archivio di “Repubblica” recupero ha 111.154 risultati; ricupero 491. Nell’archivio della “Stampa” recupero ricorre 189.953 volte (la sua frequenza aumenta molto dal 1970 in poi), ricupero 25.761 (il picco di risultati si ha tra il 1940 e il 1950).
Come già abbiamo visto per ricuperare, quindi, anche la corrispondente forma in ri- del nome sembra appartenere ormai al passato; non è un caso che, facendo una veloce ricerca in Google libri, ricupero come sostantivo si ritrovi in molti testi legati alla navigazione e all’ambito storico-archeologico, risalenti ai primi decenni del secolo scorso.
Per quanto riguarda in particolare l’espressione recupero crediti, non vi sono dubbi sulla forma che oggi è più comune: la forma con la e ha 1.710.000 risultati su Google, ricupero crediti ne conta 6.890.
Il caso di recuperare/ricuperare non è unico in italiano; altri verbi derivati da forme latine col prefisso rĕ- presentano la stessa alternanza: recusare/ricusare, relegare/rilegare, restringere/ristringere, refluire/rifluire (esempi suggeriti da Serianni 1989, p. 661 e da Sabatini-Coletti 2008, s.v. re- e ri-) sono alcuni dei casi più frequenti.
Per alcuni di questi verbi l’alternativa di origine toscana e popolare, poi divenuta letteraria, ha avuto una certa fortuna (v. ricusare), mentre ciò non è accaduto per altri, che hanno mantenuto il prefisso re- nella norma standard e ri- solo a livello regionale (v. ristringere).
Concludendo: le due forme recuperaree ricuperare sono entrambe accettabili, in quanto rappresentano due varianti dello stesso lemma e tutte e due sono attestate dai principali dizionari dell'uso. La forma in re- è attualmente maggioritaria sia per il verbo sia per il sostantivo; forse tale preponderanzasi spiega con la cristallizzazione di recuperare in alcune espressioni tecniche e specifiche di certi settori a cui il verbo (e soprattutto il sostantivo) ha dato vita in epoca recente. Infatti, se per quanto riguarda il verbo la scelta dell’una o dell’altra forma non fa molta differenza (tranne forse per la connotazione toscaneggiante di ricuperare), sembrerebbe invece opportuno evitare il sostantivo ricupero in polirematiche e espressioni specialistiche, nelle quali la forma recupero si è ormai standardizzata (per esempio minuti di recupero, corsi di recupero, recupero crediti, partita di recupero, recupero termico, ma anche recuperare il tempo perduto, recuperare una lezione ecc.).
A cura di Alice Mazzanti
Redazione Consulenza Linguistica
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Piazza delle lingue: La variazione linguistica
27 novembre 2018
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