In Italia non si brontola nessuno… In Toscana qualcuno sì

Alcuni lettori ci chiedono se sia corretto l’uso transitivo del verbo brontolare, “brontolare qualcuno”, nel significato di ‘rimproverare’.

Risposta

Il verbo brontolare in funzione intransitiva col significato di ‘esprimere malcontento; lamentarsi; bofonchiare’ è documentato in italiano fin dagli inizi del Trecento: lo Zingarelli 2022 riporta la data del 1314, evidentemente ricavata dal TLIO.

Il verbo, che nella sua accezione intransitiva compare anche in tutte le impressioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca, attualmente fa parte del vocabolario di base dell’italiano, come testimoniato dal GRADIT, che gli assegna la marca AD (“alta disponibilità”), ed è registrato in tutti i principali dizionari dell’uso. Tuttavia, il verbo si presenta anche con due accezioni transitive: la prima, attestata in tutti i dizionari contemporanei che si sono consultati, è quella di ‘dire tra i denti, borbottare’ (per es. brontolare parole / bestemmie); la seconda, invece, è quella di ‘rimproverare, sgridare (qualcuno)’, e questa, non contemplata dallo Zingarelli 2022, viene marcata come “non comune” da Garzanti 2017, Sabatini-Coletti 2008 e VocabolarioTreccani 2017 (che, come pure nella versione online, segnala quest’uso come “familiare”); è etichettata come “colloquiale”, invece, nel Devoto-Oli 2021 e nel GRADIT (in cui si dà anche la marca di “basso uso”).

È proprio su quest’ultima forma che si concentrano le domande dei lettori: per esempio, ci viene chiesto se siano corrette le frasi la mamma / la maestra mi ha brontolato o io brontolo mio figlio. Interessante, e da tenere in considerazione, è il fatto che la maggior parte dei quesiti provenga dalla Toscana; infatti, in questa regione, il verbo brontolare si presenta frequentemente – per non dire quasi esclusivamente – nella sua accezione transitiva col significato di ‘rimproverare’. Ciò è facilmente verificabile consultando qualche opera di lessicografia dialettale: la voce compare, fra gli altri, nel Vocabolario del Fiorentino Contemporaneo e in A Signa si parlava così (e così si parla) (Pratelli 2004), testimoni rispettivamente del fiorentino urbano e di quello rustico; figura poi nel Lessico del livornese (Marchi-Castelli 1993), dov’è registrata nella caratteristica forma tronca brontolà, con la specifica che “nella parlata viene usato sovente in senso transitivo”; il verbo compare, ancora una volta in forma tronca, anche nel Vocabolario pisano (Malagoli 1939), dove se ne sottolinea il caratteristico uso transitivo, ed è presente pure nel Vocabolario maremmano (Barberini 1995). È attestata anche la variante bronciolà(re) col significato di ‘rimproverare’, tipica dell’area della Lucchesia e del massese, presente nel Vernacolario lucchese (Giangrandi-Bendinelli Predelli 2013) e nel Nuovo vocabolario del dialetto massese (Novani 2019), tradotta con l’“italiano” brontolare, specificandone l’uso transitivo, oltre che quello intransitivo. Infine, consultando le testimonianze raccolte per l’Atlante Lessicale Toscano in merito a brontolare, si può vedere come nella maggior parte dei casi il verbo venga utilizzato transitivamente, con il significato di ‘rimproverare’.

La vitalità di brontolare nel senso di ‘rimproverare’ è testimoniata anche dal web: effettuando una ricerca su Google (pagine in italiano, 25/1/2022), si sono trovati 485 risultati per brontolarlo, 273 per brontolarla, 263 per brontolarli, 473 per brontolarle. Non sono rari i casi di blog o forum nei quali gli utenti utilizzano il verbo in queste forme (e quelli di cui si è potuta recuperare la provenienza, sono tutti di area toscana). È così in una pagina in cui si parla di animali:

In pratica se il mio puledro abbassa le orecchie e poi cerca di mordermi, io non andrò a brontolarlo al primo accenno di orecchie abbassate, ma al momento che apre la bocca, cioè non impedirò a lui di comunicare con me, ma gli impedirò di fare azioni spiacevoli. (Sara Gualandi, Capire il no. Vita da puledro: dal secondo al sesto mese, www.animalinelmondo.com)

Oppure nella newsletter dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze, nella quale una pediatra suggerisce ai genitori alcuni comportamenti da tenere con i figli piccoli:

I genitori di fronte al piccolo che dice una parolaccia, specie se in pubblico, tende ad avere due reazioni opposte, ugualmente sbagliate: o scoppia a ridere oppure ne fa un dramma! […]. E se le parolacce vengono pronunciate durante i suoi momenti di rabbia è meglio non brontolarlo, ma offrirgli parole alternative per esprimere le sue emozioni negative, parole divertenti e buffe anche senza senso come ad esempio per dindirindina, accipicchia, la ciribiricoccola. (Angela Pittari, Cattive abitudini. Per i nostri figli, www.meyer.it)

Interessante un caso di consapevolezza della particolarità dell’uso, con relativa spiegazione, da parte di una blogger fiorentina:

Ormai siamo abituati a vivere di app soprattutto i nostri figli, e noi genitori a brontolarli (brontolare termine toscano per dire rimproverare) ma in certi casi le apps ti salvano la vita, o ti fanno ritrovare la macchina. (Perdere la macchina in Francia e come recuperarla, www.girovagandoinsieme.it)

Da segnalare è anche un’occorrenza di brontolare col significato di ‘rimproverare’ nel testo che una psicologa veneta ha pubblicato sul proprio sito web:

A volte amiamo una persona ma ci capita di brontolarla aspramente, magari siamo veramente preoccupati per lei, ma con un atteggiamento aggressivo facciamo peggio, la allontaniamo, se invece usiamo una comunicazione gentile e spieghiamo perché siamo preoccupati, è più probabile che l’altro apra il suo cuore e comprenda, piuttosto che barricarsi dietro a sentimenti di difesa e di incomprensione. (Emanuela Pasin, La vita di coppia secondo Thich Nhat Hanh -4 PASSO- “La gentilezza amorevole”, www.emanuelapasin.com, 7/3/2018)

Non è raro trovare attestazioni di questo uso nella prosa giornalistica, che però rimane sempre circoscritta all’ambito toscano. È così infatti per un articolo di cronaca fiorentina della “Repubblica” o per un articolo del “Tirreno”:

Appena partito il bambino si sente chiedere il biglietto da due controllori Ataf e cerca di spiegare che sta per scendere, che è già arrivato. Ma quelli continuano a brontolarlo e poi scendono con lui, lo scortano fino a scuola. (Simona Poli, Una scuola contro l’Ataf, www.repubblica.it, 23/3/2001)

Sono le maestre come te che insegnano, oltre che con i libri e con le parole, con l’amore e la passione che le anima. Hai saputo crescerli questi “tuoi bimbi” ed accudirli, coccolarli e brontolarli quando è stato necessario. Li hai osservati, capiti, invogliati a conoscere il mondo; non hai insegnato loro solo la matematica, gli hai insegnato a capire, a ragionare ad amare il sapere. E a noi genitori hai insegnato ad ascoltarli, i nostri figli, guidandoci, rincuorandoci, sostenendoci». (Daniele Benvenuti, L’ultima campanella per la maestra Stefania, iltirreno.geolocal.it/pisa/, 9/6/2017)

Un caso particolare è la presenza di brontolare usato transitivamente in un quotidiano online della Spezia (città che comunque è al confine con la Toscana):

Quel don Francesco che era spesso nel cortile, sempre pronto a regalare un sorriso ai suoi ragazzi, a brontolarli se non si comportavano bene e a prenderli a braccetto per confessarli all’aria aperta. (Francesco Griggio e il Don Bosco, una storia indimenticabile, www.cittadellaspezia.com, 15/6/2021)

In merito all’ambito toscano, quelli riportati sopra sono solamente due esempi scelti fra molti altri possibili che testimoniano la grande vitalità d’uso di questo verbo nel significato di ‘rimproverare’; ciò è dovuto anche alla caratteristica tipica dei parlanti toscani di non percepire come locali forme e costrutti che in realtà lo sono. Questo aspetto risulta chiaro consultando il profilo della voce presente in Le parole dei giovani fiorentini: variazione linguistica e variazione sociale (Binazzi 1997; per es. a p. 59), nel quale viene sottolineata la vitalità intergenerazionale del verbo e la sua percezione come forma “non marcata”. A testimonianza di ciò, si può osservare come in alcune raccolte vernacolari l’uso di brontolare tr. ‘rimproverare’ non venga riportato: è così, per esempio, nel Vohabolario del vernaholo fiorentino e del dialetto toscano di ieri e di oggi (Rosi Galli 2009) e nel Vocabolario del vernacolo fiorentino e toscano (Bencistà 2012).

Va detto che i contesti di occorrenza del verbo brontolare, specialmente nella sua accezione transitiva di ‘rimproverare’, sono quasi esclusivamente informali, familiari; infatti, a essere brontolati sono spesso bambini o animali domestici. Questo fatto, molto probabilmente, ha favorito la mancanza di percezione dell’uso locale da parte dei parlanti, perché i registri informali/familiari sono quelli meno sorvegliati, e ciò ha fatto sì che l’uso risalisse nel repertorio e arrivasse alla prosa giornalistica. In merito a quanto appena detto, pare opportuno inserire brontolare nel senso di ‘rimproverare’ nella categoria dei regionalismi, essendo questa voce parte del repertorio lessicale dell’italiano regionale toscano, piuttosto che del dialetto.

In Toscana, l’“italiano” rimproverare costituisce senza dubbio una variante marcata per formalità, appartenente a registri alti, controllati, tra cui quello della lingua scritta. Si presume che questa distinzione diafasica dei due verbi sinonimici sia antica, infatti non si sono trovate attestazioni di brontolare ‘rimproverare’ nell’italiano scritto, almeno fino all’epoca contemporanea, a differenza di quello che avviene per rimproverare, attestato fin dal Trecento. La prima attestazione di brontolare nel senso di ‘rimproverare’, almeno stando a quello che testimonia il GDLI, si trova nel Podere (pubblicato postumo nel 1921 e scritto presumibilmente nel primo decennio dello stesso secolo) di Federigo Tozzi, che – come sappiamo – è toscano. Per fare un esempio contemporaneo, questo stesso uso compare nel libro La ricerca della leggerezza (2020) di Agnese Belardi, autrice toscana:

Spesso i giri di parole che doveva mettere in scena per trovare la scusa di brontolarla erano così fantasiosi, che Lucia stentava a comprendere cosa le stesse dicendo, così protestava, ma i discorsi si ingarbugliavano ancor di più e alla fine cessava di difendersi.

L’assenza dell’uso transitivo di brontolare riscontrata nella lessicografia ottocentesca conferma come questa accezione non godesse di prestigio letterario: difatti essa non è contemplata né dal Tommaseo-Bellini né dal Giorgini-Broglio, in cui ci si potrebbe aspettare di trovarla, in quanto vocabolario basato sul fiorentino, seppur non quello popolare, di ispirazione manzoniana (per altro neppure nei Promessi sposi si trovano usi transitivi di brontolare ‘rimproverare’). Il verbo in questo valore transitivo non compare neanche nel Vocabolario della lingua italiana (Fanfani 1855) e nel Nòvo dizionario universale della lingua italiana (Petrocchi 1894).

In merito a quanto appena detto, viene da chiedersi come questa forma sia riuscita a entrare, seppur con tutte le specifiche fatte in precedenza, nella lessicografia nazionale. Questo uso del verbo, che pare estremamente vincolato all’area toscana, dove – come abbiamo visto – rappresenta la norma diffusa e non marcata, a differenza di altri toscanismi (sebbene nessun dizionario lo marchi con questa etichetta) non gode di quella tradizione letteraria a cui spesso è riservato un posto nella lessicografia nazionale. È probabile quindi che quell’unica attestazione riportata dal GDLI (cfr. supra) abbia legittimato la presenza di questa accezione nei dizionari dell’uso contemporanei, non essendo essa riportata nemmeno in edizioni di vocabolari anteriori al 1962, data di uscita del secondo volume del GDLI: è così infatti in Zingarelli 1922, Palazzi 1950 e Migliorini-Cappuccini 1960.

Tornando all’area toscana, specialmente a quella fiorentina, va detto che il significato più diffuso nella Penisola di brontolare intransitivo, ossia ‘bofonchiare; borbottare; esprimere risentimento’, è ricoperto anche da altri due verbi: bubare per ‘brontolare, protestare in continuazione ma senza alzare la voce’ e il più marcato per espressività ronchiare, che significa ‘brontolare, borbottare fra sé, di persona arrabbiata’; va specificato che entrambi sono intransitivi, pertanto non è possibile usare espressioni del tipo *bubare / *ronchiare qualcuno. Per verifiche su tutta l’area toscana, si segnala qui il collegamento alle risposte alla domanda 492 dell’Atlante Lessicale Toscano sulle varie forme utilizzate nella regione per esprime il significato di ‘borbottare’.

Quanto all’origine e alla diffusione di brontolare qualcuno transitivo, si possono supporre due eventualità: la prima è un possibile accostamento con biasimare, verbo anch’esso transitivo e semanticamente affine; la seconda è un’estensione dell’uso transitivo brontolare parole / bestemmie, riportato dai principali dizionari contemporanei (cfr. supra) senza alcuna restrizione d’uso, anzi, marcato come “comune” dal GRADIT.

In conclusione, per rispondere ai quesiti che ci sono stati posti, brontolare transitivo, col significato di ‘rimproverare’, è ammesso in italiano se si guarda alla lessicografia contemporanea, nella quale viene quasi sempre riportato, seppur con specifiche marche chiamate a definirne e a circoscriverne gli ambiti d’uso (pertanto, sarebbe opportuno evitarlo nello scritto o in contesti formali); tuttavia, forse sarebbe necessario che i dizionari marcassero tale uso di brontolare come regionalismo, in questo caso toscanismo, essendo gli usi di questa accezione, di fatto, esclusivi di parlanti toscani.


N
ota bibliografica:

  • Barberini 1995: Mario Barberini, Vocabolario maremmano, Pisa, Nistri-Lischi, 1995.
  • Bencistà 2012: Alessandro Bencistà, Il vocabolario del vernacolo fiorentino e toscano, Firenze, Sarnus, 2012.
  • Binazzi 1997: Neri Binazzi, Le parole dei giovani fiorentini: variazione linguistica e variazione sociale, Roma, Bulzoni, 1997.
  • Fanfani 1855: Pietro Fanfani, Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 1855.
  • Giorgini-Broglio 1870-1897: Emilio Broglio, Giovan Battista Giorgini,Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, M. Cellini e C., 1870-1897 (ristampa anastatica: Firenze, Le Lettere 1979).
  • Giangrandi-Bendinelli Predelli 2013: Giovanni Giangrandi, Maria Predelli Bendinelli, Vernacolario lucchese. Dizionario dei lemmi usati a Lucca e nella sua piana alle soglie del terzo millennio, Lucca, S. Marco Litotipo, 2013.
  • Malagoli 1939: Giuseppe Malagòli, Vocabolario pisano, Firenze, Accademia della Crusca, 1939.
  • Marchi 1993: Vittorio Marchi, Luciano Castelli, Lessico del Livornese. Con finestra aperta sul Bagitto, Livorno, Belforte, 1993.
  • Migliorini-Cappuccini 1960: Bruno Migliorini, Giulio Cappuccini, Vocabolario della lingua italiana, Torino, Paravia, 1960.
  • Novani 2019: Enrico Novani, Il nuovo vocabolario del dialetto massese. Terza Edizione, S.l., Industria & Letteratura, 2019.
  • Palazzi 1950: Fernando Palazzi, Novissimo dizionario della lingua italiana. Etimologico, Fraseologico, Grammaticale, Ideologico, Nomenclatore e dei Sinonimi, Milano, Ceschina, 1950.
  • Petrocchi 1894: Policarpo Petrocchi, Nòvo dizionario universale della lingua italiana, Milano, F.lli Treves, 1894.
  • Pratelli 2004: Rufin Jean Pratelli, A Signa si parlava così (e così si parla). Vocabolario e modi di dire d’un vernacolo toscano del Novecento, Signa, Masso Delle Fate, 2004.
  • Rosi Galli 2009: Stefano Rosi Galli, Vohabolario del vernaholo fiorentino e del dialetto toscano di ieri e di oggi, Firenze, Romano, 2009.
  • Zingarelli 1922: Nicola Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Milano, Bietti e Reggiani, 1922.

Lorenzo Cambi

4 maggio 2022


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