Alcuni lettori chiedono se sia corretto usare i pronomi personali lui/lei per riferirsi a entità inanimate.
La domanda riguarda la referenza dei pronomi, indipendentemente dalla loro funzione sintattica (soggetto o complemento). Occorre precisare però che, quando il pronome è soggetto, la questione si intreccia con il secolare problema dell’accettabilità di lui, lei, loro in luogo delle forme concorrenti egli, ella, esso, essa, essi, esse. Diciamo sinteticamente che lui, lei, loro soggetti sono ormai accettati e ben radicati nel parlato e nello scritto. Non ci dilunghiamo oltre: per chi volesse saperne di più rimandiamo all’esauriente risposta di Francesco Sabatini pubblicata proprio nel primo numero della rivista “La Crusca per voi” e pubblicata anche su questo sito.
Tornando alla referenza dei pronomi, rispondiamo dapprima sinteticamente in relazione all’uso contemporaneo, per approfondire poi la questione guardando anche alla lingua dei secoli passati. Nell’italiano d’oggi lui/lei (insieme a egli ed ella, di cui non ci occuperemo), indipendentemente dal ruolo sintattico ricoperto, si usano per riferirsi a persone. Anche l’impiego riferito ad animali (non solo domestici) è diffuso e accettato: Il gatto indemoniato: la donna vuole cacciarlo, lui le salta al collo (ilMessaggero.it, 16/12/2013); Oscar Farinetti e la scimmietta: “Lei non rispetta i patti e mi fa fare di quelle figure...” (youtube.com). L’impiego con referenti inanimati è possibile, anche in contesti di scrittura sorvegliata, con entità direttamente o indirettamente “umanizzabili”: vediamo due casi tratti dalla lingua dei media, uno di qualche tempo fa e uno recente: Le principali incognite che gravano sul Consiglio di domani vengono dalle obiezioni che la Gran Bretagna, ma non solo lei, ha ancora nei confronti delle operazioni Csi ed Ekostahl (ANSA 16/12/1993, cit. in Palermo 1997, p. 196); La compagnia tedesca [Lufthansa] verserà 325 milioni attraverso un aumento di capitale a lei riservato (“la Repubblica”, 26/5/2023, p. 28). Come si vede, l’uso di lei è favorito dal fatto che si tratta in entrambi i casi di referenti astratti percepiti come nomi collettivi indirettamente riconducibili a un insieme di persone (i cittadini in un caso, il consiglio di amministrazione nell’altro). Per il maschile riportiamo anche un esempio primonovecentesco di Prezzolini saggista, in cui lui è riferito al cattolicesimo:
L’umanità è stata cattolica naturalmente, e ciò dovrebbe essere riconosciuto dalla democrazia. Questa invece non ragiona più appena sente parlare di Cattolicismo, e vorrebbe distruggere tutto quello che ha un’appena lontana attinenza o parentela con lui. (Giuseppe Prezzolini, Lettera aperta ai giovani modernisti [1907], in Id., Cos’è il Modernismo?, Milano, Fratelli Treves, 1908, p. 54)
Infine, l’uso di lui/lei è raro e ai limiti dell’accettabilità nel caso di riferimento a oggetti concreti (“questo vaso è molto bello, ma su di lui si sono formate delle macchie”).
Spostando l’attenzione dall’uso alle fonti normative emerge il seguente quadro. Nelle grammatiche e nei dizionari si registra un accordo unanime sulla riferibilità di lui/lei a persone, mentre per quanto riguarda animali e cose si notano alcune differenze. La percezione di scarsa accettabilità del riferimento di lui/lei a cose trova fondamento nell’insegnamento: nel sistema dei pronomi di terza persona rappresentato nelle grammatiche scolastiche attuali, pur con alcune differenze, si individuano come forme specifiche per riferirsi a cose esso e essa. Riportiamo un esempio tratto da una delle grammatiche per le superiori più diffuse nell’ultimo trentennio: “il pronome personale di terza persona singolare […] ha forme distinte per il soggetto maschile e per il soggetto femminile e distingue se il soggetto è una persona o un animale o una cosa” (Sensini, 1989, p. 24).
Tra i vocabolari, il GRADIT specifica la referenza solo per il femminile lei, notando che il pronome “è riferito a persona, e in usi familiari anche a animale o cosa”. Per il Vocabolario Treccani online lui/lei sono riferiti “in genere a persona, talora anche ad animale o cosa inanimata”. Lo Zingarelli (2021) introduce una distinzione poco convincente tra lui/lei e loro: delle due forme singolari si dice che sono riferite a persone, e l’impiego esteso ad animali e cose è connotato come letterario. Per il plurale invece l’estensione a animali e persone è connotata come familiare.
La distinzione tra umani da un lato e animali e cose dall’altro è riprodotta in molte grammatiche e vocabolari di oggi sull’esempio di autorevoli modelli del passato, come per es. il Tommaseo-Bellini, che contrappone (s.v. lui) persone a “animal[i] senza ragione e a cose inanimate”. Seguendo inerzialmente tali modelli, alcune fonti normative attuali continuano a tracciare un confine netto tra riferimento a persone da un lato, ad animali e cose dall’altro. Tuttavia, il fatto che i dubbi dei nostri lettori si concentrino sull’accettabilità del riferimento a cose e non su quello ad animali testimonia che – di là da quanto affermano le grammatiche – si è ormai compiuto un profondo mutamento culturale: il progressivo consolidarsi di una nuova concezione del rapporto tra uomo e natura ha aperto la strada alla possibilità di riferire senza restrizioni i pronomi lui/lei agli animali. Semmai, come abbiamo visto, nella sensibilità attuale dei parlanti lo spartiacque dell’accettabilità sembra collocarsi tra la riferibilità a persone e animali da un lato e a entità inanimate dall’altro.
Nonostante l’orientamento di grammatiche e vocabolari, esso/essa fanno fatica a entrare nella lingua dell’uso quotidiano: il loro impiego è molto limitato nel parlato (Renzi 2012, p. 36n). Ciò si deve a vari fattori: in primo luogo la distinzione nella referenza è stata introdotta in tempi relativamente recenti, come vedremo più avanti. Secondariamente le forme esso/essa sono spesso evitate (sostituite per es. da dimostrativi) perché percepite da molti parlanti, a seconda della provenienza geografica, come letterarie o connotate regionalmente. In terzo luogo, nella norma attuale esiste un’asimmetria: nel ruolo di soggetto e di complemento indiretto sono disponibili le forme esso/essa: “A ciò occorre poi aggiungere un altro fattore, anch’esso di grande rilevanza, ovvero la presenza della Chiesa cattolica nel nostro Paese” (Rita Padovani, Verso le elezioni europee con la nostalgia dell’Ulivo, in www.ildomaniditalia.eu, 19/6/2023); “La legge è legge, sia essa giusta o no, nessuna democrazia, nessuna repubblica sarebbero possibili se si obbedisse soltanto alle leggi che si approvano” (cfr. esempi della v. obbedienza, www.educalingo.com). In funzione di complemento oggetto, invece, esso/essa non si possono usare, né con riferimento a persone (*ho salutato esso, *ho incontrato essa) né con riferimento a cose: *ho apprezzato molto esso (per es. con riferimento a un regalo ricevuto; cfr. Serianni 1988, VII.19). Questa restrizione, valida per l’italiano contemporaneo, conosce alcune eccezioni nei secoli passati, dove comunque i casi di esso/essa in funzione di complemento oggetto sembrano essere molto rari (D’Achille 2012, pp. 126-127).
Se volgiamo lo sguardo al passato il quadro è diverso: nell’ampio catalogo dei pronomi personali dei primi secoli le forme si alternano liberamente e non sono distinguibili sulla base dell’animatezza del referente: l’uso di lui/lei, egli/ella riferiti a entità inanimate è ampiamente documentato, così come quello, speculare, di esso/essa per referenti animati, con una sostanziale continuità temporale che si estende dal Duecento fino alla seconda metà dell’Ottocento per fare capolino occasionalmente anche in alcuni autori novecenteschi.
Segnalo un esempio dal Cantico delle creature di San Francesco:
Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui;
uno dalla Vita Nuova di Dante:
due atti de la su bocca; l’uno dei quali è lo suo dolcissimo parlare, e l’altro lo suo mirabile riso […] la memoria non puote tenere a mente lui né sua operazione (VN, 21, 8, cit. in Salvi-Renzi 2010, p. 425),
e uno di Paolo Segneri:
La calamita ha due nemici: l’uno è il fuoco, il quale toglie affatto la virtù sua di tirare; l’altro è il diamante, il quale non toglie a lei veramente la sua virtù, ma le toglie l’uso. (P. Segneri, cit. in Fornaciari, 1881, p.124).
Si potrà osservare che nel primo caso il sole è oggetto di personificazione, nel secondo l’antecedente (il sorriso) è sì inanimato, ma rinvia metonimicamente a Beatrice, nel terzo è riferito a un materiale che per le sue proprietà può essere associato a qualcosa di animato. Non mancano tuttavia esempi in cui il referente è inanimato e non “umanizzato”, né direttamente né indirettamente: “e questo argine ancora lui era coperto d’acqua” (B. Cellini, 249); “col tovagliolo, ch’è bucato anche lui” (G. B. Fagiuoli, Commedie, II, 27, cit. in Boström 1972, p. 11). Per il Novecento riporto un esempio di Montale e uno di Palazzeschi:
D’altra semenza uscita / d’altra linfa nutrita / che non la nostra, debole, pareva la natura. / In lei l’asilo, in lei / l’estatico affisare (Eugenio Montale, Fine dell’infanzia, in Ossi di Seppia, Torino, Gobetti, p. 67);
- Vai, che sono meglio le torte. - Una è rimasta intera. -L’hanno messa in quel paniere che la fattoressa ha consegnato all’autista prima di partire, l’ho vista bene. - Domani sparisce anche lei (Aldo Palazzeschi, I fratelli Cuccoli, Firenze, Vallecchi, 1948, p. 102).
L’analisi dei testi del passato consente dunque di affermare che in italiano antico non era presente la distinzione relativa al tratto di animatezza. Come è stato osservato, “prima del Novecento non sembra […] giustificato parlare di categorie morfologiche con forme specializzate per marcare l’animato o l’inanimato” (Boström, 1972, p. 12). Anche Rohlfs (Rohlfs 1968 § 436) nota come la distinzione nella referenza è propria “della moderna lingua letteraria, che usa esso e essa, in luogo di egli e ella, quando sono riferiti a cosa o animale”.
Concludiamo con uno sguardo alle grammatiche del passato. Va premesso che in quelle che sconsigliavano l’uso di lui/lei come soggetti il problema della referenza – se preso in considerazione – è in genere trattato sotto egli/ella, intesi come lemmi generali a cui ricondurre le forme oblique lui/lei. Inoltre, nelle grammatiche dei primi due secoli in genere non si prende in considerazione il problema della referenza, sia perché l’attenzione prevalente era dedicata a stabilire una corrispondenza tra forma e funzione sintattica (soggetto/complemento) sia perché la regola non avrebbe trovato adeguato sostegno negli autori del buon secolo.
Una seppur rapida e incompleta ricognizione consente di ipotizzare che la distinzione relativa alla referenza dei pronomi di terza persona inizia a instaurarsi all’incirca a partire dalla metà del Settecento, periodo in cui si inaugura la produzione di grammatiche finalizzate all’insegnamento scolastico dell’italiano e, di conseguenza, il ricco catalogo di pronomi ereditato dalla nostra tradizione letteraria, visto fino ad allora da grammatici e lessicografi come un ricco forziere da cui attingere per le esigenze degli scrittori, inizia a costituire un problema per la difficoltà di abbinare in maniera didatticamente efficace forme e funzioni. Nelle Regole ed osservazioni della lingua toscana di Salvatore Corticelli, grammatica innovativa e assai fortunata (rimase in vetta alla classifica deli testi più adottati nei licei e nei ginnasi per oltre un secolo) si accenna a una differenziazione: a proposito di egli si dice che si usa per le persone e che tuttavia “si truova detto talvolta anche di cosa inanimata […] e di bestia” (Corticelli 1745, p. 57). Una identica osservazione riguarda, poche pagine dopo, il femminile ella (p. 60). Nel Vocabolario degli Accademici della Crusca la condanna dell’uso dei pronomi egli/lui e ella/lei riferiti a cose si trova solo nella quinta edizione (pubblicata a partire dal 1863): il pronome egli si riferisce “a cose animate e ragionevoli, come uomini e donne, e a soprannaturali, come Dio, Angeli, Anime. Né mai si troverà, ne’ buoni autori, mentre che parleranno d’una città, entrò in lei, o di lei s’impadronì il nimico” (s.v. egli). Significativamente, nella quarta edizione del vocabolario, risalente al 1729-1738, gli accademici avevano annotato: “E non che di persona, ma anche si dice di altre cose” senza sentire il bisogno di introdurre la distinzione relativa alla referenza. E, nelle edizioni precedenti, non era presente alcun riferimento al problema.
Come ha osservato D’Achille (2012), la svolta si ha nel XIX secolo. Nel periodo postunitario distinzioni nella referenza sono presenti in alcune tra le più fortunate grammatiche per la scuola (traggo i dati sulla diffusione da Catricalà 1991, p. 46). Nella grammatica di Policarpo Petrocchi, dell’intera serie egli/lui/ella/lei si dice che “s’adoprano anche parlando d’animali” (Petrocchi 1887, p. 134), In quella di Morandi-Cappuccini si specifica che l’unico pronome personale che ammette il riferimento a cose è sé, ma si aggiunge che “spesso però si riferiscono a cosa anche egli (e più raramente ella), lui, lei, loro” (1894, p. 124). Nel corso del Novecento la distinzione di referenza è ribadita in maniera più netta da alcune fortunate grammatiche, come Battaglia-Pernicone (1951, p. 240) e, sul fronte dell’editoria scolastica, come abbiamo visto, da Sensini; la semplicità di tale regola è stata alla base della sua fortuna in àmbito didattico: ha il vantaggio di razionalizzare il rapporto tra forme e funzioni, anche se trova – per ora – solo parzialmente riscontro negli usi reali.
Nota bibliografica:
Massimo Palermo
15 dicembre 2023
Evento di Crusca
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