Ci sono pervenute molte domande che chiedono se, in presenza di un sindaco uomo, la donna da lui nominata vice debba essere chiamata vicesindaca o vicesindaco. La stessa alternativa si pone quando è una sindaca a nominare come vice un uomo. Altri quesiti su vice, vicario, facente funzione, sostituto, riguardano la possibile gerarchia esistente tra queste denominazioni. Molti chiedono indicazioni sulla corretta forma dei plurali.
La scelta tra vicesindaco e vicensindaca dipende dal sesso del/della vice o da quello del sindaco/della sindaca?
Le domande dei lettori sui composti con vice sono di due tipi: uno grammaticale, sulla declinazione della parola e dei composti che la contengono; uno culturale (con ovvi riflessi linguistici) sul nesso tra genere della parola e sesso della persona cui si riferisce.
Vice deriva dall’ablativo vice o dall’accusativo vicem del latino *vix (il nominativo non è attestato) vicis ‘vicenda, sorta’ ma anche ‘carica, ufficio’, con funzione sia di sostantivo sia di avverbio sia di preposizione ('come, in cambio di'). Da vice o vicem latino sono nate in italiano due parole:
- Il sostantivo femminile vece (che aveva anche la forma antica e ormai desueta vice: “la provedenza che quivi comparte/ vice ed officio”, Dante, Par. XXVII 17), col significato di ‘ufficio, incarico, compito’, oggi in uso (nel senso di ‘avvicendamento, mutazione’) soprattutto al plurale (fare le veci di qualcuno ‘sostituirlo in un incarico’) e al singolare inserito in una parola d’alto uso come invece. Anticamente e nella lingua letteraria, in vece con grafia disgiunta aveva funzione preposizionale (reggeva di) e il senso etimologico di ‘in luogo, al posto di’ (lo usa Dante in Inf. XIII 52: “Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece / d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi”). Da fine Settecento e in grafia sempre più spesso unita, come oggi accade normalmente, invece è un avverbio con valore di congiunzione testuale e il senso di ‘diversamente, al contrario’.
- Il vice delle nostre domande, usato come primo elemento di composti e poi anche come sostantivo autonomo col significato di ‘sostituto’, riferito sia a chi svolge temporaneamente mansioni di un altro assente o indisponibile (vicemadre), sia a chi lo fa stabilmente (viceconsole) o ha un grado immediatamente subordinato a chi lo precede nella gerarchia (vicecommissario, vicebrigadiere). Il sostantivo (attestato dai primi dell’Ottocento) può essere maschile o femminile (“lui è il vice”, “lei è la vice”) ed è invariabile nel numero. Anche per questo, quando entra in composti, la forma di vice resta immutata, quale che sia poi il genere e il numero della parola cui si unisce (in grafia unita o disgiunta): vicedirettore, vicedirettrice, vicedirettori, vicedirettrici.
Dunque, per rispondere a una prima domanda ricorrente dei nostri lettori, vice resta invariato nei composti in cui entra, a prescindere dal loro genere e numero; si pluralizza invece il nome che segue.
Molto interessante la seconda domanda, che, in sostanza, chiede: se una donna è vice di un ruolo coperto da un uomo o se un uomo lo è di un ruolo coperto da una donna, come ci si regola riguardo al genere del composto? Se Maria Rossi è vice del sindaco Gino Bianchi sarà una vicesindaca o una (o un?) vicesindaco? E se Gino Bianchi è vice della sindaca Maria Rossi sarà un vicesindaco o un vicesindaca?
Insomma, il genere della parola segue il sesso della persona che la porta o quello della persona cui si riferisce, il titolare di cui uno o una è vice? La risposta sarebbe facile solo se pensassimo, come spesso si fa, che titolo con cui ci si rivolge a una persona e nome della carica o professione che questa svolge coincidano, tanto che oggi qualcuno ritiene che una legge debba prescrivere che la patente di guida sia rilasciata dal prefetto o dalla prefetta, perché di un uomo o di una donna potrebbe trattarsi alla guida di quell’ufficio. In realtà, titolo della persona e nome dell’ufficio non coincidono, come non ci si stancherà di ripetere, e la dizione prefetto sopra la firma non implica che non possa firmare la patente anche una prefetta. Spesso titolo e carica sono o possono essere diversi (“il/la Presidente della Repubblica // la Presidenza della Repubblica, il dottor Bianchi è medico / la dottoressa Rossi è medico”) e prevale il genere del nome dell’ufficio quando si nomina una carica, una professione (“Marta Neri fa il sindaco/ ha l’abilitazione a fare l’avvocato”) e quello della persona quando ci si rivolge ad essa (“signora sindaca”). Sulla porta dell’ufficio destinato al vicesindaco ci sarà scritto Vicesindaco, a prescindere dal sesso di chi ricopre la carica, esattamente come la legge prescrive che le delibere debbano essere firmate dal sindaco, a prescindere dal sesso di chi ricopre la carica. Per cui Maria Rossi fa la (meglio che il) vicesindaco nel Comune di Sotto in cui è sindaco Gino Bianchi e Gino Bianchi fa il vicesindaco nel Comune di Sopra in cui ricopre il ruolo di sindaco Maria Rossi. Ma se si saluta Maria Rossi a Sotto si dirà “buon giorno Signora Vicesindaca o (sfruttando l’invariabilità frequente e ammessa quando una parola con desinenza tipica di un genere, qui -o segno ricorrente del maschile, è usata nell’altro) Signora Vicesindaco”, mentre a Sopra Gino Bianchi sarà salutato con “buon giorno Signor Vicesindaco”. Idem per vicedirettore, vicedirettrice ecc. Per ulteriori dati al riguardo rimandiamo comunque ad Anna M. Thornton, It. Viceregina, in “Lingua e stile”, LV, 2020, pp. 351-364.
Certo, siccome i casi migliori e più semplici sono quelli di parole ambigenere, come preside o giudice o dentista, in cui si cambia solo l’articolo, sarebbe augurabile trovare per nuove professioni nomi ambigeneri (almeno al singolare) o invariabili: vicepreside va bene sia per un uomo che per una donna e a prescindere dal sesso di chi svolge la funzione di preside. E così dentista. A meno che qualche bell’ingegno non sollevi la questione del terzo genere, pretendendo che la lingua vi si adatti come un vestito. Ma questo dipende dal fatto che qualcuno oggi, non distinguendo il genere grammaticale dal sesso, è, probabilmente, anche convinto che la parola cane morda.
Vittorio Coletti
Un vicario è più in alto di un vice? E un facente funzione?
Almeno dal Cinquecento la parola vice, della cui origine dal latino si è appena detto, viene usata come primo elemento di composti comprendenti nomi di professioni, cariche o uffici per indicare chi può “fare le veci” del/della titolare, esercitandone temporaneamente le funzioni in caso di assenza o impedimento. In tal senso, si può considerare equivalente al prefisso pro-, che può svolgere la stessa funzione (si parla tanto di prosindaco quanto di vicesindaco). Con lo stesso valore si trovano anche, in certi ambienti, sotto-, prefisso tratto dall’avverbio/preposizione sotto (sottoprefetto) o aiuto, che però non viene univerbato al nome (aiuto cuoco). Vice, come abbiamo visto, può essere usato anche autonomamente, sottintendendo la carica in contesti che non creano ambiguità (“ho parlato con il/la vice”) ed è invariabile al plurale.
Alla stessa famiglia di vice appartiene vicario (femminile vicaria), termine documentato fin dal Duecento, dal lat. vicarius ‘sostituto’, anch’esso derivato da *vix vicis. Vicario è, in sostanza, equivalente a vice sul piano semantico: oltre tutto, tanto il/la vice quanto il vicario/la vicaria sono nominati direttamente dal/dalla titolare della carica, in quanto persone di sua fiducia. Le due figure potrebbero quindi porsi su un piano paritario, ma a volte le due parole vice e vicario/vicaria si “sommano” e quindi assumono valori parzialmente diversi. In amministrazioni complesse, infatti, possono esserci più vice ma soltanto un vicario o una vicaria. Questo capita, per esempio, in molti atenei italiani, in cui il rettore o la rettrice in carica nomina più prorettori, ai quali conferisce varie deleghe (distinguendo, per esempio, chi è tale per la ricerca e chi per la didattica); uno solo/una sola di loro però ha anche il titolo di vicario/vicaria, cioè può sostituire il rettore o la rettrice in caso di assenza o impedimento. Dunque, la carica di prorettore vicario/prorettrice vicaria è superiore a quella di prorettore/prorettrice. La stessa cosa vale, in altri àmbiti, per il vicedirettore vicario rispetto agli altri vicedirettori.
La locuzione facente funzione, di origine più recente (il Devoto-Oli 2022 la data al 1805), indica più genericamente la persona che sostituisce temporaneamente il/la titolare, anche in assenza di una esplicita nomina da parte di questi. Dunque, non è pensabile – come scrive un lettore – che in un documento ufficiale l’espressione “facente funzione di sindaco” possa essere sintetizzata semplicemente in “sindaco”, perché si attribuirebbe al/alla facente funzione un titolo che di fatto non gli/le compete.
La stessa cosa potrebbe dirsi per sostituto/sostituta, che indica chi ha l’incarico di svolgere temporaneamente le funzioni del/della titolare. In certe strutture, tuttavia, sostituto indica un grado specifico all’interno di un ordinamento gerarchico, che non implica alcuna sostituzione temporanea. Nella magistratura, in particolare, si hanno le figure del sostituto procuratore della Repubblica e del sostituto procuratore generale e non si tratta propriamente di ‘sostituti’ del procuratore, ma di cariche autonome, che hanno compiti specifici, come quello di esercitare le funzioni di pubblico ministero. Analogamente, nei ministeri, il sottosegretario non è il vicario di un inesistente segretario, ma è di fatto un viceministro (figura, quest’ultima, istituita più di recente, che, diversamente dal sottosegretario, può partecipare alle riunioni del Consiglio dei Ministri).
Tornando al sostituto procuratore, in base a quanto si è detto, è evidente che il plurale è sostituti procuratori e non sostituti procuratore. La stessa cosa vale, ovviamente, per vicari, e anche per vicesindaci, prorettori, sottoprefetti, anche quando il superiore di cui possono fare le voci è lo stesso, ed è quindi solo uno (per brevità sono state indicate solo le forme maschili, ma lo stesso vale anche per quelle femminili). Del resto, tutte queste formazioni tendono a considerare come testa il secondo elemento del composto o del prefissato e dunque ad accordarlo sia al genere sia al numero delle persone che ricoprono la carica. Solo nel caso di aiuto, che infatti non si è unito graficamente alla parola seguente, la situazione è un po’ più fluida e plurali come aiuto cuochi non si sono ancora imposti del tutto.
Paolo D’Achille
Vittorio Coletti
Paolo D'Achille
14 giugno 2022
Evento di Crusca
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