Sono pervenuti molti quesiti circa l’uso del termine arrosto: qual è la differenza tra l’arrosto e la carne arrosto? Tra carne arrosto e carne arrostita? E tra prosciutto arrosto e prosciutto grigliato? La forma io arrostisco è corretta? L’arrosto può essere di vegetali?
Nella prospettiva di eliminare il fumo e salvare l’arrosto, abbiamo riunito di seguito le risposte.
La parola arrosto è un deverbale (o un participio passato abbreviato; cfr. Rohlfs 1968 § 627), deriva cioè da un verbo: arrostire, che in italiano veicola il significato di ‘cuocere per azione diretta del calore, allo spiedo, sulla brace, alla graticola, al forno, in casseruola’ (Zingarelli 2023).
Il verbo arrostire è un germanismo; ha origine, infatti, dalla forma germanica *raustjan (DELI). Come la maggior parte dei germanismi dalla desinenza in -jan, rientra nella terza coniugazione italiana (cfr. Rohlfs 1968 § 617), nella sottoclasse dei verbi che presentano alcune forme in -isc-; segue, in altre parole, la stessa coniugazione del verbo capire, e dunque al presente indicativo si declina in questo modo: io arrostisco, tu arrostisci, egli arrostisce e così via per altri modi e tempi verbali.
In italiano, arrosto può svolgere diverse funzioni grammaticali: può assumere valore aggettivale, sostantivale o avverbiale. Proviamo ad analizzare tutte le possibilità.
Arrosto aggettivo invariabile
Nel valore di aggettivo, arrosto, sempre posposto al nome a cui si riferisce, è invariabile, sia rispetto al numero sia rispetto al genere, e vale ‘arrostito’. Viene utilizzato per indicare il modo di cottura di un dato alimento sottoposto al calore, in gratella, alla brace o al forno; potremo dunque avere esiti come la carne arrosto, le patate arrosto, il dentice arrosto, la melanzana arrosto e così via.
Tra carne arrosto e carne arrostita o tra melanzana arrosto e melanzana arrostita, dunque, non c’è alcuna differenza di significato; a cambiare sono le funzioni grammaticali del secondo elemento del sintagma: nel primo, arrosto è un aggettivo, nel secondo, arrostito è il participio passato del verbo arrostire, anche se usato in funzione aggettivale.
Attenzione, tuttavia, a non confondere il significato del verbo arrostire con quello di grigliare perché, se il primo veicola il significato più generico di ‘cuocere per azione diretta del calore’, il secondo veicola il significato specifico di ‘arrostire alla griglia’. Quindi, ad esempio, con la locuzione prosciutto arrosto si indica, secondo quanto si ricava dalla lessicografia dell’uso (GRADIT; Zingarelli 2023; Vocabolario Treccani in rete), il prosciutto sottoposto ad arrostitura, ossia cotto per azione diretta del calore, allo spiedo, sulla brace, alla graticola, al forno, in casseruola; con prosciutto grigliato indichiamo un prosciutto arrostito sulla graticola, che pertanto riporta i tipici segni di questa tecnica di cottura.
È relegato a certi usi regionali declinare l’aggettivo per genere e per numero; esiti come patate arroste o carne arrosta, per quanto documentati nei testi del passato (vedi VoSLIG s.v.), non sono soluzioni ammesse dalla norma linguistica attuale e sono, pertanto, sconsigliate.
Il sostantivo caldarrosta ‘castagna arrostita’, comp. di caldo e arrosto, ad esempio, che in origine ha circolato in diverse varianti, anche nella forma calda arrosta (ma poi confluito in lingua in forma univerbata), è, del resto, un dialettismo di origine laziale irradiato da Roma (AIS VII 1295; Giacomelli 1975, pp. 148-150).
Arrosto sostantivo maschile
Arrosto, inteso come sostantivo, si usa nel significato di ‘carne cotta arrosto, ossia a fuoco vivo’. Il riferimento esclusivo alla carne è veicolato dai maggiori repertori lessicografici moderni (GRADIT; Sabatini-Coletti; Zingarelli 2023; Vocabolario Treccani in rete), e infatti, a ben guardare, tale riferimento è prevalente sin dai testi delle origini (v. TLIO), benché non sia univoco. Proviamo a ricostruirne la storia.
La prima attestazione di arrosto (sost.) finora nota risale al 1306, all’interno del Quaresimale fiorentino di Giordano da Pisa, in cui si legge: “non gli recò vernaccia né capponi né arrosti” (TLIO s.v. [Manetti 2000]). Le impressioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca registrano arrosto (s.m.) sin dal 1612, con il significato generico di ‘pietanza arrostita’, rimandando, come esempio, alla Cronica di Giovanni Villani, in cui si legge: “Trovando gli arrosti, e la vivanda della cena de’ Franceschi al fuoco”. La stessa attestazione è riportata dal Tommaseo-Bellini, che però dà il significato di ‘carne arrostita’. Anche il GDLI, che traccia la storia della voce su di un asse cronologico che va dalle origini al Novecento, riporta esempi per lo più riferiti alla sola carne, sebbene nel significato riporti quanto segue: “Carne arrostita: allo spiedo, alla graticola, al forno, in tegame (si dice anche del pesce, e di qualunque altra vivanda)”. Allo stesso significato rimandano le risultanze del Vocabolario storico della lingua italiana della gastronomia (v. s.v. VoSLIG), che ripercorre documentazione e storia delle parole del cibo nei testi di cucina dalle origini all’età pre-artusiana. Nella banca-dati del VoSLIG, il sostantivo è utilizzato prevalentemente in riferimento alle carni animali, ma non mancano attestazioni in cui il designatum si identifica con altri alimenti, come i pesci o le verdure; in questi casi, tuttavia, arrosto è sempre accompagnato da un elemento di specificazione, secondo la costruzione: arrosto di anguille, arrosto di cefali e così via. Si riporta di seguito qualche esempio significativo (seguono attestazioni di arrosto sia con elemento di specificazione sia privo di quest’ultimo).
Modo di cucinare et fare buone vivande; primo quarto XIV sec., Firenze:
Salsa cammellina LXIII (48) Se vuoli fare salsa cammellina con ogne arrosto di pesce, fallo in quel modo che qui dinançi a questa vivanda è scripto [...]. (64v)
Savore rinforçato LXVII (52) Se vuoli fare savore rinforçato, togli garofani e buono cennamo e un poco di cardamone e nocciuole monde in cenere calda e un poco di crosta di pane e çucchero; peste queste cose insieme, e poi le fa’ macinare con aceto. E questo sì è buono con qualunque arrosto tu vuoli; […]. (66r)
Libro de arte coquinaria [ms. Washington]; ultimo quarto del XV sec.:
Per fare ogni bello arrosto. Per fare bello arrosto de pollastri, de capponi, de capretti o de qualunche altra carne che meriti essere arrosta, prima – se fosse carne grossa – fagli trare un boglio (excepto se fosse de vitello giovine) et poi lardala come se fanno li arrosti. Se fosse cappone, fasano, pollastro, capretto o qualunch’altra carne che meriti arrosto, fa’ che sia ben netta et polita, poi mettila in aqua bollente et subito cavala fore et ponila in aqua freda. (3r)
Cristoforo Messi Sbugo, Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale, Ferrara, 1549:
A fare arrosto da Podestà. Piglia il petto di vitello e fallo in due o tre pezzi, e lavali bene et poneli a cuocere allessi. E come serano cotti, li cavarai fuori e li porrai a rafredare. Et poi li gettarai in una patella con dileguito o lardo pesto, e li frigerai bene, si che siano coloriti. E come seranno cotti, li porrai nei piatti con pevere sopra e aceto e prasomeli. (Comp. 57r)
Domenico Romoli detto Panunto, La Singolare dottrina, Firenze, 1560:
Questa sarà buona in ogni tempo e con ogni arrosto di salvaticine, la Quaresima con olio dolce, e il Venere, e il sabbato con butiro fresco. (141r)
Cap. XLI. Pigliate una rista o schiena di porcastro giovane e frolla, pongasi nello spiedo così intiera a dilungo, dategli il fuoco adagio, mettete sotto l’arosto un tegame lungo con un poco di strutto e poco fuoco di sotto. Pigliate delle cipolle piane, tagliatele per metà come se faceste una rosa, distendasi nel tegame con un poco di salvia e pepe di sopra, mettasi delle spicchi di pere cotogne, e pianamente si coceranno, mentre si cuoce lo arrosto. Rivolgetele destramente qualche volta, come la carne sarà rinsalata, e cotta e le cipolle rosolute, mettete la schiena o lonza in un piatto e di sopra asciutte le cipolle del grasso e pere, se vorrete l’arrosto freddo, non vi mettete di sopra le cipolle. (144v)
[Anonimo] Il cuoco reale e cittadino, Bologna, 1791:
Arrosto in generale, suo avvertimento.
Con tuttoché paia che non ci sia niente di più facile di quel che riguarda gli arrosti, abbiamo però creduto necessario il dirne qualche cosa, non per descrivere i gradi della cottura necessaria o il tempo che bisogna a ciascun pezzo per essere arrostito ben a proposito, perché si conosce bastantemente con l’occhio e secondo la grossezza e la durezza della carne, ma ben per ispiegare la maniera d’accomodarli, avanti di metterli allo spiede, e le salse, le migliori, che gli si convengono. (p. 281)
Giovanni Brizzi, La cuciniera Moderna, Siena 1845:
Salza bianca alla francese
Prendete dei tuorli d’uovo poneteli in una catinella e lavorateli per mezzo di un mestolo, e di tanto in tanto unitevi un poco d’olio, agro di limone, ed un poco di sale, ed a poco a poco montatela come una crema, dopo di che la servirete in salziera per servirvene non solo per i lessi ma ancora per l’arrosto di pesce (p. 159)
Vincenzo Corrado, Il cuoco galante, Napoli, 1820 [6a ed.]:
5 Arrosto di Porco al finocchio. 6 Arrosto di Carpione al limone. 7 Arrosto di Cinghiale al marinato. 8 Arrosto di Rigiola all’aceto. Otto piccole Entremets Quadrate. (p. 207)
Una chiara spiegazione si ricava dalla Scienza in cucina (1891), testo spartiacque della letteratura gastronomica; l’autore, Pellegrino Artusi, più di altri attento alla corretta nomenclatura di tecniche e di preparazioni, agli arrosti dedica un intero paragrafo, e scrive in questo modo:
L’arrosto, in generale, si preferisce saporito e però largheggiate alquanto col sale per le carni di vitella di latte, agnello, capretto, pollame e maiale: tenetevi più scarsi colle carni grosse e coll’uccellame perché queste sono carni per sé stesse assai saporite; ma salate sempre a mezza o anche a due terzi di cottura. Commettono grave errore coloro che salano un arrosto qualunque prima di infilarlo nello spiede perché il fuoco allora lo prosciuga, anzi lo risecchisce.
Nessun riferimento, dunque, né a pesci né a vegetali. E in effetti, la lessicografia dell’uso pare convergere con questo dato. In senso assoluto, infatti, la parola arrosto indica la ‘carne arrostita’, ma il termine può essere esteso ad altre categorie alimentari con le dovute specificazioni; è possibile sintetizzare la differenza attraverso gli esempi seguenti: “Domenica preparerò l’arrosto (= carne arrosto)” vs “Domenica preparerò l’arrosto di pesce”.
Arrosto avverbio
Non resta che analizzare l’ultima funzione grammaticale ricoperta dal termine in esame, vale a dire quella avverbiale, che, in quanto tale, è invariabile. In questo caso, il termine arrosto vale ‘a modo di arrosto’; il riferimento è sempre al metodo di cottura: fare, cuocere, mettere arrosto ossia ‘a contatto col calore, senza liquidi’ (GRADIT, Sabatini-Coletti, Zingarelli 2023, Vocabolario Treccani in rete s.v.).
Anche come avverbio, arrosto è una parola dalla storia lunga e antica; il primo esempio noto è stato rintracciato nei Sonetti dei mesi di Folgore di San Gimignano, databili intorno al 1309 (v. TLIO s.v. [Manetti 2000]). Il corpus AtLiTeG, inoltre, ci riconsegna una ricca messe di testimonianze; si riportano di seguito le più significative, riprese dalla scheda del VoSLIG [Cupelloni 2023]:
Modo di cucinare et fare buone vivande, Firenze, primo quarto del XIV sec.:
E togli i capponi bene lavati e bene lardati, e mettigli arrosto tanto che siano bene cotti. (53v)
Cristoforo Messi Sbugo, Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale, Ferrara, 1549:
Poi habbi due paia de buoni pizzoni allardati, cotti arrosto morbedetti, e falli in quarti. (Comp. 2v; v. anche l’edizione Ricotta 2023)
Francesco Leonardi, L’Apicio Moderno, Roma, 1808 [2ª ed.]:
Le carni cotte allesso, sulla gratella, arrosto, o il pesce cotto nell’acqua succedettero a questi alimenti; ma cibandosi di tutto ciò con moderazione, la salute non ne soffrì, la temperanza regnò ancora, e l’appetito solo regolatore indicava il tempo, ed il numero dei loro pasti. (I.III)
Vincenzo Agnoletti, La Nuovissima Cucina Economica, Roma, 1814:
Gli ovoli semplicemente conditi di olio, erbe fine, sale, e droghe sono eccellenti cotti arrosto, e serviti con sugo di limone sopra. (p. 189)
Arrosto avv. si mantiene oggi con lo stesso significato veicolato dalle testimonianze del passato, come dimostrano i maggiori vocabolari dell’uso (GRADIT; Sabatini-Coletti; Zingarelli 2023; Vocabolario Treccani in rete).
In conclusione, nella lingua italiana la parola arrosto può assumere diverse funzioni grammaticali. In senso assoluto, nella funzione di sostantivo maschile (plurale arrosti) e privo di ulteriori specificazioni, oggi si usa in riferimento alla carne cotta su fonte di calore diretta e senza impiego di altri liquidi. In forma di aggettivo invariabile e di avverbio, arrosto viene utilizzato in riferimento al metodo di cottura e pertanto può coinvolgere diverse categorie alimentari. Non può essere invece la forma di prima persona dell’indicativo presente del verbo arrostire, che è arrostisco.
Nota bibliografica:
Monica Alba
22 maggio 2024
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