Alcuni utenti ci chiedono se le forme melenzana e melenzane possano essere considerate corrette.
Rispondiamo subito ai nostri lettori che la forma corrente (e corretta), registrata nei dizionari della lingua italiana dell’uso, è melanzana, il cui plurale è regolarmente melanzane.
La variante con -e-, melenzana, e in particolare il plurale melenzane sono forme in uso specialmente nel sud d’Italia e sembrano quindi proprie di quella varietà linguistica chiamata “italiano regionale”, un tipo di italiano che varia su base geografica e che si differenzia dall’“italiano standard” in primo luogo (ma non solo) per l’influenza esercitata (soprattutto nella pronuncia e nel lessico) dal dialetto locale.
Tuttavia, per quanto oggi conoscano un uso che appare limitato al Meridione, le varianti melenzana e melenzane non sono veri e propri dialettismi, perché in realtà si tratta di forme antiche (arcaismi), che per lungo tempo hanno convissuto con quelle che oggi consideriamo standard e quindi corrette (cioè melanzana e melanzane). La variante con -e-risulta addirittura quella più anticamente documentata: il TLIO registra solo il femminile singolare melençana (“colore de la melençana”), che compare due volte in un volgarizzamento padovano di fine Trecento di un trattato di medicina (arabo, ma tradotto in volgare dal latino). Il fatto che la parola sia documentata in uno solo dei circa duemila testi che compongono il “Corpus OVI dell’Italiano antico” indica che essa doveva essere piuttosto rara nel Medioevo. Del resto, la melanzana – nota a Firenze come petronciano nel Medioevo (petrongiano nell’antico lucchese) e come petonciano in seguito – è un ortaggio che fu introdotto in Europa dagli arabi proprio nel periodo medievale, non incontrando però una pronta fortuna gastronomica e godendo anzi per molto tempo di una pessima fama in cucina, anche perché anticamente si credeva che il suo consumo fosse causa di pazzia, come mostra il seguente passo tratto dal Novellino (una raccolta toscana di novelle risalente alla fine del XIII secolo): “Maestro Taddeo, leggendo a’ suoi scolari in medicina, trovò che, chi continuo mangiasse nove dì di petronciani, che diverrebbe matto; e provavalo secondo fisica” (cfr. TLIO, s. v. petronciano).
La documentazione inizia a farsi consistente solo a partire dal Cinquecento: in una lettera del 1512 del mercante veneziano Martino Merlini troviamo un’attestazione del plurale ancora con -e-, melenzane (cfr. M. Cortelazzo, Dizionario veneziano della lingua e della cultura popolare nel XVI secolo, Limena (PD), La Linea Editrice, 2007, p. 807). Gli esempi citati nel GDLI mostrano una certa oscillazione nell’uso dei plurali melanzane e melenzane nel Cinquecento, oscillazione che verosimilmente ci sarà stata anche dopo, sebbene tra Sette e Ottocento la forma melanzana sia ormai l’unica a essere registrata nei maggiori dizionari italiani.
Da notare che questa parola manca in tutte e cinque le edizioni del Vocabolario della Crusca, che ha invece il geosinonimo, soprattutto fiorentino (e comunque non generalmente toscano come indicano i dizionari), petronciano (anche femminile petronciana), con la variante più moderna petonciano, utilizzata insieme a melanzana dal famoso gastronomo Pellegrino Artusi: “Il petonciano o melanzana è un ortaggio da non disprezzare per la ragione che non è né ventoso né indigesto” (cit. da La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene [1891, ricetta 399]). Almeno fino all’Ottocento i termini petonciano e melanzana sembrano essere stati quindi in concorrenza tra loro, tuttavia è stato il secondo a prevalere nell’uso generale italiano, al punto che petonciano è oggi sempre meno usato anche dai fiorentini (cfr., a proposito della sostituzione nei negozi e supermercati fiorentini dell’indicazione “petonciani” con “melanzane”, Severina Parodi in La Crusca risponde, Firenze, Le Lettere, 1995, pp. 167-168).
Tornando al nostro quesito, va detto che l’oscillazione nell’uso di melanzana, melenzana, melanzane, melenzane si spiega innanzitutto con l’origine araba della parola. L’arabo bāḏinğān ha infatti subito vari adattamenti nel passaggio da una lingua all’altra, dando luogo a svariate forme nei dialetti italiani e nelle altre lingue europee. Oltre all’italiano melanzana, abbiamo, ad esempio, lo spagnolo berenjena, il catalano alberginera, da cui il francese aubergine, ma abbiamo anche il piemontese maranzana o malansana, il milanese meresgian, il già citato fiorentino antico petronciano, moderno petonciano (petanciana nel Valdarno superiore e petinciana nel Chianti), il romanesco marignano, il napoletano mulignana, l’abruzzese buligname, il salentino marangiana, il siciliano milinciana. Nel tipo italoromanzo melanzana, la base araba sembrerebbe inoltre essersi incrociata con la parola mela, anche se è altrettanto possibile che tale forma sia entrata nella nostra penisola attraverso il greco bizantino melintzána, che è anch’esso un derivato del termine arabo, ma con influenza di mélas ‘nero’ (cfr. DELI, s. v. melanzana).
Melenzana è insomma un’antica variante di melanzana che ancora resiste nell’italiano regionale meridionale, dove – va notato – è però comune soprattutto la forma plurale, melenzane, probabilmente anche a causa di un fenomeno noto come “paretimologia” o “etimologia popolare”, ovvero l’accostamento di parole non trasparenti, non motivate, a parole più note e frequenti (ad esempio: l’italiano stoccafisso è un adattamento dell’antico olandese stokvisch, composto di stok ‘bastone’ e visch ‘pesce’, ma nella nostra lingua la seconda parte del composto è stata accostata all’aggettivo fisso, anche per la caratteristica “rigidità” di questo prodotto). È possibile cioè che i parlanti interpretino la parola melanzana come una sorta di composto di mela e che, quindi, nella formazione del plurale scindano tale, presunto, composto, volgendo al plurale sia il primo, sia il secondo elemento, come accade ad esempio in melegrane, forma popolare per melagrane, plurale di melagrana.
Si consideri, a proposito della facile interpretazione di melanzana come composto di mela, che già nel Cinquecento il medico senese Pietro Andrea Mattioli, traduttore di Dioscoride, immaginò – sulla base dei presunti effetti nocivi legati al consumo dell’ortaggio – che la parola altro non fosse che un composto di mela e insana (cfr. GDLI, s. v. melanzana); e più di recente, il noto comico Nino Frassica, di origine messinese, ha spiegato in tv melanzana come mela anziana.
A cura di Antonio Vinciguerra
Redazione Consulenza Linguistica
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18 ottobre 2018
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