Alcuni lettori ci chiedono se sia lecito usare l’aggettivo installativo che risulta loro impiegato nei settori della logistica e dell’elettronica.
L’aggettivo installativo, non (ancora) registrato nei principali dizionari dell’uso, si presenta come una parola correttamente formata attraverso il processo morfologico della derivazione, cioè con l’aggiunta di un affisso, nello specifico il suffisso -ivo, a un elemento lessicale.
La base degli aggettivi italiani in -ivo è generalmente un verbo, perlopiù – sul modello del latino che apponeva -īvu(m) al tema del supino – un participio passato (es. elusivo dalla forma eluso di eludere), ma in alcune formazioni può coincidere con un nome (es. facoltativo da facoltà), anche in calchi da lingue straniere (es. inflativo da inflazione, ingl. inflative). Mentre alcuni studiosi ritengono che in presenza di una base verbale “l’interpretazione unitaria come aggettivi deverbali sembr[i] preferibile” (Ricca 2004, p. 438), altri sono più prudenti: secondo Dardano (2009, pp. 81, 103, 105), ad esempio, alcuni aggettivi in -ivo e in -orio potrebbero essere considerati sia deverbali, sia denominali. Allo stesso tempo, in presenza di un verbo e di un nome d’azione corradicali, appare innegabile una duplicità semantica: come segnala Ricca (2004, p. 437), per i derivati in -(t)ivo e in -(t)orio è possibile «da un lato l’interpretazione eventiva, “che V” o “che serve a V”» (con V che indica il verbo), dall’altro “una interpretazione che può dirsi di relazione […] e che semanticamente fa riferimento non a V, ma al nome d’azione di V”; dunque, nel caso di installativo, che conta sull’esistenza sia del verbo installare, sia del nome d’azione installazione, potremmo avere le accezioni ‘che installa’ o ‘che serve a installare’, e anche ‘relativo all’installazione’ (o ‘a un’installazione’). Come scrive ancora Ricca (ivi), è spesso “arduo stabilire se si abbia a che fare con una lettura eventiva o di relazione”, ma sembra di poter assegnare “l’interpretazione relazionale”, e, secondo alcune posizioni, l’etichetta di aggettivo denominale, “in presenza di una forte specializzazione semantica del nome in -ione rispetto al verbo di base”.
Proprio il sostantivo installazione (e non anche il verbo installare) ha assunto una nuova accezione specialistica registrata in tre dei sei dizionari dell’uso consultati: ai più noti significati che rinviano alle azioni di ‘collocare un impianto o un macchinario in un determinato luogo’ e di ‘inserire un dispositivo o un programma in un computer’, il dizionario Garzanti, il Vocabolario Treccani e lo Zingarelli 2024 aggiungono quello di ‘forma di espressione artistica che prevede la disposizione di elementi secondo uno schema predefinito’, più precisamente “all’interno di uno spazio espositivo”, come specifica il Vocabolario Treccani. Tale accezione, assente nel GRADIT, nel dizionario Hoepli e nel Sabatini-Coletti, ci interessa particolarmente perché, come si vedrà più avanti, è quella che appare più frequentemente legata all’uso di installativo.
L’accezione di installazione che stiamo considerando ha esteso nel tempo i suoi ambiti di applicazione e la sua stessa semantica: se da un lato, secondo un modo di operare avviato negli anni Sessanta del Novecento, può indicare “un’opera d’arte che, superato nettamente il confine del quadro o della scultura tradizionalmente intesi, trova una diversa articolazione nello spazio e si presenta realizzata con i materiali più disparati, d’uso comune e non solo” (Cicciarella 2009, s.v. installazione), dall’altro, a partire dagli anni Ottanta può riferirsi a una “sintesi di linguaggi e mezzi espressivi diversi, dai più tradizionali a quelli tecnologicamente più avanzati, comprendendo materiali grezzi o manipolati, elementi meccanici o elettrici, video, componenti sonore o musicali, immagini computerizzate ecc. (videoinstallazioni o i. video, i. video sonore, i. interattive)” (Enciclopedia Treccani online, s.v. installazione). Un’interrogazione della rete condotta attraverso il motore di ricerca Google restituisce occorrenze di installazione pittorica, scultorea, ma anche fotografica e persino cinematografica, musicale (o sonora) e teatrale, che amplierebbero il campo delle “arti visive” a cui circoscrive l’accezione del termine lo Zingarelli 2024.
A partire dalla precedente citazione, si noti che installazione, nell’accezione qui considerata, ha dato vita anche al composto videoinstallazione. Il dizionario storico GDLI registra installazione – preceduto dalla marca NA (nuova accezione) – nel supplemento del 2009, con la definizione “opera d’arte tridimensionale che comprende forme espressive di qualsiasi natura, ideata e realizzata per una determinata circostanza, luogo o ambiente”, mentre accoglie videoinstallazione già nel supplemento del 2004, con la definizione “installazione artistica che si avvale in misura preponderante di registrazioni audiovisive”; i contesti offerti dallo stesso GDLI per datare i due termini sono tratti per installazione da un articolo di Ugo Volli apparso nel quotidiano “la Repubblica” il 30 giugno 1984, per videoinstallazione da un articolo di Pino Blasone pubblicato nell’ottobre 1986 nella rivista “Alfabeta”. Tra i dizionari dell’uso consultati, solo lo Zingarelli 2024 registra videoinstallazione; la breve definizione che ne offre, “installazione di videoarte”, appare formulata sul modello di quella data dall’Oxford English Dictionary per video installation, termine datato al 1975, “An installation of video art”.
A videoinstallazione si accompagnano in rete occorrenze di cine-installazione, un termine non registrato nei dizionari ma in uso in opere del settore, che ricorrono anche a cinema installato o cinema installativo (o, ancora, cinema esposto) in riferimento a una nuova forma espressiva che traspone immagini filmiche in spazi e ambienti non tradizionali (non solo spazi espositivi quali gallerie d’arte e musei, ma anche luoghi naturali e urbani) che richiedono allo spettatore una mobilitazione fisica (cfr. Roberti 2009, 2015, e Senaldi 2008).
Installativo, attestato nell’espressione cinema installativo, come il sostantivo installazione al quale rinvia secondo la lettura di relazione ‘relativo a un’installazione’, risulta in uso più in generale in riferimento a opere, creazioni o esibizioni artistiche che mescolano elementi o forme espressive diverse, oppure che si caratterizzano per l’offerta di un’esperienza immersiva, interattiva o multisensoriale, e che possono collocarsi sia in uno spazio chiuso, sia in uno spazio aperto (in situ, o con l’espressione inglese site specific, sono etichettate le installazioni appositamente progettate per un certo luogo; cfr. Cicciarella 2009, s.v. installazione). Si riportano qui di seguito alcune occorrenze del termine – evidenziate in corsivo – restituite da una ricerca condotta nel corpus di testi raccolti in rete tra il 2019 e il 2020 Italian Web 2020 (itTenTen20), interrogabile con il programma Sketch Engine, e negli articoli dei principali quotidiani italiani disponibili nella piattaforma Nexis Uni.
Da itTenTen20:
Le sculture, realizzate espressamente in occasione di questa mostra in varie dimensioni e materiali, costituiscono un complesso installativo che interagisce con le opere classiche ed egizie che abitano il MANN. (arte.it)
Silvia Inselvini, d’altro canto, sta compiendo un percorso di critica e rilettura relativamente a pittura e disegno, che oltre ad essere messi in discussione sul piano tradizionale dell’immagine, vengono stimolati a ripensare il proprio rapporto con lo spazio, assumendo una dimensione installativa. (bresciaonline.it)
Dopo l’anteprima alla scorsa Biennale Cinema di Venezia e il debutto al festival Sterischer Herbst a Graz, il progetto cinematografico installativo di Zapruder approda in anteprima per l’Italia a Bologna, con una presentazione speciale. (xing.it)
Da Nexis Uni (nel primo esempio è secondo elemento di N composto aggettivo + aggettivo):
Gli artisti hanno ideato un format artistico-installativo composto da una tela dipinta, un proiettore e un supporto scultoreo realizzato ad hoc. (“Corriere della Sera”, 13/7/2017)
È il primo festival sulla fotografia e sull’immagine a Cesena. Un modo nuovo di abitare il territorio attraverso l’immagine fotografica e le narrazioni che apre. Un progetto installativo che porta una luce nuova ad un piccolo spazio nascosto contaminando la sua natura con la pratica artistica. (“Il Resto del Carlino”, 26/8/2021)
l’artista sarà ospite domani sera della Biblioteca di Scienze Sociali dell’Università di Firenze, una cornice ideale per la sua ultima opera intitolata “Les Métamorphoses”: si tratta di una creazione installativa acustica e visuale per il metallofono, l’innovativo strumento a percussione microtonale costituito da una tastiera circolare di sedici metri di circonferenza suonata da Les insectes, l’ensemble di cinque percussionisti che farà vibrare 216 lame d’acciaio per regalare al pubblico una danza sonora, gestuale, ed immersiva di grande suggestione. (“La Nazione”, 9/11/2022)
Consultando in forma diretta gli archivi storici dei quotidiani “Corriere della Sera”, “la Repubblica” e “La Stampa”, si può individuare come attestazione meno recente di installativo quella apparsa in un articolo del “Corriere della Sera” del 24 novembre 1989, nell’accezione considerata: “La rappresentazione concilia una vibrante imitazione della natura e lo slancio evocativo. Lo testimoniano le sculture di tipo installativo”.
Continuando a esaminare le occorrenze di installativo restituite dalle risorse sopra citate, emerge che in alcuni casi installativo, principalmente nei testi in rete e solo occasionalmente nei quotidiani, è in uso anche nell’accezione a cui rinvia un nostro lettore, cioè in relazione all’installazione di dispositivi, impianti, infrastrutture, programmi informatici, ecc., es. “esigenze installative e manutentive dei professionisti della sicurezza che realizzano l’impianto” (snewsonline.com); “Una soluzione installativa multifunzionale ed accessoriabile con canali in PVC” (bticino.it); “complicazioni installative legate all’IP” (secsolution.com).
Pure da segnalare, in àmbito informatico e perlopiù all’interno di forum in rete, è la conversione dell’aggettivo in sostantivo in contesti che rinviano all’installativo di un software, cioè, per ellissi, e secondo una lettura questa volta eventiva, al ‘file che installa’ o ‘che serve a installare un programma’. Tale accezione corrisponde a quella che sembra aver assunto il sostantivo inglese installer: sebbene l’autorevole Oxford English Dictionary definisca il termine ancora solo con “One who installs”, rinviando alla figura dell’installatore o impiantista, il Collins English Dictionary aggiunge “a piece of software that installs a program on a computer”, e lo stesso significato figura anche nel Cambridge Dictionary. Per quanto riguarda gli equivalenti di installazione e installativo, i tre dizionari inglesi registrano l’accezione assunta da installation nell’arte (l’Oxford English Dictionary la introduce nel 1993 e la data al 1969 indicandone una provenienza statunitense: “A large art work (esp. a sculpture) specially created or constructed for display within a gallery, museum, or other site; an exhibition of such works. Originally U.S.”) ma non il termine installative, e da una ricerca condotta tramite Sketch Engine nel corpus di testi raccolti in rete tra il 2021 e il 2022 English Web 2021 (enTenTen21), che ha una dimensione quattro volte maggiore del corpus itTenTen20, emerge che la forma inglese circola in misura decisamente minore rispetto a quella italiana. La ricerca di installativ* (cioè con il carattere jolly * che per l’italiano assicura di ottenere occorrenze maschili e femminili, sia singolari, sia plurali), infatti, restituisce solo 109 risultati nel corpus inglese, 2.785 nel corpus italiano (Nexis Uni ne restituiva 529).
In conclusione, installativo, un termine correttamente formato secondo le regole e le strutture dell’italiano e che, contro tutte le apparenze, non risulta provenire dall’inglese, qualora continuasse a diffondersi nell’uso, potrebbe a buon diritto entrare nei dizionari; almeno in relazione all’accezione che installazione ha assunto nelle arti e nel cinema, sembrerebbe già ben attestato e riconosciuto.
I lettori potrebbero interrogarsi anche sull’ammissibilità di installatorio, considerando che i suffissi -ivo e -orio, come indicato in apertura, possono avere la stessa duplicità semantica (si veda anche la la risposta di Vittorio Coletti su ispirativo e ispiratorio, chiarificativo e chiarificatorio). Ancora nel corpus itTenTen20 il termine ha un numero di occorrenze molto esiguo mentre è del tutto assente in Nexis Uni; l’esito della ricerca era a ogni modo prevedibile: gli studi evidenziano infatti che gli aggettivi in -orio hanno prevalentemente una specializzazione giuridica (in alcuni casi convivono con aggettivi in -ivo aventi la stessa base in coppie sinonimiche o non sinonimiche) e sono talvolta usati per connotare negativamente oppure, specialmente nel lessico politico-giornalistico, per rendere in forma umoristica un termine, es. ghigliottina macellatoria, mania palpeggiatoria, impulso strozzatorio (cfr. Ricca 2004, p. 439, e Dell’Anna 2017. pp. 126-130, 152-153). Forse, dunque, difficilmente installatorio, benché forma possibile, potrà diffondersi accanto a installativo negli ambiti qui considerati.
Nota bibliografica:
Laura Clemenzi
28 giugno 2024
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