Un nutrito gruppo di lettori ci pone domande riguardanti l’ammissibilità del doppio accordo del predicato verbale, al singolare e al plurale, in frasi come “non si riesce a capire le ragioni / non si riescono a capire le ragioni di questo comportamento”.
Secondo la definizione del GRADIT riuscire, seguito da a + infinito e nel significato di ‘essere capace, essere in grado, avere la possibilità di’, ha valore modale: “non riesco a svolgere l’esercizio”. Inoltre in questi casi, come vedremo meglio fra poco, abbiamo a che fare con un predicato complesso, formato da due voci verbali: riuscire a (verbo reggente) + il verbo all’infinito (verbo retto). Con verbi transitivi con l’oggetto espresso (es. svolgere gli esercizi) e il predicato coniugato col pronome atono si, l’accordo con l’elemento seguente al verbo all’infinito dà luogo a una doppia possibilità: “non si riesce a svolgere gli esercizi / non si riescono a svolgere gli esercizi”. L’alternanza ha attirato l’attenzione di molti lettori che, interpretando il si come particella impersonale, si chiedono se l’accordo alla terza plurale sia da considerarsi accettabile. Diciamo subito che entrambe le forme sono facilmente documentabili grazie a una ricerca su Google:
Se si ha a che fare con un paziente schizofrenico, c’è un’effettiva incapacità comunicativa. Magari non si riescono a capire i suoi discorsi o le parole, e può essere che senta delle voci o abbia delle allucinazioni (“L’hikikomori non è una malattia”: lo dice anche il Governo giapponese, hikikomoriitalia.it, 25/5/2013)
Del resto non si riesce a capire le ragioni della loro presenza periodica nella località protetta dove Scarantino era sotto tutela, a meno di prendere per buone le parole rese da Bo, nel corso del controinterrogatorio. (Lorenzo Frigerio, Paolo Borsellino, ventidue anni senza la verità, liberainformazione.org, 19/7/2014)
Bisogna imparare anche a non esprimere giudizi e a non farlo sentire in colpa, anche se non si riesce a capire le ragioni del suo disagio. (Isabella Lopardi, Apnee notturne e depressione, c’è un collegamento, ilfont.it, 24/5/2015)
Non si riescono a capire le ragioni alla base del recente (ennesimo!) pacchetto sicurezza del governo. (Alessandro Balducci, Pacchetto sicurezza: tutela i cittadini o mina libertà di opinione?, osservatoriosullalegalita.org, 19/11/2023)
Nell’uso letterario recente sembra prevalere la forma priva di accordo, come possiamo ricavare dall’archivio PTLLIN. L’interrogazione del corpus relativa a “si riesce a / si riescono a” restituisce rispettivamente 3 occorrenze dell’uso senza accordo contro una sola con accordo:
“Il professor Millesimo, vuoi dire...” mi rimanda Francesco con un riso senza suono: “Per carità... Non vado quasi più a trovarlo... Se ne sta come morsicato da un serpente, non si riesce a scambiare due parole”. (Giovanni Arpino, L’ombra delle colline, 1964, p. 236)
i cugini, assolutamente, non lo lasciano, gli si attaccano per quanti sono e con unghie piccine e fitte vedono se trapassando i calzoni si riesce a infilzargli pizzichi dietro. (Raffaello Brignetti, La spiaggia d’oro, 1971, p. 46)
“Sai, non si riesce a distinguere le stelle dalle bombe, in certi momenti!” “Sì, proprio adesso io credevo che fosse una stella, e invece è calata giù... ecco, è arrivata. E viceversa quella stella là (come si chiama?)”. (Pietro Citati, Tolstoj, 1983, p. 42)
“[…] Dio sa quanto la gente patisce da mesi per febbri pestilenziali che non si riescono a vincere”. (Maria Bellonci, Rinascimento privato, 1986, p. 482)
Un’analisi linguistica più dettagliata può aiutarci a chiarire l’origine della doppia costruzione.
In primo luogo occorre precisare le caratteristiche dei verbi modali o, secondo una terminologia più tradizionale, servili. I verbi modali in senso proprio sono dovere, potere e volere e sono accomunati da tre proprietà: 1) hanno lo stesso soggetto dell’infinito; 2) reggono direttamente l’infinito che segue: “i ragazzi non potevano/ dovevano/ volevano rimanere in classe”; 3) se sono accompagnati da un pronome atono, questo può avere una doppia collocazione: prima del verbo modale (in posizione proclitica) oppure dopo l’infinito (in posizione enclitica): “i ragazzi non ci potevano/dovevano/volevano rimanere” oppure “i ragazzi non potevano/dovevano/volevano rimanerci”. La struttura di cui ci stiamo occupando potrebbe essere definita “paramodale”, in quanto condivide coi verbi modali due proprietà su tre: l’identità del soggetto tra verbo reggente e verbo retto e la doppia possibilità di collocazione del pronome atono: “non riesco a capirlo / non lo riesco a capire”, ma non la reggenza diretta dell’infinito. La doppia collocazione del pronome caratterizza anche la costruzione pronominale con si: “non si riesce a capirlo / non lo si riesce a capire”.
In secondo luogo occorre tener conto del fatto che la struttura riuscire a + infinito presenta alcune caratteristiche dei cosiddetti “verbi a ristrutturazione” (su cui si veda Renzi-Salvi-Cardinaletti 1995, II, 512-518), categoria che comprende i verbi modali, i verbi aspettuali come cominciare a, seguitare a, stare per ecc., alcuni verbi di stato o di movimento come andare a, stare a, tornare a ecc. In queste strutture le due forme verbali (il verbo flesso e quello all’infinito) si sono fuse in un unico predicato complesso “prodotto di un processo di integrazione lessicale di due elementi in una unità più ampia” (Elisa De Roberto, La sintassi della frase complessa, Bologna, Il Mulino, 2023, pp. 45-46). Tra le caratteristiche di questi verbi ricordiamo: 1) il fatto che in presenza di due pronomi atoni questi non possono essere separati: “non riesce a darmi la soluzione” > “non riesce a darmela” / “non me la riesce a dare” ma non “*non la riesce a darmi”; 2) la possibilità per il complemento oggetto dell’infinito di diventare il soggetto della frase col si passivante: “comincio a capire certi discorsi” > “certi discorsi si cominciano a capire”; “riesco a capire certi discorsi” > “certi discorsi si riescono a capire”.
Il passaggio di ruolo sintattico da oggetto a soggetto – connesso alla trasformazione passiva – implica la necessità dell’accordo col predicato verbale. Le frasi sulla cui accettabilità i nostri lettori nutrivano dubbi rientrano in questa casistica. Come spiegare allora la mancanza di accordo in frasi altrettanto accettabili come “si comincia a capire certi discorsi”, “non si riesce a capire certi discorsi”?
Secondo l’analisi linguistica fin qui seguita, la mancanza di accordo è un indizio che non c’è stata piena ristrutturazione del verbo: in altre parole, c’è una minore integrazione tra il verbo reggente e l’infinito rispetto ai verbi modali, nei quali l’integrazione è piena (si noti anche che dopo i verbi modali c’è subito l’infinito, senza preposizioni introduttive).
Inoltre, se si tiene conto dei diversi valori del pronome atono si (si veda la scheda Usi e funzioni del pronome clitico si) possiamo dire che il si impersonale, il tipo noi si fa, secondo una costruzione diffusa in particolare in Toscana (su cui v. Serianni 1988, VII, 24), quando interessa un verbo transitivo con oggetto espresso, non richiede l’accordo: “(noi) si compra tante cose”, “(noi) si riesce a comprare tante cose”.
Concludiamo con una curiosità: la presenza di una dislocazione blocca la possibilità di accordo al plurale: “non si riesce a raccoglierle, queste mele” ma non “*non si riescono a raccoglierle, queste mele”; costruzione rappresentata da un bell’esempio narrativo di Pavese:
Non si riesce a tenerle insieme queste ragazze. Com’è difficile metter su qualcosa... - Forse, - le dissi, - Rosetta è cresciuta. Non vuole più giocare con la bambola. (Cesare Pavese, La bella estate, 1949, p. 307)
Massimo Palermo
25 novembre 2024
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