Una lettrice originaria di Salerno, ma abitante a Torino, è l'ultima utente in ordine di tempo a riproporre una questione molto dibattuta, in passato anche sul nostro forum:
L'espressione solo più 'ancora soltanto', 'ormai soltanto' è registrata nel GRADIT come regionalismo piemontese; nel Dizionario Garzanti è annotata come rara e accompagnata da una citazione da Il visconte dimezzato di Italo Calvino ("La balestra del visconte da tempo colpiva solo più le rondini"); infine la troviamo nel GDLI, ancora glossata come regionalismo, con una citazione dagli Scritti politici di Piero Gobetti ("Oggi la sua tesi è trionfata su tutti, mirabile prova della sua acutezza e preveggenza politica; è accettata dal governo e solo più gli illusi, gli imbecilli e gli austriaci la combattono") e l'annotazione di Bruno Migliorini in Parole nuove del 1963 («Solo più. Idiotismo piemontese: "gli restano solo più trenta giorni"»).
La prima attestazione lessicografica da noi riscontrata si trova nel Dizionario linguistico moderno di Aldo Gabrielli, pubblicato nel 1956: «In cèrti dialetti settentrionali , ricórre frequènte la locuzione sólo più (o anche soltanto più, solaménte più) : "Ho sólo più mille lire", "Gli restano soltanto più due anni da scontare" e sim. È locuzione, naturalménte, da evitare, ché il valore rafforzativo di sólo si può rendere in parécchie manière: "Non ho più che mille lire", "Non ho che mille lire", "Sólo mille lire mi rèstano", ecc.» (p. 581). E sappiamo che Migliorini possedeva l'opera, ora catalogata nella Biblioteca dell'Accademia nel Fondo a suo nome (la copia reca la dedica dell'autore). Tuttavia già nell'edizione del 1942 del Dizionario moderno di Alfredo Panzini (di cui Parole nuove costituisce un'Appendice all'edizione 1963), a cura di Alfredo Schiaffini e dello stesso Migliorini, l'espressione soltanto più viene introdotta a tradurre il gergale mac pi ("Soltanto più, espressione piemontese del gergo militare e degli studenti del Politecnico per segnare i giorni decrescenti") in luogo di non più che compariva nella precedente edizione del 1927 curata dall'autore.
Quasi coeva a Parole nuove è anche da considerarsi la circostanza di cui è stata testimone Maria Corti che, in un un'intervista di Maria Grazia D'Oria, che avremo modo di citare in seguito, dichiarò: «"solo più" [...]salì all'onore della citazione sulla "Stampa" allorché un assassino ricercato vi inviò una lettera; tutti sospettavano di un veneto, ma il linguista Benvenuto Terracini intervenne sulla "Stampa", chi scriveva "solo più" non poteva essere che piemontese"». Sarebbe interessante datare l'intervento di Terracini: purtroppo l'archivio in rete della "Stampa" risale indietro fino al 1992, ma, dal momento che il linguista è scomparso nel 1968, non è impossibile che esso fosse antecedente all'edizione 1963 di Parole Nuove di Migliorini.
Manlio Cortelazzo, in un breve saggio del 1982 dal titolo Una sicurissima spia dialettale: solo più, oltre a connettere la locuzione col dialettale mac pi, fa una semplice ma fondamentale considerazione: sono "italianissimi i due elementi [che la formano]", dal momento che l'espressione costituisce una "inconsapevole traduzione" letterale dal piemontese, il che la rende italiana in apparenza e la sovrappone, come vedremo, a sequenze identiche e davvero "italianissime". Questa sorta di operazione mimetica ha fatto sì che, come sottolinea lo stesso Cortelazzo , "fra coloro che l'hanno adoperato si annovera il fior fiore dell'intellighenzia regionale, da Momigliano a Bignone, da Luigi Foscolo Benedetto a Jemolo, a Einaudi". Saremmo in grado di ampliare la lista con altre testimonianze di cui la più antica che siamo riusciti a rintracciare si trova in un documento coevo a Le mie prigioni di Silvio Pellico: "Il Pellico è adesso completamente risanato. L'emicrania che tanto violentemente lo tormentava, ha ceduto sotto l'azione del caffè ordinatogli dal medico a titolo di medicina, e si manifesta soltanto più quando questa medicina gli viene negata per qualche tempo... " (p. 511, ed. a cura di D.Chiattone). E potremmo aggiungerne molte altre di Piero e Ada Gobetti, di Beppe e Marisa Fenoglio, di Cesare Pavese, ancora di Calvino, di Sibilla Aleramo, di Guido Gozzano, con moltissime di Arnaldo Momigliano e non poche di Attilio Momigliano, già nominato da Cortelazzo, molte di Mario Attilio Levi e qualcuna di Primo Levi, per finire con Alessandro Baricco, delle cui incursioni (inconsapevoli?) nel regionalismo si era resa conto anche Maria Corti che nell'intervista citata dice a proposito di Oceano mare: «Non manca un po' di snobismo (non c'è un nome proprio che sia italiano) e a lato uno zampino di provincialismo sintattico: penso a piemontesismi come "c'è solo più lei"».
Ancora più tardi, nel 2001, Tullio Telmon (che aveva già notato la locuzione in Varietà regionali del 1993 e Gli italiani regionali contemporanei del 1994) in Piemonte e Valle d'Aosta sottolinea "un tratto che pare spiccatamente e forse unicamente piemontese, consistente nel rafforzamento degli avverbi solo, soltanto, solamente per mezzo dell'avverbio, sentito come temporale, più" (p. 93). Più recentemente Riccardo Regis in Breve fenomenologia di una locuzione avverbiale: il «solo più» dell'italiano regionale piemontese, uscito del 2006, focalizza la sua attenzione "sulle ragioni che spingono il parlante piemontese a scegliere solo più rispetto ad altre forme equivalenti e pienamente standard" (p. 276); infine Andrea De Benedetti in Val più la pratica del 2009 aggiunge (p. 150) "una postilla molto sabauda" insistendo sulla funzionalità dell'espressione dal punto di vista del carico semantico.
La maggiore portata semantica di solo o soltanto più rispetto a solo, soltanto è il motivo citato da tutti i "sostenitori" della locuzione: «Alcuni rampognano noi torinesi per l'uso dell'espressione "solo più", che [...] darebbe luogo - orrore! - a un'insopportabile ridondanza [...]. Se un tale mi dice: "ho solo una caramella", significa appunto che ne ha una, anche se sarebbe contento di averne di più; se invece quello stesso tale mi dice: "ho solo più una caramella", capisco che a) ne ha appena una e b) prima ne aveva di più. Chiaro?» (De Benedetti , Val più la pratica, p. 163). L'italiano per significare la stessa cosa ha a disposizione ormai solo/soltanto o ancora solo/soltanto che "centrano perfettamente il valore semantico di solo più [...], ma presentano, nel contempo, delle controindicazioni: in primo luogo, esse sono comunicativamente più dispendiose di solo più; in secondo luogo, hanno un sapore squisitamente formale, che mal si adatta alla lingua di tutti i giorni" (Regis, Breve fenomenologia, p. 280 sg.). Anche l'alternativa rappresentata dall'uso dei verbi rimanere o restare (mi rimane solo una caramella, o anche una sola caramella per riprendere l'esempio di De Benedetti) risulterebbe costosa perché "è richiesta una ristrutturazione sintattica dell'enunciato" (Ibid., p. 281); così, in definitiva "L'impressione è che solo più costituisca, agli occhi del parlante piemontese, la scelta più economica per esprimere sinteticamente un significato complesso" (Ibid., p. 280). Aggiungiamo solo che il radicamento nell'italiano piemontese è tale che la locuzione viene usata anche in casi in cui risulta ridondante; a questo proposito ci pare significativo questo esempio tratto dall'articolo Torino 2006. L'impresa appaltatrice sta lavorando a ritmo ridotto, a firma Antonio Giaimo, apparso sulla "Stampa" del 26-06-2005: «Spiega il direttore del cantiere, Umberto Cantagallo: "Abbiamo già completato i viadotti San Martino e Prarostino [...], mentre per la galleria Turina [...] mancano solo più 11 metri". Il tutto dovrebbe finire entro settembre, resteranno poi soltanto più le opere legate agli svincoli. Rimane solo più il 20% ...» [corsivi nostri]. L'espressione, che compare per ben tre volte in poche righe, è sempre introdotta dai verbi mancare, restare e rimanere che recano implicita la nozione di cui il più dovrebbe essere portatore.
Un'altra ragione sottolineata da Regis della persistenza nel piemontese e dell'estensione all'uso di parlanti piemontesi privi di competenza dialettale, è il rapporto di simmetria con la locuzione neanche/nemmeno più che costituirebbe uno "speculare negativo" di solo più così, la stessa simmetria che si riscontra nella corrispondente coppia speculare del dialetto piemontese gnanca/manch pì da un lato, e mac pì dall'altro (p. 281 sgg.).
A rafforzare la vitalità dell'espressione infine, concorre anche l'inconsapevolezza di chi la usa: "Senz'altro nessuno di coloro che infarciscono i propri scritti e discorsi di solo più sospetta di poter essere frainteso, o addirittura non capito, da un lettore o da un ascoltatore extraregionale" (Regis, cit., p. 279). Mentre per gli usi letterari (Calvino, Pavese, Fenoglio ... fino a Baricco) è possibile supporre un uso cosciente e strumentale (sia il fine la resa d'ambiente o la provocazione), ciò non è ipotizzabile per gli usi riscontrati nelle opere politiche di Gobetti, nella critica letteraria di Attilio Momigliano e negli scritti storici di Arnaldo Momigliano e Mario Attilio Levi. Come ricorda Manlio Cortelazzo, i componenti della locuzione sono italiani e anche la loro giustapposizione lo è; a questo proposito ancora Riccardo Regis dedica un paragrafo della sua trattazione (Più solo o solo più?, p. 286 sg.) all'apparente sovrapposizione con (non) solo/soltanto più, inversione non inconsueta di non più solo/soltanto.
Resta il fatto che l'espressione, così consolidata nell'uso, anche scritto, di autori molto colti, non è riuscita finora ad uscire dal Piemonte e "l'allargamento di solo più al di fuori del territorio piemontese resta un'illusione" (Regis, p. 287). Forse ciò può essere motivato anche dal fatto che, pur non frequentemente, il suo uso può risultare ambiguo, almeno per un non piemontese. Vediamo alcuni esempi tratti da Attilio Momigliano nel commento al Decameron del 1924 ("La visione, ora, è solo più accennata: il lettore che già la conosce, la rivede in virtù di quelle poche parole": p. 235), da I Montagnana: una famiglia ebraica piemontese e il movimento operaio (1914-1948) di Giorgina Levi e Manfredo Montagnana ("Per molto tempo abbiamo mangiato - raccontava - soltanto più castagne" : p. 23), da Alessandro Baricco in Barnum 2: altre cronache del grande show del 1998 ("il semaforo ferma le auto e dà il via libera alla gente, sparisce l'asfalto e c'è solo più umanità": p. 130), e da Beppe Fenoglio in Un Fenoglio alla prima guerra mondiale del 1973 ("... sarebbe molto più sopportabile, ma tu sai che ora è solo più attaccata al fernet" : p. 839). In riferimento agli esempi citati (e specialmente, ci sembra, se solo/soltanto più è seguito da aggettivo, come nel primo e nell'ultimo caso), non pare facile capire immediatamente se la visione è adesso soltanto accennata anziché dettagliatamente descritta o non è invece accennata in modo più vigoroso, se la famiglia non aveva altro da mangiare se non castagne o se invece non ne mangiava di più, se l'umanità è l'unica cosa che resta dopo la sparizione dell'asfalto e se invece ce n'è in quantità maggiore rispetto a prima, e se la donna in questione è attaccata ormai solo al fernet o se lo è più di prima. Nel parlato l'intonazione sarebbe sufficiente per la corretta interpretazione, ma nello scritto possono permanere dubbi.
Inoltre ciò che può lasciare perplesso un parlante non piemontese riguarda l'interpretazione del più: se a esso si attribuisse valore temporale (come suggerisce Telmon), ciò comporterebbe necessariamente l'associazione a non, obbligatoria in lingua standard e in molte varietà regionali (come in non ho più un euro, non ho neanche più o, più spesso, non ho più neanche un euro), e l'espressione avrebbe valore negativo; ciò risulterebbe però incongruo con il significato positivo del solo più piemontese, che indica qualcosa che c'è, per quanto in quantità minore. Del resto, se dessimo invece al più l'altro valore che spesso assume in italiano, con riferimento all'essere in maggior numero, in quantità maggiore, si verrebbe a creare contraddizione con il senso di 'sottrazione da una precedente quantità maggiore' che è il tratto significativo dell'espressione piemontese.
Un'ultima osservazione: mentre la traduzione in lingua è rimasta confinata nell'italiano regionale piemontese, l'equivalente dialettale mac pì , del tutto incomprensibile fuori dal Piemonte, nella resa grafica Mak π o Mak pi o anche Makp , forse proprio grazie alla sua "opacità" semantica che lo ha reso quasi un acronimo di un'espressione anglosassone ha valicato confini regionali e generazionali, per quanto nell'ambito gergale: oltre a comparire nel titolo Mak pigreco 100 di un film-commedia del 1987, ambientato nell'Accademia navale di Livorno, l'espressione, passata dalle scuole militari alle scuole di molte zone d'Italia, è ormai discretamente diffusa, come testimonia un rapido sondaggio su Google, per indicare i cosiddetti "100 giorni", ovvero la data che dista 100 giorni dalla fine del corso, che viene festeggiata con una "gita non autorizzata", solitamente al mare, di tutti gli studenti dell'ultimo anno delle superiori.
Per approfondimenti:
A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
4 maggio 2010
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
Per concomitanza con le Feste, la visita all'Accademia della Crusca dell'ultima domenica del mese di dicembre è stata spostata al 12 gennaio 2025 (ore 11).