Ci sono pervenute varie domande sull’aggettivo insìpido: come mai come contrario di sàpido si usa questa forma, e non insàpido? Esiste un aggettivo corrispondente per indicare qualcosa di poco dolce?
Sapido ‘saporito’ e insipido ‘privo di sapore’ sono due aggettivi (entrambi usati sia in senso proprio, sia con valore figurato, per riferirsi non solo a cibi, ma anche, per esempio, a commedie, romanzi, film, e talvolta pure a persone) che l’italiano non ha ereditato direttamente dai corrispondenti latini sapĭdus e insipĭdus (entrambi, peraltro, documentati piuttosto tardivamente), ma ha ripreso per via dotta già in epoca antica: sono infatti datati intorno alla metà del Trecento nei principali dizionari e il corpus OVI per sapido registra un esempio ancora più antico (1299-1309) del mantovano Vivaldo Belcalzer. La differenza di timbro della vocale tonica dei due aggettivi (alla base dei quali c’è il verbo sapĕre ‘aver sapore’) risale dunque al latino, che aveva una regola fonologica, detta tecnicamente apofonia, che si applicava, tra l’altro, nella formazione dei verbi e degli aggettivi prefissati: si pensi, per restare nella famiglia di sapĕre, a consipĕre ‘avere esatta cognizione di sé’, formato col prefisso con-, e alla coppia sapiens e insipiens, il secondo formato dal primo col prefisso negativo in-, dai quali derivano gli italiani sapiente e insipiente, aggettivi in cui si ha la stessa alternanza vocalica che c’è tra sapido e insipido.
La presenza di insipido non ha però impedito all’italiano di formare, secondo le proprie regole di derivazione, che contemplano anch’esse l’uso del prefisso negativo in-, da sapido, il contrario insapido. Una ricerca effettuata in Internet con Google il 12 agosto 2022 restituisce circa 2.500 risultati (un solo esempio, da tripadvisor.it (“cibo insapido ma conto bello salato”). E non si tratta di una formazione recente: in Google libri troviamo vari esempi, il più antico dei quali risale al secolo XVI:
Il gusto brama il dolce, o sapido, l’amaro e l’insapido l’attrista. L’odorato brama soave fragrantia, il fetore l’a(m)morba. L'udito vuole harmonia e concinnitade, il dissona(n)te l’adira. (Levanzio da Guidicciolo, Antidoto della gelosia, Venezia, Francesco Rampazetto, 1565, p. 100)
Diverse attestazioni si datano nel corso dell’Ottocento e ne riporto solo un paio:
Lasciate depositare questa precipitazione, decantate il liquido che le soprastą e lavate a più riprese il residuo in acqua distillata, finché diventi insapido. (“Bollettino delle cognizioni industriali, divettovali e scientifiche”, 1834, p. 150)
[…] attenuata la vendita dei zibibbi, non più richiesti dalla comune dei consumatori, i giardinieri furono obbligati a convertirli in vinello insapido ed acquitrinoso, non buono per l’imbottaggio in magazzino, né utile per resistere alle lunghe navigazioni. (Ferdinando Alfonso, Trattato sulla coltivazione degli agrumi, Palermo, L. Pedone Lauriel, 1875, p. 165)
Seppure dunque attestato da secoli fino alla contemporaneità, l’aggettivo insapido è sempre rimasto di uso marginale e nessun dizionario lo registra, né tra quelli sincronici, né tra quelli storici. Meglio, dunque, usare insipido, che ha dalla sua la forza della tradizione.
E veniamo alla questione del corrispondente di insipido riferito a qualcosa di “poco dolce”. Si potrebbe pensare a un “vuoto oggettivo”, che cioè l’italiano non abbia un termine specifico per esprimere il concetto; in realtà – sebbene i dizionari non siano molto espliciti al riguardo (ma vedi sotto) – insipido, significando ‘privo di sapore’, può riferirsi anche al dolce, benché non ci sia dubbio che (così come i suoi sinonimi sciapo, scipito, sciapito e sciàpido, alcuni dei quali usati soprattutto in area centrale) venga usato prevalentemente con riferimento alla scarsità di sale (a cui si riferiscono invece specificamente il toscano sciocco e il latinismo insulso, dal latino insulsus, formato da in- con valore privativo e salsus ‘salato, spiritoso’, usato però prevalentemente con valore figurato).
Ce ne accorgiamo, per esempio, dal fatto che in medicina si parla di diabete insipido (locuzione registrata, per es., nel GRADIT) per indicare la ‘malattia caratterizzata da emissione di grande quantità di urina’. Per cogliere la ragione di questa denominazione (e quindi la sua importanza ai nostri fini), è utile leggere quanto riporta il sito healthy.thewom.it (consultato il 17 agosto 2022):
La definizione di “insipido” deriva da una reminiscenza ormai datata, con cui si sarebbe (in via quasi leggendaria) potuta fare un’empirica diagnosi differenziale tra un paziente affetto da diabete mellito ed uno da diabete insipido: in entrambi i casi si riscontra un aumento della quota di urine, ma:
- nel caso del paziente con diabete mellito le sue urine, se assaggiate, risulterebbero dolci poiché l’aumentata quota di zuccheri nel sangue si ripercuote in un aumento della quota di zuccheri nelle urine;
- nel paziente con diabete insipido le urine risulterebbero invece “insipide”, poiché la quota di zucchero sarebbe quella normalmente escreta, anzi, addirittura più diluita.
Dunque, insipido, contrapponendosi all’aggettivo mellito (dal lat. mellitus ‘contenente miele’ e quindi ‘dolce’), indica un grado di dolcezza inferiore a quella prevista. E l’uso non è limitato all’ambito medico, perché ci sono anche degli esempi in rete, come il seguente:
Come rimediare al melone insipido – How to remedy the tasteless melon
29 giu 2019 — Oggi vorrei svelarvi un trucchetto di mia nonna Caterina per rendere il melone insipido dolce. Vediamo insieme come rimediare!
Infine, lo Zingarelli 2022, registrando l’uso sostantivato di insipido nel senso di ‘sapore insipido’, lo esemplifica con questa frase: non distinguere il dolce dall’insipido, contrapponendolo dunque al dolce.
Non avrei dubbi, dunque, a invitare a usare insipido anche nel senso di ‘poco dolce’. Devo però segnalare un esempio dell’Aminta (1583) di Torquato Tasso riportato s.v. insipido nel Vocabolario Treccani online (“Insipido è quel dolce che condito / non è di qualche amaro, e tosto sazia”), in cui si indica come insipido un dolce privo di un che di amaro, e quindi non poco, ma troppo dolce. Ma qui siamo su un piano metaforico: Dafne, che pronuncia la battuta, cerca di consolare Aminta per il suo amore infelice. Piuttosto, il riferimento all’amaro di questo passo e la continua evoluzione del gusto in àmbito enogastronomico ci fanno ipotizzare che in futuro si sentirà il bisogno di qualificare qualcosa come meno amaro, o magari meno piccante, di quanto si vorrebbe. Si allargherà allora ulteriormente il campo semantico di insipido o si formeranno nuove parole per indicare questi nuovi concetti, con una possibile ricaduta anche sul dolce? Chissà!
Paolo D'Achille
7 marzo 2023
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