Uno sguardo generale sugli ausiliari

La questione della scelta dell’ausiliare è stata affrontata a più riprese dal servizio di consulenza dell’Accademia, sia in questa sezione del nostro sito (La scelta degli ausiliari, Ausiliare con i verbi intransitivi, Ausiliare con i verbi servili), sia sulle pagine della rivista “La Crusca per voi” (recentemente nel n. 61, 2020 II, gli interventi di Bruno Moretti e di Raffaella Setti). Abbiamo però ritenuto opportuno tornare nuovamente sull’argomento, sollecitati dalle molte domande che continuano ad arrivare alla redazione del servizio di Consulenza linguistica.

Risposta

I molti, più che legittimi, dubbi dei nostri interlocutori mettono in luce una “zona” molto fluida dell’italiano contemporaneo (e non solo), un problema, quello della scelta dell’ausiliare che, nei contesti in cui non è disciplinato da norme univoche e costanti, risente di variazioni dovute ad ambiguità insite nella lingua oltre che a sue recentissime trasformazioni.

Ci è parso dunque utile cercare di fare il punto della situazione in una sintesi che tenga conto delle più recenti ricerche sull’argomento, sempre nella piena consapevolezza che le lingue storico-naturali non seguono schemi ferrei e che, laddove siano in atto mutamenti linguistici, è decisamente arduo ipotizzare evoluzioni future e qualsiasi descrizione della situazione attuale rischia di venire velocemente superata dall’uso reale.

Possiamo però analizzare le diverse possibilità e provare a isolare i punti di maggiore instabilità suggerendo alcune proprietà che accomunano gruppi di verbi nella selezione dell’ausiliare essere e/o avere.

In primo luogo dobbiamo ribadire che i verbi ausiliari propriamente detti, essere e avere, funzionano come “accompagnatori” di altri verbi per la formazione dei tempi composti e della forma passiva dei transitivi. Proprio la caratteristica della transitività garantisce una distribuzione sostanzialmente regolare dei due ausiliari, almeno nell’ambito di questo nutrito gruppo di verbi: i verbi transitivi infatti presentano l’ausiliare avere nei tempi composti (ha mangiato, ha letto, ha visto, ecc.) e l’ausiliare essere nelle forme del passivo (è mangiato, è letto, è visto, ecc.).

Decisamente meno solido il terreno su cui si muovono le altre categorie di verbi: gli intransitivi impersonali, pronominali, riflessivi (diretti, indiretti e reciproci), i servili (su questi ultimi si veda ancora la risposta Ausiliare con i verbi servili). Prima di affrontare i diversi casi con le recenti proposte di classificazione dei verbi e la conseguente distribuzione degli ausiliari, è necessario precisare che la tendenza generale all’economia linguistica, soprattutto di fronte a norme non sempre costanti e univoche, porterebbe alla selezione di un solo ausiliare, come è avvenuto ad esempio in spagnolo e portoghese (lingue neolatine come l’italiano) che hanno rispettivamente haber e ter, corrispondenti al nostro avere. E in effetti, ma ci torneremo più avanti, anche in italiano si registra una tendenza all’estensione dell’uso di avere nei casi in cui si presenti la possibilità di una scelta “alla pari” tra i due ausiliari.

La classe dei verbi intransitivi in italiano non è omogenea per quel che riguarda la selezione dell’ausiliare, ma si compone di due gruppi primari:

  1. I verbi che i linguisti chiamano ergativi (l’aggettivo è formato sul modello dei casi latini come genitivo, dativo, ablativo a partire dalla base del verbo greco ἐργάζομαι– ergàzomai ‘lavorare, operare’ e in alcune lingue indica l’agente) come pensare, camminare, sorridere, vivere che prevedono un soggetto ‘agente’ con caratteristiche sintattiche e semantiche in parte sovrapponibili a quelle del soggetto dei verbi transitivi, e che selezionano il verbo avere come ausiliare nei tempi composti (ha pensato, ha camminato, ha sorriso, ha vissuto);
  2. I verbi che i linguisti chiamano inaccusativi (come partire, scivolare, scoppiare, apparire) e che prevedono un soggetto con caratteristiche sintattiche e semantiche in parte sovrapponibili a quelle dell’oggetto dei verbi transitivi, che prevedono il verbo essere come ausiliare nei tempi composti (è partito, è scivolato, è scoppiato, è apparso).

Le caratteristiche sintattiche che accomunano i verbi contenuti in ciascuna delle due classi sono state individuate attraverso alcune prove:

    a) possibilità di trasformare nel clitico ne partitivo il soggetto di verbi inaccusativi (così come è possibile con l’oggetto dei verbi transitivi):

      i treni partono spesso > di treni, ne partono spesso (con verbo inaccusativo);
      abbiamo mangiato molti dolci > di dolci, ne abbiamo mangiati molti (con verbo transitivo).

      Questo però non funziona con un verbo ergativo:

      molti studenti pensano > *di studenti, ne pensano molti (in linguistica l’asterisco premesso a una forma o a una frase ne segnala la agrammaticalità o l’assenza di attestazioni).

        b) La selezione stessa dell’ausiliare: i verbi inaccusativi (come i riflessivi, si è vestito, e i pronominali, si è impaurito) hanno l’ausiliare essere, mentre gli ergativi avere. Restano però, come vedremo, alcuni verbi che ammettono tutti e due gli ausiliari e che rientrano in vari sottogruppi dei verbi inaccusativi dell’italiano.

        c) Usi e funzioni del participio passato: con i verbi inaccusativi il participio passato può essere costruito in modo assoluto (partito Marco,…; scoppiata la bomba,…) e può funzionare come aggettivo (la luna apparsa all’orizzonte…; il treno appena partito…) così come accade per l’oggetto dei verbi transitivi (mangiata la pasta…; il libro letto (di recente), mentre con i verbi ergativi si hanno esiti agrammaticali: *camminato Marco… *Giulia dormita…

        d) La presenza del soggetto dopo il verbo inaccusativo senza significative messe in rilievo dell’elemento posposto: sono arrivati tutti; è nata la nipotina; è guarita la zia; è tornata la luce (in questo caso appare addirittura più naturale del costrutto lineare la luce è tornata).

            Anche sul piano semantico (del significato di ciascun verbo) i verbi intransitivi appartenenti a queste due classi presentano rispettivamente alcune caratteristiche distintive che, ad ogni modo, dobbiamo sempre considerare come tendenze prevalenti, non come regole assolute: i verbi ergativi (quelli con ausiliare avere) esprimono perlopiù attività intenzionali (lavorare, ballare, nuotare, parlare, discutere, festeggiare, ecc.) o funzioni corporee non controllate nel loro svolgimento e dotate di una certa durata (sbadigliare, starnutire, dormire, piangere, respirare, ecc.); i verbi inaccusativi (quelli con ausiliare essere) esprimono solitamente un cambiamento improvviso di stato (cadere, nascere, morire, esplodere, sparire), un cambio di stato dovuto a uno spostamento (entrare, uscire, scendere, salire), uno stato (stare, restare, rimanere) o un avvenimento (accadere, succedere, avvenire).

            Descritta per sommi capi la distinzione tra verbi ergativi e inaccusativi, possiamo adesso passare ad analizzare, almeno per categorie, i molti verbi che in italiano ammettono l’alternanza dei due ausiliari.

            Fin qui abbiamo portato come esempi soltanto verbi inaccusativi come arrivare, cadere, sparire, scivolare, apparire, ecc. per i quali è sufficiente la competenza di parlante nativo italiano per classificare immediatamente come agrammaticali forme come *ha arrivato, *ha caduto, ecc.

            Ma ci sono numerosi verbi che, a seconda della forma (semplice o pronominale), dei diversi significati, transitivo o intransitivo, e del contesto in cui ricorrono, possono “passare” da una categoria all’altra e cambiare quindi ausiliare. In molti di questi casi la scelta è “naturale”, per cui ad esempio avremo Giulia ha stupito tutti (transitivo) / Giulia si è stupita molto (pronominale intransitivo), oppure la cardiologa ha guarito il nonno (transitivo) / il nonno è guarito (inaccusativo intransitivo), o ancora l’intervento di Giulia ha migliorato la situazione (transitivo) / la situazione è migliorata (inaccusativo intransitivo) e lo studente ha finito gli esami (transitivo) / gli esami sono finiti inaccusativo intransitivo).

            Proprio quest’ultimo esempio apre la riflessione a un’ulteriore motivazione che gli studiosi hanno scoperto per spiegare l’alternanza tra essere e avere come ausiliari di alcuni verbi. Con le necessarie semplificazioni, possiamo dire che la selezione dell’ausiliare è da collegarsi al ruolo più o meno attivo del soggetto nella frase: se, come nelle frasi transitive, il soggetto compie un’azione o è determinante nel verificarsi di un evento, l’ausiliare sarà avere (lo studente ha finito gli esami, Giulia ha migliorato la situazione, il corridore ha continuato il percorso), mentre se il soggetto sembra più subire una situazione che non dipende dalla sua volontà, così come avviene proprio nella costruzione passiva, l’ausiliare sarà essere (lo studente è finito in presidenza; il tempo è migliorato, lo spettacolo è continuato).

            La motivazione del ricorso all’uno o all’altro ausiliare è meno evidente, ad esempio, con il verbo correre che seleziona essere in Marco è corso a casa, ma avere in Marco ha corso per un’ora: qui, a prescindere dal coinvolgimento della volontà del soggetto, del tutto analoga, l’ausiliare avere è dovuto alla esplicitazione della durata dell’azione (per un’ora), caratteristica, come abbiamo visto, dei verbi ergativi (con ausiliare avere).

            Il riferimento alla durata dell’evento può esserci utile anche in un altro caso particolarmente dibattuto: quello dei verbi cosiddetti meteorologici (o atmosferici): è/ha piovuto; è/ha nevicato; è/ha grandinato. Si tratta di verbi impersonali (salvo la presenza di soggetti come goccia, fiocco, ghiaccio e pochi altri, o in usi figurati) che nell’italiano contemporaneo alternano ormai i due ausiliari senza variazioni di significato o di registro: su questo punto concordano la maggior parte dei dizionari e delle grammatiche più recenti, anche se tradizionalmente l’ausiliare avere era indicato come preferibile proprio nei casi in cui si sottolineasse la durata dell’evento, quindi ha piovuto tutta la giornata / è piovuto un po’ nel pomeriggio. Si tratta però di una sfumatura che è andata via via sparendo e possiamo quindi rassicurare sulla “correttezza” di entrambe le scelte.

            Ci sono ancora non pochi verbi in italiano che pongono il problema della scelta dell’ausiliare e che, anche in prospettiva storica, presentano frequenti alternanze; per questi i grammatici, soprattutto a scopi didattici, hanno cercato a più riprese di stilare elenchi: se ne trovano indicazioni nella famosa e usatissima Grammatica italiana (regole ed esercizi) per uso delle scuole ginnasiali, tecniche e complementari di Luigi Morandi e Giulio Cappuccini (Torino, Paravia, 1914, p. 158) che tratta così la questione:

            Coniugazione de’ verbi intransitivi […] pochi sono gl’intransitivi, come vivere, appartenere, valere, che prendono indifferentemente avere ed essere, senza una sensibile variazione di significato: È vissuto trent’anni e Ha vissuto trent’anni. Erano appartenuti a me e hanno appartenuto a me. Per taluni, un ausiliare è più comune dell’altro: è esistito, è consistito, è sussistito, assai più comuni di ha esistito. Per alcuni ultimi poi, il servirsi dell’uno o dell’altro ausiliare non è indifferente in tutti i casi, perché si dice: Oggi ho corso molto e Stamani son corso dal medico, né si potrebbe dire: Oggi sono corso molto e Stamani ho corso dal medico.

            Qui, si noterà, è messo in evidenza per alcuni verbi “ambigui” un movimento verso un maggior ricorso a essere rispetto ad avere: con appartenere ed esistere, ad esempio, nell’italiano contemporaneo ha prevalso la selezione di essere come ausiliare, a conferma del fatto che le trasformazioni linguistiche non corrono su binari rigidi e, se è vero che le ricerche più recenti rilevano una tendenza a dare maggiore peso al soggetto come agente e quindi al prevalere dell’ausiliare avere rispetto a essere (sempre ovviamente dove ci sia alternanza), è anche vero che per alcuni verbi è avvenuto il processo contrario. In alcune grammatiche successive (non in molte per la verità) troviamo altre brevi liste di verbi che mostrano lo stesso fenomeno: così, per esempio, nella Grammatica italiana ad uso delle scuole di Alfredo Trombetti (Torino, Albrighi, Segati & C., 1918, p. 48):

            Si dice è piovuto e ha piovuto, è vissuto e ha vissuto, è durato e ha durato, è appartenuto e ha appartenuto, è bastato e ha bastato, e allo stesso modo con cessare, concorrere, consistere, dimorare, fiorire, germogliare, giovare, procedere, sdrucciolare, scemare;

            e ancora nei Problemi di grammatica italiana di Emilio Peruzzi (Torino, ERI, 1962, p. 95):

            Il verbo appartenere si può costruire tanto con avere quanto con essere: “questo palazzo ha appartenuto alla mia famiglia” oppure “è appartenuto alla mia famiglia”.

            Ancora nella grammatica più diffusa nelle scuole italiane negli ultimi decenni si legge:

            i verbi che indicano movimento vogliono l’ausiliare avere se indicano movimento in sé […], vivere, emigrare, appartenere, naufragare, sussistere, durare ecc. ammettono tanto essere quanto avere. (Marcello Sensini, Federico Roncoroni, La grammatica della lingua italiana, Milano, Mondadori, 1997, p. 286)

            Anche da questi pochi esempi è evidente come la questione continui a porsi, soprattutto negli usi e nelle scelte dei parlanti, e quanto sia arduo di volta in volta contemplare tutte le caratteristiche del verbo e le loro sovrapposizioni e interferenze. Mi limito a qualche altro esempio relativo a verbi su cui alcuni lettori ci hanno chiesto ragguagli e che rappresentano in effetti ottimi “casi di studio”: si tratta di atterrare, decollare, deragliare (ma potremmo aggiungere naufragare, bruciare, continuare, migliorare…). I principali dizionari dell’uso (Vocabolario Treccani, GRADIT, Sabatini-Coletti) per gli usi intransitivi di questi verbi prevedono la possibilità di avvicendamento tra i due ausiliari, anche se con gradazioni diverse:

            atterrare – Vocabolario Treccani: trans. e intrans. Nel significato intransitivo di ‘posarsi a terra, detto di velivolo’ essere o avere: l’aereo ha atterrato in ritardo; l’elicottero è atterrato accanto all’ospedale; Sabatini-Coletti: aus. avere, meno comune essere; GRADIT: intrans. essere o avere;

            decollare - Vocabolario Treccani: intrans. ‘staccarsi da terra o dall’acqua per alzarsi in volo’ (non specifica l’aus,); Sabatini-Coletti: aus. avere; GRADIT: intrans. avere meno comune essere;

            deragliare – Vocabolario Treccani: intr. ‘uscire dalle rotaie’ aus. avere, meno comune essere; Sabatini-Coletti: aus. avere; GRADIT: intrans. avere e rar. essere.

            Il criterio del participio passato utilizzabile in modo assoluto e come aggettivo autonomo è applicabile a tutti e tre questi verbi (atterrato/decollato l’aereo…; l’aereo atterrato/decollato; deragliato il treno; il treno deragliato) per motivare la presenza, spesso la prevalenza, del verbo avere come ausiliare, pur essendo verbi intransitivi accompagnati necessariamente da soggetti inanimati: i velivoli sono fatti decollare o atterrare da una persona, i treni possono deragliare per incidenti. In casi simili possiamo chiamare in causa la funzione della lingua che è, fondamentalmente, quella di rappresentare la realtà come viene percepita e nel modo più “economico” ed efficace: quello che “si vede” in questi casi è un velivolo che si alza da terra o plana, un mezzo su rotaie che esce dai suoi binari, oggetti che si muovono. Tutti sappiamo che c’è chi li guida o comanda, ma gli eventi sono il decollo (del velivolo), l’atterraggio (del velivolo) e il deragliamento (del mezzo su rotaie) e i soggetti inanimati di questi eventi assumono una forza agentiva pari a quella del vero soggetto animato responsabile delle manovre.

            Al termine di questa rassegna, inevitabilmente non esaustiva, ma ci auguriamo illustrativa delle motivazioni più stringenti che possono spiegare l’alternanza dell’ausiliare, mi sembra comunque utile chiudere con un consiglio pratico, molto semplificatorio se vogliamo, ma efficace per mettersi al riparo dai censori (soprattutto in rete spesso molto più severi degli stessi linguisti): usare l’ausiliare essere con i verbi intransitivi ma, aggiungerei, con la consapevolezza che non si tratta dell’unica opzione possibile e che anche chi propende per una scelta diversa dalla nostra non è automaticamente in errore.


            Nota bibliografica:

            • Elisabetta Jezek, Classi di verbi tra semantica e sintassi, Pisa, ETS, 2003.
            • Alfonso Leone, Conversazioni sulla lingua italiana, Firenze, Leo S. Olschki Editore,
            • Luca Serianni, Italiano, Milano, Garzanti, 2000.

            Raffaella Setti

            11 aprile 2022


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