Riproponiamo qui una risposta data da Giovanni Nencioni sul nostro periodico La Crusca per Voi (n°10, aprile 1995, p. 13) a proposito dell'uso del modo di dire all'altra per significare per poco, c'è mancato poco.
Uso del modo di dire all'altra
nel senso di per poco, c'è mancato poco
«Dott. Roberto Magri, Trento:
Fiorentino, continua ad usare il modo di dire all'altra nel senso di per poco, c'è mancato poco, che nell'italiano di Trento non è noto; e non l'ha trovato neppure nei dizionari.
Manca, è vero, nei correnti dizionari scolastici e familiari, ma anche nel Grande dizionario della lingua italiana che va sotto il nome di Salvatore Battaglia, mentre è presente nel Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo, ricchissimo di locuzioni anche del parlato. Sotto altro vi si trova la locuzione "all'altro o più comunemente all'altra, nel senso di Ci mancò poco, ed è molto abbreviato, quasi dicesse All'altro momento..., All'altra volta", corredata di due esempi: "Colui tentò di fare un bel traffico, e all'altro vi riusciva, ma poi restò con le mani vuote; E' gli tirò un tal pugno, che all'altra l'uccide".
C'è anche nel Novo vocavolario della lingua italiana, che va sotto i nomi di Giovan Battista Giorgini ed Emilio Broglio e uscì a Firenze negli anni 1870-1897; c'è, perché quel vocabolario, di cui fu gran parte il Giorgini, genero di Alessandro Manzoni, e che ebbe il patrocinio del ministro della pubblica istruzione nella Firenze capitale dell'Italia unita (il citato Broglio), fu un vocabolario manzoniano: cioè della lingua viva, precisamente del fiorentino parlato a Firenze dalle persone colte, che secondo Manzoni doveva diventare la lingua comune, parlata e scritta, di tutti gli italiani. Quel vocabolario, che, stando alle mire del Manzoni e dei suoi autori, doveva essere lo strumento per imparare il vivente uso linguistico fiorentino, divenne invece un prezioso documento di quell'uso degli ultimi decenni dell'Ottocento; e come tale ce ne serviamo per cercarvi e trovarvi, sotto altro, la locuzione all'altra, così spiegata ed esemplificata: «All'altra. Mancò poco, È mancato poco. "Gli tirò una bastonata, che all'altra l'ammazza". "Ho inciampato in un sasso e all'altra vo in terra". Anche, A quest'altra».
Il fatto che questa locuzione non sia conosciuta a Trento, né probabilmente fuori dell'Italia toscana, non è eccezionale, ma concerne altre locuzioni e anche singola parole, come granata, guanciale, pala, acquaio, tinozza, rena, cacio, ecc., che oggi nell'italiano comune hanno ceduto a scopa, cuscino, badile, lavello, vasca, sabbia, formaggio ecc. Il fenomeno si spiega con la storia della nostra lingua nazionale, costituita da un antico dialetto italiano, il fiorentino, che per l'esempio e l'autorità di tre sommi scrittori trecenteschi (Dante, Pettrarca e Boccaccio) s'impose sugli altri dialetti e divenne lingua letteraria, cioè prevalentemente usata per scritti di alto livello artistico o intellettuale da tutti gli italiani. Perciò nei secoli dal Trecento al Cinquecento passarono in quegli scritti, insieme con le forme grammaticali del fiorentino, che hanno dato alla lingua italiana le strutture che conserva tuttora, molte parole e locuzioni, anche popolari, dello stesso dialetto, agli altri sconosciute. Ma dal Cinquecento in poi gli scrittori non toscani scriventi il dialetto fiorentino ormai divenuto lingua letteraria della nazione colta, cominciarono a introdurvi parole dei dialetti propri, che facevano concorrenza a quelle fiorentine; concorrenza che cresceva col crescere della importanza e fecondità culturale di regioni e città non toscane. Il prestigio del fiorentino, nonostante il favore manzoniano, andò decrescendo quando la capitale dell'Italia unita si spostò da Firenze a Roma, che ne divenne la guida politica e amministrativa, e l'Italia settentrionale divenne la fucina della nostra nuova civiltà industriale; due fatti che ebbero notevoli conseguenze nel campo della lingua pubblica e della terminologia. Da allora una parte del lessico fiorentino, passato nell'uso letterario in età antica, ne è uscito, restando nei testi come patrimonio storico, e continuando a vivere nel solo dialetto; si sono cioè avviate la regressione di parte del fiorentino da lingua letteraria a dialetto, e l'avanzata a lingua nazionale di elementi lessicali dei dialetti non toscali. È un fenomeno attuale di cui gl'italiani, e in particolare i toscani, debbono avere consapevolezza, guardandolo con simpatia come un fattore di unione, e abbandonando i vanti municipalistici, ma senza vergognarsi di cedere alla parlata nativa, quando viene spontanea alla bocca.»
Piazza delle lingue: La variazione linguistica
3 giugno 2003
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