L'inaugurazione del cippo commemorativo del Placito di Capua

Sabato 27 maggio 2017, a Capua, per iniziativa del Touring Club Italiano (“Terra di Lavoro” e “Aperti per Voi”) e sotto gli auspici dell’Accademia della Crusca e dell’Università degli Studi della CampaniaL. Vanvitelli”, si svolgerà una cerimonia pubblica per ricordare un evento di particolare significato per la storia della lingua italiana.

Nella piazza dove sorgevano nel secolo X gli edifici della Corte e del Tribunale dei Principi longobardi (di fronte alla chiesa di San Salvatore in Corte) verrà inaugurato un cippo sul quale viene rievocata, con epigrafi, la vicenda che fece apparire per la prima volta per iscritto, in forma chiara e deliberata, la lingua volgare del luogo, usata in quel caso per un importante atto ufficiale.

Quell’attoè conosciuto nella storia della lingua italiana – e quindi nella storia delle lingue d’Europa e del mondo – come il PLACITODI CAPUA.         

L’Accademia sarà rappresentata dal Presidente onorario, Francesco Sabatini, e altri accademici e soci dell’Accademia.

 

NOTIZIA STORICA

 

Nell’area tra la Campania e il Lazio meridionale, dalla metà del secolo X, dopo gli sconvolgimenti della vita sociale ed economica prodotti dalle invasioni dei Saraceni, i grandi centri monastici si dettero a riordinare l’amministrazione dei loro beni e cercarono di rientrare in possesso anche dei loro territori che erano stati usurpati da potenti signori dei dintorni.

Questo recupero avveniva mediante cause, nelle quali i monasteri facevano dichiarare, con giuramento, da testimoni del luogo che i territori contestati erano stati, in precedenza, per lungo tempo (almeno 30 anni) posseduti dal monastero che li rivendicava. Una di queste cause riguardò una vastissima area (di circa 20.000 ettari) che la celebre abbazia di Montecassino, fondata da san Benedetto, voleva recuperare dalle mani dell’usurpatore, un tal Rodelgrimo, nativo di Aquino.

Probabilmente, proprio l’importanza del caso indusse il giudice (di nome Arechisi, di stirpe longobarda) a fare registrare le dichiarazioni dei testimoni nelle forme della loro lingua volgare. Più precisamente, il giudice, dopo aver ascoltato le dichiarazioni delle parti, aver osservato una descrizione dei confini del territorio conteso e ricevute le dichiarazioni spontanee dei testimoni, predispose lui stesso la formula di giuramento con parole esatte, che non lasciassero dubbi a chi avrebbe poi letto l’atto.

I tre testimoni favorevoli all’abazia la recitarono uno alla volta, e il notaio che stese l’atto la riportò per tre volte fedelmente nel testo della sentenza. La formula era la seguente:

 

«Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene

trenta anni le possette parte Sancti Benedicti»

 

Cioè: “Io so che quelle terre, entro i confini che qui [la perimetrazione scritta] descrive, le ha possedute per trenta anni la parte di san Benedetto”

Era un giorno di marzo dell’anno 960. Sappiamo tutto ciò con precisione perché è pervenuto a noi (ed è conservato nell’Archivio dell’Abbazia di Montecassino) l’originale di quella sentenza, che nella terminologia dell’epoca si chiamava placito. La pergamena che conserva l’atto è pressoché integra, ma all’inizio ha il margine leggermente corroso e per questo vi si legge l’anno e il mese, ma non il giorno in cui la sentenza fu emessa.

La decisione di Arechisi di dare forma precisa, valida giuridicamente, alle parole con le quali i testimoni a viva voce dichiaravano la loro conoscenza dei fatti, dimostra che un ceto di persone colte, in quel caso alti magistrati, prendeva coscienza di una realtà culturale nuova ormai maturata in quei luoghi. La popolazione di quel territorio (che faceva parte del Principato longobardo di Capua) usava una lingua locale, derivata dal latino, che però cominciava ad avere valore nelle controversie giudiziarie e poteva acquistare una fisionomia stabile se fosse stata avvicinata qua e là all’antica forma latina (que invece del nostro che, sancti invece del nostro santi o del dialettale sandi).

Fatto sta che l’innovazione del giudice Arechisi venne ripresa in altri tre documenti simili di poco posteriori, redatti in altri centri del principato longobardo di Capua e tutti relativi a controversie su beni immobili rivendicati dall’abbazia di Montecassino, indicati, insieme con il placito capuano, come placiti (o giudicati) cassinesi (o campani). Si tratta di atti giudiziari in forma di sentenza (Capua marzo 960; Sessa Aurunca marzo 963; Teano ottobre 963) o di documento privato (memoratorio di Teano 26 luglio 963).

Altri testi anche anteriori a questi (l’Indovinello veronese dell’inizio del secolo IX e il Graffito della catacomba di Commodilla della prima metà dello stesso secolo) hanno una veste linguistica molto vicina al volgare, ma rivelano solo delle aspirazioni ancora individuali verso il suo uso scritto. I giudici operanti nel Principato longobardo di Capua mostrarono invece una chiara consapevolezza della distinzione tra latino e volgare e una precisa volontà di elaborare una scripta ufficiale per il volgare: per questo i loro testi, per quanto di significato ben più limitato, si pongono a fianco di un documento solenne come i Giuramenti di Strasburgo (14 febbraio 842, il primo testo in antico francese) e insieme con esso segnano l’inizio della storia delle lingue neolatine, parte essenziale del patrimonio linguistico dell’Europa moderna.

 

Sulle quattro facce del cippo che sarà inaugurato a Capua sono visibili:

a)    la riproduzione fotografica della formula testimoniale in volgare

                      

con la sottostante epigrafe:

 

QUESTE PAROLE

DETTATE DAL GIUDICE ARECHISI

PRONUNCIATE CON GIURAMENTO DA TRE TESTIMONI

FISSATE NELL’ATTO GIUDIZIARIO

PORTARONO ALLA LUCE DELLA STORIA

IN UN GIORNO DEL MARZO 960

LA LINGUA DIASCENDENZA LATINA

PARLATA IN QUESTO LEMBO D’ITALIA

PROMESSA PER LA FUTURA LINGUA ITALIANA

  

I CITTADINI DI CAPUA E  L’ACCADEMIA DELLA CRUSCA

NEI LUOGHI IN CUI SORGEVANO LA CORTE E IL TRIBUNALE

DEI PRINCIPI LONGOBARDI

 

27 MAGGIO 2017

 

b)     la trascrizione diplomatica della formula stessa.

 

«sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene

trenta anni le possette parte s(an)cti benedictj»

 

c)    la versione in italiano odierno(vedi sopra).

 

d)     gli emblemi del Touring club, dell’Accademia della Crusca, del comune di Capua e degli sponsor locali.

 

 


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