In occasione dell'intervista di Mariarosa Bricchi per il sito www.booksinitaly.it il presidente Claudio Marazzini presenta il volume La Crusca risponde e parla della storia e di alcune attività dell'Accademia.
Riportiamo qui il testo dell'intervista, pubblicata il 5 settembre 2014 sul sito Books in Italy:
"La Crusca risponde
Raccontare l’origine dei fenomeni, rintracciare la ragione comunicativa di quelle che appaiono come deviazioni dalla norma, distinguere tra uso scritto e parlato, e tra i diversi registri sono state, fin dall’inizio, caratteristiche delle consulenze linguistiche della Crusca. Chiediamo al nuovo Presidente dell’Accademia, il linguista Claudio Marazzini, da quali considerazioni è nato, oltre vent’anni fa, questo modo – allora innovativo, e assai poco scolastico – di affrontare i dubbi linguistici.
L’idea risale al grande linguista Giovanni Nencioni, un maestro del quale l’Accademia conserva la preziosa memoria e al cui insegnamento cerca ancora di ispirarsi. Nencioni fu per lunghi anni (quasi trenta) Presidente di questa prestigiosa istituzione. Vi fortificò lo spirito che tutt’ora la anima: per prima cosa, una concezione della lingua estranea al normativismo autoritario. Del resto l’autoritarismo normativo non ha alcun fondamento scientifico. Ciò non significa che non esistano forme preferibili ad altre, o che la norma sia di per sé qualche cosa di inutile, o che tutte le innovazioni che si introduco nell’italiano siano da accogliere senza riserve. Però occorre sempre ricordare che la lingua si caratterizza per la varietà d’uso in relazione alle situazioni, al registro che si adotta, al contesto in cui avviene la comunicazione. Una concezione normativa ragionata, non autoritaria, deve sempre tener conto di tutto ciò.
Molte domande arrivano da lettori stranieri, che utilizzano l’italiano a livello professionale (traduttori, studiosi) o amatoriale. Pensiamo a un traduttore: può rivolgersi alla Crusca per conoscere il significato di espressioni nuovissime, ancora non registrate dai vocabolari; ma trova anche indicazioni (reperibili sì nelle grammatiche, ma con meno immediatezza) per una corretta comprensione dei testi, sia antichi che contemporanei. Per esempio: è giusto usare lui e lei come soggetto invece di egli ed ella? La risposta a questa vecchia (ma ricorrente!) domanda non è solo una breve guida ragionata per chi parla o scrive, ma anche un vademecum per riconoscere il registro, e il livello di conservatorismo di un testo altrui: informazioni essenziali per chi traduce.
A Marazzini chiediamo: ci sono domande ricorrenti? Sono più numerose le domande che arrivano da lettori stranieri o italiani?
Nel volume La Crusca risponde una sezione si riferisce proprio alle domande ricorrenti, le più comuni, spesso identiche e ripetute da molti utenti. È vero, molte domande provengono da lettori stranieri. Credo tuttavia che i quesiti più frequenti siano proprio quelli che arrivano da parlanti e scriventi italiani, anche perché il rapporto tra costoro e la “norma” non è sempre semplice. Per molti italiani l’italiano resta una lingua piuttosto ostica, e inoltre molti usano male l’italiano senza nemmeno rendersene conto. Questi ultimi forse non si pongono e non pongono mai domande, ma non per questo possiedono le risposte. Spesso basterebbe ricorrere a un comune dizionario, libro di cui troppi dimenticano l’esistenza. Anche gli studenti lo usano poco e male.
Domande e risposte formano un repertorio utile non soltanto ai lettori, ma anche alla stessa Accademia, che dispone in questo modo di una fotografia dei movimenti dell’italiano contemporaneo, delle incertezze che la lingua suscita nei suoi utenti e delle possibilità che offre. L’italiano ritratto in questa fotografia è in buona salute? Ci indica qualche sua caratteristica particolarmente significativa?
L’italiano di per sé è sicuramente in buona salute. Invito a leggere la parte finale della postfazione che uno dei nostri Accademici, il celebre Tullio De Mauro, ha posto alla fine del GRADIT, il suo celebre Dizionario Italiano dell’Uso pubblicato dalla casa editrice Utet di Torino. Sono pagine che non posso ripercorre senza provare un fremito di commozione. Vi si mostra, su basi statistiche indiscutibili, la continuità tra il nostro italiano e quello di Dante, e si indicano i successi della nostra lingua nell’ultima fase della sua storia, che coincide con la Repubblica. Vi si nominano prestigiosi intellettuali e scrittori che hanno confermato la formidabile duttilità e maneggevolezza dell’italiano, in un periodo in cui è cresciuta la scolarità ed è stato vinto l’analfabetismo. L’italiano si è trasformato, diventando più sciolto e colloquiale, secondo un procedimento di minor separazione tra scritto e parlato, una grande rivoluzione avviata da Alessandro Manzoni nell’Ottocento. Si citava prima l’uso del pronome soggetto lui. Non è un caso che questo pronome, condannato nella funzione di soggetto dai grammatici come Bembo (a cui si deve la stabilizzazione normativa dell’italiano nel secolo XVI), sia stato riabilitato proprio dall’uso fattone da Manzoni nei Promessi sposi. L’italiano è in buona salute, ma molti italiani non lo sono: ovviamente intendo riferirmi alla salute culturale, da cui discende la buona proprietà della lingua. Non parlo tanto degli incolti e semicolti, o degli immigrati che hanno acquisito l’italiano da adulti. Penso piuttosto al ceto dirigente. Se ascoltiamo in diretta un dibattito parlamentare, vedremo che risuonano errori di grammatica, di logica e di mancata coerenza testuale proprio nella sede in cui dovrebbero esprimersi le forze migliori della nazione. Questo mi preoccupa molto: la scarsa cultura della classe dirigente.
Un’ultima domanda. L’Accademia della Crusca, che ha tra i suoi fini primari quello di salvaguardare la lingua nazionale come sommo bene sociale è, oggi e da sempre, aperta a ogni forma di scambio linguistico internazionale. Come convivono queste due anime?
Il 20 di giugno da poco trascorso, inaugurando i lavori del OIM, mi è capitato si far riferimento a un fatto che fa riflettere. Prima di raccontare il fatto, sciolgo la sigla: OIM sta perOsservatorio degli Italianismi nel Mondo. Avvalendoci della collaborazione di molti studiosi, non di rado nostri Accademici stranieri, abbiamo avviato una ricognizione del patrimonio lessicale e fraseologico che dall’italiano si è irradiato in altre lingue, non solo europee. Ma torniamo all’episodio che mi ha fatto riflettere: nel 1612, la prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca fu stampata a Venezia, non a Firenze. Per varie ragioni si preferì pubblicare quell’opera fiorentinissima non nello stato dei Medici, ma all’estero, ché tale era la Repubblica di Venezia. A Venezia la lingua d’uso era diversa da quella di Firenze, diverse erano le istituzioni politiche, diversa l’ideologia linguistica dominante. Però Venezia e Firenze condividevano pur qualche cosa, cioè una grande tradizione culturale che ancora oggi riconosciamo come “italiana”. Il concetto di “estero” è dunque relativo, variabile, così come il concetto di “confine”. Certi elementi separano, ma altri uniscono. Anche oggi l’Europa si presenta così, come un insieme di variabili e di costanti. Senza contare che gli Accademici autori del primo Vocabolario si premurarono di ottenere i “privilegi” di stampa anche all’estero, per esempio nella grande Francia, dove potevano contare sulla protezione di un personaggio potentissimo (per quanto assai discutibile) quale era Concino Concini. Il Vocabolario raggiunse dunque il pubblico d’oltralpe, forse in misura anche maggiore di quanto non raggiunse la miriade di staterelli italiani, che da un punto di vista strettamente commerciale contavano assai di meno della Francia come serbatoio di potenziali acquirenti dell’opera appena uscita dai torchi veneziani. Sappiamo che i vocabolari europei successivi, da quello dell’Accademia francese a quello dell’Accademia spagnola, devono molto alla Crusca che li ha preceduti. La vocazione internazionale dell’Accademia si è dunque manifestata fin dalle origini, pur se il suo operato si spiega alla luce delle discussioni italiane attorno alla cosiddetta “questione della lingua”. Anche oggi credo si debba procedere in questo modo, rivolgendo la nostra attenzione prima di tutto al fronte interno nazionale, ma facendo ascoltare la nostra voce anche al di là dei confini, ammesso che esistano ancora davvero confini nell’Europa e nel mondo globalizzato. Del resto credo che i maggiori nemici dell’italiano non siano al di là di quei confini, dove invece l’italiano può contare su molti amici e su tanti cultori appassionati, ma dentro ai confini, perché l’unico vero confine che permane ostile è quello che segna la differenza tra chi è sensibile ai valori della cultura e chi li disprezza o li ignora, e in questo modo calpesta grandi risorse del nostro paese, lingua compresa."
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