omosociale

Ambito d'uso: psicologia, sociologia, critica letteraria

Ambito d'origine: critica letteraria, psicologia, sociologia

Tecnicismo

Categoria grammaticale:

agg.

Definizione

Relativo a o denotante relazioni sociali tra persone dello stesso sesso (specialmente uomini), di natura non sessuale o romantica

Etimologia

Composto dal confisso omo- (dal greco homós ‘uguale, simile’) e dall’aggettivo sociale, sul modello dell’inglese homosocial; o forse adattamento italiano della voce inglese

Prima attestazione

1992
"Perché, se è vero che il meccanismo triangolare per cui il soggetto desidera l’oggetto in quanto è il rivale a desiderarlo è in sé incredibilmente fruttuoso di applicazioni, è anche vero che per Girard l’oggetto ha sempre un sesso ben preciso, a meno che non si tratti di una cosa inanimata (per esempio, una spada, un elmetto): è sempre una donna a dover fare da go-between in un rapporto omosociale." (Valeria Finucci, recensione a Sergio Zatti, Il Furioso fra epos e romanzo, Lucca, Pacini Fazzi, 1990, in “Annali d’Italianistica, 10, 1992, pp. 360-362, a p. 362)

Periodo di affermazione:

2020-2022

Presenza sui dizionari

Nessuna

Diffusione al: 12 luglio 2023

Google: 3.660 r. di “omosociale”, 2.170 di “omosociali”
"Corriere della Sera": 0 r.
corriere.it: 0 r.
"la Repubblica": 2 r. (1 del 2011, 1 del 2022)
"La Stampa": 0 r.
stampa.it: 1 r. di “omosociali” (del 2022)


Derivati

Note

L’aggettivo omosociale è un calco dell’inglese homosocial, un composto neoclassico coniato nel 1927 dallo psicologo britannico John Carl Flügel e poi affermatosi, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, nell’uso specialistico della psicologia, della sociologia e della critica letteraria statunitense. La prima attestazione italiana reperita risale all’inizio degli anni Novanta, in una recensione a un saggio sull’Orlando furioso nella quale viene riproposto il concetto di “desiderio omosociale” (e quindi di rapporto omosociale) elaborato nel 1985 dalla sociologa e critica letteraria statunitense Eve Sedgwick per spiegare il comportamento dei personaggi maschili di alcune opere dell’Ottocento letterario inglese. L’attestazione resta tuttavia a lungo priva di seguito e l’aggettivo comincia a diffondersi nella nostra lingua, come tecnicismo della sociologia, solamente nel secondo decennio del Duemila, in pubblicazioni specialistiche che, sulla scia di analoghe ricerche condotte nei paesi anglosassoni, approfondiscono – nella prospettiva dei gender studies – il ruolo delle relazioni tra soli uomini nella costruzione dell’identità maschile e nella riproduzione del modello della maschilità tradizionale. In italiano, come in inglese, la voce è inoltre discretamente diffusa anche nell’ambito della critica letteraria, in particolare in studi che adottano una prospettiva sociologica e di genere nell’analisi dei testi letterari. L’aggettivo è prevalentemente usato in riferimento alle relazioni sociali di tipo maschile, ma è possibile rinvenire anche qualche isolato esempio di impiego riferito ai rapporti tra donne. Piuttosto limitata, almeno per il momento, appare la sua circolazione nella lingua corrente, forse in quanto il termine è ancora percepito come eccessivamente specialistico e settoriale; o perché semanticamente poco chiaro, anche perché il prefissoide omo- è ormai percepito come riduzione di omosessuale (cfr. omofobia).

Esempi d'uso

  • Del resto il conte Manzoni denuncia (negli Sposie, con forza ancora maggiore, nel Conte di Carmagnola e nell’Adelchi) la famiglia aristocratica come groviglio di colpa e oppressione, spazio deformato in cui il matrimonio non è frutto di un patto eterosessuale ma di un accordo omosociale tra stirpi patriarcali, proprio come nei romanzi analizzati da Eve Kosofsky Sedgwick in Between Men. (Tommaso Giartosio, Aria di braverìa. Appunti queer sui Promessi Sposi/1, in “Le parole e le cose”, 22/3/2012)
  • Tutti vogliono qualcosa mostra anche quest’altro aspetto dei gruppi omosociali. Le dinamiche di nonnismo a cui le matricole si sottomettono volentieri, consapevoli del fatto che si tratta di un passaggio obbligato per entrare a far parte del branco, sono un riflesso “istituzionalizzato” e socialmente accettabile di questa violenza che pervade la formazione della mascolinità nel nostro ordine simbolico. (Pietro Bianchi, Elisa Cuter, La legge del desiderio maschile. Tutti vogliono qualcosa di Richard Linklater, in “doppiozero”, 24/6/2016) 
  • Le dinamiche omosociali di produzione delle maschilità qui esplorate confermano come non si possano ricondurre le relazioni tra uomini alla mera riproduzione di configurazioni egemoni della maschilità. È nella grana fine della ricerca, nell’esplorare come i significati del maschile si costituiscono nelle interazioni situate, che possiamo cogliere i diversi meccanismi dell’omosocialità, e la loro variabile relazione con modelli di maschilità in cambiamento. (Raffaella Ferrero Camoletto, Chiara Bertone, Tra uomini: indagare l’omosocialità per orientarsi nelle trasformazioni del maschile, in “About Gender. International Journal of Gender Studies”, 6, 11, 2017, p. 67)
  • I gruppi chiusi su Telegram e Whatsapp spesso funzionano come luoghi di organizzazione e coordinamento di attacchi mirati alle donne, come nel caso della condivisione non consensuale di materiale intimo. All’interno di questi gruppi prevalentemente maschili, però, si nota anche come la violenza contro le donne venga enormemente normalizzata e diventi una pratica chiave nella costruzione di relazioni omosociali tra uomini. (Loredana Lipperini, Violenza e misoginia sulle piattaforme web, così trionfa la cultura dello stupro, lastampa.it, 21/12/2022)
Sara Giovine

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28 settembre 2023


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