Il rapporto PIAAC-OCSE 2024

di Claudio Marazzini

Il presidente onorario Claudio Marazzini commenta i dati sull'alfabetizzazione e sulle competenze linguistiche e letterarie degli italiani fornite dal rapporto PIAAC-OCSE 2024.


Il rapporto PIAAC-OCSE 2024 è una preziosa fonte di dati a cui si può, anzi si dovrebbe necessariamente ricorrere quando ci si occupa della situazione italiana in prospettiva sociolinguistica. Non è certo l’unica fonte di dati aggiornati. Il Censis ha da poco prodotto il suo 58° rapporto sullo stato dell’Italia, largamente ripreso dai media e citato anche da molti esponenti della politica nei loro interventi pubblici. Ha richiamato l’attenzione del grande pubblico per il tono provocatorio e quasi scandalistico che lo caratterizza, ad esempio nella sezione intitolata La fabbrica degli ignoranti, in cui si leggono passi come i seguenti: "Non raggiungono i traguardi di apprendimento: in italiano, il 24,5% degli alunni al termine del ciclo di scuola primaria, il 39,9% al terzo anno della scuola media, il 43,5% all’ultimo anno della scuola superiore (negli istituti professionali quest’ultimo dato sale vertiginosamente all’80,0%)". E ancora: "con riferimento ai grandi scrittori e poeti italiani, il 41,1% degli italiani crede erroneamente che Gabriele D’Annunzio sia l’autore de L’infinito oppure non sa dare una risposta in merito, per il 35,1% Eugenio Montale potrebbe essere stato un autorevole presidente del Consiglio dei ministri degli anni ’50, il 18,4% non può escludere con certezza che Giovanni Pascoli sia l’autore de I promessi sposi e, infine, il 6,1% crede che il sommo poeta Dante Alighieri non sia l’autore delle cantiche della Divina Commedia".

Abbiamo poi i dati PISA e INVALSI, che offrono informazioni di grande rilievo (nonostante alcune riserve siano state sollevate sul modello statistico) relative alla situazione dei ragazzi in età scolare: dunque si tratta di informazioni specificamente limitate al mondo della scuola e all’età della formazione. I dati INVALSI sono spesso al centro di dibattito, e anche di recente sono stati richiamati negli interventi del linguista Mirko Tavoni sulla rivista online del Mulino, a cui rinvio direttamente.

Veniamo tuttavia al contenuto generale del progetto PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), che si caratterizza per il suo grande respiro, per la durata temporale e per il coinvolgimento di molte nazioni. Infatti il progetto ha prodotto ben due inchieste condotte dall’OCSE, una resa pubblica nel 2013 (il testo si può scaricare tradotto in lingua italiana dal sito dell'INAPP, ma è disponibile anche qui e qui), e l’ultima resa pubblica il 10 dicembre 2024, quindi molto recente. Proprio per questa sua attualità merita la nostra immediata attenzione. Alle inchieste farò riferimento come a “PIAAC 2013” e “PIAAC 2024”: la data che segue l’acronimo si riferisce all’anno della pubblicazione, che nel caso del 2013 coincide con la titolazione dell’inchiesta, mentre per PIAAC 2024 c’è uno scarto, in quanto il titolo del rapporto stesso porta un riferimento al 2023 (nel testo del rapporto si fa cenno a un prolungamento dei lavori dovuto alla pandemia da Covid, ciò che spiega il ritardo nella pubblicazione e la mancata cadenza decennale rispetto alla precedente inchiesta. Ho preferito conservare il riferimento alla data di pubblicazione, e dunque l’indicazione “2024”, proprio per rendere più evidente l’attualità dei dati, anche nel confronto con le altre indagini statistiche).

Le due inchieste PIAAC, condotte a distanza di dieci anni l’una dall’altra, riguardano argomenti specifici: in prima istanza, quella che viene definita con termine inglese (in inglese è il testo originale delle inchieste) la literacy, cioè la capacità di comprendere un testo scritto e trarne informazioni. Viene poi indagata la numeracy, cioè la capacità del cittadino di confrontarsi con i numeri. Il terzo oggetto dell’indagine è il problem solving, la capacità di risolvere problemi pratici. La nostra attenzione si concentrerà sulla literacy, che investe appunto la competenza nella lingua, nel nostro caso nella lingua italiana.

L’inchiesta PIAAC 2024 ha coinvolto cittadini di 31 nazioni appartenenti all’OCSE tra i 16 e i 65 anni, ed è stata condotta nei Paesi che hanno aderito al progetto. In Italia, le inchieste sono state realizzate dall’INAPP su incarico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’esito dell’indagine PIAAC, oggi come nel 2013, si traduce in una valutazione numerica che classifica la popolazione in base a un punteggio. Al punteggio corrisponde il grado di competenza stimato, e noi faremo riferimento a quello raggiunto nella lingua, cioè nella capacità di intendere un testo e di trarne informazioni. Più il testo è lungo e complesso, più cresce il punteggio di coloro che riescono a comprenderlo. A punteggi bassi, corrisponde la capacità di intendere solo testi brevi e semplici.

Vediamo dunque che cosa possiamo ricavare dai dati statistici più recenti, visto che le serie storiche sono state spesso utilizzate per mostrare dati positivi di cambiamento, come la diminuzione del numero degli analfabeti, l’aumento degli italofoni, o badando al maggior equilibrio nel numero di coloro che alternavano italiano o dialetto in famiglia, sul lavoro, e nelle varie situazioni sociali. Non sembra che i dati che ora esamineremo possano essere motivo di soddisfazione, o suggeriscano un rapporto di sicurezza e fiducia tra gli italiani e la loro lingua.

Ecco dunque le tabelle che riassumono la situazione della literacy, mettendo a confronto le inchieste 2013 e 2023:


Si sarà notato che nella lista di destra, relativa all’inchiesta del 2023, compaiono Paesi che non avevano partecipato all’inchiesta precedente. Si tenga presente che a metà del grafico si colloca la riga con l’average, la media OCSE calcolata sulla base dei dati complessivi dell’inchiesta. Per una corretta lettura, occorre anche tener presente che la barra orizzontale che rappresenta la situazione di ciascun Paese porta colorazioni differenti a seconda della qualità, ovvero del punteggio in cui si sono collocati gli intervistati: la parte destra della barra, in blu più scuro, mostra i risultati di maggiore eccellenza ottenuti, mentre nella parte sinistra, in grigio e nero, stanno i risultati più sfavorevoli, con punteggio più basso. Nell’inchiesta del 2013, l’Italia era risultata all’ultimo posto per la literacy. Nella nuova inchiesta, la posizione peggiore non è più quella dell’Italia, perché si sono aggiunti altri Paesi che risultano ancora più sfavoriti del nostro (Israele, Lituania, Polonia, Portogallo e Cile), ma il livello qualitativo resta basso.

Nel 2013 i Paesi con i risultati migliori erano il Giappone, la Finlandia, i Paesi Bassi, l’Australia, la Svezia. Oggi i Paesi in testa alla classifica risultano, nell’ordine, Giappone, Svezia, Finlandia, Norvegia, Paesi Bassi. L’Italia, come nel 2013, è ancora ben al disotto della media OCSE.

La tabella che segue permette di verificare in maniera più precisa i risultati ottenuti dagli intervistati italiani. Anche in questo caso ci concentreremo sugli esiti dell’inchiesta relativi alla literacy. Come nei grafici precedenti, a destra si trovano i risultati migliori, con i punteggi più alti, a sinistra i risultati peggiori.


Nella literacy, il 35% degli intervistati italiani (media OCSE: 26%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1, il che significa una bassa competenza. Chi sta al livello 1, riesce a comprendere testi brevi ed elenchi organizzati, quando le informazioni sono chiaramente indicate, e unicamente in quel caso sa trovare informazioni specifiche e identifica collegamenti pertinenti. Chi sta al di sotto del livello 1 riesce al massimo a comprendere frasi brevi e semplici. All’altro estremo dello spettro, il 5% degli adulti (media OCSE: 12%) ha ottenuto un punteggio al livello 4 o 5 in alfabetizzazione. Questi adulti sono in grado di comprendere e valutare testi lunghi e densi distribuiti su più pagine, colgono significati complessi o nascosti, utilizzano conoscenze pregresse per comprendere ciò che leggono. Il confronto tra le inchieste del 2013 e del 2024 mostra che, negli ultimi dieci anni, la competenza media in alfabetizzazione è migliorata solo in Danimarca e Finlandia, rimanendo stabile o in calo in tutti gli altri Paesi partecipanti, compresa l’Italia. L'espansione educativa diffusa non ha compensato queste tendenze, perché la competenza tra i laureati universitari è diminuita o è rimasta stagnante nella maggior parte dei casi.

Vale la pena anche esaminare i dati emersi dall’inchiesta collocandoli in tabelle rispetto all’età (si veda, tra i seguenti, il grafico Figure 2.7), rispetto al livello di scolarizzazione dei genitori (Figure 2.8), e rispetto alla situazione di immigrato o di nativo (Figure 2.16).


In base a questi dati, la situazione italiana sembra caratterizzarsi (del resto in coerenza con i risultati delle inchieste PISA e soprattutto di quelle INVALSI) per un livello qualitativo molto basso, tale non solo nel settore dello svantaggio (la fascia di popolazione con i punteggi a livello 1 o -1), ma anche a livello delle cosiddette “eccellenze”, le quali risultano molto meno eccellenti di quanto non siano in altri Paesi OCSE. D’altra parte, la situazione italiana, all’analisi dei dati, sembra rivelare che da noi sono meno forti le distanze sociali rispetto a quanto accade in altri Paesi che raggiungono in assoluto risultati migliori relativamente alle eccellenze. Lo si verifica osservando lo scarto tra chi è figlio di genitori senza studi e con studi, e anche prendendo atto dello scarto minore che si riscontra in Italia nel caso dei nativi messi a confronto con coloro che provengono da famiglie immigrate. Quindi il quadro sconfortante della modestia qualitativa che caratterizza gli esiti italiani sembra presentare, se non altro, il vantaggio di una maggiore omogeneità sociale, in sostanza un’integrazione maggiore, seppure livellata verso il basso. Il discorso potrebbe a questo punto collegarsi alla situazione di un Paese che attrae immigrazione di manodopera scarsamente qualificata, ma al tempo stesso esporta una grande quantità di giovani laureati e formati al livello alto di scolarizzazione. Va da sé che i giovani laureati espatriati (che si calcola siano stati 550.000 nell’arco di 13 anni, di cui 337.000 non sono rimpatriati), se fossero stati intervistati, avrebbero comunque arricchito con i loro dati positivi gli esiti statistici dei Paesi in cui si trovavano ospiti e in cui lavoravano, Paesi in cui le condizioni sociali sono migliori e dove non di rado la scuola è fortemente selettiva e dotata di classi differenziali. Viene spontaneo notare che i Paesi che ospitano una forte immigrazione intellettuale italiana, come gli USA, l’Inghilterra e la Svizzera, si collocano molto più in alto nella classifica qualitativa rispetto all’Italia.

Avviso: Tutte le tabelle qui riprodotte sono tratte da OECD Skills Studies, Do Adults Have the Skills They Need to Thrive in a Changing World? Survey of Adult Skills 2023, Paris, OECD Publishing, 2024. Si tenga presente che la sigla OECD è la formulazione inglese di OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico OCSE in italiano, in inglese Organization for Economic Co-operation and Development, dunque OECD; in francese Organisation de coopération et de développement économiques, dunque OCDE).

 

Redazione
03 giugno 2025 - 00:00

Intervento conclusivo di Claudio Marazzini

Il mio intervento ha suscitato reazioni limitate. Il numero degli interventi è stato piccolo, ma i commenti sono stati puntuali e pertinenti. Ringrazio sinceramente i lettori ‘attivi’, e visto che gli interlocutori sono stati pochi, solo tre, posso citarli uno per uno.

Il collega e accademico della Crusca prof. Mirko Tavoni ha colto il punto fondamentale, che non era stato da me esplicitato per ragioni di opportunità, ma che era sicuramente comprensibile agli addetti ai lavori, e anzi rendeva più motivata la scelta dell’argomento come Tema del mese, giustificandola tra le questioni di attualità, nel corso delle discussioni sulle nuove Linee guida del primo ciclo della scuola. Mirko Tavoni è un esperto di linguistica ed è impegnato in una discussione di largo respiro sulla funzione della grammatica nella didattica della lingua. La sua posizione privilegiata di studioso gli ha dunque permesso di introdurre direttamente un argomento che io non avevo menzionato, ma di cui posso confermare la validità: il mio intervento può essere certamente collegato al dibattito sulle Linee guida, per esempio alle tesi espresse da Antonio Calvani, già professore ordinario di Didattica e pedagogia speciale nell’Università di Firenze (https://www.tecnicadellascuola.it/ma-cosa-e-scientifico-qualche-domanda-ai-difensori-delle-vecchie-indicazioni-nazionali). Il prof. Pierino Venuto, che per primo ha commentato il mio intervento, pur non conoscendo i sottintesi accademici e politici a cui ora ho fatto riferimento, ha intuito il problema: mi complimento con lui per la sensibilità e la prontezza.

Luca Fiocchi Nicolai è intervenuto più volte su di una questione diversa: qual è l’affidabilità – si è chiesto – di questi sondaggi internazionali? Come sono condotti? Perché non disponiamo della lista delle domande? Precisiamo una volta per tutte, per fugare ogni equivoco, che PIAAC non riguarda la capacità nella produzione scritta da parte dei soggetti sottoposti a indagine, ma solo il loro livello di comprensione di un testo scritto. Va anche ribadito che non si tratta di comprensione del linguaggio letterario o di un qualunque genere di linguaggio tecnico-settoriale, ma ci si muove unicamente nella lingua comune d’uso corrente. È vero che non è possibile accedere direttamente e senza costi ai test nella loro completezza, ma non è vero che non sia possibile rintracciare alcuni campioni delle domande sottoposte agli intervistati. Semplicemente, la ricerca risulta un po’ macchinosa, perché questi test hanno un valore commerciale considerevole, e quindi chi li ha elaborati evita di metterli a disposizione gratis et amore Dei. Tuttavia alcuni test, relativi a PIAAC 2013, si rintracciano, sono pubblici e consultabili. Permettono di comprendere e apprezzare le modalità pratiche dell’inchiesta. Su questo argomento, sta per essere pubblicato un mio intervento negli Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino. In questo intervento, più lungo e più tecnico del Tema del mese di Crusca, ho esaminato alcuni di questi test, riportandoli in appendice a beneficio dei lettori scettici. Indubbiamente il loro esame rende più chiara la modalità di esecuzione di PIAAC, che altrimenti può essere confusa con altre forme di inchiesta.

Ciò premesso, non è certo strano che qualcuno sollevi dubbi sulle procedure o sulla validità di PIAAC. I dubbi, però, possono essere dettati da motivazioni diverse, non tutte equivalenti o ugualmente apprezzabili. Ci sono coloro che rifiutano qualunque tentativo di valutazione oggettiva delle capacità linguistiche. A questa categoria appartengono ad esempio i molti insegnanti nemici giurati delle indagini INVALSI. Spesso costoro hanno la coda di paglia, perché sono insegnanti restii alle valutazioni del lavoro compiuto nella scuola, e per giustificare questa loro allergia si appellano a principi superiori di inviolabilità della loro sacra missione, e non vogliono discutere di tecniche esecutive della missione stessa. Lasciamo costoro là dove stanno, visto che qui non discutiamo di sacre missioni, ma di verifiche dei dati oggettivi. Ci sono poi coloro che, giustamente, vogliono verificare il tipo di test utilizzato e le modalità di somministrazione. Per la verifica di PIAAC, non posso far altro che rinviare al mio intervento già citato, in corso di pubblicazione, oltre che ai siti istituzionali di PIAAC-OCSE, dove, a saper cercare bene, si trova non tutto, ma molto. Si tenga comunque presente che il questionario PIAAC viene proposto in molti paesi del mondo, e quindi le condizioni di vantaggio e svantaggio non possono non riprodursi analoghe in molti scenari geografici e culturali differenti: intendo dire che è difficile sostenere che ci sia stato un complotto per far torto proprio alla nostra povera Italia. Quindi le indicazioni PIAAC sono da prendere in considerazione con molta serietà, anche se certamente non hanno l’autorità di un testo sacro. Indubbiamente i risultati PIAAC non sono stati entusiasmanti per noi italiani, anzi risultano piuttosto frustranti; ma ci danno un’indicazione significativa, specialmente quando si accordano con i risultati di INVALSI e PISA. Sono un invito a intervenire.

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
30 maggio 2025 - 00:00
È strano che su un tema così rilevante siano intervenuti in pochi: vero che i metodi quantitativi chiamati a "misurare" il "livello" di determinate eppur vaghe capacità culturali o cognitive portano con sé qualcosa di minaccioso rivolto agli insegnanti delle nostre scuole, messi in tal modo sotto pressione continua perché chiamati a giustificare risultati così poco edificanti accertati con rigorosi criteri "scientifici" infallibili; quasi che questi ultimi si siano ormai sostituiti alla soggettiva e intuitiva valutazione dei docenti. Sta di fatto che diversi di questi indicatori convergono nelle conclusioni. In teoria indagini e test posso divenire facilmente, da metodi in sé neutri, sia pure irrigiditi dallo schema basato su ontologici livelli di competenze, strumenti di orientamento didattico non so quanto oggettivi, quando propongono implicitamente un modello di sapere funzionale all'esercizio della cittadinanza e all'inserimento adeguato nel mondo produttivo e tecnocratico. Ad esempio, in questa indagine quanto è valutata la capacità di sfruttare le potenzialità del medium digitale? quanta importanza (non) si dà invece a quel mezzo di espressione personale e originale che è la scrittura? non torno sulla forma e contenuto delle domande, ma certamente con un'opportuna scelta di testi si può mettere in difficoltà chiunque possieda una cultura generale ma sia privo di quelle conoscenze settoriali e del relativo armamentario lessicale padroneggiato dai cultori di una determinata disciplina. Il successo dei romanzi di intrattenimento dimostra che si può scrivere in modo comprensibile facendosi capire da una platea vasta, persino di indotti; i trattati di retorica, metrica e poetica settecenteschi potevano essere letti e compresi agevolmente da un lettore colto, mentre i saggi su tali argomenti proposti duecento anni dopo dalla Letteratura italiana Einaudi sfidano la pazienza dello stesso tipo di lettore, costringendolo a un tour de force mentale non indifferente. Ma è probabile che le mie considerazioni siano il frutto di una scarsa conoscenza di questi test. E sicuramente la conclusione del tema mi illuminerà, facendo evaporare la nebbia di misoneismo e scetticismo che mi obnubila.

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Luca FIOCCHI NICOLAI
24 aprile 2025 - 00:00
Sarebbe interessante conoscere i testi delle domande di "Literacy" poste al campione italiano prescelto, testi che non ho potuto reperire su internet dove abbondano invece le sintesi dell'indagine del 2013. Perché se quelli la cui comprensione attesta il livello cinque fossero ad alto tasso di formalizzazione o richiedessero competenze iperspecialistiche o settoriali, allora alla verifica si potrebbe attribuire l'intenzione di verificare il grado di inserimento degli intervistati in quella parte del mondo del lavoro più orientata all'innovazione tecnologica e alla nuova organizzazione aziendale. Pare che l'indagine non vertesse sulle competenze di scrittura. Ma in ogni caso, si può comprendere un testo di Antonio Gramsci con profitto e trarne delle inferenze e nello stesso tempo faticare a terminare la lettura di un articolo del Sole 24 Ore gonfio di termini dell'inglese dell'economia o rinunciare in partenza ad avventurarsi nella decifrazione di testi accademici scritti da linguisti per altri linguisti in una neolingua proterva e volutamente incomprensibile ai più, che fa dare ragione al Croce quando giudica un certo gergo della critica accademica antisociale. Vado fuori tema? no, se è interesse della Crusca comprendere quale italiano oggi viene privilegiato dai facitori di test per accrescere le competenze spendibili nella società; se quello delle presentazioni aziendali di mission e vision, e di consulent, o non invece un altro italiano, più umano e meno computerizzato, accessibile a una persona mediamente colta e magari, perché no, sufficientemente creativo e bizzarro. Perché altrimenti come atto di ribellione è preferibile di gran lunga essere incasellati dagli incasellatori europei un sano livello tre e lasciare alla Finlandia il primato.

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Risposta
Luca Fiocchi Nicolai
29 aprile 2025 - 00:00
Desidero spiegare meglio il mio pensiero. Poiché ogni testo dialoga con altri testi, la sua comprensione (vera) passa necessariamente per la conoscenza del contesto, cioè della biblioteca cui il testo si riferisce, come Umberto Eco ci spiega bene nel caso della traduzione. Ora, se il contesto rimanda a un sapere settoriale, tecnico, la comprensione è riservata a chi è in possesso di questo sapere. La lettura del resoconto di un evento sportivo sarà resa meno agevole, anche a un lettore colto, dal ricorso ad espressioni proprie del gergo di questa o quella disciplina agonistica, ammiccanti per esempio a chi sguazza in schemi e tattiche di gioco, così come il fitto mondo di riferimenti mitici cui allude la poesia di un autore classicista come il Monti potrà sfuggire all'esperto di economia o al fisico con scarse letture letterarie. In un paese in cui si perpetua in parte il divorzio tra cultura umanistica e scientifica la comprensione di un testo rischia di essere un'esperienza di gruppi separati; e non a caso la prosa di Italo Calvino viene considerata un possibile modello, per l'equilibrio in essa tra leggerezza, fantasia e precisione descrittiva. Per questo mi chiedo quali criteri si sono seguiti, dagli organizzatori dell'indagine, nel selezionare i testi più complessi che dovrebbero attestare un buon grado di "Literacy" ; quali conoscenze richiedono, quali studi e letture presuppongono. E, soprattutto, a quale modello di persona colta fanno ideale riferimento, se a un lettore di classici o a un laureato di economia aziendale ignaro di Giuseppe Parini.
Mirko Tavoni
15 aprile 2025 - 00:00
Penso che fare riferimento allo sfondo sociale generale della capacità di lettura, quale evidenziato dal rapporto PIAAC-OCSE 2024, come ai risultati di apprendimento evidenziati dai rapporti OCSE-PISA e dai rapporti annuali INVALSI per i vari gradi di scolarità, sia di importanza fondamentale per impostare le politiche scolastiche in termini realistici. Che lo abbia fatto Claudio Marazzini, l’esperto per la lingua italiana nella Commissione ministeriale incaricata di redigere le Nuove Indicazioni nazionali, è un fatto molto positivo. Per dare indicazioni sagge e possibilmente efficaci su cosa fare oggi e domani sembra infatti razionale partire dallo stato attuale delle cose, risultato di quello che abbiamo fatto fino a oggi, e studiarlo accuratamente.

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Pierino Venuto
04 aprile 2025 - 00:00
È una sconfitta acuta e cocente per me, per tutti noi insegnanti delle secondarie superiori; e il basso livello italiano mon riguardansoltanto la "literacy", ma anche la "numeracy" e il "problem solving". Il rapporto PIAAC-OCSE 2024 lo certifica in modo netto e inequivocabile, seppur con qualche sprazzo di luce sull'equità sociale italiana dei risultati; risultati comunque livellati verso il basso. Occorre davvero una seria e non pregiudiziale riflessione. Penso sia opportuno tornare a leggere, scrivere e far di conto; soprattutto a leggere e comprendere! Penso sia doveroso non disperdere il tempo-scuola nei mille rivoli di tante attività extracurriculari. Meno attività aggiuntive — talvolta inutili e pleonastiche — distraenti dal compito primario della scuola: la didattica delle competenze di base disciplinari. L'assunto mio — per carità: forse erroneo! — è che senza i mattoncini fondamentali delle conoscenze non potranno svilupparsi abilità che condurranno a effettive competenze deə nostrə ragazzə in formazione.

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