Nel corso del 2020 una delle parole che hanno colpito l’interesse dei nostri lettori è stata condizionalità, voce che si suppone usata inutilmente al plurale in luogo di condizioni (“le condizionalità del MES”) e il cui impiego è stato interpretato come un ulteriore vezzo dei media e della politica in linea con la tendenza a preferire termini nuovi e dai contorni più vaghi di quelli usati comunemente: si pensi a tempistica o problematica in luogo di tempi e problemi. Molti hanno pensato a un nuovo probabile caso di “sudditanza” dell’italiano nei confronti dell’inglese come nel caso di tecnicalità.
Per quanto riguarda il processo derivazionale di condizionalità e la sua coerenza con la morfologia dell’italiano si rimanda alla scheda di Chiara Mussomeli su premialità; qui si cercherà di tracciare la storia della voce all’interno della nostra lingua (e non solo).
L’ambito in cui attualmente condizionalità si incontra più spesso è, come hanno sottolineato anche i nostri lettori, quello della politica economica dell’Unione europea; un esempio per tutti:
Il commissario UE all’Economia, Paolo Gentiloni, ha sottolineato: «Ho lavorato molto perché il Mes fosse disponibile senza condizionalità […]» (Alberto D’Argenio, Via libera dei ministri al Fondo salva-Stati da giugno pronti 240 miliardi di euro, “la Repubblica”, 9/5/2020)
Leggendo questo passo, in cui il termine è preceduto dalla preposizione senza, è comprensibile la posizione di coloro che si domandano perché non si sia scritto semplicemente “senza condizioni”, presupponendo un’equivalenza tra condizionalità e condizione, che, qualora fosse reale, renderebbe il termine evidentemente superfluo. In altri testi, peraltro, si parla di Mes “senza condizioni” e i due termini, condizione e condizionalità, coesistono in un rapporto reciproco non troppo chiaro, almeno per i meno esperti:
MES senza condizioni: cosa significa?
Nelle ultime settimane, i Paesi dell’UE si sono dati battaglia sul Meccanismo Europeo di Stabilità, il cosiddetto fondo salva-Stati, osteggiato da Roma ma fortemente voluto da Amsterdam e Berlino. L’Olanda ha spinto fino all’ultimo minuto per inserire prestiti a 5 e 10 anni con alta condizionalità, dunque con condizioni piuttosto stringenti. (Cristiana Gagliarducci, Ok al MES senza condizioni. Ma cosa significa?, Money.it, 10/4/20)
La supposizione che condizione e condizionalità siano sovrapponibili è ulteriormente rafforzata dall’uso del termine al plurale, come in quest’altro passo:
Cosa farete col Mes? «La risposta andava data già da tempo. Il tema delle condizionalità è poco realistico: ne hanno di più i fondi del Recovery che stiamo per prendere. […]». (Francesca Schianchi, Graziano Delrio: “La ferita di Matteo è profonda. Difficile che si possa ricucire”, “La Stampa”, 17/1/2021)
Prima di tutto cerchiamo di capire il suo significato attuale nell’ambito d’impiego della politica finanziaria europea. I pochi dizionari che riportano il termine ne danno definizioni abbastanza generiche: ‘carattere condizionale di qualcosa’ (Zingarelli 2021 e 2022 s.v. condizionale; a quanto ci risulta l’unico dei sincronici monovolume a riportare il termine); ‘insieme di circostanze che determinano o che condizionano un evento, una situazione’ (GRADIT, che lo glossa come di “basso uso”); ‘Il complesso delle circostanze che condizionano o determinano certe situazioni o eventi’ (GDLI senza notazioni). Come si può notare la definizione di Zingarelli è del tutto astratta, mentre quelle di GRADIT e GDLI, praticamente sovrapponibili, si riferiscono a un insieme di circostanze che possono agire sulla realtà.
Benché nel Vocabolario online il termine non sia registrato, nel portale Treccani se ne trovano 74 occorrenze in testi riguardanti perlopiù il diritto, diritto del lavoro in particolare, ma anche la geografia antropica ed economica. Citiamo un passo che ci sembra utile a un chiarimento [neretto e sottolineato nostri].
Vanno lette in stretta connessione con le disposizioni sui livelli essenziali le nuove regole relative alla c.d. “condizionalità” (co. 40-47), intesa come quell’insieme di norme volto a subordinare l’erogazione di qualunque sussidio (sia in favore dei disoccupati che dei lavoratori sospesi) alla verifica di comportamenti attivi e cooperativi del lavoratore nell’attuazione del percorso definito (mediante il patto di servizio) al fine di rafforzare la sua “occupabilità” e/o di promuovere il suo reinserimento al lavoro. […] (Pietro Antonio Varesi, Politiche attive e servizi per l’impiego, Libro dell'anno del diritto 2013, treccani.it)
In base a contesti come questo ci sembra di poter affermare che la condizionalità di un contratto o di un accordo sia costituita dal suo dipendere da una serie di condizioni prestabilite dal fornitore di un bene o di un servizio che il destinatario del bene o del servizio è tenuto ad accettare e attuare, pena la sospensione dell’erogazione del bene o servizio in questione. Le condizioni, nell’ambito in cui ci stiamo muovendo, non sono costituite da singoli atti, ma da direttrici di comportamento a cui si deve aderire e a cui tutte le scelte dovranno essere necessariamente adeguate.
Intesa in questo senso, nel sistema di rapporti della UE con Paesi interni o esterni all’Unione stessa, la condizionalità può riguardare principi di democrazia:
Si chiama “regime di condizionalità”, ed è la nuova regola che subordina l’accesso ai fondi europei del Next Generation EU, al rispetto da parte dei Governi degli standard dello Stato di diritto. […] Condizionare l’accesso ai fondi europei al rispetto dello Stato di diritto, significa riconoscere all’Unione un potere di indirizzo sulla politica dei propri Stati membri. (Altalex.com, 25/01/2021)
In altri casi si tratta dell’adesione a un determinato tipo di modello di sviluppo economico, come nel caso dei finanziamenti dell’FMI (Fondo Monetario Internazionale) o del MES (o ESM).
I finanziamenti [dell’ESM] saranno condizionati alla sussistenza di seri rischi per la stabilità finanziaria dell’area e dei suoi membri […] e soggetti a condizionalità, ossia potranno essere erogati solo a fronte di precisi impegni da parte del Paese ricevente a seguire politiche di aggiustamento economico concordate. (Lessico del XXI secolo 2012, sv. ESM)
Se le linee direttrici della condizionalità si collocano su più piani diversi allora si parla di condizionalità anche al plurale:
La presenza cinese in Africa, […], costituisce per molti stati africani una valida alternativa al tradizionale partenariato con gli europei, […] dotato di fondi ma inclusivo di condizionalità precise (buona governance, lotta alla corruzione, sollecitazione alla cooperazione regionale, e/o firma di accordi di partenariato commerciale bilaterale, talora percepiti come una sorta di capestro dagli africani). (Mario Telò, Regionalismo, globalizzazione e governance globale, Atlante Geopolitico 2013)
Possiamo quindi dire che condizionalità e condizione si riferiscono a due concetti diversi: riprendendo e in qualche modo “semplificando” la definizione che ne danno GRADIT e GDLI, possiamo dire che nel contesto attuale la condizionalità costituisce l’insieme delle condizioni richieste per realizzare, attuare qualcosa.
Resta da capire se condizionalità sia un prestito recente dall’inglese oppure se la storia che ci racconta è diversa.
Poiché la voce ha a che fare con gli accordi vigenti nell’Unione europea, per avere un quadro della sua progressione in quell’ambito possiamo avvalerci del sito plurilingue Eur-Lex.europa.eu che fornisce l’accesso ai documenti giuridici dell’UE. Condizionalità costituisce una parola chiave per la ricerca e recupera anche documenti in cui non è presente, ma che includono l’aggettivo condizionale — il primo di essi risale al 1961 e vi si parla di “aiuti finanziari condizionali” mentre di “impegni condizionali” si parla in documenti relativi al bilancio degli anni successivi. Se cerchiamo invece il termine in quanto tale (tra virgolette) otteniamo 2.376 risultati (al 21/5/2021), di cui il meno recente risale al gennaio 1978, quando ancora non si parlava di UE ma di CEE:
…considerando che a tal fine è indispensabile raddoppiare i massimali d’impegno degli Stati membri, modificando contemporaneamente le norme relative alla condizionalità del concorso e alla vigilanza sul rispetto delle condizioni stipulate; (78/49/CEE: Decisione del Consiglio, del 19 dicembre 1977, che modifica la decisione 71/143/CEE relativa all’istituzione di un meccanismo di concorso finanziario, GU n. L 014, 18/1/1978 pp. 14-16)
Se confrontiamo il passo con quello equivalente nei documenti nelle altre lingue, vediamo che il termine corrispondente è presente in quello francese (“conditionnalité du concours”) e costituisce la prima occorrenza anche per quella lingua. Non si trova invece in quelli in inglese, tedesco e spagnolo: nei documenti in inglese e tedesco è stato usato il termine equivalente a condizioni (conditions e Bedingungen), mentre in spagnolo si è usato “carácter condicional”. Nello stesso anno, a nemmeno un mese di distanza, nelle versioni francese e inglese di un altro documento appaiono conditionnalité e, per la prima volta, conditionality, mentre nella versione italiana si parla di “rispetto delle condizioni”.
Il secondo documento in italiano in cui compare condizionalità risale al 1981 e questa volta si trovano i termini corrispondenti sia in francese, sia in inglese, sia in tedesco (Konditionalität, in Duden ascritto all’ambito economico); manca la versione in spagnolo del testo. Nel documento in questione il termine compare 13 volte nei testi in italiano e inglese, 10 nel testo in tedesco 8 in quello francese: evidentemente ormai il termine è entrato nel lessico dell’istituzione.
Almeno in questo ambito specifico, se di prestito si tratta, lo dobbiamo o all’inglese o al francese: si possono escludere come “prestatori” lo spagnolo, che, relativamente a questa documentazione, registra la prima occorrenza di condicionalidad dieci anni più tardi (1991), e il tedesco, che mostra un numero di occorrenze decisamente minore. A sostegno del prestito dall’inglese c’è la sua maggiore frequenza, ma come abbiamo visto, c’è un piccolo scarto temporale riguardo al primo ingresso, che depone a favore del francese. In ogni caso siamo certi che, almeno per la politica economica europea, il termine si sia affacciato tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del Novecento.
Dei dizionari italiani che, come detto, registrano il termine in senso non strettamente legato alla politica, GDLI e GRADIT riportano datazioni precedenti di vari decenni: il primo cita come prima (e unica) attestazione un passo dalla Storia come pensiero e come azione di Benedetto Croce la cui prima edizione risale al 1939 («Nella realtà, la “razza” non si può distaccare dal cosiddetto “ambiente”, cioè dalla condizionalità storica, né si può fissarla e attribuirle costanza, perché cangia col mondo che cangia»), mentre il secondo ha una data ancora precedente, il 1910, probabilmente riferita a un’altra opera di Croce Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana pubblicata appunto in quell’anno, che testimonia lo stesso sintagma (p. 157). In realtà il termine era stato usato qualche anno prima dal filosofo Erminio Juvalta nella Dottrina delle due etiche di H. Spencer e la morale come scienza del 1904 e in Per una scienza normativa morale del 1905 (si trova anche nel successivo Il vecchio e il nuovo problema della morale del 1914; cfr. Bibit e DiaCoris); e ancora prima da Antonio Labriola nel suo Discorrendo di socialismo e di filosofia del 1898 (cfr. DiaCoris). Ci troviamo in un ambito completamente diverso: si tratta di un concetto, la condizionalità storica, appartenente alla filosofia, in particolare all’etica, definibile come la connessione, l’interdipendenza di fatti o anche situazioni genetiche, dall’ambiente e da altri fatti; qualcosa di diverso dal senso che assume attualmente in ambito politico-finanziario e di più vicino alla definizione che fornita dallo Zingarelli.
C’è un altro settore in cui il termine veniva usato almeno dai primi anni del Novecento: quello del diritto penale. Troviamo le prime attestazioni in un articolo del 1906 sulla “Stampa” e in uno del 1913 sul “Corriere della sera”; in entrambi i casi di parla di condizionalità della pena. In effetti alla fine dell’Ottocento, con l’articolo 16 del codice penale (Art. 16. Regio Decreto 30 giugno 1889, n. 6133) fu introdotta la sospensione condizionale della pena. Nel testo però condizionalità non appare (si parla di “liberazione condizionale”), come non appare nei dizionari del diritto consultati (per cui si rimanda alla nota bibliografica).
Se poi ci rivolgiamo al corpus di Google libri, vediamo che il percorso della parola è iniziato molto prima dell’approvazione della riduzione condizionale della pena e dell’impiego in ambito etico-filosofico: all’inizio del XVIII secolo la troviamo in riferimento a un decreto (siamo quindi ancora in ambito giuridico) di papa Clemente XI relativo alla cosiddetta “controversia dei riti cinesi”. Senza entrare nel merito della questione, che ci porterebbe lontano dal nostro interesse propriamente linguistico, citiamo due testi, entrambi datati 1710, di due religiosi toscani: l’Apologia delle risposte date dal procuratore dell’eminentissimo signor cardinale di Tournon alli cinque Memoriali del p. Provana contro le Osservazioni fatte sopra di esse da un’autore anonimo ([Roma, s.e.]) di Giovanni Giacomo [Iacopo] Fatinelli e la Lettera scritta da Monsignor Assessore del S. Offizio alli PP. Generali de’ Predicatori, de gl’Agostiniani, e V. Commissarij Generali de’ Min. Osservanti, e Riformati di S. Francesco di Antonio Banchieri; in ambedue si parla, quasi in termini identici, della pretesa condizionalità del decreto papale. Riportiamo solo un passo dalla prima:
Non merita nota di troppa facilità, e franchezza il P. Provana, come dice l’Autore, per aver’ asserito nel suo Memoriale, che il Decreto del Papa sia quasi condizionato; le cui parole però non riferisce fedelmente; poiche [sic] lascia il quasi, dice assolutamente condizionato. Indi passa a provare la condizionalità con gl’argomenti, che riferirò nella seguente APOLOGIA. ([Giovanni Giacomo Fatinelli], Op. cit, Primo Memoriale, Osservazione VIII, p. 35)
Per quel che riguarda le altre lingue europee, le prime attestazioni del corrispondente spagnolo in Google libros risalgono all’inizio dell’Ottocento e raggiungono una frequenza significativa solo nella seconda metà del secolo (l’attestazione isolata che il grafico di Ngram Viewer mostra per il 1573 è frutto di un errore). Del resto condicionalidad non è registrato nel Diccionario Histórico della RAE (si trova nella Actualización 2020 con valore generico e nel Diccionario panhispánico del español jurídico glossato come termine dell’amministrazione e dell’EU e riferito alla normativa del FMI).
Nel corpus in tedesco di Google libri Konditionalität sembra apparire nei primi anni del XX secolo.
In francese, benché il TLFi non lo registri (vi si trova conditionnel attestato già dal XIV secolo), Google livres testimonia l’esistenza di conditionnalité intorno alla metà del XVIII in un testo di argomento giuridico: il Traité de l’indult du parlement de Paris, (vol. III, a cura di Melchior Cochet de Saint-Valier, Paris, Didot-Giffart-Barrois-Nyon fils, 1747, p. 48 e passim). Inoltre è presente in un’opera del 1762 sui Gesuiti (la citata “controversia dei riti cinesi” li vedeva come controparte rispetto al Papato): Extraits des assertions dangereuses et perniceuses en tout genre, que les soi-disans Jésuites ont, dans tuos les temps & persévéramment, soustenues, enseignées & publiées dans leurs Livres…, Paris, chez Pierre-Guillaume Simon, Imprimeur du Parlement, 1762. Benché di pochi anni, le attestazioni francesi sarebbero successive a quelle italiane.
Per quanto riguarda l’inglese, la prima attestazione di conditionality risulta invece precedente: l’OED rintraccia la prima attestazione del termine in un passo del teologo Richard Baxter risalente al 1651:
1 Faith is no cause […] of a mans own, Justification or Salvation, but a meer condition […]. Therefore it can be no cause but a condicion (which is an Antecedent, or Causa sine qua non) of childrens Holiness. Let others plead for its causality, I plead but for its conditionality. [La fede non è causa della giustificazione o salvezza dell’uomo, ma una semplice condizione […]. Pertanto può essere non una causa ma una condizione (che è un antecedente, una Causa sine qua non) della santità dei bambini. Lascio ad altri perorare la sua casualità; io ne peroro la condizionalità] (Plain Scripture Proof of Infants Church-Membership and Baptism, London, Robert White, 16533 p. 92)
Nel testo , riportato anche in Google books, il termine appare almeno altre quattro volte (pp. 297, 313, 321, 387). Pochi anni dopo lo troviamo in un’altra opera a carattere religioso dove si parla ancora di “conditionality of Faith”, il Vindiciæ Foederis; Or A Treatise of the Covenant of God Entered with Mankinde di Thomas Blake (London, Abel Keper, 1658, punti 21-22) e nello stesso secolo lo si trova usato al plurale in un altro testo pertinente lo stesso ambito religioso: Αὐτοκατακριτος or The Sinner condemned of Himself, (The preface signed: T. F., i.e. Thomas Ford, Minister of the Gospel in Evon.), London, Edward Brewster, 1668.
Spostato indietro di qualche secolo, sembra quindi riproporsi il “primato” dell’inglese.
L’origine del termine rimanda al latino, che ha condĭcĭo, condĭcĭōnālis e anche l’avverbio condĭcĭōnālĭtĕr, e, visti l’ambito d’uso e il contesto storico, si può ragionevolmente pensare che il suo retroterra si trovi nel latino usato nei secoli XVI e XVII nelle cancellerie europee. Nel corpus di Google libri non troviamo condicionalitas (o altre forme declinate) in linea con le forme del latino classico, ma vi si rintraccia conditionalitas (in analogia alla grafia conditione attestata in italiano antico; cfr TLIO) già all’inizio del XVI secolo nel Rosarium Sermonum predicabilium di Bernardinus de Bustis (Bernardino de’ Busti), giurista italiano divenuto francescano, edito nel 1498 a Venezia da Arrivabene e poi nel 1503 e nel 1513 da Rynmann ad Hagenau (Haguenau), in Alsazia. E di conditionalitas parlano Guillaume Pepin “theologo Parisiensi” nel suo Rosarium aureum del 1592 (Venezia, Bertani) e Niccolò Carbone nella Practica Practicarum, Et Compendium Curiarum Civilis & Criminalis del 1599 (Venezia, Franciscus de Franciscis e Francoforte, Marnius & Aubrius). Alla fine del secolo successivo si trova anche l’uso del plurale nel De Providentia Et Praedestinatione Meditationes Scholasticae, opera del gesuita spagnolo Andreas Junius (Andrés Junio) pubblicata a Lione nel 1678.
Evidentemente il termine circolava in testi in latino di ambito religioso e giuridico già dall’inizio del XVI secolo; è poi passato in inglese intorno a metà del XVII secolo e in italiano all’inizio del secolo successivo; per l’ingresso in lingua francese, come abbiamo visto, occorre attendere il 1747. Ancora più tardi si affermeranno lo spagnolo condicionalidad all’inizio dell’Ottocento e per ultimo il tedesco Konditionalität figlio del Novecento.
Condizionalità (così come i suoi fratelli europei) costituisce dunque un dotto europeismo circolante “in sottotono”, che nel nostro Paese è passato dall’ambito giuridico-religioso alla discussione etico-filosofica e al diritto penale.
Anche l’uso in riferimento alla politica internazionale è più antico di quanto testimoniano i documenti della UE: già nel primo ventennio del ’900 lo troviamo sui quotidiani, benché in senso più generico di quello odierno, riferito ai rapporti tra diversi stati nazionali. Ecco la prima occorrenza del 1914:
L’Europa, che è sicura del formale impegno assunto dal nostro paese, non ha diritto di chiedere altro: non ha diritto di connettere con quistioni di alta [sic] natura una quistione che è condizionata specificatamente da un trattato e che riflette nella sua condizionalità, interessi italo-turchi. (Il problema albanese e le complicazioni della proposta inglese, in La discussione europea sull’Epiro e la questione delle isole, “Corriere della Sera” edizione del pomeriggio, 3/1/1914)
Qualcosa di più vicino a quanto intendiamo oggi si trova, ancora sul “Corriere”, negli anni Trenta:
Tali accordi rappresentano una sistemazione transattiva di alcune questioni legate all’art. 13 del Patto di Londra, articolo redatto in una forma di «eccessiva» condizionalità, come ognuno può constatare rileggendolo. [dal discorso di Mussolini alla Camera sulla politica estera fascista] (L’irrefrenabile entusiasmo dell’Assemblea - L’affissione del memorabile discorso, “Corriere della Sera”, 26/5/1935)
E un’occorrenza dell’uso del plurale appare già in un articolo del 1941 apparso sulla “Stampa”:
Non manca davvero alla Germania materia con cui ampiamente consolarsi della valanga di contumelie che si scatena al suo indirizzo dai banchi del Senato americano dove la discussione sulla legge degli aiuti sempre più mostra la tendenza di divergere dal tema degli aiuti stessi, e delle condizionalità e conseguenzialità concrete […]. (Giuseppe Piazza, Germania e Italia sono decise ad applicare la dottrina di Monroe in Europa, “La Stampa”, 21/2/1941 n. 45 p. 6)
Negli anni successivi se ne rilevano ancora usi sporadici e a metà degli anni Settanta (si ricorda che il primo documento in Euralex è datato dicembre 1977) in ambito di politica finanziaria internazionale il termine, introdotto dall’uso di cosiddetta a testimonianza della “presa di distanza”, necessita di virgolette e spiegazione (identica) per due quotidiani nazionali “La Stampa” e “il Corriere della sera”; riportiamo il passo tratto dal primo:
Quest’ultimo prestito [di 250 milioni di dollari dalla Federal Reserve Bank], com’è consuetudine, sarà tuttavia versato in tranches progressive, a cui dovranno corrispondere garanzie economiche. Si tratta della cosiddetta «condizionalità»: il Paese che usufruisce delle tranches successive alla prima deve discutere con il Fondo la propria politica economica. (Fabio Galvano, Mercati valutari esteri La lira peggiora, “Stampa Sera”, 26/1/1976)
Dalla fine degli anni ’70, la sua presenza sulla stampa (comunque rara: fino al 2010 non si toccano le 10 unità annuali per testata e spesso si resta sotto le 3 unità) si lega all’argomento degli accordi finanziari nazionali o internazionali, o a quello dell’economia nazionale o globale, con pochissime eccezioni: il 30 novembre 1990 i quotidiani riportano le parole di Bettino Craxi su una possibile riforma del sistema elettorale (si parla quindi di politica interna) il quale afferma che “deve essere chiarita la cornice di condizionalità politica entro la quale la Dc intende far avanzare le sue proposte” (cfr. Stefano Marroni, CRAXI: ‘LA GUERRA SI AVVICINA’, “la Repubblica”; Maurizio Caprara, Riforme, Craxi si fa sospettoso ma la Dc lo rassicura, “Corriere della sera”; Augusto Minzolini, Sulla “grande riforma” Craxi sfida la dc, “La Stampa”).
Negli anni successivi condizionalità continua ad apparire virgolettato e accompagnato da spiegazioni che spesso assumono toni “familiari” nel tentativo di far capire a tutti una parola evidentemente ritenuta oscura, come in questo articolo apparso sulla “Stampa” nel 1996:
Tutto questo adottando la politica del bastone e della carota. […] Ma soprattutto con la concreta arma economica della “condizionalità”: rigare diritto, o dire addio agli aiuti che costituiscono la carota dell’equazione bosniaca. (Fabio Galvano, «Collega, ci la sentire una trasmissione?», “La Stampa”, 6/12/1996)
All’inizio del XXI secolo si comincia a parlare di una “nuova condizionalità” in un articolo con firme autorevoli:
È stata però inserita una nuova condizionalità, quella della lotta alla povertà. Per usufruire della cancellazione totale dei debiti i paesi devono dedicare un ammontare significativo di risorse […] alla spesa per l’istruzione, la sanità, l’assistenza sociale, invece che per l’acquisto di armi o beni di lusso. (Lorenzo Bini Smaghi, Fabrizio Costa, Chi cancella il debito è a metà dell’opera, “La Stampa”, 26/2/2000).
È ciò che Walter Veltroni chiamerà, qualche mese dopo, condizionalità democratica (cfr. Barbara Stefanelli, Veltroni, cara sinistra ricomincia dall’Africa, “Corriere della Sera”, 30/8/2000).
Sempre in questi anni il principio della condizionalità viene riferito, in termini e da posizioni diverse, anche all’immigrazione:
Il cardine degli accordi è costituito dal principio della condizionalità, contenuto già nel primo articolo della legge Bossi-Fini. “In altre parole: noi possiamo cooperare – spiega il sottosegretario all’Interno Fabio Mantovano – per lo sviluppo nei Paesi di provenienza, non abbiamo difficoltà a stabilire delle quote privilegiate per i flussi ma tutto questo a condizione che ci sia il rispetto da parte di questi Paesi di accordi di riammissione, di polizia e giudiziari […]”. (Giacomo Galeazzi, La Libia, il buco nella rete controlli, “La Stampa”, 21/6/2003)
Dal 2004 sui quotidiani si comincia ad associare il termine alla PAC Politica Agricola Comunitaria: “la «condizionalità» di accorgimenti ecologici a cui devono attenersi le aziende agricole se non vogliono vedersi ridurre i sussidi comunitari” (Carlo Petrini, Una patente a punti anche per ricevere i contributi europei, “La Stampa”, 19/12/2004). Si parla così di condizionalità ambientale (cfr. Dalla frutticoltura alla nocciola, “La Stampa”, 16/10/2005) e si conia anche un derivato tramite il prefissoide eco-, eco-condizionalità (cfr. m.tr., 0gm, il Piemonte studia regole di coesistenza, “La Stampa”, 16/1/2005).
A partire dal 2010, anno in cui la crisi economica della Grecia raggiunge il suo massimo e l’FMI approva un prestito “salvifico”, ma oneroso nei confronti di quel paese, non solo le occorrenze sui quotidiani nazionali cominciano a farsi sempre più frequenti, ma iniziano a portarsi dietro un corredo di aggettivi con valore negativo: la condizionalità è spesso forte (anche molto molto forte), stretta, stringente, incisiva e soprattutto severa.
Nel 2012 il termine registra una prima impennata: 106 occorrenze sulla “Repubblica” distribuite in 60 articoli e 37 sulla “Stampa” (l’anno precedente rispettivamente 7 e 3), mentre il “Corriere” si mantiene sulle 5 attestazioni (4 nel 2011). I temi toccati sono gli stessi, bastano a evocarli sigle che ormai conosciamo bene, MES, FMI, BCE, e i nomi di Mario Monti e Mario Draghi. L’impennata comunque si esaurisce presto e negli anni successivi le occorrenze ritornano nei numeri consueti.
Dal 2013 si riscontra l’uso del termine macrocondizionalità (o macro condizionalità) per indicare il vincolo che prevede il blocco dei finanziamenti agli stati con deficit eccessivo o altri squilibri macroeconomici in discussione al Parlamento europeo in quell’anno (cfr. Ivo Caizzi, L’allarme sui fondi UE e le parole di Trigilia, “Corriere della Sera” 21/11/2013).
Dopo l’hapax craxiano degli anni Novanta, in questo secolo, condizionalità comincia a riferirsi a questioni di politica interna, in particolare di reddito di inclusione e più tardi di reddito di cittadinanza.
I tecnici le chiamano “condizionalità”. Sono i tanti paletti che vengono piantati sul terreno del reddito di cittadinanza da una parte per tentare di renderlo più efficace come strumento per spingere verso il lavoro chi non ce l’ha, dall’altra per limitare il suo costo a carico del bilancio pubblico. (L. Sa., Niente reddito a chi non partecipa ai progetti del Comune, “Corriere della Sera”, 14/1/2019)
Il passo citato risale al 2019 e la parola, ancora tra virgolette, viene spiegata (nel titolo in modo assai sbrigativo) e ascritta all’uso dei “tecnici”.
Siamo così arrivati al 2020; ormai il termine dei tecnici risulta abbastanza frequente da colpire l’attenzione dei meno distratti: 285 occorrenze sulla “Repubblica” (di cui almeno 71 al plurale), 180 sulla “Stampa” (solo 3 al plurale) e 38 sul “Corriere” (13 al plurale). Negli articoli si parla perlopiù del MES, che il governo italiano è restio ad accettare proprio a causa della (o delle) condizionalità, e anche degli interventi che l’UE propone per affrontare la pandemia da Covid-19. Se in passato abbiamo già visto associare al termine aggettivi “preoccupanti”, adesso se ne usano anche di più cupi: le condizionalità sono impegnative, rigide, impraticabili, impietose, famigerate, soffocanti, tanto che si arriva anche alle condizionalità capestro. Quanto meno sono dure, e allora si parla di ammorbidirle (cfr. Tonia Mastrobuoni, Coronavirus, Lagarde inverte la rotta: la Bce lancia "quantitative easing" da 750 miliardi per l’emergenza, Repubblica.it 19/3/2020), oppure molto pesanti (se non terrorizzanti visto il riferimento alla SPECTRE) e quindi vanno alleggerite: «“Il Mes (il Fondo salva-Stati) non è la Spectre, è uno strumento condiviso, la discussione è sulle condizionalità", e si parla di alleggerirle» (Gentiloni: "Sì a coronabond per obiettivi, una strada per l’accordo c’è", Repubblica.it, 30/3/2020).
Anche se sono i fondi europei a dominare la discussione politica il termine continua a essere usato anche in riferimento ad altri fondi, quelli del reddito di cittadinanza, ed è proprio in questo ambito che si genera un derivato: l’incondizionalità.
Reddito universale e incondizionato ai diciottenni 15.000 euro al compimento dei diciotto anni, a tutte e tutti. […] I punti fondamentali sono proprio l’universalità e l’incondizionalità: misure selettive generano distorsioni e arbitrarietà, mentre l’universalità favorisce un senso di appartenenza comune. (Flavia Carlorecchio, Sviluppo sostenibile, il Festival con i giovani come protagonisti e le loro istanze rispetto al futuro: dialoghi e riflessioni, repubblica.it, 24/9/2020)
Nel 2021, al 1° luglio, i numeri delle occorrenze sembrano mostrare qualche cedimento e possiamo presumere che non saranno raggiunti i livelli dell’anno precedente. Come in passato si notano segni di una tendenza allo sconfinamento del termine al di fuori dei consueti ambiti:
Nell’attesa «che si faccia piena luce sulla dinamica dell’incidente, chiediamo che si aprano subito un tavolo aziendale e uno ministeriale, […] per definire opportune condizionalità per le aziende che non effettuano una formazione sistematica sui temi della sicurezza». [da comunicato sindacale] (Funivia precipitata a Stresa, il ministro Giovannini: “Apriremo un’inchiesta”. Draghi: “Dal governo cordoglio e pensiero ai bambini feriti”, lastampa.it, 23/5/2021)
E si possono rilevare anche impieghi un po’ “disinvolti”: «Per il Pnrr, il Pd ha chiesto uno sguardo particolare, quasi "di condizionalità", per donne e giovani» (Raffaele Ricciardi, Monica Rubino, Recovery fund, le richieste dei partiti al governo e i nodi da sciogliere in cdm, repubblica.it, 23/4/2021).
In ogni caso, almeno per adesso, il termine continua a configurarsi come un tecnicismo della politica finanziaria che emerge ogni volta che la discussione in questo ambito specifico coinvolge più da vicino gli interessi di ognuno di noi e torna a “inabissarsi” di nuovo quando la tempesta è passata. Magari per ripresentarsi come nuovo ed estraneo (e quindi straniero) fra qualche anno, magari di nuovo virgolettato.
Matilde Paoli
22 marzo 2022
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Durante il periodo natalizio gli uffici dell'Accademia resteranno chiusi il 24 e il 31 dicembre 2024.
L'Archivio resterà chiuso dal 24 al 31 dicembre 2024 compresi, la Biblioteca dal 24 dicembre 2024 al 3 gennaio 2025 compresi.
Per concomitanza con le Feste, la visita all'Accademia della Crusca dell'ultima domenica del mese di dicembre è stata spostata al 12 gennaio 2025 (ore 11).