Venghino, lettori, venghino! Abbiamo le risposte per voi!

Diverse lettrici e lettori chiedono se siano corrette e in quali contesti eventualmente si usino forme quali venghino, venghi e avvenghino invece di vengano, venga, avvengano.

Risposta

La risposta è assai facile: si tratta di forme substandard, non accettate nell’italiano contemporaneo standard e d’uso comune.
Forme di questo tipo nascono per uno scambio tra le desinenze di congiuntivo presente proprie dei verbi della prima coniugazione (che è la coniugazione che contiene il maggior numero di verbi, e la più produttiva in italiano contemporaneo) e quelle proprie delle altre coniugazioni. L’italiano standard ha le desinenze ‑i nelle forme del singolare e ‑ino nelle forme di terza plurale nel congiuntivo presente dei verbi della prima coniugazione (ami/amino da amare, parli/parlino da parlare, ecc.) e le desinenze ‑a nel singolare e ‑ano nella terza plurale nel congiuntivo presente dei verbi delle altre coniugazioni (veda/vedano da vedere, legga/leggano da leggere, dorma/dormano da dormire, finisca/finiscano da finire, ecc.). Si osservi che il verbo andare, comunemente considerato appartenente alla prima coniugazione, ha però nel congiuntivo vada/vadano, non vadi/vadino (forme substandard di cui si è trattato anche qui); le desinenze del congiuntivo sono coerenti con l’etimo vadĕre, che non apparteneva alla prima coniugazione latina; il verbo andare dell’italiano contemporaneo è notoriamente un concentrato di cosiddette “irregolarità”: al suppletivismo delle basi (vad, v‑ e anda‑) si aggiunge l’eteroclisi, cioè la flessione di diverse forme del paradigma secondo coniugazioni diverse.

Mentre digito il testo di questa risposta il correttore ortografico di Microsoft Word mi corregge automaticamente vadi in vada, ma non corregge vadino, venghi e venghino (limitandosi a sottolineare in rosso queste forme). Il diverso trattamento di forme altrettanto non standard da parte di questo strumento commerciale può forse aver giocato un ruolo nel far insorgere dubbi in chi ci ha scritto.

Gaetano Berruto (Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 64) definisce forme verbali analogiche quali vadi e venghino “forme caricaturali dello stereotipo dell’ital[iano] popolare”.

In un altro contributo nel quale si studiano i tratti peculiari dell’italiano popolare (L’italiano popolare e la semplificazione linguistica, “Vox Romanica”, 42 [1983], pp. 38-79, ripubblicato in Id., Saggi di sociolinguistica e linguistica, a cura di Giuliano Bernini et al., Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012, pp. 141-181, da cui si cita), Berruto avanza anche un’altra ipotesi, complementare più che alternativa a quella già esposta, sulla genesi di queste forme: «almeno per certi sostrati dialettali, per il congiuntivo è possibile vedere una forma ipercorretta, essendo il congiuntivo – vitale nei dialetti [...] – simile o uguale al corrispondente italiano: cf. per es. piemontese [k-a ˈvaga] “che vada”, e in italiano popolare piemontese mi pare specialmente frequente la forma in ‑i» (Berruto 2012, p. 153). L’uso di congiuntivi in ‑i, ino invece che in ‑a, ano sarebbe quindi a volte dovuto anche a un tentativo, più o meno consapevole, di produrre forme il più possibile diverse da quelle dialettali, percepite per definizione come scorrette in italiano.

Va anche ricordato che la assoluta inappropriatezza di forme quali vadi, venghi, venghino ecc. caratterizza l’italiano standard contemporaneo, ma non la lingua letteraria di epoche del passato. Luca Serianni (nel suo Viaggiatori, musicisti, poeti. Saggi di storia della lingua italiana, Milano Garzanti, 2002, p. 26) osserva:

è tutt’altro che raro che le scritture del passato offrano esempi di forme che oggi risultano devianti e suscitino [sic], anzi, una forte sanzione sociale. Si pensi ai congiuntivi analogici in ‑i dei verbi irregolari della prima classe vadi, vadino, facci, faccino [...]
Sono forme che, oggi, appartengono alle scritture popolari e che squalificherebbero chi le facesse proprie anche nel parlato informale: negli anni Settanta la fortunata serie del Fantozzi di Paolo Villaggio faceva leva tra l'altro su forme come vadi o facci per ridere alle spalle dello sfortunato ragioniere. Eppure, in passato, forme del genere erano abbastanza frequenti anche in scrittori di raffinata cultura: da Dante ad Ariosto. Dalla LIZ 2.0 ricaviamo che vadi, vadino, facci, faccino sono largamente attestati dal Duecento (Guittone d'Arezzo e Novellino) al Leopardi delle Operette morali. I grammatici ottocenteschi prendevano le distanze da congiuntivi del genere ma, trovandone qualche esempio nei classici, non li consideravano (come avverrebbe oggi in qualsiasi scuola da Chiavenna a Sciacca) errori marchiani.

Le osservazioni di Serianni, con il riferimento alle forme di congiuntivo non standard messe in bocca ai personaggi della serie di Fantozzi, confermano la valutazione di Berruto relativamente al valore caricaturale di queste forme, spesso citate per marcare stereotipicamente la mancata padronanza della lingua standard da parte di chi le produce.

Un approfondimento merita la forma venghino, ben nota a chi ricordi o comunque conosca il richiamo un tempo utilizzato da imbonitori e venditori ambulanti per attrarre il pubblico. Tale richiamo è attestato in diverse forme, che prevedono o meno la ripetizione del verbo, e possono presentare particolarità regionali. La forma forse più diffusa è Venghino, signori, venghino!, ma si trova usato anche Venghino, signori!, senza ripetizione del verbo, e, in varietà settentrionali, Venghino, siori, venghino!.

Un’attestazione ottocentesca che illustra bene il contesto d’uso di questa espressione si ha nel racconto Le centomila disgrazie di Beppino, apparso nel “Giornale per i bambini”, V, 28, 4 giugno 1885, pp. 364-365. Beppino è un ragazzo che per andare da casa a scuola deve attraversare “l’esedra”, cioè la piazza di Roma detta ancora comunemente Piazza Esedra (l’odierno nome ufficiale è Piazza della Repubblica). La piazza è descritta nel racconto come “circondata quasi sempre di baracche, dove fanno vedere i topi ammaestrati, la donna che scrive con i piedi, l'automa, le bestie feroci...”. Un giorno a Beppino si presenta la scena seguente:

Sentì batter la gran cassa da una baracca a destra, e con la coda dell’occhio, mentre passava, vide un uomo ritto su una scalinata che sbracciava a più non posso, e urlava per invitare la gente, e dietro a lui un telone a colori fiammanti. [...] l’uomo, dall’alto della gradinata, vestito da selvaggio e con un serpente boa al collo, faceva la spiegazione:
Venghino signori, venghino, e resteranno istupiditi. Questi sono i terribili coccodrilli del Gange, del Nilo e delle Amazzoni, che il celebre viaggiatore Stephenson ha acchiappato con le sue proprie mani, ed ha allevati come figli. I terribili mostri sono docili come agnellini e lo amano e lo riveriscono. Venghino, signori, venghino!

Abbiamo qui una testimonianza che appare abbastanza realistica dell’uso dell’espressione “Venghino, signori, venghino” per attrarre il pubblico a pagare per assistere a fenomeni scarsamente credibili (quali coccodrilli catturati a mani nude, allevati come figli, e che si comportano come agnellini). In sostanza, per truffare un pubblico credulone.

Si noti anche che già in questo testo le espressioni non standard, messe in bocca all’imbonitore, sono segnalate dall’autore con il corsivo [nostro il neretto], che rimarca il suo distacco: appare in corsivo non solo la forma venghino, ma anche istupiditi, presumibilmente malapropismo per ‘stupiti’.

L’espressione “Venghino, signori, venghino” (e varianti) è ormai divenuta una vera e propria formula, spesso utilizzata con intenti ironici per richiamare l’attenzione su azioni che chi scrive stigmatizza o considera truffaldine, come negli esempi seguenti:

VENGHINO, SIGNORI, VENGHINO - GIORGETTI IN VERSIONE PIAZZISTA: DISPERATO, PROVA IN TUTTI I MODI A CONVINCERE GLI INVESTITORI A COMPRARE A BUON MERCATO L’ARGENTERIA DI STATO. ORA TOCCA A MPS, DI CUI È GIÀ STATO VENDUTO IL 25%... (m.dagospia.com, 9/2/2024)

Come fossi un venditore ambulante di merci all’ingrosso, salgo sul camion che monta l’immagine della trasmissione della De Filippi con tanto di logo “Telemarket” sovrapposto e imbraccio il megafono elencando tutte le opere candidate al concorso, senza dimenticare di intonare ogni tanto il popolare richiamo che sembra calzare a pennello per la nuova strategia della Collu: “venghino siori venghino”! (Iginio De Luca, Blitz del 25 novembre 2016 di fronte alla Galleria Nazionale [Qui l’autore, l’artista Iginio De Luca, critica un’iniziativa dell’allora direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Cristiana Collu; i fatti risalgono al 25 novembre 2016])

La formula compare anche nel titolo del volume di Liliana Tangorra, Venghino, signori! Storia dei teatri di Puglia e analisi del patrimonio pubblicitario (1840-1940), Bari, Quorum Edizioni, 2018; l’autrice presenta il proprio testo come segue:

La famosa frase ‘Venghino, signori, venghino!’ che gli urlatori e i banditori pronunciavano ad alta voce per invogliare gli spettatori ad assistere a spettacoli circensi, di prosa e varietà, diventa, nel mio studio, il pretesto, o meglio l’incipit, per richiamare l’attenzione del lettore o degli studiosi ad assistere a una nuova epifania, che vede il mezzo pubblicitario come protagonista per la conoscenza di una storia artistica e culturale non troppo lontana.

Infine, troviamo la formula anche in contesti in cui è ancora usata genuinamente come formula di invito alla partecipazione in iniziative senz’altro non truffaldine, promosse da istituzioni rispettabili, come nei due testi seguenti:

Venghino signori, venghino
Le vetrine dei negozi espongono la mercanzia; quella migliore, di solito. Le vetrine mettono in mostra, dispongono gli oggetti con perizia, richiamano il passante, suscitano desideri, fanno venire l’acquolina in bocca. È il loro mestiere.
Poi però per conoscere le virtù dei prodotti, per annusarli da vicino, bisogna entrare in bottega.
Anche qui, in questa sezione di Lombardia Beni Culturali, si fa qualcosa del genere. Si mette in mostra una parte, piccola, delle collezioni. Con l’invito ad entrare in bottega.
Venghino signori, venghino. (Regione Lombardia Beni culturali, 10/9/2008)

“Venghino Signori, Venghino! Una tenda per incontrarsi” è l’invito che il Coordinamento Oratori Fermani vuole proporre per questo nuovo Anno Oratoriano che si apre, inserendosi nel più ampio e attuale cammino sinodale della Chiesa. (oratorifermani.it, 6/10/2022)

In conclusione: le forme standard sono oggi venga, vengano, avvengano; l’uso spontaneo di forme quali venghi, venghino, avvenghino è percepito nell’italiano d’oggi come indice di scarsa cultura linguistica, e di mancata padronanza dell’italiano standard. Il fatto che tali forme e altre dello stesso genere (vadi, facci, ecc.) si trovino usate talvolta in opere di importanti autori del passato si spiega per il fatto che il processo di standardizzazione della lingua italiana si è compiuto (nella misura in cui possa dirsi pienamente compiuto) solo in tempi recenti. La forma venghino è poi ancora in uso in contesti di citazione: la sequenza “venghino, signori, venghino” e varianti è a volte usata, da parte di parlanti competenti, come citazione di una formula diffusa nel passato, sia in contesti in cui si vuole implicare che una certa iniziativa cui il pubblico è richiamato è di carattere truffaldino, sia scherzosamente, come formula di richiamo e invito “prefabbricata”, anche in contesti non sospetti.

Anna M. Thornton

22 aprile 2024


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