Sono arrivate al nostro servizio di consulenza diverse domande su quale sia il verbo da usare come opposto di annuire e sull’uso del sostantivo femminile annuizione.
Il verbo annuire – che deriva dal lat. adnuĕre ‘accennare, assentire’, formato col prefisso ad- premesso a *nuĕre, non attestato (l’Etimologico), che è a sua volta (come precisa, tra gli altri, il DELI) un derivato di nutus ‘cenno del capo’ – è una parola di AU (‘Alto Uso’) nel Vocabolario di base di Tullio De Mauro (1980; appartiene alla stessa fascia anche nell’ultima versione del 2016, che si legge liberamente sul sito Internazionale.it). Il verbo è registrato nel GRADIT nelle accezioni ‘fare uno o più cenni di assenso’ (marcata come CO ‘Comune’) ed ‘estens., acconsentire’ (BU ‘Basso Uso’): la sua caratterizzazione semantica include, dunque, la rappresentazione di un gesto (sulla definizione di gesto, anche in rapporto alla resa verbale, cfr. almeno, per quanto riguarda l’àmbito italiano, Poggi 2010, e anche Telmon 2009 e Nobili 2019). È, da questo stesso dizionario, datato, nel primo significato, 1810, con riferimento, come si legge nel GDLI, all’attestazione nella traduzione, realizzata da Vincenzo Monti, dell’Iliade, e, nel secondo, 1794, che rimanda, come specifica il DELI, a un’occorrenza nella rivista “Notizie del mondo” (cfr. anche Devoto-Oli 2025). Lo Zingarelli 2025 anticipa consistentemente la datazione av. 1494; analoga è l’indicazione fornita dal Sabatini-Coletti 2024, che però, per le parole documentate prima del sec. XIX, non riporta l’anno, ma il secolo della prima attestazione.
La lessicografia italiana indica come contrari di annuire i seguenti verbi e locuzioni verbali: negare, dire di no, rifiutare, ricusare (Devoto-Oli 2025); negare (GRADIT); scuotere il capo, far cenno-dire di no, negare, rifiutare, ricusare, opporsi (Sinonimi e contrari Hoepli online); disapprovare, dissentire, negare, respingere, rifiutare (Sinonimi e contrari Treccani online).
Nell’individuazione dell’antonimo, i lettori e le lettrici che hanno posto le domande sono ricorsi alla creazione di parole nuove, in assenza di verbi che presuppongono anche la lessicalizzazione di un gesto (fatta eccezione per scuotere il capo e far cenno di no, che però, in quanto forme analitiche, vengono percepiti come non rispondenti al principio di economia linguistica). Si tratta di formazioni, composte da prefissi o elementi che riprendono la parte iniziale di altre parole (e che conferiscono al “neologismo” il tratto [+ negativo]) e da -nuire, che costituisce il nesso con annuire: abnuire (con ad > ab) e dinuire (con di- da diniego), a cui si può aggiungere dinire (da dire di no), che è stato oggetto di un video pubblicato da un utente di Tiktok nel mese di settembre 2024. Tutte e tre le parole presentano alcuni problemi relativi ai meccanismi di formazione e ai rapporti formali e semantico-concettuali con annuire:
a) abnuire sembra troppo simile ad annuire per essere considerato suo antonimo. Va poi detto che non sono sopravvissute in italiano, per tradizione diretta, parole formate con la preposizione ab in funzione di prefisso e che il nesso -bn- tenderebbe all’assimilazione;
b) dinuire sembra essere, dal punto di vista formale, troppo distante da diniego e, forse, troppo simile a diminuire. Il prefisso de-/di- indica poi una decrescita più che una negazione;
c) dinire sembra perdere del tutto la relazione col gesto, vista anche la sua derivazione, niente affatto trasparente, da dire di no (si sarebbe dovuto infatti, se mai, formare dinoire).
Un’eventuale parola nuova, da considerare antonimo grammaticale di annuire, potrebbe essere disannuire – formata da un prefisso con valore negativo (su cui si veda, su questo sito, la risposta di Raffaella Setti, Differenze tra i prefissi dis-, de-, in- e a-) –, di cui in rete si rintraccia un solo esempio:
– Non posso – ;mormora facendo scivolare una mano dietro la mia schiena; ;– sei fidanzato? – ;chiedo afflitta, no, è il secondo! Scoppia a ridere e disannuisce, allora è gay? Il cerchio si restringe a queste due opzioni, ma la seconda, la scarto immediatamente; un ragazzo del genere: da come balla, da come mi guarda e da come le sue grandi mani si posino sul mio sedere .. non può di certo essere omosessuale. (HELLIson, Loved you first, efpfanfic.net, 25/11/2012)
La gestualità che esprime negazione – come si osserva nella raccolta di de Jorio (1832, pp. 222-229), che ha tentato di confrontare i gesti dei napoletani con quelli rappresentati nelle ceramiche dell’antica Grecia – si manifesta in vario modo e include, tra gli altri, i movimenti della testa: l’autore menziona, in particolare, i gesti che si fanno con la “testa dritta a piombo, volgendola alternativamente a destra ed a sinistra, e restando dritto il collo” e la “testa appena alzata come per ispingerla in dietro”. La prima descrizione può essere resa verbalmente con la locuzione scuotere la testa, mentre la seconda sembra descrivere un gesto simile a quello che solitamente si abbina, soprattutto nell’Italia meridionale (i gesti possono, infatti, subire variazioni regionali anche molto marcate), al cosiddetto “clic apicodentale”, che esprime negazione e/o rifiuto e che consiste nel far schioccare la lingua, attraverso una sua rapida ritrazione, contro i denti e nel compiere contemporaneamente un movimento che comporta “sollevamento e […] spostamento all’indietro” del capo (D’Achille 2011, p. 1545; cfr. anche Nobili 2019). Nello scritto, il suono emesso quando si realizza tale gesto è reso con l’ideofono tz (D’Achille 20194, p. 142), come, tra l’altro, dimostrano questi recenti esempi letterari:
Ricevette un semplice cenno negativo, un mezzo movimento in su del mento accompagnato da un tz, alla siciliana. (Roberto Rosati, L’isola di Santa Vittoria, Raleigh, Lulu.com, 2010, e-book; in questo caso il fonosimbolo è utilizzato in funzione di s.m.inv.)
Lala ride, il barista fa tz con la bocca e gli altri lo accompagnano con una serie di Seh e Amunì. Io: muto. (Giuseppe Rizzo, Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia, Milano, Feltrinelli, 2013, e-book)
Per la descrizione del suddetto “clic” si fa solitamente ricorso al sostantivo maschile diniego ‘negazione, rifiuto: fare un gesto, un segno di d.’ (CO ‘Comune’ nel GRADIT), che deriva dal verbo denegare – anche nelle varianti, per il Sabatini-Coletti 2024, “antica” diniegare e “non comune” dinegare –, dal lat. dēnĕgāre, documentato già nella seconda metà del sec. XIII (GRADIT; cfr. anche TLIO s.v., che, nel senso ‘rifiutare assolutamente’, lo attesta nella Storia de Troia e de Roma del 1252-1258). Si tratta, a dire il vero, di un verbo non molto frequente nell’italiano contemporaneo, come indica il dizionario demauriano, che lo marca, non a caso, come LE (‘Letterario’). Tra i suoi significati, vi è anche quello di ‘fare cenno o segno di diniego’, come ricorda il Vocabolario Treccani online con un esempio tratto dalle Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo (1867), in cui occorre nella suddetta variante diniegare:
Vengo a dirle netto e tondo che se il signor Conte di Fratta non è capace di tutelare gl’interessi della Serenissima, ci son qua io poco lontano, che me ne sento in grado. Ella accoglie in casa sua contrabbandi e contrabbandieri. No, no, Reverendo… Non serve il diniegare col capo. (Ippolito Nievo, Opere, a cura di Giampaolo Rugarli, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1995, p. 142)
Il “clic” rappresenta il gesto contrario a quello con cui si esprime assenso e il verbo attraverso il quale è descritto può, dunque, essere considerato un antonimo lessicale di annuire, anche per il fatto che lessicalizza un gesto di negazione (come, del resto, le più volte citate locuzioni scuotere il capo e far cenno di no).
Veniamo ora alla seconda domanda che ci è stata posta, ovvero al possibile utilizzo del sostantivo annuizione, deverbale in -zione, suffisso produttivo (così come anche -mento) nella formazione dei nomi d’azione a partire da verbi prefissati, come annuire (cfr. Gaeta 2004, p. 338). Il vocabolo è documentato a partire dalla fine del XVII secolo e poi in quello successivo, anche in opere lessicografiche (il dizionario di Bolza cita s.v. annuire, oltre ad annuizione, anche annuimento, che pure è attestato, stando ai dati offerti da Google libri, a partire del XIX secolo):
In tale stato di cose voi troverete indispensabile la mia annuizione alla dimanda dell’amico […]. (Alberto Fortis, N. LXIII L’Ab. Fortis al Prof. Spallanzani, 1 maggio 1793, cit. in Pierre Touvenel, La guerra di dieci anni. Raccolta polemico-fisica sull’eletrometria galvano-organica, Verona, s.e., 1802, p. 293)
L’incolpato o troppo semplice, o sconsigliato, o inavvertente può facilmente esprimere un moto di annuizione, e il Giudice può facilmente e di buona fede applicarlo ad un senso non inteso dall’incolpato medesimo. (Francesco Foramiti, Delle forza legale delle prove ne’ giudizi criminali secondo il codice penale di S. M. Francesco II, Venezia, Gio. Parolari, 1814, p. 21)
1. Annuire (propriamente: accennare col capo di sì), accondiscendere; annuimento, annuizione, suoi astr. Connivenza, l’essere d’accordo con altri intorno ad alcuna cosa. (Giovan Battista Bolza, Vocabolario genetico-etimologico della lingua italiana, Vienna, Stamperia di Corte e di Stato, 1832, p. 266)
Si rintraccia in un isolato esempio recente, tratto da un manuale di psicologia della comunicazione, questa occorrenza di “gesti di annuizione”:
Tra gli atteggiamenti interpersonali l’amicizia e l’ostilità sono forse le categorie più rilevanti. Per comunicare i segnali principali sono:
– maggiore prossimità;
– orientazione fianco a fianco;
– sguardo intenso e reciproco;
– viso sorridente;
– gesti di annuizione;
– postura aperta e rilassata;
– contatto fisico e frequente;
– tono della voce acuto. (Manilo Talamo, Mauro Maldonato, Psicologia della comunicazione. Cibernetica, fenomenologia e complessità, Napoli, Ellissi, 1990, p. 88)
Va segnalato, inoltre, che i dizionari storici, etimologici e dell’uso contemporaneo (DEI, Devoto-Oli 2025, GDLI, GRADIT, Sabatini-Coletti 2024, Vocabolario Treccani online, Zingarelli 2025) registrano il vocabolo annuenza ‘l’atteggiamento di chi è o si dimostra d’accordo’ (Devoto-Oli 2025) e ‘approvazione, consenso’ (GRADIT; lat. annuentia, dal p. pres. adnuē(n)s -entis), derivato in –(e)nza, suffisso produttivo soprattutto nella formazione di nomi di status (come presidenza, dirigenza e supplenza), di qualità (come beneficenza, benevolenza e scemenza) e d’azione (anche collettivi come adunanza; cfr. Gaeta 2004, pp. 346-348, e 2023; Rainer 2004a, pp. 243 e 249; 2004b, p. 310). A proposito di quest’ultima categoria, che interessa il sostantivo qui esaminato, Fiorentino (2010, p. 137) precisa che
il suffisso -(a/e)nza ;si aggiunge perlopiù a verbi stativi (sia pure con qualche eccezione, come nel caso di ;partire ;→ ;partenza). I derivati con questo suffisso sono desueti (consolanza, ;ritornanza, ;perdonanza) o hanno perso il valore di nome di processo e conservano quello concreto, di risultato (udienza, ;ordinanza, ;usanza). Come i verbi stativi da cui principalmente derivano, i derivati in -(a/e)nza ;designano il processo come aperto, dunque imperfettivo: ;conoscenza, ;accoglienza, ;ubbidienza.
Il vocabolo è marcato “ant.[ico]” dal DEI, “raro” dal GDLI, BU (‘Basso Uso’) dal GRADIT, “non com[une]” dal Devoto-Oli 2025, dal Sabatini-Coletti 2024 e dal Vocabolario Treccani online e “lett[erario]” dallo Zingarelli 2025 ed è datato 1781 (GRADIT), indicazione cronologica che è possibile, attraverso Google libri, anticipare al 1732:
e se per fine tutto sia segreta pratica, tutto artifizio, tutto ingiusto, ciò, che s’è fatto senza averne la lor annuenza, e che non fu a seconda del lor impegno (Scritture che sono state secretamente distribuite dalla corte di Roma agli eminentissimi signori cardinali per aver il loro sentimento sulle controversie con quella di Torino e risposta alle medesime, Torino, Gio. Battista Valletta, 1732, p. X)
Mi sembra, inoltre, interessante riportare questa attestazione ottocentesca, che si legge nelle note di commento di Monaldo Leopardi alla Istoria evangelica (1832), per l’esplicita definizione del “gesto o sorriso di annuenza”:
Inoltre è evidentissimo che Gesù accompagnò quelle parole con un gesto o sorriso di annuenza e di amore, e che Maria lo intese dicendo agli inservienti: quodcumque dixerit vobil facile. (Monaldo Leopardi, Istoria evangelica scritta in latino con le sole parole dei sacri evangelisti spiegata in italiano e dilucidata con annotazioni, Pesaro, Annesio Nobili, 1832, t. I, p. 20)
Il grafico n. 1 di NgramViewer evidenzia come annuenza, a differenza di annuizione e annuimento (che, come si vede nel grafico n. 2, presentano un andamento oscillante, a favore ora dell’uno, ora dell’altro, con una significativa decrescita, soprattutto di annuizione, a partire dagli anni 2000), abbia conosciuto, nel XIX secolo e pure nei primi anni di quello successivo, una buona circolazione nella produzione scritta.
Grafico 1 – Confronto delle frequenze d’uso tra annuenza, annuizione e annuimento
Grafico 2 – Confronto delle frequenze d’uso di annuimento e annuizione
Riportiamo, a titolo esemplificativo, la voce annuenza redatta da Prospero Viani nel suo Dizionario di pretesi francesismi e pretese voci e forme erronee della lingua italiana (2 voll., Firenze, Le Monnier, 1858, vol. I, p. 104), da confrontare con quella, citata successivamente, del Vocabolario dell’uso toscano di Pietro Fanfani (2 voll, Firenze, Barbèra, 1863, vol.I, p. 61), che costituisce una “risposta” alle affermazioni di Viani:
Annuenza, Annuire. «Annuenza per consenso, approvazione, condiscendenza, è della stessa cattiva risma di annuire, benchè sia parola registrata dall’Alberti. – ;Annuire… si lasci a chi non desidera eleganza nello scrivere, giacchè non è voce di buona lingua, benchè di uso comune negli uffici.»
L’oracolo parla chiaro. Quell’impaccione dell’Alberti aveva detto: «ANNUENZA. sf. Consenso, Approvazione. Voce derivata dal lat. annuere, ed usata appropriatamente da alcuni moderni scrittori.» Comunque, questa voce è tuttavia corrente non solo in Toscana, presso gl’idioti e il comun popolo, ma presso gli eruditi, presso i filologi, presso gli Accademici della Crusca; i quali nel § II di ADESIONE posero: «E per Assentimento, Annuenza.»
Rispetto ad Annuire parlerò, con pace d’un rispettabile correttore de’ classici, alla libera. Un po’ d’eleganza, secondo la natura de’ loro soggetti, desiderarono nello scrivere il Monti, e il Giusti toscano, non filologo, ma più autorevole e venerato de’ filologi; e non ostante nè l’uno nè l’altro stimò di barbareggiare usando Annuire. Talchè, s’io dovessi fare un Vocab. della lingua italiana, mi ristringerei a dire: Voce latina, più da poesia che da prosa. Dio buono! Che sia proprio quell’abborraccione che qualche maestro lo fa l’onorando mio Gherardini? E’ scrisse così: «ANNUIRE. Verb. intrans. (Dal lat. Annuo, is composto della preposizione Ad, qui mutato per eufonia il d in n, e del verbo inusitato Nuo-is, d’onde il sust. Nutus, significante Cenno.) Far cenno di sì co’l capo (ad alcuno); e quindi figuratam., Acconsentire, Approvare. – Disse; e tutti annuirono i prenci achei. Mont. Iliad. l. 7, v. 425.» Aggiugni gli esempj del Giusti e del Bagnoli, che nati laggiù nella Sarmazia adoperarono sempre voci barbare. – Il centro acclamò, La manca sbuffò: Un terzo Demostene In piede salì, Al quale agitandosi La dritta annuì. Giust. Poes. 294. Disse, annuiro i Numi. Bagnol. Cadm. 9, 40.
ANNUÈNZA. s. f. Sì, il mio buon Viani, è vero, le voci Annuenza e Annuire le usa il popolo per Acconsentire e Acconsentimento. La prima la usarono i signori della Crusca per dichiarare la voce Adesione; e la seconda la usò il Monti e il Giusti. Ma con tutto ciò? o il popolo non dice infinite voci che non istaranno bene in buona scrittura: o tutti i più eccellenti scrittori, oltre il Monti ed il Giusti, non scrivono voci poco accettabili. O che son santi? Si mette in dubbio la infallibilità del Papa; e non s’ha creder fallibile un letterato? Il Caro insegnò fino da’ suoi tempi che va fatto ghirlanda d’ogni fiore, e non fascio di ogni erba. E questo, perdonatemelo, è il mio domma in opera di scrivere. Ma già, come c’entrano ora questi discorsi? Qui si mette in essere solamente quel che dice il popolo; e il popolo, avete ragione, Annuire e Annuenza lo usa.
Fanfani difende, dunque, l’impiego, anche in produzioni letterarie, di parole che il “popolo” usa: tale sua considerazione si è, nel tempo, rivelata appropriata, almeno nel caso di annuire, che è, come detto all’inizio, una delle circa settemila parole del lessico italiano di base, diversamente da annuenza, che, nell’italiano contemporaneo, presenta, come anche gli altri vocaboli esaminati (annuizione e annuimento), una bassa frequenza d’uso: si preferisce l’uso della forma verbale in confronto ai sostantivi da essa derivati, che sono percepiti come antichi, rari e/o letterari e, probabilmente per questa ragione, sono quasi completamente disusati.
Nota bibliografica:
Ultima consultazione delle risorse in rete: 21/1/2025
Andrea Riga
26 maggio 2025
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