Sarebbe meglio non litigarsi, anzi non litigare affatto. Su alcuni usi di litigare e bisticciare

Raccogliamo in un’unica risposta alcuni quesiti che, seppur differenti, sono correlati tra loro: molti lettori ci chiedono se il verbo litigare possa essere usato nella forma pronominale intransitiva litigarsi; altri domandano se ciò sia possibile anche per il verbo bisticciare; altri ancora ci interrogano sul possibile uso in italiano del costrutto essere o stare + participio passato di litigare, es. noi siamo litigati o noi stiamo litigati; in ultimo, un lettore chiede se l’espressione stare a lite sia corretta.

Risposta

In italiano i verbi litigare e bisticciare ricorrono prevalentemente in forma intransitiva (ausiliare avere) con significati molto simili tra loro. La sfumatura semantica riguarda solitamente il grado di intensità dell’azione espressa: il primo termine indica ‘venire a contrasto con qlcu. in modo aspro e ingiurioso: hanno litigato per motivi di denaro’ o anche ‘(est.) rompere i rapporti con qlcu.: hanno litigato, non si frequentano più’ (Zingarelli 2021), mentre il secondo ‘litigare con vivacità ma in modo non grave: b. con qcn., bisticciano tutte le volte che giocano insieme’ (GRADIT), ‘altercare, litigare con particolare vivacità di espressioni verbali: non voglio sentir bisticciare; bisticciare con i compagni; bisticciare per futili motivi; bisticciano su tutto’ (Zingarelli 2021). Tuttavia, entrambi i verbi presentano forme e significati diversi a seconda di alcuni assi di variazione, come ad esempio la diamesia, ovvero il mezzo attraverso il quale avviene la comunicazione, e la diafasia, il contesto comunicativo (alcuni usi, come vedremo, sono propri del parlato colloquiale o della lingua letteraria); hanno, inoltre, un ruolo fondamentale anche la diatopia, cioè il luogo di provenienza dei parlanti (vi sono forme che ricorrono più frequentemente in alcune zone della Penisola), e la diacronia, cioè l’evoluzione nel tempo rispetto ad alcune varianti e utilizzi passati. Analizziamo ora i due verbi separatamente e rispondiamo in ordine alle domande posteci.


Litigare
e litigarsi

Litigare è una voce dotta che proviene dal latino litigāre, derivato di līs, lītis ‘lite’, che in alcune zone, come la Toscana, ha dato anche le forme liticare e leticare (Rohlfs 1966, § 217, 330 le spiega attraverso la sostituzione con il suffisso -icare, generalmente più frequente di -igare, anche se in Toscana l’occlusiva velare /ɡ/ intervocalica tende a conservarsi; leticare subisce anche una dissimilazione di i-i > e-i). Le prime attestazioni del verbo compaiono già nel sec. XIII, così come risulta dal Corpus OVI e dallo Zingarelli 2021, anteriormente dunque alla data fornita dal GRADIT (1304) e al primo esempio riportato nel GDLI, un passo della Medicina del cuore, ovvero Trattato della pazienza di Domenico Cavalca, opera scritta probabilmente prima del 1330 (“Non litigare coll’uomo linguoso e non giugnere legne al fuoco suo”):

Contencionare e litigare è molto rio. Unde si truova scripto, che contendere e litigare col maggiore è furioso. (Andrea da Grosseto, Dei Trattati morali di Albertano da Brescia, volgarizzamento inedito del 1268, a cura di F. Selmi, Commissione per i testi di lingua, Bologna, Romagnoli, 1873, pp. 26-40, 62-362, L. 2, cap. 42)

 Il verbo, inoltre, può valere anche ‘essere in causa: litigare per questioni di eredità’, significato appartenente al linguaggio del diritto e che il GRADIT colloca già a partire dal 1294. Possiamo retrodatare anche questa accezione, sempre grazie al Corpus OVI, alla prima metà del sec. XIII:

vostre redi a llei (e) ale sue redi q(ue)sta donation(n)e n(on) co(n)dennare, n(on) tollare, n(on) litigare, n(on) molestare nè p(er) dectu nè p(er) factu nè p(er) niunu geniu nè p(er) niuna. (Anonimo, Formule volgari derivanti dal “Liber formularum” di Ranieri del Lago di Perugia, edizione provvisoria per uso interno dell’OVI a cura di A. Castellani, “Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano”, II, 1997, pp. 223-230, a p. 230)

Molto più raro, ma comunque registrato dalla lessicografia italiana (Zingarelli 2021, GRADIT, GDLI), è l’uso di litigare nella sua forma transitiva con il valore di ‘disputare, contendere’. Si trova in alcuni testi letterari, ad esempio nei Promessi Sposi (“Gli accattoni di mestiere, diventati ora il minor numero, confusi e perduti in una nuova moltitudine, ridotti a litigar l’elemosina con quelli talvolta da cui in altri giorni l’avevan ricevuta”, Vocabolario Treccani), e nell’aggiunta di Rigutini alla riedizione da lui curata del Dizionario dei sinonimi della lingua italiana del Tommaseo (1904-1906): «Nel popolare linguaggio, usasi litigare in senso attivo, per contendere ad altri una cosa che vogliamo per noi. Il Giusti (Versi), parlando del brutto viso di una sposa, dice (in senso traslato): “Che litigava il giallo alle carote” (n. 1146)». Tale forma transitiva è comunque più spesso usata in modo pronominale: litigarsi ‘disputarsi, contendersi qlco.: litigarsi un terreno; litigarsi un premio’ (Zingarelli 2021, GRADIT).

Concentriamoci ora sulla forma riflessiva reciproca intransitiva litigarsi, registrata dai dizionari col significato di ‘bisticciare, litigare: non fanno altro che l.’ (GRADIT), ‘venire a contrasto, a contesa, con qlcu.: non fanno altro che litigarsi; si litigano per qualsiasi motivo’ (Zingarelli 2021), ed etichettata come “familiare”. Per l’ambito letterario, una ricerca nei diversi repertori lessicografici, in Google libri e nel PTLLIN ci permette di trovarne diverse attestazioni (anche nell’uso non reciproco):

Fu detto di due significati della medesima voce che ‘si litigano tra loro’. Il simile può dirsi d’ogni idea e cosa contradittoria. (N. Tommaseo, Dizionario della lingua italiana, Torino, Unione Tipografica-editrice, 1861-1874; dal GDLI)

TOTI. E dunque parla adesso! Che è stato? Vi siete litigati? LILLINA. No, che litigare! Non mi sono litigata con nessuno. (L. Pirandello, Pensaci, Giacomino!, in Maschere nude, Mondadori, Milano, 1962, vol. 1, pp. 307-308; nella stesura in siciliano dell’opera teatrale Pirandello scrive: “vi sciarriastivu? e non m’haiu sciarriatu ccu nuddu”)

E il fratello e Walter dopo un po’ che lo stavano a sentire ricominciavano a litigarsi per una fondina di pistola o per una ragazza. Ma ora i due fratelli avevano una cosa in comune, qualcosa era cambiato in loro, l’interesse a quella vita. (I. Calvino, Ultimo viene il corvo, Torino, Einaudi, 1949, p. 10; dal PTLLIN)

Adesso che ci seppero nel bar, Febo, la Nene e quel Pegi, che giocavano e perdevano con insolenza, ricomparvero piú volte a bere cicchetti su cicchetti. Finí che la Nene e il ragazzo Pegi si litigarono mezzo ubriachi, tanto che il vecchio pittore e Momina s’intromisero perché ripartissimo. (C. Pavese, La bella estate, Torino, Einaudi, 1950, p. 273; dal PTLLIN)

Ignoranza e presunzione si leticarono in tutti i paesi del mondo, finché a Vallemagna si son trovate tanto bene, che vi han fatto pace e fauste nozze. (R. Bacchelli, Il rabdomante, Milano, Rizzoli, 1951, p. 10; dal GDLI)

“Ieri sera,” annunziò subito con familiarità, “dopo che sei partito sono avvenute molte cose...” “Ah sí,” rispose Tullio con freddezza, “e che cosa?” “Mi sono litigata con Tino,” ella rispose in fretta, “e sono andata via... questa notte non ho dormito in casa mia, bensí all’albergo”. (A. Moravia, I racconti, Milano, Bompiani, 1952, p. 193; dal PTLLIN; un altro esempio nel testo, a p. 209)

Con la Zamira s’erano leticati: “Forse perché lui m’aveva fatto persuasa de veni via: lei, sicché, diventò na furia”. (C. E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano, Garzanti, 1957, p. 224; dal GDLI)

Non c’era però fra i ritratti quello del padre di mia nonna, e di lui non si doveva parlare: perché, rimasto vedovo, ed essendosi litigato un giorno con le sue due figlie, già adulte, aveva dichiarato che, per dispetto a loro, si sarebbe sposato con la prima donna che incontrava per la strada, e così aveva fatto. (N. Ginzburg, Lessico famigliare, Torino, Einaudi, 1963, p. 15; dal PTLLIN; altri tre esempi nel testo, a p. 40, 132, 186)

C’era Bianca... ora a braccetto con uno, ora con l’altro: quasi mai con Nino e solo per litigarsi. (G. Bassani, Le storie ferraresi, Torino, Einaudi, 1964, p. 247; dal GDLI)

Le donne, che stanno sul lato del cortile, da cui sale un tanfo rivoltante di marciume, continuano a capare la verdura e a litigarsi, accusandosi dei misfatti più futili, uno dei quali è di appuzzare il palazzo. (M. G. Mazzucco, Vita, Milano, Mondadori, 2003, p. 66; dal PTLLIN)

Sull’uso giornalistico e su quello nei social network, invece, possiamo ricorrere all’archivio storico della “Repubblica” e a Twitter. Qui alcuni esempi rintracciati:

Le numerose risse a cui si è assistito in questa lunga campagna elettorale non sono piaciute al cardinale di Firenze Silvano Piovanelli, che sul settimanale Vita invita i partiti a “non litigarsi fra loro”. (“la Repubblica”, 20/4/1996)

Nel vicinato vero non si fa che confrontarsi, litigarsi, rimproverandosi a vicenda qualche piccolo quotidiano torto» (“la Repubblica”, 21/6/1998)

Anche i partiti muoiono. Sono organismi viventi fin quando rappresentano interessi, esigenze, sogni anche (perché no?) per i quali valga la pena di battersi, per i quali uomini e donne siano disposti a rinunciare a qualche ora del loro tempo libero e dunque riunirsi a discutere, a dire la loro, a litigarsi se necessario. (“la Repubblica”, 2/6/2001)

Perché sprecare stress e fatica fisica per rapinare una banca? Costa meno costruirsela. Fondarla o comprarla son dettagli. E così per la finanziaria. Inutile litigarsi. (“la Repubblica”, 26/9/2005)

Silvano però è sconfortato: “Dopo sessant’ anni che seguo la politica ritrovarmi in questo casino mi fa proprio cadere le braccia”, sbotta. “Prima tutti a litigarsi, ora arriva quello da Roma per fare la pace, insomma dove siamo finiti, dov’ è il partito? Io ce l’ ho una proposta per quei quattro: che facciano il sindaco a turno, tre mesi per uno e non ci si pensa più”. (“la Repubblica”, 11/1/2009)

Dopo dieci minuti pure le famiglie hanno cominciato a litigarsi e sono cominciate a volare pure le sedie e qualche sputazzata. (“la Repubblica”, 3/10/2010; l’articolo è un racconto di un bambino di 10 anni da Palermo)

Prima giocavo con la figlia poi i miei si sono litigati. (Twitter, 2020)

Ancora non è stata votata la fiducia al governo che hanno già iniziato a litigarsi! (Twitter, 2021)


Bisticciare
e bisticciarsi

Passiamo ora al verbo bisticciare. Esso deriva probabilmente da una voce di origine longobarda *biskizzan ‘lordare, ingannare’ (GRADIT; LEI); un’altra ipotesi postula una derivazione da bisticcio, adattamento toscano da bischizzo e bisquizzo, a loro volta derivati dal latino medievale bischicium, voce gergale che condivide l’etimo (ancora incerto) con bisca, biscazza (così come anche l’italiano settentrionale biscar ‘adirarsi’) (GDLI).

La prima attestazione con il significato di ‘litigare’ compare nel sec. XIV ne Il Pataffio, opera attribuita a Franco Sacchetti e scritta tra il 1360 e il 1390: “A bertolotto tu sai bisticciare” (Crusca2; Corpus OVI, LEI). Il verbo ha anche il significato di ‘Fare un bisticcio, un gioco di parole’ (Vocabolario Treccani), attestato già nel 1328 nel commento alla Commedia di Jacopo della Lana (TLIO). La stessa data (1328) viene riportata dallo Zingarelli 2021, ma riferita a bisticciare ‘litigare’ (il dizionario in questione non registra l’accezione di ‘fare un bisticcio, un gioco di parole’).

Analogamente a litigare, anche il verbo qui in questione ha una forma riflessiva reciproca, bisticciarsi, così come attesta lo Zingarelli 2021 (‘litigarsi: bisogna che smettiate di bisticciarvi’); il GRADIT e il Vocabolario Treccani forniscono un ulteriore uso, ovvero quello pronominale intransitivo non reciproco: ‘pop., bisticciare: mi sono bisticciata con mio fratello’; ‘intr. pron.: s’è bisticciato col compagno di banco’. Qui di seguito alcune attestazioni reperibili dal GDLI e dal PTLLIN, che testimoniano l’uso reciproco di bisticciare in ambito letterario:

Io veggo Eustachio e Pirro, che si bisticciano; be’ mariti che si aparecchiano a Clizia! (N. Machiavelli, Teatro, a cura di P. Stoppelli, Roma, Salerno Editrice, 2017, p. 280)

Aspettai ch’e’ tornasse: e temevo il ritorno, che quel giorno appunto ci eravam bisticciati forte. (N. Tommaseo, Fede e bellezza, Milano, Borroni e scotti, 18524, p. 22; dal GDLI)

Ti credo. Siete così orgogliosi entrambi! Dovete bisticciarvi sempre. L’amerai per vanità. (G. Verga, Una peccatrice - Storia di una capinera - Eva - Tigre reale, Milano, Mondadori, 1944, p. 327; dal GDLI)

Non mi sbaglio. No, non mi sbaglio... Del resto non voglio sapere i tuoi interessi. Però, se si trattasse di scommettere, scommetterei che vi siete bisticciati. (A. Beltramelli, Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, 1943, p. 701; dal GDLI)

Alessandro Pope, ...raccomandava d’infrenare l’ingegno come un corsiero vivace, e notava che ingegno e giudizio si bisticciano spesso, benché abbiano bisogno d’aiutarsi l’uno con l’altro per l’appunto come marito e moglie. (B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Bari, Laterza, 1958; p. 216; dal GDLI)

Vennero in cucina, la donna voleva bere acqua, i due amici si bisticciarono dolcemente per la lunga attesa. (G. Comisso, Un gatto attraversa la strada, Milano, Mondadori, 1955, p. 175; dal PTLLIN)

“Arrighi?” “Ha del fegato. Non gli sembra vero.” “Arrighi è in gamba” intervenne il Rindi. “Delle volte ci siamo bisticciati, ma sono fatti passati.” (M. Tobino, Il clandestino, Milano, Mondadori, 1962, p. 92; dal PTLLIN)

Un giorno, Zeus e Hera si bisticciavano e chiamarono Tiresia per chiedergli chi, fra l’uomo e la donna, avesse più piacere nel coito. (R. Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Milano, Adelphi, 1989, p. 99; dal PTLLIN)

Ho visto bene che mio padre e mia madre si abbracciavano, sospiravano, si lamentavano, mettendosi l’uno sull’altra quasi si stessero bisticciando. (D. Rea, Ninfa plebea, Milano, Mondadori, 1993, p. 18; dal PTLLIN)

L’uso pronominale non reciproco è attestato, invece, soltanto in questo passo:

Talvolta arrivava assai cupo, e Silvio indovinava che si era bisticciato con l’Amelia. (A. Moravia, I racconti, Milano, Bompiani, 1952, p. 229; dal PTLLIN)

L’archivio storico della “Repubblica” e Twitter documentano entrambe le forme:

Vecchio, trattate a oltranza, venite domani mattina a dirci le vostre decisioni. Da allora, con un’ interruzione verso le 17,30, non si è più smesso di bisticciarsi, trovarsi d’accordo, limare. (“la Repubblica”, 13 giugno 2008)

Provate a immaginare un romanzo quasi interamente ambientato in una sacrestia semibuia, nella chiesa di uno sperduto paesino friulano, dove le luci della nostra epoca storica arrivano un po’ sbiadite, e dove una strana coppia di anziani sacrestani si trova a fraternizzare, passando il tempo a conversare, mangiare il pane con l’uvetta, sonnecchiare e bisticciarsi. (“la Repubblica”, 9 maggio 2020)

Mi sono bisticciato tutta la notte con una zanzara (Twitter, 2015)

Ma che hai combinato, ti sei bisticciato con qualcuno? (Twitter, 2019)

Si ho sentito fra virologi che si sono bisticciati (Twitter, 2020)


Essere
o stare litigati

Un discorso a parte riguarda il costrutto essere o stare + participio passato di litigare con valore aggettivale: io sono litigato con te, ma anche io sto litigato con te. Innanzitutto, bisogna precisare che in italiano lo scambio tra essere e stare è molto frequente «soprattutto in frasi che esprimono il comportamento o lo stato d’animo d’una persona “stare attento”, “stare in ansia”, “stare sulle spine”, oppure in frasi che contengono un ordine o un’esortazione: “stia zitto!”, “sta’ seduto”, o in frasi fatte: “se le cose stanno così...”. In questi casi l’uso di stare al posto di essere è legittimo e corretto». Tuttavia, nel meridione (ma anche, in certi contesti, nell’italiano di Roma) questo avviene anche in casi in cui i due verbi non sarebbero intercambiabili: «non si può dire o scrivere “sto nervoso”, “sta assente”, “il lavoro sta fatto bene”» (così s.v. stare nella scheda sui Verbi “difficili” in questo sito; ma cfr. anche ESSERE O STARE?, La grammatica italiana (2012), Treccani.it e Essere o stare?, aulalingue.scuola.zanichelli.it,).

In secondo luogo, sebbene litigato come aggettivo sia registrato dal GRADIT e dal GDLI, esso ha il significato di ‘che è materia di litigio, di contrasto, di contesa’ oppure ‘discusso, dibattuto, controverso’. L’utilizzo di litigato nelle domande dei nostri lettori esprime, invece, uno stato d’animo, una condizione temporanea della persona, parafrasabile con ‘sono in lite con x’.

Le attestazioni scritte del costrutto sono piuttosto sporadiche. Una ricerca in Google libri riporta pochi esempi, tratti per lo più da quella che è definibile come letteratura di consumo:

“Dove l’hai messo il telecomando, Gino?” glielo chiedo direttamente, perché so quanto è dispettoso, soprattutto mo che sta litigato con il mondo intero. (S. Toma, Mi chiamano Ada, Milano, Sperling & Kupfer, 2015)

“Beh, te lo dico io: quel figlio di mignotta sta litigato con me, mi spiego? Non mi può vedere!” (Francesco L. P. 018, Il principio di Norimberga, Roma, Shark Comics Roma edizioni indipendenti, 2018)

Ma dico io! “Sono litigata” con Carlo-Athos e mi fanno questa bella sorpresina della mini vacanza in kilt. (L. Morello, Le vie dei sensi: viaggi enogastronomici di una pasionaria nei luoghi della memoria e dialogo con Ferràn Adrià, Milano, ARPANet, 2004)

Molto più produttiva è la ricerca nell’archivio della “Repubblica” e su Twitter, dove è attestato infatti anche il costrutto essere o stare litigato con qualcosa ‘non gradire, non essere capace di adoperare, almeno momentaneamente, non avere una predisposizione per’ (uso che, peraltro, nell’uso colloquiale è possibile anche con il verbo litigare: sto litigando col mio cellulare):

A noi piace il contadino Di Pietro, che magari parla un italiano un po’ abruzzese: “quei due erano litigati”, invece che “avevano litigato”. (“la Repubblica”, 13/1/1993)

È un piatto, con cinquanta grammi di pasta? Pare che i maccheroni stanno litigati: uno da una parte e uno dall’ altra. (“la Repubblica”, 28/5/2002)

Da sempre Palermo saluta il mare con le spalle, che è un modo gergale per dire che uno è litigato con un altro. (“la Repubblica”, 17/3/2013)

“Mi viene in mente - aggiunge Lo Piparo - una vacanza sulla neve, io, lui Rodotà e Spaventa. Gli altri due andavano a sciare, noi che con gli sport invernali eravamo litigati restavamo a conversare nell’alberghetto. Ho nostalgia di quelle belle chiacchierate”. Altri due personaggi si sono in qualche modo incrociati con De Mauro, Leonardo Sciascia […], e Andrea Camilleri. (“la Repubblica”, 6/1/2017)

Molto probabilmente le persone con cui sto litigato nel 2020 non faranno parte del mio 2021 (Twitter, 2020)

Sto litigato un po’ con tutte le verdure (Twitter, 2020)

Lo sai che con l’inglese ci sto litigato (Twitter, 2020)

Io con te sono litigato! (Twitter, 2021)

No sono litigato con tutti (Twitter, 2020)

Sono litigato coi reality (Twitter, 2020)


Stare a lite

Passiamo, infine, al costrutto stare a lite. Anche in questo caso, si assiste alla possibilità di scambio tra essere e stare (essere a lite o stare a lite), ma stavolta la sostituzione avviene anche a livello preposizionale: a si sostituisce a in (la forma più comune sarebbe difatti essere in lite). Tale sostituzione non è rara in italiano e ancor più a livello dialettale e regionale: si pensi ad esempio alla possibilità di dire stare in casa e stare a casa o con altri verbi abitare in centro/al centro, andare in studio/a studio.

Le attestazioni ricavate da Google libri (sia nella forma con stare che con essere) sono piuttosto rare:

Ma non sapevano stare a lite e subito si pacificavano. (F. A. Gisondi, In cerca del figlio, Manduria, P. Lacaita, 1995, p. 103)

Chi mai avrebbe detto a D. Luigino che doveva stare a lite col fratello ed in pace con la sorella? (G. Ciccotti, I bellimbusti o l’amore del secolo XIX, Napoli,

Così i riformati già erano a lite fra loro. (C. Cantù, Storie minori, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1864, vol. I, p. 293)

Il costrutto, però, ha anche attestazioni più antiche che sembrano concentrarsi nella prima metà del XVII secolo:

e poie iu gl’havia postu una morevoletudine, a come me fusse fratiellu propiu a canto e patremo, glu voglio posar’ ittecco finiente, que parlo co’ glu Ottore, pre sapere a que tiermine sta a lite (E. Luchetti, La fuga amorosa, Viterbo, Stampa de’ Discepoli, p. 28; la frase è pronunciata dal “vignarolo” Ciavellitto, che si esprime in dialetto norcino)

Un pregio esser non può che si divida / tra duo campioni e già ne sono a lite (G. B. Marino, Adone, a cura di E. Russo, Milano, BUR Rizzoli, 2013, canto XX, 385, v. 2)

li pare sempre d’essere a lite con calunniatori (C. Valio, Teatro morale e poetico, overo commentarii etici, politici, militari, di corte, ed economici, Bari, Pietro Micheli e Giacomo Gaidone, 1630, p. 150)

Alcune attestazioni possono essere rintracciate in rete sul social network Twitter:

i gladiatori cuccioli del mio cuore Non riescono a stare a lite (Twitter, 2020)

mi sveglio e mia madre “vediamo il film?” io “smettila, devo stare a lite con una come te” lei “io non riesco a stare a lite con te” (Twitter, 2011)


Conclusione

In conclusione, abbiamo visto come sia litigarsi sia bisticciarsi, come riflessivi reciproci, siano registrati dalla lessicografia italiana e siano stati impiegati da molti scrittori nelle loro opere letterarie. Oggi, in linea con un uso crescente nell’italiano contemporaneo di verbi pronominali o di usi mediali, è meglio evitare queste forme nello scritto e nel parlato più controllato, a maggior ragione se utilizziamo i verbi come intransitivi pronominali non reciproci. L’ambito d’uso è il parlato colloquiale e ciò emerge dalla censura che ne viene fatta sia in studi linguistici (ad esempio V. Della Valle e G. Patota in Piuttosto che, Milano, Sperling & Kupfer, 2013 scrivono “litigarsi con qualcuno: questa costruzione è sbagliata, perché il verbo litigare, quando è seguito da con, non è riflessivo, ma intransitivo, e ha come ausiliare avere, non essere: ho litigato con qualcuno, non mi sono litigato con qualcuno”) sia dagli stessi parlanti. È curiosa infatti la segnalazione che alcuni utenti hanno fatto su Twitter in occasione di due puntate del programma televisivo “C’è posta per te” (16 marzo 2019 e del 30 gennaio 2021): due ospiti avrebbero pronunciato rispettivamente “ci siamo bisticciati” e “con alcuni mi sono litigato” scatenando una serie di “tweet di denuncia” contro tale uso. Alla luce di quanto detto risulta quindi preferibile dire e scrivere: hanno litigato e hanno bisticciato.

Lo stesso discorso vale per essere/stare litigato e stare a lite: sebbene queste forme siano possibili in alcuni italiani regionali, ad esempio in quello romano, meridionale o siciliano, in contesti comunicativi più formali, sia scritti che parlati, è preferibile utilizzare altre espressioni, come ho litigato con x e ora sono/sto in lite con lui/lei.

Kevin De Vecchis

21 dicembre 2021


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