In questa scheda rispondiamo a diverse domande, poste da persone differenti, che presentano però una caratteristica comune, la tendenza a servirsi di costruzioni passive per veicolare, all’interno di strutture con una subordinata implicita, contenuti che si potrebbero comunicare facilmente e senza avere dubbi sulla loro accettabilità o correttezza mediante le corrispondenti strutture attive, con frasi subordinate esplicite o con altre soluzioni basate su varianti lessicali.
1. È corretto dire: “Vorrei essere spostato il cuscino”?
In un caso come questo il soggetto della frase subordinata implicita (cioè con un verbo nella forma dell’infinito, del participio o del gerundio) deve essere lo stesso del soggetto della frase principale. Nell’esempio citato sopra si osserva invece che sono presenti due soggetti non coreferenti: io e il cuscino (quest’ultimo è il soggetto di una frase passiva). Siccome il soggetto della frase subordinata non è coreferente di io, non ci si può servire di una subordinata implicita e la frase complessa non è accettabile.
La violazione della regola della coincidenza dei soggetti vale per il caso che chi ha formulato questa frase abbia inteso collocare il cuscino nel ruolo di soggetto della subordinata. Può nascere però in alternativa il sospetto che la struttura intesa sia un’altra, ovvero che la subordinata sia sì una passiva, ma che per il parlante il soggetto della subordinata sia lo stesso della principale, ovvero la prima persona singolare.
In italiano standard però l’istituzione di una coreferenza mediante una frase passiva di questo tipo non è possibile in questo caso perché chi parla in prima persona (cioè chi vorrebbe che gli si sposti il cuscino) non può essere il soggetto della frase subordinata dato che il ruolo che riveste nella corrispondente frase attiva (“qualcuno sposti il cuscino [a me]”) è quello di complemento oggetto indiretto (espresso da a me o da mi) e per questa ragione non può essere trasformato in soggetto della frase passiva. A soggetto della frase passiva può invece essere portato solo il complemento oggetto diretto (ruolo che occupa il cuscino). Quest’ultimo però, come abbiamo detto, non è coreferente con il soggetto della principale.
Un altro esempio che è stato sottoposto alla Consulenza dell’Accademia presenta lo stesso problema fondamentale appena discusso, ma vi si ritrova pure un’altra tematica aggiuntiva. In “Vorrei esser scesa la valigia dallo scaffale” infatti compare l’uso regionale del verbo scendere come transitivo (“io scendo la valigia” per “io porto giù la valigia” o simili). Per questo aspetto dell’estensione transitiva di verbi intransitivi (o che possono avere un uso transitivo solo con oggetti particolari) rimandiamo trattazioni specifiche già pubblicate sul nostro sito: qui e qui.
Per rispettare le regole dell’italiano standard la soluzione più semplice da adottare è quella di servirsi di una subordinata esplicita che permetta ed evidenzi il cambiamento di soggetto: “[io] vorrei che il cuscino sia spostato”. In questa subordinata, che presenta una costruzione passiva, il soggetto è il cuscino, ma l’obbligo che i soggetti coincidano non sussiste più e la forma della subordinata esplicita (con il verbo che marca la persona) rende chiaro che il soggetto è un altro rispetto alla frase principale. Addirittura, se non ci fossero dubbi che si sta facendo riferimento al cuscino, sarebbe possibile affidarsi anche semplicemente alla morfologia verbale, senza utilizzare un nome o un pronome che esplicitino il soggetto della subordinata: “vorrei che [mi] sia spostato” (sottinteso: il cuscino). Il cambiamento di persona nelle forme verbali, con la principale che presenta un verbo alla prima persona singolare e la subordinata, dove ritroviamo un verbo alla terza persona singolare, rende chiaro che non abbiamo a che fare con lo stesso soggetto.
Accanto alla soluzione della subordinata esplicita con una forma passiva che abbiamo presentato qui sopra, esistono ancora altre alternative tutte corrette, come per esempio: “vorrei (io), che qualcuno/tu/lui/Mario [mi] sposti il cuscino” (dove il soggetto è qualcuno/tu/lui/Mario/ecc.); “vorrei che [mi] si sposti il cuscino”; “vorrei avere il cuscino spostato”. Infine, una richiesta di questo tipo potrebbe pure essere formulata in modo diretto e semplice: “Mi sposti/-a/-ate il cuscino, per favore?”
Merita una breve riflessione l’alternativa che abbiamo menzionato qui sopra basata su avere invece di essere: “vorrei avere il cuscino spostato”. Questa forma, che è meno semplice delle altre, è fondamentalmente corretta, perché i soggetti di vorrei e di avere coincidono. Collocando il participio alla fine si può inoltre esplicitare meglio la distinzione tra “vorrei aver spostato il cuscino”, che potrebbe voler dire che la persona che parla rimpiange di non aver spostato lei stessa il cuscino, e “vorrei avere il cuscino spostato”, dove la separazione tra avere e spostato indirizza verso l’interpretazione che si tratti dell’espressione del desiderio che un’altra persona sposti il cuscino a chi parla. In questo secondo caso, infatti, la separazione di avere e spostato fa privilegiare una lettura in cui avere non è un verbo ausiliare, ma un verbo pieno, e spostato è un participio con funzione aggettivale. Quando avere e spostato invece sono adiacenti, cioè senza altri elementi della frase che li separino nella sequenza, viene privilegiata la lettura di avere come ausiliare e quindi l’idea che chi parla avrebbe dovuto spostare il cuscino.
Per finire, non possiamo non accennare al fatto che l’esempio che stiamo qui discutendo sarebbe perfettamente corretto nel latino classico. La struttura che esso presenta ricalca infatti quella della subordinazione tramite accusativo + infinito e la traduzione latina (Volo pulvinum motum esse) coincide da questo punto di vista con il nostro esempio.
2. È corretto dire: “Pretendi di essere voluto bene”?
In questo caso si ha la sensazione di trovarsi di fronte, nella subordinata implicita “di essere voluto bene”, all’uso di un passivo improprio. Ciò perché, a partire da una frase attiva, come “Qualcuno vuole bene a me”, si applicano i procedimenti che di solito portano alla corrispondente passiva arrivando alla frase “Io sono voluto bene da qualcuno”. Il problema (e perciò l’agrammaticalità della costruzione) nasce però dal fatto che in questa frase passiva si è portato a soggetto l’elemento che nella frase attiva corrispondente non ha il ruolo di complemento oggetto diretto, bensì quello di complemento oggetto indiretto: “Qualcuno vuole bene a me”.
L’interpretazione alternativa all’ipotesi del passivo improprio è quella che chi parla senta voler bene come in grado di reggere un complemento oggetto diretto differente da bene, visto che questo sostantivo verrebbe sentito come completamente integrato nella locuzione verbale idiomatica (come se invece di voler bene si avesse a che fare con la forma sintetica amare). Se così fosse, il caso sarebbe quindi simile a quello dei verbi intransitivi resi transitivi discusso in precedenza per l’esempio di “vuole esser scesa la valigia”.
Indipendentemente da quale sia la ragione che porta a formulare la frase in questo modo, resta indiscutibile che l’esito non è corretto dal punto di vista dell’italiano standard. Anche qui sono disponibili parecchie alternative per dire la stessa cosa senza violare la norma, come per esempio: “Pretendi che ti si voglia bene”, “Pretendi che gli altri/tutti ti vogliano bene”, “Vuoi essere amato”, “Pretendi di piacere a tutti”, ecc.
3. È corretto dire: “il nonno vuole essere venuto a prendere”?
Dalla frase attiva “io vengo a prendere il nonno” non si forma la frase passiva “Il nonno è venuto a prendere da me”, perché il grado di fusione del sintagma venire a prendere non è ancora abbastanza forte da permettere una passivizzazione di venire. Infatti venire mantiene in questa costruzione in modo importante il suo valore di verbo di movimento (“c’è uno spostamento verso il luogo in cui si trova la persona che parla o con cui si parla”) e siccome è un verbo intransitivo, non può dar luogo alla frase passiva corrispondente. In questo senso, venire in venire a prendere è simile dall’uso che se ne fa in venire a mangiare. Si pensi a un esempio come “Io vengo a mangiare la pizza [da te]”, per il quale non è possibile formare la corrispondente frase passiva “La pizza è stata venuta a mangiare da me”. È senz’altro vero che mangiare o prendere sono verbi transitivi che reggono un complemento oggetto diretto (come la pizza o il nonno), ma nell’esempio sottoposto alla Consulenza è il verbo venire a essere passivizzato e siccome esso mantiene la sua autonomia di verbo di movimento ed è intransitivo, la struttura passiva non è realizzabile.
Al di là di queste motivazioni, basate su ragioni sintattiche, vale inoltre la pena di notare che il costrutto “Il nonno è venuto a prendere da me” ha la stessa forma di una transitiva incompleta alla quale manca il complemento oggetto. Verrebbe perciò spontaneo chiedersi che cosa sarà mai venuto a prendere il nonno da me.
Riguardo alle ragioni per cui parlanti nativi dell’italiano possono arrivare a valutare come corretta “il nonno vuole essere venuto a prendere”, non si può che ipotizzare che sentano venire a prendere come un’unica unità sintattica, in cui i complementi vengono assegnati non più da venire ma solo da prendere. Questa reinterpretazione della struttura si basa verosimilmente su casi in cui venire ha una funzione equivalente o simile a quella di un ausiliare, come per esempio nei passivi, in cui esso si sostituisce proprio all’ausiliare (“la casa viene restaurata”), o in usi in cui ha un valore maggiormente metaforico, staccato in buona parte da quello di un vero e proprio verbo di movimento, come, per esempio, in “mi vengo convincendo, che non è facile motivare tutte le deviazioni”. Che venire in quest’ultimo esempio non esprima veramente il suo senso più comune e centrale, ma piuttosto qualcosa che indica genericamente un cambiamento in atto (uno “spostamento di opinione”, potremmo dire), lo dimostra anche il fatto che potrebbe essere sostituito da andare: “mi vado convincendo, che…”.
Per finire, è interessante osservare che chi ha formulato l’esempio sottoposto alla Consulenza riesce a non violare la regola della coreferenza dei soggetti della frase principale e della frase subordinata implicita servendosi di una struttura passiva nella subordinata per assegnare il ruolo di soggetto a il nonno, ma, come abbiamo visto, la trasformazione passiva non funziona.
Anche in questo caso le soluzioni alternative non mancano nell’italiano standard: “Il nonno vuole che lo si venga a prendere”, “Il nonno vuole che qualcuno lo venga a prendere”, “Il nonno vuole che lo si passi a prendere”, “il nonno vuole che lo si venga a cercare”, “il nonno vuole essere prelevato”. L’ultimo esempio ha in italiano un valore scherzoso, mentre in altre lingue esistono elementi lessicali autonomi che esprimono comunemente lo stesso valore (e permettono strutture passive), come l’inglese to pick up o il tedesco abholen, con i quali sono possibili formulazioni come le seguenti: “He wants to be picked up”, “Er will abgeholt werden”.
Tra standard e varietà regionali
Se i giudizi di grammaticalità che abbiamo dato finora delle strutture esaminate sono incentrati sulle regole dell’italiano standard (e valgono pure per molte varietà regionali dell’italiano), dobbiamo, prima di concludere, discutere la possibilità che l’uso di queste costruzioni possa essere derivato da influssi dialettali che si sono fissati in varietà regionali. Se così fosse, allora gli esempi discussi sarebbero dovuti al fatto che alcuni italiani regionali seguono in questo settore del loro sistema regole in parte differenti da quelle dello standard. I parlanti si starebbero dunque servendo delle loro varietà native di italiano (le varietà regionali, appunto) e i loro comportamenti, devianti dallo standard, sarebbero grammaticali rispetto a queste loro varietà di riferimento.
Fenomeni come quelli che qui stiamo discutendo sono in effetti ben documentati e analizzati per i dialetti meridionali e per il sardo (e conseguentemente come interferenze dialettali entrate nelle varietà regionali corrispondenti).
Dati i nostri esempi è in particolare interessante osservare che nella sua Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Gerhard Rohlfs dedicava un paragrafo specifico (Rohlfs 1969 § 738) al costrutto Voglio pagato, ricollegandolo a forme presenti nell’italiano come Voglio fatta giustizia e spiegandolo come «abbreviazione d’una proposizione dipendente retta da congiunzione (“voglio che sia fatto”)». L’autore segnalava pure quella che definiva un’estensione del fenomeno nell’Italia meridionale, che porta a frasi come “vogghiu ’mparata la via” (nel siciliano), tradotto come “voglio che mi sia insegnata la via”, dove perciò si avrebbe un cambiamento di soggetto tra principale e subordinata (se il soggetto della subordinata è la via, come nella traduzione fornita da Rohlfs).
Anche Tullio De Mauro, alle pp. 400-401 della 2a ed. (Bari, Laterza, 1970) della Storia linguistica dell’Italia unita, riportava come particolarità meridionali esempi come “il bambino vuol pigliato in braccio”, “voglio essere spiegato questo teorema” o “Achille volle essere raccontate le avventure di viaggio”, aggiungendo che il fenomeno “non nasce da una estensione della diatesi passiva […] ma dall’uso dell’infinitiva […] in luogo di proposizioni col congiuntivo, anche quando il soggetto della dipendente non coincida con quello della principale”.
Che questi fenomeni siano presenti anche in Sardegna l’ha ricordato Cristina Lavinio nel suo articolo intitolato Aspetti grammaticali dell’italiano regionale di Sardegna (apparso nel 2017 sugli “Studi di grammatica italiana”). In esso si ritrova una serie di esempi interessanti in cui i soggetti della principale e della subordinata implicita non coincidono. Casi di questo tipo coinvolgono per esempio il gerundio (come in “l’ho visto correndo”, con il valore di “l’ho visto che correva”), per + infinito (“Mia nonna mi dà una caramella per non piangere”, con il valore di “perché io non pianga”) o di + infinito (“L’hai detto per paura di darti uno schiaffo”, nel senso di “che ti dessi uno schiaffo”). A p. 219 Lavinio aggiunge:
Infine, occorre menzionare anche una particolarità del verbo volere che, seguito da participio passato, viene usato per esprimere la necessità che qualcosa sia fatta, per cui, per esempio, un libro vuole letto, un bambino bravo vuole premiato, un ambiente sporco vuole pulito, una tavola vuole sparecchiata, un vestito vuole lavato, e così via. Anche in questo caso si tratta di un fenomeno corrispondente all’uso dialettale, ben noto, segnalato da tempo, presente anche nell’italiano meridionale (con riscontri salentini e calabresi) e sentito ormai come molto popolare.
Non è un caso, quindi, che riferimenti a esempi simili ai nostri siano presenti in rassegne sulle caratteristiche degli italiani regionali (cfr. ad es. Tullio Telmon, Varietà regionali, in Introduzione all’italiano contemporaneo, a cura di Alberto Sobrero, Roma-Bari, Laterza, 1993, vol. II, pp. 93-149: p. 122 e p. 126).
In conclusione
Per tornare ora ai nostri esempi e valutarli dalla prospettiva dell’italiano standard, ricordiamo che il contrasto sussisteva in particolare con due regole:
− la necessità di coincidenza del soggetto tra principale e subordinata implicita;
− l’impossibilità di portare a soggetto di una frase passiva il complemento oggetto indiretto della corrispondente attiva.
Abbiamo visto che esistono esempi di italiani regionali in cui queste regole non sono realizzate nello stesso modo dello standard. Giudicando i nostri esempi dal punto di vista di quest’ultimo, dobbiamo dire che il primo caso (1.) (qualora chi parla non voglia veramente formare un passivo improprio) viola la regola della coreferenza del soggetto nella principale e nella subordinata implicita. Il secondo caso (2.) viola quella che avevamo definito come regola di formazione del passivo (portando a soggetto il complemento oggetto indiretto) e lo stesso varrebbe peraltro per il caso 1, qualora le intenzioni del parlante siano quelle di portare a soggetto della subordinata implicita lo stesso soggetto della principale.
Riguardo a quest’ultima ipotesi di un passivo improprio per il caso 1 va osservato che rispetto al nostro primo esempio presentato in apertura di questa risposta (“Vorrei esser spostato il cuscino”) l’altro esempio che si ritrova nello stesso paragrafo (“Vorrei esser scesa la valigia dallo scaffale”) ci dà un’informazione supplementare molto importante, perché non si può non notare che il participio (scesa) è accordato con la valigia. Il primo esempio non ci forniva questa informazione perché il cuscino è maschile e non si sapeva quale fosse il genere da riferire a chi parla. L’ipotesi di “un’intenzione di passivo” (con il complemento oggetto indiretto della frase attiva promosso a soggetto della frase passiva) richiederebbe un accordo differente se chi parla e funge pure da soggetto della subordinata è una donna (“Maria vuole esser spostata il cuscino”), invece non si dovrebbe avere accordo con l’oggetto diretto (“Vorrei esser sceso la valigia”). Per questa ragione l’ipotesi del passivo atipico diventa più difficile da sostenere, ma la questione non è risolta in modo definitivo, dato che è stato osservato che in alcuni dialetti meridionali l’accordo non sarebbe sempre obbligatorio.
Il terzo caso (3.), infine, viola la regola del passivo improprio in un modo un po’ differente dagli altri due casi, perché passivizza venire a prendere come se avesse un alto grado di fusione lessicale e sintattica. Possiamo comunque presupporre che anche in questo caso si abbia a che fare con l’azione di regole regionali che approfittano di una maggiore “elasticità” nel creare frasi passive e che permettono quindi questa soluzione.
Se in conclusione volessimo avanzare un’ipotesi, ci sentiremmo di chiederci se i participi in queste strutture non tendano ad avere più un valore aggettivale che verbale e questa assegnazione non sarebbe perciò veramente basata su ellissi (come invece sosteneva Rohlfs; si noti tra l’altro che nei nostri esempi il verbo essere è sempre presente) quanto su interpretazioni di valori particolari del verbo essere e del participio, in modo simile a quanto abbiamo discusso sopra riguardo all’esempio “Vorrei avere il cuscino spostato”. Il participio avrebbe in questo quadro un valore aggettivale e il verbo essere tenderebbe ad avere un valore più di verbo pieno simile in parte, dal punto di vista del significato, a verbi come succedere o accadere. Per quanto riguarda la loro origine, pensiamo che essa vada ricercata, come aveva già suggerito De Mauro, in continuazioni (con estensioni) della struttura latina della frase infinitiva.
Bruno Moretti
3 settembre 2025
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