Sono arrivare varie domande sull’ordine corretto della sequenza costituita dalle particelle pronominali ci e si: si deve dire ci si mette o si ci mette, ci si aspetta o si ci aspetta, ci si può andare o si ci può andare, ci si vede o si ci vede, ci si pensa o si ci pensa?
La risposta ai quesiti è apparentemente semplice: la sequenza corretta, l’unica accettata nell’italiano standard di oggi è ci si: dunque bisogna dire e scrivere ci si mette, ci si aspetta, ci si può andare, ci si vede, ci si pensa, ecc. L’ordine opposto (si ci ) si trova solo nell’uso popolare ed è da considerare scorretto. I quesiti però invitano a riflettere sull’uso combinato delle cosiddette particelle pronominali (propriamente si definiscono pronomi clitici, perché privi di accento) che in italiano costituiscono un sistema particolarmente complesso.
Va rilevato subito che i dubbi dei nostri lettori non riguardano sequenze come me lo dici, te lo scrivo, ce ne siamo accorti, ve ne do atto, se ne vedono, rispetto alle quali probabilmente oggi nessun madrelingua italiano proporrebbe alternative (si noti che in queste combinazioni il primo dei due clitici si presenta nella forma terminante in -e invece che con la -i, con cui comparirebbe se usato da solo, a parte ne). Per la verità nel caso di si e di lo (e così di la, li, le) sono possibili entrambe le combinazioni, ma con significati ben distinti: possiamo dire Luigi la partita se la vede con gli amici (con un si personale “pseudoriflessivo”, diventato se), ma anche Luigi lo si vede spesso al bar (con un si impersonale). Da dove derivano, allora, le difficoltà di ordinamento che si incontrano nella combinazione di ci con si?
Bisogna anzitutto ricordare che esistono almeno due ci: il pronome di prima persona plurale (o di quarta, se lo si preferisce), che ha anche valore riflessivo e reciproco (ci prendi in considerazione?, ci siamo lasciati, ecc.), e il ci locativo, che è un avverbio di luogo, anche figurato (ci sono dei bambini in cortile, non ci ho trovato niente di interessante nel suo discorso); a questo secondo ci vengono generalmente collegati il ci in funzione di pronome indiretto di terza persona singolare o plurale (o, se si vuole, di terza e sesta persona: ci parlo, ci penso, ci credo, ecc.) e il ci “attualizzante” (che con alcuni verbi tende alla lessicalizzazione: ci vuole ‘è necessario’, c’entra ‘è pertinente’, ci sta ‘è accettabile’, ecc.).
Ora, in tutti gli esempi proposti dai nostri lettori troviamo il ci locativo (a parte ci si aspetta) e con questo ci la sequenza corretta (ci si, come abbiamo detto, con ci in prima posizione) è diversa da quella che lo stesso ci avrebbe con gli altri clitici terminanti in -i: mi, ti e vi, a cui va infatti posposto (diciamo infatti non mi ci metto, ti ci porto, vi ci vuole) e si allinea invece all’ordinamento che si ha in combinazione con lo (e la, li, le) e con ne, davanti ai quali, però, il ci diventa ce: ce lo vedo, ce ne sono. Invece, nel caso del ci più propriamente pronominale in combinazione con il si impersonale, la sequenza ci si risulta coerente con quella delle altre persone: mi si dice, ti si dice, ci si dice.
Va anche rilevato un altro fatto: in ci si aspetta non abbiamo propriamente a che fare con un ci di prima persona plurale (o di quarta) seguito dal si impersonale. È infatti opportuno ricordare che il sistema dei clitici non ammette la ripetizione dello stesso clitico (se pure usato in funzioni diverse); pertanto, possiamo dire mi (o ti, gli, le, vi ) ci vuole un caffè ma non *ci ci vuole un caffè; è possibile scrivere mi ci reco spesso, ma non *ci ci rechiamo spesso. Analogamente, non è ammissibile una frase come *si si lava le mani (con il primo si impersonale e il secondo si riflessivo). Così, in quest’ultimo caso il primo si viene sostituito da ci (ci si lava le mani), mentre in altri contesti il clitico di prima persona plurale (o di quarta) ci viene sostituito dalla forma impersonale si, secondo un uso particolarmente esteso, come è noto, nella varietà toscana (il tipo noi si va). Così, ci si vede può significare ‘qui c’è luce’ (con ci locativo), ma può anche equivalere a ci vediamo (con ci riflessivo/reciproco), mentre in ci si aspetta il primo ci sta al posto del si impersonale. In entrambi i casi, comunque, la sequenza è sempre ci si.
In definitiva, si può ipotizzare che alla posizione del ci pronominale, che viene premesso al si analogamente a quanto avviene con gli altri clitici, si sia uniformata quella del ci locativo, che dunque va anch’esso premesso al si, diversamente da quanto avviene con gli altri clitici.
Confermano quanto abbiamo detto i dati forniti da due corpora testuali. Il corpus di narrativa contemporanea (1947-2006) raccolto nel PTLLIN, a fronte di numerosissime occorrenze della sequenza ci si, non ce ne offre alcuna né di ci ci né di si ci. Ci sono solo un esempio (non chiarissimo, in verità) della sequenza si ci si (“E qui si ci si ritrovava in terreno conosciuto, vale a dire tra femmine e soprattutto tra fantasie”; Tommaso Landolfi, A caso, 1975) e uno di si si, che però va probabilmente corretto in sì si (“Di Brancati diciamo solo una cosa: ammiro tanto Paolo il Caldo (lì si si incomincia a ragionare)”; Alberto Arbasino, L’anonimo lombardo, 1960).
Anche il corpus MIDIA, che comprende testi di vario genere dal Duecento a metà Novecento, della sequenza ci si offre ben 268 esempi, distribuiti in tutte le epoche e i generi testuali; invece la sequenza ci ci manca anche qui del tutto e le occorrenze di si si sono rarissime e limitate a testi dai primi secoli (il più recente è in una lettera di Filippo Sassetti, morto nel 1588). Infine, di si ci abbiamo solo questi quattro esempi, tutti del sec. XVI:
Appena si ci può stare a far così (Pietro Aretino, Il Marescalco, 1533);
una veste paonazza indosso, increspata da collo che non si ci sarebbe appiccato il pidocchio (Pietro Aretino, Ragionamento, 1534);
Né veggiamo altro lume, se non quanto si ci dimostra dal raggio della Divina bontà (Ludovico Dolce, Dialogo della Istitutione delle donne, 1542);
si facissi alcuno testamento non si pocza pubblicari che non si ci intervenga uno di li Iudici di lo Civili (Capitulorum linguae glossae (Consuetudini di Linguaglossa CT), 1546).
La lingua, dunque, ha fatto da tempo le sue scelte e la sequenza ci si è l’unica ammessa.
20 dicembre 2019
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