Bruno Migliorini è nato a Rovigo, il 19 novembre 1896. Fu avviato dal nonno materno allo studio e all’amore per le lingue, e fin dagli anni della Grande Guerra raccolse le voci della parlata locale, che avrebbe più tardi pubblicato con la collaborazione di G.B. Pellegrini (Dizionario del feltrino rustico, Padova 1971).
Terminate le scuole a Rovigo, dal 1914 si stabilì con la famiglia a Venezia e per due anni frequentò i corsi di lingue moderne alla Ca’ Foscari, per poi iscriversi nel 1916-17 alla facoltà di lettere di Padova, dove la famiglia si era spostata per l’avanzare del fronte, seguendo con passione le lezioni (in particolare quelle di V. Crescini) e compiendo il suo servizio militare. Dopo Caporetto, trasferitosi a Roma con i familiari profughi di guerra, poté concludere la sua formazione universitaria alla Sapienza, alla scuola di V. Rossi, L. Ceci e C. De Lollis, allora docente di letterature e lingue romanze, con cui si laureò nel 1919, discutendo una tesi già ideata negli anni veneziani, Nomi propri di persona nel vocabolario comune. La tesi, accresciuta di materiali e attentamente rielaborata, fu alla base del volume Dal nome proprio al nome comune (Genève 1927) che gli conferì notorietà internazionale.
Negli anni giovanili, accanto agli studi linguistici Migliorini coltivò con pari serietà quelli relativi all’esperanto. Appresa alla perfezione la lingua, aveva dato vita al circolo esperantista Verda Stelo e poi a Venezia, nel 1914, al gruppo Zamenhof, partecipando già quell’anno con successo ai Floraj Ludoj di Barcellona e iniziando, dal 1915, a collaborare assiduamente al quindicinale L’Esperanto di A. Paolet con scritti originali e recensioni. Come altri studiosi dell’epoca Migliorini affrontò in modo spassionato e obiettivo la questione della lingua artificiale: riconosciuta l’utilità pratica dell’esperanto, si trattava di svolgerne le potenzialità e le risorse lessicali, rendendo sempre più duttili i processi che regolano l’accrescimento del suo vocabolario. Alla fine degli anni Trenta, pur non sconfessando la sua attività a favore dell’esperanto, cessò di occuparsene direttamente, perché, nel nuovo clima politico e culturale instauratosi in Europa, si era reso conto che lo spazio per una lingua artificiale «neutra» si andava sempre più riducendo e che l’unica prospettiva reale era rappresentata da una lingua naturale da adottare in funzione ausiliaria, magari semplificatone l’uso, come proprio allora stava avvenendo col «basic english» elaborato da C.K. Ogden.
Dopo la laurea, dal 1920 al 1928, Migliorini aveva insegnato il francese come lettore all’Università di Roma; successivamente vi fu incaricato di linguistica neolatina e poi, nel 1931, di storia della lingua italiana: per tale incarico, il primo in Italia dedicato alla nuova disciplina, dettò una prolusione densa d’idee, Storia della lingua e storia della cultura, in cui presentava le linee guida del suo storicismo linguistico. In quello stesso periodo aveva cominciato a collaborare con la Società filologica romana e con l’Istituto di studi romani, dove impiantò e redasse uno schedario onomastico e toponomastico di Roma e del Lazio e dove, nel 1933, curò l’edizione postuma del Vocabolario romanesco di F. Chiappini. I suoi maggiori contributi restano, comunque, legati alla sua collaborazione con la rivista La Cultura e con l’Enciclopedia Italiana. Immerso in quelle stimolanti e aperte officine culturali, Migliorini affrontò l’indagine linguistica in una prospettiva più larga e vitale, e soprattutto con metodi nuovi, cogliendo fenomeni e fatti della lingua contemporanea ancora allo stato nascente e riuscendo non solo a descriverli con mano sicura nella loro sincronia, ma a ricollocarli sempre entro un più complesso quadro storico dove anche le vicende del presente acquistavano pieno e chiarificante risalto.
Da saggi e interventi di questi anni (la fortuna del suffisso -istico, l’origine del neologismo autarchia, i «prefissoidi» del tipo radio-diffusione, la storia del prefisso super-) prenderanno forma due dei suoi libri più originali: Lingua contemporanea (Firenze 1938) e Saggi sulla lingua del Novecento (ibid. 1941), che insieme rappresentano ancor oggi un affidabile profilo dell’italiano del secolo scorso.
Con lo stesso spirito aveva affrontato questioni linguistiche più generali (il rapporto fra lingua e cultura, la stratificazione sociale dell’italiano, i latinismi e il lessico europeo, il prestito di morfemi, il calco e l’irradiazione sinonimica, la metafora reciproca), e nodi particolarmente problematici dell’italiano (i nomi maschili in -a, l’aggettivazione senza suffisso, i nomi femminili in -trice), e della sua storia (il dialetto e la lingua nazionale a Roma, il ruolo di Firenze nella storia linguistica, la lingua di G. Galilei e quella di L. Ariosto), come svariati argomenti nel campo della linguistica latina e romanza, della semantica storica e della formazione delle parole, dell’onomastica e dell’ortografia, in lavori che saranno progressivamente raccolti nei volumi Lingua e cultura (Roma 1948), Saggi linguistici (Firenze 1957), Lingua d’oggi e di ieri (Caltanissetta-Roma 1973).
Intanto, nel 1933, Migliorini aveva accettato la cattedra di filologia romanza a Friburgo (Svizzera), dove ebbe modo di riconsiderare da un osservatorio d’eccezione i problemi delle lingue europee, e in particolare anche le tante proposte e discussioni che in quel periodo vertevano sui processi di standardizzazione, di unificazione terminologica, di pianificazione linguistica.
Consapevole che all’esperto non è dato «imporre decisioni in fatto di lingua», ma deve «esporre soltanto pareri», seguendo l’invito rivolto ai linguisti affinché si occupassero concretamente delle rilevanti trasformazioni in atto dalla fine della guerra, Migliorini prospettò una equilibrata strategia per la realtà italiana, in modo che nell’intervenire sulla lingua si adottassero criteri funzionali e storici in armonia con la sua struttura e le sue naturali tendenze evolutive, piuttosto che le arbitrarie prese di posizione del vecchio purismo, o quelle della politica linguistica del fascismo, sfociata dalla metà degli anni Trenta nella sprezzante «autarchia linguistica» che alimentava una indiscriminata e vana campagna contro qualsiasi interferenza straniera. Per la concezione «neopuristica» di Migliorini, bisognava invece distinguere quando davvero mettesse conto adattare un forestierismo alle strutture fonomorfologiche della lingua o quando fosse da sostituire; su un altro piano, in base ai principî della linguistica applicata o «glottotecnica» che aveva contemporaneamente elaborato, si sarebbe potuto giudicare se una neoconiazione era ben formata e quindi idonea a radicarsi nell’uso (come capitò a due termini, l’uno sostenuto l’altro proposto da lui, autista e regista che nel 1932 sostituirono chauffeur e regisseur).
In ogni caso, se si volevano ottenere dei risultati efficaci, era necessario seguire da vicino gli sviluppi della lingua contemporanea e favorire la formazione di una più salda coscienza linguistica nei parlanti e di una loro maggior sensibilità di fronte ai problemi che via via si presentavano. Proprio a questo scopo Migliorini ebbe l’idea, insieme con G. Devoto, di dar vita a una rivista, Lingua nostra (che fu pubblicata dal 1939), dedicata in modo specifico e serio allo studio dell’italiano, ma che fosse rivolta anche ai non specialisti, conciliando due esigenze entrambe imprescindibili: «il rispetto per una gloriosa tradizione e la rispondenza alle necessità moderne».
Nel 1939 ebbe anche inizio il suo insegnamento, a Firenze, di storia della lingua italiana, una cattedra voluta dal ministro G. Bottai; divenne, dunque, più urgente per lui il progetto che accarezzava da tempo, di dare all’Italia una grande trattazione storica della sua lingua.
Tale storia non doveva limitarsi alle fasi più antiche della lingua o alle sue vicende letterarie e allo stile degli scrittori, ma mirare a ricostruire la «complessa realtà dell’uso linguistico quotidiano»: la lingua nel suo insieme e nel suo perpetuo evolversi, a cui contribuiscono anche quella di giuristi, economisti, artisti, tecnici, scienziati. Inoltre «ecco a ogni momento il singolo popolano il quale conia una parola o lancia un frizzo che saranno ripetuti domani da un’intera città o magari da tutta l’Italia. Inoltre, è opera del popolo (inteso come totalità della nazione) quella spinta generale, quel muto consenso nell’accettare o nel respingere un’innovazione che dà consistenza all’uso» (Storia della lingua italiana, Firenze 1960, p. VIII).
Abbozzata l’opera fin d’allora, dopo la guerra ne pubblicò una prima dettagliata sintesi – separata la «storia esterna» dell’italiano da quella «interna», mentre alla cosiddetta «questione della lingua» era riservata una trattazione a parte – nella miscellanea curata da A. Momigliano, Problemi e orientamenti critici di lingua e di letteratura italiana (II, Milano 1948, pp. 57-104; III, ibid. 1949, pp. 1-76); mentre nel corso degli anni Cinquanta, o in forma di dispense o come articoli in rivista, anticipò molti dei capitoli del volume che volle far uscire nel 1960 (Storia della lingua italiana, cit.), l’anno del «millenario» del placito di Capua, il più antico documento dell’italiano.
La Storia di Migliorini, che nasceva da ricerche sterminate, compiute in gran parte di prima mano, e tentava di imbrigliare la miriade di fatti descritti in una organica e compiuta sintesi storica, fu subito accolta come una novità insperata, e divenne un punto di riferimento non solo per gli storici e i linguisti, ma per ogni studioso della cultura italiana.
Parallelamente a questa centrale e assorbente attività di storico della lingua, nel dopoguerra Migliorini continuò a svolgere importanti ricerche particolari nei vari settori della linguistica che sempre lo avevano appassionato, semmai accentuando adesso l’interesse per i problemi legati alla scuola e all’insegnamento, ai mezzi di comunicazione sociale, alle norme ortografiche, e svolgendo una fitta attività divulgativa, attraverso rubriche linguistiche sui giornali e alla radio, i cui frutti migliori saranno raccolti nei volumetti Conversazioni sulla lingua italiana (Firenze 1956), La lingua italiana d’oggi (Torino 1957), Profili di parole (Firenze 1968), Parole e storia (Milano 1975).
Pregevole e innovativa la sua grammatica per le scuole, La lingua nazionale (Firenze 1941), successivamente riproposta in versioni aggiornate, e il manuale universitario di Linguistica (ibid. 1946). Consistente, e di qualità, la sua alacre attività di lessicografo. Si deve inoltre a lui l’impostazione e la cura della parte lessicale del Dizionario enciclopedico italiano Treccani (1955-61).
Nell’Accademia della Crusca fu uno dei più decisi sostenitori della ripresa dell’attività lessicografica, dirigendo poi, quando nel 1962 i lavori poterono effettivamente iniziare, il progetto per un grande «Vocabolario della lingua italiana» e promovendo il «Vocabolario giuridico», affidato alle cure di P. Fiorelli. Socio dell’Accademia della Crusca dal 1946, ne fu presidente dal 1949 al 1963 e direttore degli Studi di filologia italiana dal 1958 al 1962. Fu membro di numerose altre istituzioni e accademie, fra cui, dal 1958, quella dei Lincei.
Morì a Firenze il 18 giugno 1975.
(a cura di Massimo Fanfani)
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