Su gentile concessione dell'autrice siamo lieti di ospitare, in questa sezione del sito dell'Accademia della Crusca, il testo con cui Corina Casanova, Cancelliera della Confederazione Elvetica, ha aperto i lavori dell'incontro di studio con una relazione su «La Svizzera come laboratorio d'Europa». La giornata di studio si è svolta all'interno della terza edizione della Piazza delle Lingue (Firenze, 21-23 maggio 2009), realizzata quest'anno in collaborazione con l'Ambasciata di Svizzera in Italia e dedicata al tema Esperienze di multilinguismo in atto. In questa prospettiva si è posta particolare attenzione alla situazione del multilinguismo in Svizzera (vero laboratorio linguistico d'Europa), nei Balcani, in Belgio, in Italia, a Malta e in seno all'Unione Europea. Corina Casanova mette bene in luce come l'unità nella diversità conferisca al plurilinguismo elvetico una particolare valenza politica, rappresentando un importante fattore di coesione nazionale e come l'esperienza della Svizzera possa servire da modello per gli altri paesi europei che solo da pochi anni stanno affrontando sempre più da vicino la dimensione del multilinguismo.
Discorso di apertura dei lavori [La Piazza delle Lingue 2009: Esperienze di multilinguismo in atto (Firenze, 21-23 maggio 2009) - Venerdì 22 maggio 2009: Incontro di studio]
Sono molto grata ai promotori dell'iniziativa «Piazza delle lingue 2009» per aver dedicato questa mattinata a una riflessione sulla Svizzera come «laboratorio d'Europa» e per concedermi l'onore di aprire i lavori su una tematica che mi sta particolarmente a cuore. Le mie origini grigionesi e il mio percorso professionale mi hanno permesso di conoscere più lingue e di sviluppare una sensibilità particolare per tutto quanto tocca le problematiche linguistiche. Il fatto di trovarmi oggi fra i muri della prima accademia specificamente linguistica del Continente, dinanzi alla Piazza delle lingue d'Europa e, per di più, in una occasione così prestigiosa dedicata appunto al multilinguismo mi riempie di gioia. Ritengo poi significativo di poter esprimermi in italiano proprio qui a Firenze, che della lingua italiana è in qualche modo la culla e che in questo senso costituisce il punto di riferimento per tutti coloro che usano la lingua italiana nel mondo e ne hanno a cuore lo sviluppo e la vitalità. Possa questa mia presenza essere pegno dei profondi rapporti di amicizia e comunanza culturale che legano la Svizzera all'Italia e segnatamente alla sua lingua.
Le lingue ci permettono di comunicare e di capirci, ma ci aprono anche alla realtà, sono potentissimi strumenti di conoscenza e fattori di civiltà. Ogni parola di una lingua rispecchia la cultura a cui appartiene. Le lingue sono mondi. La piazza delle lingue d'Europa inaugurata due anni or sono per iniziativa dell'Accademia della Crusca è in questo senso una metafora molto forte perché concretizza direi emblematicamente il nostro rapporto con le lingue. La piazza è un luogo aperto a tutti, destinato ad accogliere persone, luogo di incontri e sede di dibattiti. Analogamente, le lingue non ci appartengono, semmai ci ospitano: noi abitiamo le lingue, ci muoviamo in esse senza mai esaurirne tutte le risorse, senza mai poterle possedere completamente. «Les mots savent de nous ce que nous ignorons d'eux» diceva René Char. Proprio questo elemento di ospitalità ed eccedenza insito nella lingua mi pare fondamentale per affrontare il discorso del multilinguismo che ci occupa oggi. Noi sappiamo che contrariamente a quanto affermava un potente politico del XVII secolo il fatto di conoscere più lingue non ci confonde le idee ingombrando la memoria[1] ma ci consente invece di meglio capire la nostra lingua materna. L'apertura alla diversità linguistica perfeziona il nostro rapporto con la lingua nella quale ci identifichiamo. Dobbiamo quindi sempre avere presente che la dimensione del multilinguismo non è appannaggio soltanto di determinate realtà politiche ma è per certi versi intrinseca ad ogni singola lingua, anche perché le lingue non sono isole ma vivono ed evolvono grazie agli apporti, i contatti e le influenze di altre lingue.
Se applichiamo questa logica del mutuo arricchimento alla realtà politica ci accorgiamo che pure in tale ambito la diversità consolida la coscienza di appartenenza politica. La Svizzera moderna si è voluta plurilingue molto presto e ha anzi riconosciuto nella diversità linguistica una componente imprescindibile della sua identità nazionale. Ciò significa, paradossalmente, riconoscere nella diversità culturale un fattore di identità, ma nello stesso tempo considerare le lingue come un patrimonio comune della nazione. L'idea delle lingue come patrimonio, un'idea che è stata affermata con forza nel convegno sul multilinguismo tenutosi qui a Firenze nel 2007 e intitolato appunto Le lingue d'Europa patrimonio comune dei cittadini europei, è l'idea che ha guidato da anni e guida tutt'ora la politica del Consiglio federale. La troviamo emblematicamente espressa nel testo (messaggio) con il quale nel 1938 il Governo accompagnava il disegno di modifica costituzionale volta a riconoscere al romancio lo statuto di quarta lingua nazionale: «Se altri Stati sono sorti da una comunanza di lingua e vedono in questa comunanza linguistica uno degli elementi essenziali della loro forza, noi invece vediamo la grandezza dello Stato nostro nella riunione e nella coesistenza di tutte le lingue che sono radicate nella nostra terra e costituiscono il patrimonio linguistico della nostra nazione»[2]. Il fatto che l'unità nazionale svizzera sia fondata sulla volontà di condividere un destino comune (la Svizzera come «Willensnation»), sottolinea l'apertura alla diversità delle componenti politico-culturali che costituiscono il nostro Paese. Quest'apertura ci fornisce appunto una coscienza politica particolare, concretata poi nell'organizzazione federalistica e negli ampi diritti popolari previsti dalla nostra democrazia diretta, come il diritto di referendum e l'iniziativa popolare.
L'unità nella diversità conferisce al plurilinguismo elvetico una particolare valenza politica, poiché ne fa un importante fattore di coesione nazionale. La convivenza armoniosa presuppone da un lato che tutte le comunità linguistiche possano identificarsi nello Stato. D'altro lato, occorre che ciascuna comunità linguistica possa capire le altre, condividerne le aspirazioni. È pertanto sempre necessaria, e presente, la volontà politica di garantire un pari trattamento delle lingue ufficiali e di promuovere la solidarietà tra le diverse componenti linguistiche del Paese. Due esempi che mi sembrano particolarmente parlanti. A livello federale tutti i testi ufficiali, e segnatamente i testi normativi, sono messi a disposizione del cittadino simultaneamente in tedesco, francese e italiano. Una bella prova di solidarietà ci viene poi dal mondo, oggi quanto mai importante, dei media: la Radiotelevisione svizzera assegna i proventi del canone e della pubblicità alle sue quattro unità regionali[3] secondo una chiave di ripartizione sovrapoporzionale rispetto ai rapporti numerici tra lingue maggioritarie e lingue minoritarie. Si intende garantire in questo modo che ogni comunità linguistica possa disporre di un'offerta di programmi di pari qualità. Questa particolare perequazione finanziaria ci fa capire che il rispetto delle minoranze linguistiche significa anche partecipare alla loro vitalità e fornire i mezzi di cui necessitano per esprimere le loro peculiarità.
Ma riconoscere il valore culturale e politico del multilinguismo non è semplicemente la constatazione di un dato di fatto. Si tratta in realtà della definizione di un compito permanente. Il multilinguismo richiede infatti un'attenzione costante da parte di chi intende prevalersene. Le istanze che vi sono connesse evolvono parallelamente all'evoluzione delle lingue stesse e della società. D'altra parte, ogni cambiamento in un contesto plurilingue mette in discussione delicati equilibri che occorre ogni volta ridefinire e riconquistare. In questo senso, pur potendo avvalersi di una secolare esperienza nell'ambito della gestione politica del plurilinguismo, la Svizzera non può rinunciare a fare del proprio multilinguismo un oggetto costante di discussione e di ricerca. Vorrei illustrare questa dimensione di cantiere permanente del multilinguismo citando tre esempi:
Vedete dunque che anche in un Paese tradizionalmente plurilingue come la Svizzera il multilinguismo sollecita il mondo politico, quello scientifico, la società e ognuno di noi a prestare costantemente una particolare cura alle lingue.
Ma il plurilinguismo ci sollecita nella misura in cui siamo disposti a considerarlo una risorsa più che un problema. Esiste una gestione passiva, o tecnica, del plurilinguismo che si limita a trovare soluzioni operative ed organizzative ai problemi posti dalla convivenza di più idiomi in un dato contesto. I problemi sono tanti, in quanto il plurilinguismo riconosciuto a livello ufficiale crea precisi obblighi e diritti, impone determinate scelte e può ostacolare talune forme di comunicazione. Basti pensare ad esempio all'insieme di problematiche connesse al diritto plurilingue, di cui si è peraltro discusso ieri nella sessione dedicata al «Multilinguismo nella prospettiva giuridica». La gestione di tali problemi è un compito importante perché gli equilibri da preservare sono delicati e complessi. Per dare una risposta adeguata alle sfide poste dal multilinguismo occorre tuttavia abbinare la gestione passiva delle difficoltà che vi sono connesse ad una gestione attiva, più ambiziosa, delle risorse insite in esso, adottando quindi un approccio volto alla valorizzazione del patrimonio linguistico a cui ho accennato prima. Tale approccio mi sembra oggi quanto mai necessario viste le pressioni alle quali il nostro modo di vivere e di comunicare sottopone le lingue del mondo. La dimensione globale assunta da gran parte dei fenomeni sociali come pure l'esigenza di velocizzare sempre più gli scambi d'informazione tendono ad imporre l'egemonia di un codice unitario o per lo meno ad escludere una pluralità di lingue dalle forme più elaborate di ricerca intellettuale. Vi è il rischio che si instauri una sorta di monolinguismo nei vari campi del sapere. Per contrastare tali tendenze anche lo Stato deve fare la sua parte. È quanto intende fare il Consiglio federale quando metterà in vigore la legge sulle lingue ed è quanto scaturisce anche dai più recenti orientamenti strategici definiti dall'Unione europea. Penso ad esempio alla creazione di un master europeo di traduzione, all'invito rivolto a tutti gli Stati membri ad una maggiore sensibilizzazione alle problematiche linguistiche, all'incoraggiamento dell'apprendimento delle lingue, a favorire gli scambi e la mobilità e a promuovere il plurilinguismo quale fattore di competitività economica[4]. Anche queste giornate fiorentine che ci invitano a riflettere sul «multilinguismo in atto» mi sembrano un ottimo esempio di gestione attiva del plurilinguismo. La Svizzera quadrilingue ha una lunga esperienza in questo campo e credo possa offrire utili spunti per l'attuazione di un piano politico trasversale a favore del plurilinguismo. A condizione però di essere pure a sua volta disposta a trarre gli insegnamenti dall'esperienza europea, certo più giovane ma pur sempre forte di 27 Stati membri, 3 alfabeti, 23 lingue ufficiali e più di 50 altre lingue.
Auguro a tutti un proficuo scambio di idee e vi ringrazio dell'attenzione.
Piazza delle lingue: L'italiano fuori d'Italia
Sara Giovine
Jacopo Ferrari
Donatella Martinelli
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
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Dal 6 al 9 novembre 2024. Tutte le informazioni sono disponibili nella sezione "Eventi".
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