Scottona e scottone

di Massimo Bellina

1. Diffusione odierna di scottona e chiarimenti sul significato

Da poco più di dieci anni si è diffusa in Italia la parola scottona, per indicare un tipo di carne presentato ai consumatori come particolarmente pregiato. Quando, circa un decennio fa, incontrai per la prima volta questo termine, riportato su un’etichetta in una rivendita di carni, non trovai alcun riscontro sui dizionari e anche oggi pochissime occorrenze risultano sul web prima di allora. Il 25 gennaio 2010 la redazione online dell’Istituto della Enciclopedia Italiana “Giovanni Treccani” forniva una sommaria risposta a un lettore che aveva chiesto:

Trovo spesso nei miei contatti di lavoro chi riferendosi ad una qualità di carne mi parla di “scottona”. Alla richiesta di chiarirmi il significato di questo vocabolo, ho ricevuto varie risposte. Forse questa parola è sopratutto [sic] lombarda [1].

Nella risposta, a cura di Gianni Magoga, si precisa il significato della parola, ma pressoché nulla si dice sulla sua origine: si afferma anzi che “l’etimologia del termine è oscura”, pur ricordando una proposta di derivazione, sulla quale diremo più avanti. Nella lessicografia italiana, a mia notizia, la prima registrazione della voce è sul Devoto Oli 2014, senza indicazione dell’etimologia (“etimo incerto”). Successivamente la voce è stata accolta anche nello Zingarelli (già nell’edizione 2018) il quale, mentre registra come anno di prima attestazione il 1992 (diversamente dal Devoto Oli, che aveva indicato il 1894), riporta correttamente anche l’etimologia del termine, della quale più avanti discuteremo. Il lemma tuttavia risulta ancora assente in alcuni recenti dizionari, ad esempio nel De Mauro online e nell’ultima edizione del Sabatini-Coletti (Hoepli, 2024).

Negli ultimi anni, corrispondendo alla diffusa ricerca di novità e ricercatezze che caratterizza oggi il settore della gastronomia e della ristorazione, la voce si è diffusa rapidamente nell’italiano, ma ben al di sopra della consapevolezza dei suoi utenti. In una breve inchiesta, da me effettuata nel 2022 direttamente fra i clienti presso il banco del supermercato, o interpellando responsabili di vendita e di reparto, operatori della ristorazione e anche persone non incolte e anzi ben avvertite sul piano commerciale o comunque sensibili alle novità del mercato, ho potuto verificare una discreta conoscenza del termine ma una ignoranza pressoché totale del suo vero significato: ai parlanti interessa soprattutto la circostanza che la scottona sia presentata come una qualità superiore di carne. Questa diffusa inconsapevolezza, a cui fanno riscontro, sul piano editoriale e lessicografico, unicamente le poche recenti registrazioni sopra riportate, è anche dimostrata dal fatto che, sui principali siti web che si occupano di gastronomia e di metodi e ricette per cuocere la scottona, la prima preoccupazione dei redattori è fare chiarezza sul significato del termine, visto che molti, assimilando scottona alle categorie lessicali a cui appartengono ad esempio i termini filetto o chianina, ritengono che essa indichi un particolare taglio di carne o una razza bovina:

Sarà perché di tendenza, o perché è quella che ci viene sempre suggerita dai macellai, ma negli ultimi anni sembra che l’unica carne di bovino reperibile, anche al supermercato, sia quella di scottona: ci avete mai fatto caso leggendo le etichette? Ma effettivamente cos’è la scottona?[2]

Prima di procedere con la storia della parola, chiariamo quindi subito che scottona non indica né un taglio di carne bovina, come la fesa o lo scamone, né una razza, come la Chianina o l’Angus. Il vocabolo indica invece un capo bovino di sesso femminile, giovane, che non ha mai figliato. Il termine fa riferimento all’età dell’animale al momento di macellazione: la giovane femmina di bovino viene chiamata anche manza, manzetta o giovenca, ma all’esemplare destinato alla macellazione entro i due anni può essere assegnato il nome di scottona. Se il bovino supera i 24 mesi di età o ha avuto gravidanze viene generalmente chiamato vacca.[3]

Per normale estensione, scottona è passata presto a indicare non solo l’animale, ma anche la carne proveniente dalla sua macellazione. Per ciò che riguarda l’aspetto e il gusto di questa carne, va detto che le femmine di bovino, rispetto agli individui maschi, hanno maggiori capacità di depositare grasso, anche intramuscolare, in forma di sottili venature fra le fibre, e ciò determina sia l’aspetto marezzato della carne[4] sia la sua particolare tenerezza e sapidità. Inoltre, l’animale che non ha partorito ha i tessuti connettivali meno sviluppati (quindi la carne sarebbe più morbida e digeribile) rispetto alle bovine che hanno invece sostenuto il parto.

Riporto la definizione sintetica ed efficace tratta dalla nota rivista di culinaria, oggi portale web, La Cucina Italiana:

La carne di scottona è ritenuta particolarmente pregiata per le sue caratteristiche organolettiche, morbidezza e sapidità in primis. Le piccole infiltrazioni di grasso – dette marezzature – nella carne, che si sciolgono in cottura, sono in realtà ciò che rende questo tipo di carne particolarmente tenera e deliziosa. La carne, pur essendo i tessuti maturi, risulta essere magra e giovane. Ciò è dovuto al fatto che gli animali sono di sesso femminile che di per sé producono una carne più tenera, e che ancora non sono stati sottoposti a sforzi, altro fattore che influisce sulla consistenza della carne[5].

Si legge anche che, dal punto di vista chimico e biologico, il particolare sapore della carne di scottona sarebbe dovuto alla ricchezza di ormoni, feromoni ed estrogeni naturalmente presenti nell’animale già sessualmente maturo e in stato di estro al momento della macellazione: la loro presenza favorirebbe la crescita della massa muscolare e l’accumulo di grasso. Ma capita perfino di leggere che gli ormoni stessi conferirebbero alla carne il suo particolare sapore. Singolare infine la presentazione dell’allesso di scottona come alimento tipico della tradizione gastronomica romana, che può leggersi in diverse guide turistiche di Roma molto popolari.[6] Ma non c’è evidentemente da stupirsi, se anche un macellaio della capitale, espressamente interpellato, ha riferito che la scottona sarebbe un tipo di carne “biologica”.

Sul piano più strettamente linguistico, rilevo infine che scottona viene oggi sempre più utilizzato anche come aggettivo, nella locuzione carne scottona: la quale rappresenta un ulteriore indizio dell’assenza di consapevolezza dell’origine e del significato della parola, visto che nessuno direbbe mai carne vitella o carne manza.

Sarà bene a questo punto precisare qualcosa sulla terminologia bovina, tenendo presente che la nomenclatura italiana che definisce i tipi di carne bovina in relazione all’animale, alla sua età e al sesso è spesso problematica (le definizioni non sono univoche; il lessico è spesso di uso regionale; ricorrono inoltre equivalenze sinonimiche non sempre condivise).[7] Le voci principali dell’uso, elencate grosso modo in ordine di età del capo e distinguendo in alcuni casi il sesso dell’animale, sono: lattonzolo e baliotto, vitello e vitella, vitellone, bovino adulto, scottona, giovenca, manzo e manza (e manzetta), castrato, torello, toro, vacca, bue (e bove).[8]

Ma prima della diffusione del nostro termine, forse non esisteva l’animale e la carne che oggi denominiamo scottona? Esisteva di certo: semplicemente, la parola vitellone definiva senza altra distinzione sia l’individuo maschio sia quello femmina; per quest’ultima si sarebbe potuto usare, a dire il vero, il termine vitellona. Per fare un esempio, tutte le femmine di bovino che attualmente possono essere certificate come “Vitellone Bianco dell’appennino Centrale” (Indicazione Geografica Protetta) potrebbero anche essere denominate scottone, perché il relativo disciplinare di produzione prevede la macellazione del capo tra i 12 e i 24 mesi di età: tuttavia nella denominazione del marchio e nel testo del relativo disciplinare la parola scottona non ricorre mai.[9] Anche mediante questo esempio, è opportuno ribadire che una scottona può appartenere a una qualsiasi razza di bovino (scottona di Chianina, di Fassone, di Kobe e così via), e che dalla scottona si possono ricavare tutti i tagli di carne previsti dalle regole e dalla pratica della macellazione.

L’età della scottona al momento della sua macellazione è definita con precisione soltanto nei protocolli ufficiali. Nelle definizioni rinvenute sul web, invece, da cui dipendono anche le recenti registrazioni dello Zingarelli e del Devoto-Oli, si legge variamente “femmina di bovino relativamente giovane (tra i 15 e i 22 mesi)”, “femmina del bovino di età compresa tra i 12 e i 24 mesi”, “età compresa fra 12 e 22 mesi”, “femmina di bovino con un’età inferiore ai due anni”, “femmine di età non superiore ai 15/16 mesi”, “di età compresa tra i 18 e i 24 mesi (talvolta arriva anche a 3 anni)”.

In realtà, lungi dal costituire un termine della tassonomia zoologica, scottona è oggi una denominazione generica, che non dispone di un disciplinare condiviso che rivesta carattere di ufficialità negli ambiti merceologico e commerciale. Di fatto, sulle confezioni di carne di scottona, produttori e rivenditori sono obbligati dalla normativa a inserire sull’etichetta, dopo scottona, la dicitura “Bovino adulto”.

La diffusione della vendita della carne di scottona ha determinato interessi commerciali volti alla tutela di specifiche produzioni e al riconoscimento di marchi di qualità. A mia notizia, tuttavia, ad oggi l’unico disciplinare di produzione che abbia ricevuto un riconoscimento ufficiale sul piano normativo regionale, nazionale e comunitario risulta essere quello denominato “Vitellone e scottona allevati ai cereali”, promosso nel 2013 dalla Regione Veneto nell’ambito del sistema di qualità “Qualità verificata” (Legge regionale n. 12/31 maggio 2001, “Tutela e valorizzazione dei prodotti agricoli e agro-alimentari di qualità”).[10] Abbiamo già detto sopra che il disciplinare di produzione del “Vitellone Bianco dell’appennino Centrale”, diversamente, non utilizza mai il termine scottona.

Come si afferma, in modo tanto ingenuo quanto linguisticamente inadeguato, sulla pagina di un negozio online che si occupa proprio di vendita di carni, carne scottona funziona “esattamente come uno slogan capace di invogliare”, di evocare “un ottimo taglio di carne dal potenziale esclusivo. […] Tuttavia è buona cosa ricordare che il sapore indiscutibilmente buono è dato dalla presenza di grasso e pertanto non è esattamente da inserire tra le bistecche di manzo salutari”, e che “gli allevamenti intensivi hanno regole particolari che includono l’utilizzo di estrogeni e ormoni rafforzativi”.[11]

Torniamo ora sulla recente affermazione del vocabolo. Abbiamo detto che da circa un decennio la voce è penetrata nel linguaggio comune, e di conseguenza risulta anche ben attestata sul web. Da pochi anni la voce è stata accolta anche nella narrativa. Si legga il seguente passo:

Il cuoco si era innervosito. Spaghetti e risotto, quelli sono degli asini. Accontentiamoli, accontentiamoli, diceva il proprietario sempre con l’occhiolino maligno, il ghigno fisso, da cocaina. Seguiva la carne. Dagli arrosti di varia natura, carni rosse e bianche. Figuriamoci, lo sposo amava la tagliata di manzo, di scottona. Puttana Eva, preparare la tagliata per ottanta persone è una follia, ci vuol mestiere. Scottona? Quello non capisce un cazzo, lo sposo, il cretino[12].

O anche il seguente:

Quindi mi porti una bistecca di scottona, cottura media-al sangue, con i bastoncini di mozzarella e un intingolo di grasso sciolto di bacon.” La donna sogghignò. “Mi dispiace, non c’è la scottona nel menu”. “Allora potremmo fare costine”[13].

Si veda infine l’uso scherzosamente metaforico che ne fa Paolo Tebaldi, commentando un proverbio marchigiano sulla diversa velocità dell’allungarsi delle giornate rispettivamente dopo il Natale e dopo il Capodanno: se la giornata, da Nadèl all’ann nòv, se slónga el pass d’un bòv, invece

da l’ann nòv alla Pasquèlla, se slónga el pass d’una vitèlla: la quale ovviamente, sia per la minore età, sia per il fatto di essere ancora scottona, cioè non sposata, e quindi non avendo ancora i pensieri dei figli, dell’allattamento e magari la depressione post-partum, aveva un’innegabile inconsapevole leggerezza da signorina, oltre alla tenerezza delle carni […]. Sembrava di vederla, la vitella, che prendeva il via e s’allontanava dalle pocce della madre quasi danzando: senza immaginare che l’aspettava il mattatoio[14].

Infine, anticipo qui che, con lo stesso significato di scottona, si è diffuso da qualche anno in area veneta il termine sorana, analogo esempio di rivitalizzazione di un vocabolo locale o desueto promossa da interessi commerciali e gastronomici: di sorana si occuperà brevemente una nota conclusiva di questa ricerca.

Procediamo ora invece con la storia del termine scottona. Come già detto, nessun indizio ci viene dai dizionari storici; la voce è infatti assente nel TLIO, nel Tommaseo-Bellini e nel GDLI.

2. La prima attestazione (1526): “Scottona, grosses tres”

Abbiamo prima detto che lo Zingarelli (2018) data la voce al 1992, e il Devoto-Oli al 1894, entrambi senza indicare la fonte. Aggiungo che già nel 1985 il termine ricorre nella Raccolta provinciali degli usi della provincia di Cremona: “è chiamata […] scottona la manza non gravida destinata alla macellazione” (art. 24).[15] E nel 2005, anche la Camera di Commercio di Varese ci presenta una definizione della parola, fra i Bovini da macello: «“manza, giovenca o manzarda” (scottona): la femmina mai fecondata o che non abbia segni manifesti di gravidanza, dalla prima alla seconda rotta».[16] Sono forse questi i primi segnali della recente diffusione commerciale della parola.

La prima attestazione di scottona rimanda tuttavia a molti secoli prima, ed è menzionata nel Glossarium mediae et infimae latinitatis del Du Cange, dove il vocabolo è registrato a lemma con il seguente esempio tratto da un prezzario di bovini:

Pro unaquaque vitella, denarios triginta unum cum dimidio, pro unoquoque bove, et qualibet scottona, grosses tres, etc. (“Per ciascuna vitella, trentuno denari e mezzo, per ciascun bue, e qualsiasi scottona, tre grossi”)[17].

L’esempio del Du Cange, datato al 1526, è tratto da una fonte così abbreviata: Convent. civit. Saonæ, che non ritrovo nell’elenco delle fonti e abbreviazioni del Glossarium. Ma la sigla si integra agevolmente in Conventiones civitatis Saonae, ovvero i regolamenti stabiliti dalla “Serenissima Republica di Genova” per l’appena soggiogata città di Savona.[18] Nelle Conventiones venivano stabiliti anche i prezzi di alcuni beni di consumo (un altro esempio ricorre per il prezzo del montone: “Item pro singulo pecio bechinorum, denarium unum”).[19]

Alcune considerazioni: anzitutto il Du Cange, o meglio i redattori che ne hanno integrato l’opera, tutti francesi, si limitano a riportare l’esempio, ma non definiscono il significato della parola, che probabilmente non conoscevano; in secondo luogo, nei moderni lessici del latino medievale (ad esempio, nel Mediae Latinitatis Lexicon del Niermeyer), la voce scottona non risulta accolta, quasi non venga giudicata voce latina, ma volgare o dialettale, come in effetti risulta essere; in terzo luogo, è doveroso ricordarlo, la fonte era già nota nel 1894 al politico e scrittore genovese Carlo Randaccio, che tuttavia ci dice soltanto: “scottona trovasi in un documento lat. della Liguria del 1526”.[20]

3. Origini genovesi del termine scottona

Dopo la prima attestazione (Genova, 1526), vediamo ora una rassegna di testimonianze e documenti otto-novecenteschi sulla parola, tutti concordi nel ricondurre a Genova l’uso del vocabolo.

3.1. Genova e il conte Camillo Benso di Cavour

Nella seduta del Parlamento Subalpino del 4 luglio del 1857 fu discussa la legge di bilancio per l’esercizio finanziario dell’anno successivo. Il deputato Domenico Buffa presentò un emendamento agli articoli 3 e 4 della proposta di legge, richiedendo al presidente del consiglio, il conte Camillo Benso di Cavour, di diminuire il canone gabellare imposto sulla carne alla città di Genova, ritenendolo ingiustamente elevato. La discussione parlamentare fu molto ampia e alla fine la mozione fu accolta. Riporto qui, del lungo intervento di Buffa, la porzione di nostro interesse:

BUFFA. Veniamo ora alle carni. Le carni pagavano già un dazio molto grave imposto dal municipio di Genova. Il delegato pose ancora una sopratassa: bisognava supplire al deficit, bisognava trovare questo denaro. [...] Ora sapete voi che cosa valesse già la carne a Genova prima della sopratassa? Non parlo delle carni di bue e di vitello, riservato alle persone più agiate, ma unicamente della carne di vacca, colà detta scottona, che forma la consumazione di quella parte del popolo che si ciba di carni, di quella del ceto medio che è meno agiata, e ne è la grandissima maggioranza; ebbene la carne di scottona a Genova, prima della sopratassa, valeva già una lira il chilogramma...
CAVOUR, presidente del Consiglio, ministro degli esteri e delle finanze. Vale di più a Torino.
BUFFA. Quella di vacca?
CAVOUR. Di questa non se ne mangia qui.
BUFFA. Ecco! La carne che a Torino non si mangia, non è reputata mangiabile, si paga a Genova ad egual prezzo che a Torino il vitello ossia la carne più fina!
CAVOUR. Egli è perché i Genovesi la amano meglio.
BUFFA. Non creda il signor presidente del Consiglio che i Genovesi amino meglio la carne cattiva che la buona. Anche a Genova si mangia il vitello; ma, siccome il vitello si pagava là già prima della sopratassa lire 1,50 il chilogramma, questo lodevole gusto dei Torinesi non poteva essere proprio che di una classe assai ristretta di consumatori. Là adunque l’operaio per mangiare la carne più ordinaria doveva già fin d’allora spendere quanto spende in Torino il ricco signore per mangiare la carne più fina; poiché il prezzo del vitello a Torino è appunto di lire 1 il chilogramma. Ma dopo la grave sopratassa già menzionata, voi già intendete che i prezzi debbono essersi elevato d’assai, almeno di 8 o 10 centesimi, il che significa che oggidì la carne più ordinaria costa in Genova più di quanto costi in Torino la più fina[21].

Alcune pagine più avanti egli ribadisce che il consumo di carne di vacca, che è di bassa qualità, è tipico dei ceti e delle regioni povere, cosicché il prezzo non avrebbe dovuto essere gravato da un’eccessiva imposizione tributaria:

BUFFA. Due parole ancora per rispondere a ciò che diceva il signor ministro della carne di scottona. È ben difficile che egli riesca a dimostrare che la carne più ordinaria sia quella appunto che è più ricercata da chi è più ghiotto. Il signor ministro che così bene conosce le varie parti del Piemonte, saprà che i paesi poveri consumano molta vacca ed i paesi ricchi molto vitello[22].

Il deputato Buffa riferisce quindi a Genova l’uso della voce scottona, assegnando tuttavia al termine il significato tout court di ‘vacca, carne di vacca’, quindi poco pregiata. Tuttavia non risulta che a Genova la vacca fosse ordinariamente mangiata, come non lo era a Torino e come anche oggi non è in Italia; e la voce vacca ricorreva a Genova quasi esclusivamente nel commercio dei pellami. In realtà a Genova scottona indicava la vacca giovane, la quale, in altri luoghi, è indicata con i termini giovenca, manza, manzetta, manzotta. Dai prezzari, risulta che il prezzo della carne di scottona era lo stesso del manzo, a cui era sempre associata, e che pertanto, pur non essendo di bassa qualità come la vacca, non rappresentava una carne di particolare pregio, come oggi si intende. Più avanti forniremo anche il contesto storico-economico per comprendere meglio il significato del termine a Genova.[23]

3.2. Attestazioni

La voce scottona proviene quindi da Genova: fin dal primo Ottocento la parola è infatti attestata pressoché unicamente nel capoluogo ligure. E da Genova quindi, in anni recenti, si sarebbe diffusa nell’italiano odierno. Ma forse sarebbe meglio dire che, piuttosto che dal dialetto genovese, la voce scottona proviene dall’italiano regionale di Genova, visto il suo utilizzo comune nel secolo XIX, senza alcuna marca metalinguistica, in testi in lingua italiana, anche ufficiali. Va però subito detto che, sorprendentemente, a dispetto della generale diffusione del termine certificata dalle fonti che fra poco presenteremo, a Genova la parola scottona sembrerebbe regredire nell’uso presumibilmente intorno alla metà del secolo scorso e, se non fosse per la sua diffusione panitaliana registrata negli ultimi anni in ambito commerciale, oggi sarebbe forse poco nota agli stessi genovesi. L’Atlante italo-svizzero (1928-1940) segnala la voce in regressione verso le Alpi Marittime: škutùn e škutùna, con articolazione palatalizzata della sibilante, rispettivamente a Vicoforte e Pontechianale. Compare poi come skutòne a Godiasco, nell’area pavese confinante con il Piemonte.[24] Da rilevare infine che scottona, forse perché ormai avvertita come voce italiana, è assente nel recentissimo Dizionario genovese del Lusito.[25]

Procediamo quindi con alcune attestazioni. Inizio con la più significativa sul piano statistico, che non è tuttavia la prima cronologicamente. Si tratta di un elenco del 1897 di 131 rivenditori di carni a Genova: per ciascun titolare dell’esercizio, con il relativo indirizzo, si indica anche fra parentesi il tipo di carne venduta. L’elenco si presenta in questo modo:

Assereto Eligio (bue e vitello), vico della Casana, 16, e spianata Castelletto, 117-r.
Bagnarello Emilio (scottona), via di Canneto il lungo, 48-r.
Bagnarello Oreste (scottona), via Palestro, 19-r.
Balza Carlo (scottona e vitella), via Canevari, 266.
Barbagelata Domingo fu Gaetano (scottona), borgo Lanaiuoli, 1-r [26].

Si noti che: i rivenditori elencati, come già detto, sono 131 (anche se non per tutti si riporta il tipo di carne venduta); i tipi di carne riportati sono: scottona (74 esercizi), vitella (38), bue (12), vitello (6), lanuti (16), manza (1). Molto chiaramente si deduce quindi che i genovesi, come già rilevato dal Buffa e come avremo poi occasione di confermare, mangiavano in prevalenza carne di scottona.[27]

Si vedano le seguenti altre attestazioni fra Otto e Novecento, pressoché tutte genovesi e senza riscontri in altre parti d’Italia:

1) 1887: La cuciniera genovese, opera di culinaria (già edita nel 1864):

Ponete in tre litri di acqua un chilogrammo di manzo o scottona;
Prendete chil. uno e ½ di scottona e mettetela in 4 litri d’acqua[28].

2) 1874: Relazione sulla straordinaria distribuzione di Vino e di Carne fatta ai bambini degli Asili e Giardini d’Infanzia durante l’epidemia Cholerosa del 1873:

Incaricato dalla S.V. [...] di ordinare [...] un più sano nutrimento, mediante la distribuzione di carne e di vino ai duemila cento bambini dei nostri Asili [...] prendeva tosto i dovuti concerti con i provveditori Stefano Peschiera e Angelo Rebora per la distribuzione della carne di scottona[29].

3) 1897: avviso di gara di appalto per la fornitura di “Carni di scottone a Quarto. Ammontare preventivo della provvista: L. 2100”.

L’avviso fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia dalla “Commissione Amministratrice degli Ospedali Civili di Genova”[30]. Si osservi che qui scottone è usato come maschile, perché la voce è sicuramente singolare (in tutti gli esempi analoghi che ricorrono nel testo, per indicare la tipologia di carne è sempre adoperato il singolare: “Carni di vitello”, “Carni di bue”, ecc.): di questo uso al maschile di scottona diremo più avanti.

4) 1923: Il Comune di Genova. Bollettino municipale mensile, Anno III (Editore Fratelli Pagano, Genova):

Scottona ricorre almeno 17 volte. In ogni fascicolo del bollettino sono sempre presenti tre specifiche sezioni: 1) l’elenco delle rivendite, così catalogato: “Servizi Annonari municipali” → “Macellerie” → “Carni bovine fresche (manzo, scottona e vitello)” (p. 248); 2) il “Calmiere sui generi di prima necessità”, dove ricorrono innumerevoli esempi di questo tipo: “Manzo o scottona senza osso e senza giunta: L. 11,50 al Kg” (p. 82); le “Statistiche prezzi mese precedente”: “Manzo e scottona senz’osso”, “Manzo e scottona con 1/3 d’osso” (p. 215), ecc. (in tutti questi esempi si nota che la scottona è sempre associata, nel prezzo, al manzo).

5) 1930: Genova. Rivista Municipale, Anno X (dove bene si nota la distinzione fra vacca e scottona):

Furono assegnati alla bassa macelleria le carni dei seguenti animali: 4 vacche ed una scottona per tubercolosi localizzata (p. 731); Furono assegnati alla bassa macelleria le carni dei seguenti animali: […] 1 scottona per parto distocico (p. 810); Sono stati sequestrati ed inviati alla sardigna per la distruzione: 4 vacche ed 1 scottona per tubercolosi diffusa (p. 810).

6) Astengo C. e Parenti Dott. F., Sui Regolamenti di polizia urbana e rurale e sul modo di compilarli, Milano, Luigi di Giacomo Pirola, 1860.

Si tratta di una proposta, edita a Milano, di regolamenti “applicati nell’intendenza del circondario di Monza”. Nella Sezione quarta, capitolo Dei Macellaj, dello ammazzatojo, e della vendita delle Carni:

Per garantire la qualità delle carni dovrà inoltre il veterinario apporre un bollo distinto come in appresso: Per la Carne di Bue col N. Romano I; di Vitello da latte N. II; di altri Vitelli e Scottoni N. III; di Toro e Vacca N. IV (art. 19, p. 29);

I macellaj di buoi, scottoni e vitelli non possono tenere e vendere carne di toro e vacca, e viceversa. Resta in facoltà dell’amministrazione Comunale di proibire la vendita promiscua delle carni di bue, scottone, manzo e vitello (art. 28, p. 33).

Già nell’esempio n. 3 abbiamo osservato l’occorrenza del maschile singolare scottone. Si notino in questi due ultimi esempi scottone e scottoni, sicuramente maschili, singolare e plurale come gli altri termini presenti nelle rispettive enumerazioni. Scottone di genere maschile è qui evidentemente utilizzato in modo sovraesteso, con l’intenzione di definire i capi di entrambi i sessi[31]. Ma c’è forse da dubitare della reale esistenza di scottone maschile, il quale è più probabilmente una ricostruzione analogica degli autori, non nativi di Genova[32].

7) 1940: rivista La Chimica, diretta da Angelo Tarchi, Annata XVI, N. 1, gennaio 1940:

Sezione Listino dei prezzi - Dati rilevati dal Consiglio Provinciale delle Corporazioni di Milano. A p. 60, nella sezione Pelli crude e conciate, si distingue fra pelli di Buoi, Vacche, Scottone e scottoni, Tori, Vitelli, Vitelloni, Cavalli, Puledri, Muli e Asini.

Scottone di oltre 40 Kg: Al Kg da L. 9 a 9.20;
Scottone e scottoni fino a 30 kg: Al Kg da L. 9 a 8.35;
Scottone e scottoni da 30 a 40 Kg: Al Kg da L. 9 a 8.05.

Si noti la distinzione esplicita scottone/scottoni, plurali femminile e maschile, e la singolare precedenza del primo genere. Come negli esempi del punto precedente, rileviamo anche qui che la rivista, il suo direttore Tarchi e l’Istituto Italiano di Storia della Chimica non dovrebbero aver avuto specifici rapporti con Genova.

8) 1847: Luigi De Bartolomeis, Notizie topografiche e statistiche sugli stati sardi, Torino, Tipografia Chirio e Mina, 1847.

Ho lasciato da ultimo questa attestazione, che precede cronologicamente tutte le altre, perché presenta un quadro economico e statistico dell’allevamento bovino a Genova del primo Ottocento e fornisce di scottona una definizione più precisa e storicamente circostanziata. Studioso formidabile di statistica, il De Bartolomeis asserisce che le scottone rappresentavano la razza bovina indigena dell’appennino genovese, e le classifica come “animali da macello”. Neglette dagli allevatori, deboli e inadatte al lavoro, male nutrite e poco produttive, subivano la concorrenza delle razze svizzere, molto più redditizie. Per questi motivi le scottone, non utilizzate né come fattrici né per il latte, venivano per lo più destinate alla macellazione:

Rispetto al bestiame della provincia di Genova dobbiamo asserire: 1) Che fra le specie di animali proprie alle montagne di Genova, che più fecondano delle altre, e che formano, se non la sola, la prima sorgente di ricchezza alla popolazione agricola, si è la bovina […]. 3) Che anche le razze bovine provengono dall’estero, in parte dalla Svizzera, la maggior quantità dal Vallese, ma poche sono le bestie della pura razza di Schwitz: una parte proviene eziandio dalla valle d’Aosta […]. L’uso di allevare la razza propria è rarissimo, e le poche allevate, sotto il nome di scottone, vanno al macello[33].

3.3. Scottona nella lessicografia dialettale genovese

La lessicografia dialettale conferma la pressoché esclusiva “genovesità” della voce, in taluni casi registrata anche nelle forme scotóna, scuttùna e scutùna.

Una premessa fonetica: fra le particolarità del dialetto genovese che interessano anche la nostra parola va segnalata la pronuncia velare della nasale (la cosiddetta engma, simbolo IPA: [ŋ]) in contesti del tipo tana, gallina, campana, Savona. Alcuni autori dei testi più avanti menzionati definiscono questa pronuncia gutturale o faucale; il Casaccia, nel suo Vocabolario genovese-italiano (1851), la definisce così:

Allorché si trovano due n scritte in tal modo nn-, la pronuncia di queste è nasale, ed ambedue si appoggiano alla vocale precedente, pronunciandosi poi la vocale che segue totalmente staccata dalle medesime;

e in modo parzialmente diverso nell’edizione del 1876:

si pronunzia nasalmente, e nel pronunziarla si perde in bocca per metà, come: man, mano, sen, seno, bibbin, dindio, lattõn, ottone, ecc.

La resa grafica adottata dai diversi autori che nel tempo si sono occupati di letteratura o di lessicografia genovese è varia: scottonha (Paganini, Olivieri), scottonn-a (Casaccia, Gismondi, Petrucci, Costa, De Carlo, Pessino, Fiorenzo Toso), scotton-a, scotton-na (Gian Giacomo Cavalli, poeta dialettale genovese del secolo XVII), scottoña (Stefano De Franchi, detto Steva, poeta dialettale del secolo XVIII noto anche con lo pseudonimo arcade di Micrilbo Termopilatide; Niccolò Bacigalupo, poeta e drammaturgo dell’Ottocento; Angelico Federico Gazzo, autore della “Divina Commedia” tradotta nella lingua genovese, 1909).

Passiamo ora in rassegna alcune fonti lessicografiche.

1) Giovanni Casaccia, Vocabolario genovese-italiano, Genova, Fratelli Pagano, 1851 (ma già pubblicato nel 1844, come si legge nell’introduzione):

Scottonn·a, s.f. Giovenca, Manzotta; Giovine vacca, che non ha ancora portato.

2) Giuseppe Olivieri, Dizionario genovese-italiano, Genova, Giovanni Ferrando, 1851, p. 437:

Scuttunha. Giovenca, vacca giovane, vaccarella[34].

3) Angelo Paganini, Vocabolario domestico genovese-italiano, Genova, Gaetano Schenone, 1857[35]:

Si tratta di un dizionario nomenclatore. Nella sezione Carne, a p. 61, assieme alle locuzioni Carne de Bèu, Carne de Vacca e Carne de Vitella: “Carne de Scottonha, Carne di giovenca o di manzotta. Giovenca o Manzotta è Giovine vacca che non ha ancora portato”.

Nella sezione Animali domestici, p. 225: “Scotónha, Manzotta, Giovenca, Vaccherèlla, Vacca giovane”.

4) Vocabolario tascabile genovese-italiano per il popolo, compilato da P.F.B., Genova, co’ tipi del R.I. Sordo-Muti, 1873:[36]

Scottoña. Giovenca, Manzotta.

5) Carlo Randaccio, Dell’idioma e della letteratura genovese, 1894, cit. alla nota 20:

Scutun-a, it. vacca giovine che non ha ancora portato.

6) Girolamo Rossi, Glossario medioevale ligure, Torino, G. B. Paravia e C., 1896:

Scotona (vacca giovine)[37].

7) Gaetano Frisoni, Dizionario moderno genovese-italiano e italiano-genovese, Genova, A. Donath, 1910:[38]

Scottonn-a, s. f. giovenca, manzotta.

8) Alfredo Gismondi, Nuovo Vocabolario Genovese-Italiano, Società Editrice Internazionale, Genova, Fratelli Pagano, 1955:

Scottonn-a, s. f. giovenca.

9) Franco Lena, Nuovo dizionario del dialetto spezzino, La Spezia, Accademia Lunigianese di Scienze Giovanni Capellini Editrice, 1992:

Scotóna [skotọ́na], sost. f., giovenca. (gen. scottonn-a).

10) Franco Bampi (e I soci de A Compagna), Dizionario Italiano-Genovese, Genova, Ligurpress, 2018:

Scottona (tipo di carne bovina) = scotónn-a [FB][39].

Alcuni dizionari recenti delle parlate liguri attestano che scutuna ‘giovenca, manza giovane’ è voce anche del savonese. Scutuna è nel Dizionario del dialetto savonese del Besio (1980).[40] Il Vocabolario delle parlate liguri (1990) documenta la voce ad Alassio, Loano, Sassello, Varazze (ad Alassio, in particolare, vale anche ‘carne di vitellone’).[41] Nel Vocabolario ligure dell’Aprosio (2003) scutuna ‘giovenca, vacca giovane’ è indicato come presente a Savona già nel 1848, con un esempio tratto da un almanacco locale: “da gran vacca e da scuttuna / ch’a se vende francamente / pe vitella da ciü’ bona”.[42]

4. Etimologia di scottona; lo scottone addetto alle mucche

Come accennato all’inizio, l’etimologia di scottona è stata accertata molto recentemente: lo Zingarelli 2018 è il primo dizionario a riportare la base corretta, che è scotta ‘siero del latte’, già attestata nel 1612.

Fino a pochissimi anni fa, mentre gli specialisti preferivano dichiarare l’oscurità dell’etimo (all’inizio di questa ricerca è stato citato il Devoto-Oli 2014 e una nota di consulenza dell’Istituto Treccani), sull’origine di scottona erano diffuse due ipotesi. La prima (e più diffusa) è con ogni evidenza del tutto fantasiosa, e la riportiamo non tanto per curiosità quanto come esempio tipico di etimologia popolare: essa ci propone l’immagine quasi caricaturale del contadino che, portando al mercato il proprio animale per venderlo, è “scottato”, cioè contrariato e risentito, perché costretto per necessità a disfarsene senza che abbia prima figliato (anche se circola un’altra ipotesi: che in realtà l’allevatore macellasse le giovani bovine nullipare proprio perché, malgrado i primi “calori”, non figliavano). Una variante di questa ipotesi immagina invece che il bovino “scotti”, in quanto in fase di estro ma senza avere ancora figliato. Pertanto, si sarebbe denominato scottona il bovino che “scotta” per il calore o perché “scotta” il proprietario.

La seconda ipotesi è stata formulata da Giovanni Ballarini, esperto di discipline gastronomiche e di antropologia alimentare.[43] Anche lui riconduce scottona a scottare, ma facendo riferimento a un’antica distinzione tra “carni fredde” e “carni calde” tipica di credenze e terminologie medievali e post-medievali: le cosiddette carni fredde erano quelle magre, poco tenere e poco pregiate dei bovini anziani o castrati; erano invece chiamate carni calde, giovani, morbide e di pregio, quelle provenienti da animali macellati durante il periodo dell’estro, come la femmina di bovino non ancora gravida, che sarebbe perciò addirittura “scottata” dal calore.[44] Anche questa seconda ipotesi, sebbene suggestiva e sostenuta da qualche argomento, resta generica e poco persuasiva.

La parola scotta, pur essendo presente nella nostra tradizione lessicografica fin dal 1612 (è già nella prima edizione del Vocabolario della Crusca, ma con rimando a ricotta; come lemma autonomo, compare solo nell’edizione 1691, dove peraltro è confuso nella stessa entrata con il più noto termine marinaresco), resta comunque voce inconsueta e dal significato molto specifico: più precisamente, infatti, scotta è il nome con cui, in alcune zone di produzione casearia, si indica il siero che rimane nella caldaia, non rappreso, dopo la lavorazione del formaggio o della ricotta. Per stabilire una relazione fra scottona e scotta, entrambi termini poco noti, era ovviamente necessario individuare una specifica motivazione, che ancora non figura nello Zingarelli 2018.

Personalmente, avevo ritrovato la base scotta ricercando l’etimologia di un altro suo derivato, il maschile scottone. In area veneta è infatti ben attestata, già nell’Ottocento e fino ad oggi, la voce scottone per indicare l’operaio addetto al governo delle mucche, ma con un valore semantico-professionale specifico e ben definito nell’Inchiesta agraria di Stefano Jacini, la nota inchiesta parlamentare condotta dal 1877 al 1886 per esaminare le condizioni dell’agricoltura nel Regno d’Italia. Nella parte degli Atti della Giunta relativi alla provincia di Vicenza, si legge:

Il personale addetto agli animali si compone: per i buoi, dei bovai, boaroli, vitellari; per le mungane dei casari, vaccari e scottoni; per i cavalli, dei carrettieri; per le pecore, dei pastori.[45]

Allo scottone compete il governo e la mungitura degli animali:

Scottoni. – Questi operai devono aiutare il vaccaro nel governo e nella pulizia della stalla, ed hanno per di più la incombenza di occuparsi dei maiali che si trovano sempre uniti alla vaccheria per utilizzare gli avanzi del latte. […] Giova notare che, ove le vaccherie non sieno abbastanza importanti da pemettere la suesposta divisione di uffizi, si fa a meno del vaccaro, conservando il casaro e lo scottone: questi due devono necessariamente esservi, per quanto ristretto sia il numero delle vacche[46].

È interessante rilevare che ancora oggi, nella stessa accezione, scottone sia utilizzato naturalmente e senza alcuna nota o rilievo metalinguistico nel romanzo Il ramarro di Maurizio Antonio Rigoni, di Asiago, ambientato in una vaccheria della provincia di Vicenza. Maurizio Rigoni è prematuramente e tragicamente deceduto nel 2015, e come omaggio alla sua memoria mi sia consentito riportare brani del romanzo un po’ più ampi del necessario:

a) Edgardo imparava sottomesso alla madre, aiutandola, l’arte dello scottone, il sottocasaro di famiglia. Filtrava il latte dopo la mungitura con l’erba de colo, un muschio utilizzato più giorni e disinfettato nel siero bollente, poi doveva riscaldare il latte sulle braci, stare attento che le fiamme non diventassero vive, aggiungeva alcune gocce dell’erba cumarina quale caglio vegetale, quindi frantumava la cagliata con il mestolo, estraeva i pezzettini di cafatela ammucchiandoli in un canovaccio.

b) Non bisognava perdere minuti preziosi. Appena il primo latte aveva subito l’affioramento subito si doveva farlo affluire in caldaia e aggiungere del siero innesto di abomaso di vitello oppure la fermentazione del siero dolce ricavato dalla lavorazione del giorno precedente. L’operazione chimica di dosaggio e di esperienza era compiuta dal maestro casaro, non veniva lasciata alle cure di un semplice scottone, il quale nel frattempo prelevava la materia prima burrosa rilasciata dal liquido sgrassato e divenuto latte scremato.

c) Ora toccava ad Edgardo, assieme ad un altro scottone, estrarre la pasta dalla caldaia con dei teli di canapa e formare nelle fascere due forme di formaggio che avrebbero assunto negli ulteriori otto mesi di stagionatura il colore leggermente paglierino e consistente dalla pasta granulosa, dal gusto dolce e sarebbero divenute formaggi a pasta dura così come la volevano i frati benedettini[47].

Non sembra possibile associare in alcun modo a scottone le voci italiane scozzone ‘sensale e addestratore di cavalli e bestie da tiro’ e scorzone. L’etimologia di scottone sarà invece da connettere al latte che viene scaldato per produrre il formaggio, alla cui operazione il lavorante così definito coadiuva (del resto, come vedremo più avanti, lo scottone è anche un tipo di formaggio laziale consumato caldo). Tale connessione era stata già notata da Dante Olivieri nel suo studio sui cognomi della Venezia Euganea: ancora oggi il cognome Scottόn è decisamente veneto, molto diffuso in tutta l’area vicentina, ma anche nel trevisano, nel padovano e nella provincia di Venezia (meno rappresentato in Lombardia). Secondo l’Olivieri, il cognome Scotton è appunto il termine scotón, che indica in Friuli chi fa la polenta e nei Sette Comuni e ad Asiago chi fa le ricotte[48].

Di qui la mia ipotesi di una base comune fra il genovese scottona e il veneto scottone, e per questa via finalmente rinvenendo il sostantivo femminile scòtta; il quale è più probabilmente esito del latino volgare *excocta, anziché deverbale a suffisso zero da scottare,[49] ed è così definito nella sua prima attestazione lessicografica (Crusca, 1612, s.v. ricotta): “il Siero non rappreso, che avanza alla ricotta”. Lorenzo Viani (Viareggio 1882, Roma 1936) la chiama bevanda: “Le pecore ci dàn cacio e ricotte e anche la bevanda che suol dirsi ‘scotta’”; “Scotta e ricotta aveva dato il latte munto al tramonto”[50].

Ma come si arriva da scotta a scottona? In italiano esiste la parola lattóne (derivata da latte, con il diminutivo lattoncèllo), sia aggettivo sia sostantivo, con cui si indica l’animale che non è stato ancora slattato, altrimenti detto lattonzo o lattonzolo. Si vedano queste attestazioni del sacerdote agronomo Ferdinando Paoletti (1717-1801, toscano): “[mucche] lattone e sopranne”; “han dovuto per questo i coltivatori comprare i bovi, le vacche, i lattoni in concorrenza co’ macellari”[51]. Si legga anche il seguente esempio di Ippolito Nievo (1831-1861): “O che diritto l’ha lui di pararmi come un vitello lattone?”[52]. E infine questo, di Giambattista Giuliani (1818-1884): “In Montamiata chiamano ‘lattone’ o ‘boccino’ il bue appena nato”[53].

Ora, se dal sostantivo maschile latte si è derivato lattone per indicare l’animale che si nutre di latte, si può ragionevolmente pensare che dal femminile scotta, per indicare un altro tipo di bovino, sia stata tratta la voce scottone, o piuttosto scottona, per riferirsi a individui femmina, dato anche che il genere femminile è la forma-base di derivazione. Dunque il significato originario di scottona sarebbe ‘bovina giovane, che si nutre o è nutrita con la scotta, o che è golosa di scotta’. Pare del resto poco probabile che, in società rurali e arcaiche, dove niente andava sprecato, la scotta, ancorché meno nutriente del latte, venisse gettata via; è invece possibile, se non probabile, che potesse essere utilizzata come complemento alimentare di bovini già svezzati ma non ancora adulti, o di altri animali. D’altronde, proprio nell’Inchiesta agraria dello Jacini prima menzionata si afferma che con gli avanzi della lavorazione del latte gli scottoni nutrivano i maiali; e il LEI documenta che in area ticinese il verbo skociá significa ‘nutrire i maiali con la scotta’.

La stessa consuetudine sembra possibile dedurre da una osservazione del prima citato De Bartolomeis, riferita proprio ad alcuni luoghi delle montagne di Genova, ai bovini indigeni e all’ingrasso dei vitelli, fino all’età adulta, mediante latte raccolto in caldaie: “si attende specialmente ad ingrassare i vitelli, col dare loro puro latte, che si mette in grandissime caldaie”[54].

Pertanto, a Genova la scottona è il bovino, giovane e di sesso femminile, che si nutre della scotta; e in Veneto, come si legge nel romanzo del Rigoni, lo scottone è l’operaio che si occupa della scotta, dato che le sue mansioni nella vaccheria prevedevano di “utilizzare gli avanzi del latte”[55].

5. Postille

Nel progresso di questo studio e nella disamina dei risultati raccolti alla ricerca dell’etimo, mi è capitato di rinvenire altri riscontri lessicali i quali, a lavoro terminato, constato che sono per lo più da escludere dalla storia di scottona, ma che qui riporto non solo per completezza e per evitare inutili ulteriori accertamenti, ma perché illustrano vicende di parole poco note o di significati non registrati dai lessicografi.

1) Nel dialetto genovese è attestata la voce scottomèlla, a cui il genovese Angelico Federico Gazzo assegna il significato di “musceppia, ragazzotta”[56]. Il termine sarà forse da confrontare con il significato figurato del nostro scutuna ‘ragazza piacente e procace’, registrato nel Vocabolario delle parlate liguri a Sassello (Savona) e Arenzano (Genova)[57]; e, meno probabilmente, con il genovese scorlùssua ‘sgualdrinella’, che secondo il Randaccio è esito delle voci latine scortulum e scortillum[58].

2) Come accennato sopra, segnalo che lo scottone è una specialità casearia di Rocca Priora, comune del Lazio a sud-est di Roma: è un formaggio pecorino semiliquido, simile alla ricotta, così denominato perché viene consumato ancora molto caldo. Il latte viene portato due volte a ebollizione, divenendo ricotta da presentare bollente in ciotole di coccio. Resta dubbio l’etimo di scottone in questo significato: il LEI documenta che scotta è voce anche laziale, ma non si può escludere che, per la modalità di consumo di questo formaggio, il termine derivi da scottare.

3) Scottone nel senso di ‘scottata, scottatura’ è registrato nel Vocabolario del dialetto vicentino di Eugenio Candiago (Vicenza, Cenacolo Poeti dialettali vicentini, 1982: “scotón n. m. forte scottatura”), e ricorre anche in un romanzo recente:

Aprii l’acqua e, come al solito, ci misi un’eternità a trovare la giusta temperatura. Era una vera tortura fare la doccia lì, a differenza del resto del dormitorio nei bagni era tutto vecchissimo e capitava sempre di beccarsi uno scottone o dell’acqua gelida sulla testa. Quando finalmente la temperatura fu perfetta mi buttai sotto il getto d’acqua[59].

4) In un manuale di scrittura stampato nel 1548, scottone equivale a ‘cotone, garza’, e pertanto è semplicemente omofono dei precedenti derivati di scotta o di scottare. Trattando degli strumenti della scrittura e in particolare del calamaio, l’autore prescrive:

Devesi tenere coperto per la polvere che corrompe l’inchiostro, e con poca seta, o scottone, avvertendo di non mettervi bambace, perche s’attacca sempre alla penna, e si corrompe, e marcisce troppo presto[60].

5) Premesso che lo scòtto è il conto, la somma di denaro corrisposta al taverniere per aver mangiato all’osteria o in una locanda, in una nota lauda di Iacopone da Todi ricorre il termine scottóne, accrescitivo di scotto, alterato per esigenze espressionistiche e di rima e utilizzato in senso metaforico:

Paternostri otto a ddenaro
a pagar Deo tavernaro,
ch’eo no n’aio altro tesaro
a ppagar lo meo scottone[61].

La voce scotto, antica e letteraria, deriva dal francone skot ‘tassa’: ovviamente, per ritenere che scottona potesse derivare da scotto, sarebbe necessario immaginare che su quel capo bovino, a Genova, sia stata in qualche momento imposta una particolare gabella daziaria; a dire il vero, l’ipotesi era già venuta in mente al Randaccio (cfr. nota 20), che si interrogava sull’etimo di scutuna: “etim. prob. germ. ma oscura: servissero le scotone nel medio evo a pagar qualche censo, scot in sassone?”.

6) Infine, con riferimento a pasturae e pascolativi, Scottona è attestato più volte nel Chronicon Petroburgense (opera storica redatta in latino medievale redatta nell’abbazia di Peterborough, in Inghilterra, alla fine del secolo XIII), dove tuttavia è un toponimo:

Scottona (Scothorn); Hoc anno facta fuit quedam compositio de pastura de Scotere et de Scottona; in pastura de Scotere et de Scottona[62].

I due toponimi sono probabilmente connessi al nome all’antica popolazione celtica degli Scotti o Scoti, con cui nell’italiano antico si indicavano sia gli scozzesi sia gli irlandesi. Ed effettivamente la denominazione di molte razze bovine è stata derivata dalla regione di provenienza (Frisona, Chianina, Simmental, Limousine, ecc.). Ma che i pascoli di Scottona possano essere stati associati al nostro bovino e che dalle lontane pasture inglesi il vocabolo sia quindi pervenuto a Genova per le vie commerciali, è ipotesi che, anche prima del rinvenimento chiarificatore di scotta, la prudenza avrebbe suggerito di presentare con ben altri argomenti.

6. La sorana, equivalente veneto di scottona

Scottona ha almeno tre sinonimi, o quasi-sinonimi: manza (con il diminutivo manzetta e il derivato manzarda), giovenca e sorana. Giovenca, manza e manzetta sono voci tradizionali e pertanto rappresentate nei dizionari e attestate in letteratura.[63] Diversamente, sorana è voce molto recente nell’uso italiano e non ancora presente nei vocabolari, come succedeva a scottona fino a pochi anni fa.

Nel 1982 la voce era già registrata come dialettismo nel già citato Vocabolario del dialetto vicentino di Eugenio Candiago: “Soràna n. f. vitella, manzetta giovane”. Ma la voce non doveva essere molto nota: nel 2009, in un forum dedicato ai bovini, i partecipanti alla discussione, tutti veneti, si interpellarono sul significato di sorana, che venne infine chiarito da un agrotecnico di Camponogara (Venezia): “Con SORANA nella mia zona, vorrei dire tutto il Veneto, si intende il vitellone femmina, mai partorito e compreso tra 12 e 30 mesi. Il termine commerciale è scottona”[64].

Successivamente la voce ricompare, rilevata dal corsivo, in un volume del 2014 dedicato ai paesaggi agrari tradizionali del Veneto:

Nelle stalle convivevano i capi bovini di tutte le età: le vacche in lattazione e quelle gravide, i vitelli e le vitelle, i manzi e le manze, i soràni (sopranni) e le soràne, i e il toro; ognuno di questi, diviso per età o per funzione, trovava posto in un preciso settore tra appositi steccati[65].

Il 4 gennaio 2012 sorana viene per la prima volta inserita nella Wikipedia italiana, sotto la voce Bos taurus, all’interno di una lista di denominazioni utilizzate negli allevamenti bovini, senza alcuna marca dialettale: “Sorana, femmina di età inferiore ai venti mesi e che non ha mai partorito”[66].

Negli ultimi anni la voce, inizialmente circoscritta nell’ambito zootecnico locale, è divenuta termine commerciale corrente in Veneto: le attestazioni sul web, tutte recentissime, ricorrono in modo pressoché esclusivo su siti di vendita di carne online e al minuto, e in denominazioni di imprese commerciali, tutti veneti (province di Vicenza, Verona, Venezia, Treviso e Pordenone). In tutte le occorrenze o definizioni sorana è inteso come sinonimo di scottona. Ecco alcuni esempi recenti dal web, con l’anno di prima pubblicazione delle rispettive pagine:

La sorana (così nominata nel Triveneto, ma più comunemente conosciuta come ‘scottona’ nel resto d’Italia) è una giovenca di origine italiana di età compresa tra i 18 e i 22 mesi e che non ha ancora partorito (2021);

Sorana è qualunque femmina di vacca di età non superiore a 20 mesi, che ancora non ha mai partorito. Un bovino quindi giovane, con la giusta quantità di grasso, che non ha avuto vitelli e non è stata sfruttata per il suo latte. […] La carne di Sorana è una carne che sta riscuotendo un successo crescente (2021);

Alleviamo direttamente le scottone che danno la carne per fare la costata di manzo sorana (2020);

La Sorana (o Scottona) è una vitella che non ha mai partorito, ed ha un’età di circa 15/16 mesi. La carne della sorana è particolarmente gustosa, tenera e genuina (2021).

Dal punto di vista etimologico, escludendo ovviamente la derivazione dall’etnico sorano (‘di Sora’, cittadina del frusinate), sorana rappresenta una forma dialettale femminile confrontabile con l’italiano soprànno, aggettivo e sostantivo composti di sopra e anno[67]: con questa voce si usava e si usa tuttora definire animali di allevamento (bovini in particolare, ma anche ovini ed equini) che abbiano un’età compresa fra uno e due anni. In zootecnia fu diffuso anche l’antonimo sottànno[68]. Pertanto sorana, nel significato moderno oggi corrente nel Veneto, ossia sinonimo di scottona, è semplicemente il femminile di sorano ‘bovino sopranno’.

Anche storicamente la voce, a giudicare dalle attestazioni e dalla forma delle varianti soprano e sorano, sembra diffusa in particolare nell’area padano-veneta, dove sono attestate le forme antiche e dialettali soprano, sorano e soranello. Il termine è utilizzato già nel XVI secolo in area estense (ducato di Ferrara, Modena e Reggio). Nel 1528 figura nella Cronicha Modenese di Thommasino di Bianchi dito di Lanzaloti: in una “Lista deli presenti fatti alo Illmo Sig. nostro Ducha Alfonso” (= Alfonso I duca d’Este), si legge più volte sopranno, sopranni, manzi de’ sopranni, manzo de sopranno, manzi sopranno, manzetti sopraneli (e poi: manzi et sopranni, manzoli, viteli da late, viteli sopranni, viteli de bosco)[69].

Nel 1598 ricorre nell’Inventario di Alfonso II d’Este: “vacche, manzi, soprani”; “vacche, manzi, […] sopranelli”[70]. Nel 1683 figura inoltre in un testo di Vincenzo Lio, probabilmente veneziano: “mille castrati, 500 soranelli arrostiti”[71]. Un altro esempio ritroviamo in Vitale Magazzini, monaco vallombrosano, botanico e agronomo, nella sua Coltivazione toscana del 1634: “Si vendono i muletti sopranni, e si comprano i Lattonzoli”[72]. La forma soranèllo è registrata infine nel Vocabolario veneziano e padovano co’ termini e modi corrispondenti toscani (Padova, nella stamperia Conzatti, 1775): “Soranèllo, Sopranno, brado. Che è sopra l’anno, e si dice comunemente dei bestiami”.

Tuttavia il vocabolo sopranno, quale che sia la provenienza, dovette avere una diffusione sopraregionale, se è vero che lo ritroviamo a Calitri (provincia di Avellino), nel Catasto Onciario del 1753: nel quale, in elenchi dei capi di bestiame posseduti da ciascun nucleo familiare recensito, ricorre più volte sopranni[73]. La voce sembra ancora comunemente utilizzata nell’ambito zootecnico fino alla metà del secolo scorso, sia negli studi accademici sia nella pratica di allevamento. Oggi tuttavia si fatica a rinvenire, per gli stessi ambiti, attestazioni recenti sul web[74].


Note:

[1] Pagina archiviata su Archive.org il 6 gennaio 2021: web.archive.org.

[2] Che cos’è la scottona e come si cucina? (2016), sul portale de La cucina italiana (pagina archiviata il 22 ottobre 2016: https://web.archive.org/web/20161022032530/http://www.lacucinaitaliana.it/tutorial/i-consigli/che-cose-la-scottona-e-come-si-cucina/). Da questo articolo dipendono, più o meno fedelmente, i testi successivi di diversi siti commerciali. Si legga anche (2020): "Sempre più spesso si sente parlare di carne di scottona, troviamo questo termine nei menù dei ristoranti, nei banchi delle macellerie e nei supermercati" (pagina archiviata il 22 ottobre 2020: https://web.archive.org/web/20200804141403/https://formacarni.it/cose-la-scottona/).
Non sempre tuttavia il web riesce effettivamente a fare chiarezza, come si propongono di fare alcuni autori. In un sito di vendita di carni si legge (2021) che scottona definirebbe "la provenienza della carne che stiamo acquistando dalla macelleria online e avere la conferma che sia una bistecca di manzo di carne 100% italiana"; e più avanti, di nuovo confondendo il manzo e la scottona: "Affermato e sottoscritto che la scottona è carne di manzo" ecc. (pagina archiviata il 25 ottobre 2021: https://web.archive.org/web/20211025143848/https://www.carnegenuina.it/blogs/carne-genuina-racconta/la-scottona-facciamo-chiarezza/).

[3] Il Devoto-Oli estende la definizione di scottona anche all’animale macellato "entro il quinto mese di gravidanza": pratica che, pur repulsiva al senso comune, non risulta vietata dalla normativa (che prevede invece regole per il trasporto di animali gravidi). Anche sul portale Treccani (cfr. articolo cit. alla nota 1) si legge che la scottona oggi "viene macellata quando è al quarto-quinto mese di gravidanza", notizia probabilmente derivata da un articolo di Ballarini più avanti esaminato.

[4] In macelleria, si definisce marezzata o marmorizzata la carne con grasso ben distribuito tra i fasci muscolari.

[5] Che cos’è la scottona e come si cucina?, cit. alla nota 2.

[6] Lonely Planet Rome, edizioni Lonely Planet, 2018: "unadulterated joy of traditional Roman street food. That means panini such as his signature allesso di scottona, filled with tender slow-cooked beef". Oppure: Roma, Lonely Planet 2022: "la sua specialità sono [sic] il panino farcito con l’allesso di scottona (tenero manzo cotto a fuoco lento) e quello alla picchiapò". E ancora: Rory Moulton, Essential Rome Travel Tips, EuroExperto 2019 e 2021: "Esposito is a culinary preservationis, keeping Rome’s culinary traditions alive [...] If you’re unsure what to order, opt for the most-popular panino: allesso di scottona con cicoria. “Scottana” [sic] refers to a tender heifer (young, childless female cow) meat often used in Roman cuisine".

[7] È noto che, fra i tagli di carne, l’unico termine panitaliano sembra essere filetto.

[8] Nell’uso fiorentino tradizionale il femminile vitella è usato anche per i capi di sesso maschile, e vale anche ‘manzo giovane’.

[9] Disciplinare di produzione della carne di “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” IGP, art. 3.1: «La carne di “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” è prodotta da bovini, maschi e femmine, di razza Chianina, Marchigiana, Romagnola, di età compresa tra i 12 e i 24 mesi" (Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie generale n. 108 del 10 maggio 2019).

[10] Nel 2022 sembra essersi concluso l’iter di riconoscimento del disciplinare di produzione "Vitellone e Scottona allevati ai cereali", promosso dalla Regione Veneto e dall’Associazione per i Sistemi di qualità Superiore per la Zootecnia Bovina da Carne. La procedura ha interessato il “Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali” (MIPAAF, oggi MASAF) e la Commissione Europea: cfr. i decreti MIPAAF 16 ottobre 2015 (Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 250 del 27 ottobre 2015, p. 24) e 7 marzo 2022, “Modifica del disciplinare di produzione del Sistema di qualità nazionale Vitellone e/o Scottona ai cereali” (Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 68 del 22 marzo 2022). Si vedano inoltre le Deliberazioni della Giunta Regionale del Veneto n. 1330 del 23 luglio 2013 (Allegato F, pp. 12-15) e n. 1098 del 6 settembre 2022 (“Approvazione dei disciplinari di produzione degli avicoli-carne, del coniglio alimentato con fieno e del vitellone e scottona allevati ai cereali”). Si osservi che nella deliberazione n. 1098 opportunamente si corregge la precedente denominazione "Vitellone e/o Scottona ai cereali": perché l’uso improprio della congiunzione copulativo-disgiuntiva e/o poteva indurre il dubbio che scottona fosse sinonimo di vitellone; e l’espressione "ai cereali" risultava laconica.

[11] https://www.carnegenuina.it, alla pagina già citata alla nota 2.

[12] Rocco Cento, Coquinaria, Milano, Mnamon Editore, 2021, p. 8 (anche e-Book, p. 8).

[13] Tess Gerritsen & ‎Gary Braver, Scegli me, Milano, Longanesi, 2021, traduzione di Adria Tissoni, p. 24.

[14] Paolo Tebaldi, Macadàm, Roma, E/O Edizioni, 2013, p. 49 (anche in e-Book).

[15] Testo redatto nel 1985 dalla Camera di Commercio della Provincia di Cremona, approvato dalla Giunta Camerale con delibera n. 301 del 19 settembre 1988.

[16] Raccolta degli usi della Provincia di Varese, nuova edizione approvata il 6 giugno 2005, art. 30. Il periodo fra la prima è la seconda rotta (=caduta dei denti decidui ed eruzione dei rispettivi permanenti) corrisponde a un’età compresa fra un anno e mezzo e tre anni.

[17] La voce non è presente nella prima edizione del Du Cange (1678), mentre figura già nell’edizione 1772-1784, che raccoglie le integrazioni dei padri Benedettini e di Johannes Carpentier: Glossarium manuale ad scriptores mediae et infimae latinitatis, ex magnis glossariis Caroli Du Fresne, Domini du Cange, et Carpentarii, in compendium redactum multisque verbis et dicendi formulis auctum, Tomus VI et ultimus, Halae, impensis Ioannis Iacobi Gebaveri, 1784, s.v. Scottona, p. 131, segnalata come integrazione inserita “par les Bénédictins de St. Maur” (1733-1736).

[18] Le Conventiones del 1526 furono pubblicate in Conventiones, concessiones et decreta civitatis Saonae, Genuae, apud Iosephum Pavonem, mdcx (Concessioni decreti et ordini della città di Savona concessi dalla Serenissima Republica di Genova, Genova, appresso Giuseppe Pavoni, 1610: una copia è presso l’Archivio di Stato, Roma). Si tratta di un insieme di norme e regolamenti con cui Genova stabiliva, anche sotto il profilo giuridico, il suo dominio su Savona; negli stessi anni, statuti analoghi di altre podesterie e civitates liguri esprimevano la progressiva tendenza di Genova alla centralizzazione e all’uniformazione legislativa.

[19] Glossarium cit., Tomus I, 1772, p. 631, s.v. Bechinus (= Hircinus ‘caprone, becco’).

[20] Carlo Randaccio, Dell’idioma e della letteratura genovese. Studio seguìto da un vocabolario etimologico genovese, Roma, Forzani e c. tipografi del Senato, 1894, p. 217. Il Randaccio ha ben presente il Du Cange, che cita nella sua opera in almeno in 18 occasioni. Del vocabolario del Randaccio e dell’etimo di scottona da lui proposto si dirà più avanti.

[21] Atti del Parlamento Subalpino, Sessione del 1857 (V Legislatura) dal 7 gennaio al 16 luglio 1857, volume V, 3° delle discussioni della Camera dei Deputati, dal 20 maggio al 16 luglio 1857, Roma, Eredi Botta (Palazzo di Monte Citorio), 1873: Tornata del 4 luglio 1857 (p. 2931), “Seguito della discussione del progetto di legge per l’approvazione del bilancio attivo dell’anno 1858”, a p. 2942. I corsivi sono nell’originale.

[22] Atti del Parlamento Subalpino cit., p. 2947.

[23] Il Buffa usa scottona come sinonimo di vacca. Non volendo comunque pensare a una sua consapevole forzatura per avvalorare la richiesta di sconto sulla soprattassa, è opportuno informare che egli non era propriamente genovese: era nato a Ovada, centro gravitante per secoli verso Genova; e a Genova aveva studiato e fu poi regio commissario nel 1848 e intendente generale dal 1852 al 1855.

[24] Cfr. AIS VI, carta 1048, La manza. I punti di indagine sono rispettivamente 175, 160 e 290. Semplifico le trascrizioni dell’AIS, non essendo rilevanti per il nostro assunto le differenze fonetiche notate dai raccoglitori. Ugualmente, in seguito, con gli esempi tratti dal LEI.

[25] Stefano Lusito, Dizionario italiano-genovese. O diçionäio ch’o mostra o zeneise d’ancheu, 1° ediz., Treviso, Editoriale Programma, 2022.

[26] Annuario genovese. Guida amministrativa e commerciale, Roma, Bontempelli, 1897, Anno XIII, pp. 520-523. Si tratta di un repertorio di esercizi commerciali e di enti amministrativi, esemplato sulla fortunatissima Guida Monaci (fondata a Roma nel 1870) e paragonabile alle più recenti Pagine Gialle.

[27] Analoghi risultati presenta nel 1893 il più sintetico elenco contenuto nel Lunario genovese compilato dal Sig. Regina e C. per l’anno 1894. Guida amministrativa e commerciale di Genova e provincia, Genova, Fratelli Pagano, 1893, pp. 584 e 585: dei 19 negozianti di bestiame elencati, 6 trattano “bue e scottona”, 5 “vitelli”, 2 “lanuti e ovini”; su 16 macellai in elenco: 8 vendono “scottona”, 4 “vitella”, 3 “lanuti”, 3 “bue”, 1 “manza” (si noti, anche qui, la distinzione fra scottona e manza).

[28] Giobatta e Giovanni Ratto, La cuciniera genovese ossia la vera maniera di cucinare alla genovese: ravioli, lasagne, tagliolini, gnocchi ecc., settima ediz. corretta ed accresciuta, Genova, Fratelli Pagano, 1887. L’opera, che nell’Annuario Bibliografico Italiano del 1865 risulta già edita l’anno prima, fu ripubblicata molte volte, anche recentemente; traggo gli esempi dalla ristampa del 2003, Genova, Fratelli Frilli Editori, pp. 55 e 56. In entrambe le ricette la scottona è adoperata come carne da brodo.

[29] Relazione intorno all’invasione di Colèra Asiatico in Genova nell’estate ed autunno 1873 fatta dalla commissione municipale di sanità, Genova, Tipografia del R. Istituto sordo-muti, 1874, p. 53 (e a p. 54: "Ciò premesso ecco il conto: È dovuto a Stefano Peschiera beccaio per kilogr. 970,680 di carne di scottona senz’osso, provvista agli Asili San Luigi, Soccorso ed Aporti a L. 1,65 ... L. 1601,62").

[30] Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, Foglio delle Inserzioni al Numero 251, 28 ottobre 1897, p. 2039.

[31] Sull’alternanza del genere grammaticale nei nomi di animali cfr. da ultimo Andrea Riga, Ma alce e istrice sono nomi maschili o femminili?, in “Italiano digitale”, XXII (2022), 3, pp. 128-135.

[32] Carlo Astengo (1837-1917), magistrato, prefetto e senatore del Regno d’Italia, era però savonese, e Savona appartenne alla Repubblica di Genova fin dal secolo XVI.

[33] Luigi De Bartolomeis, Notizie topografiche e statistiche, Libro II, Volume IV, Parte II, "che contiene la descrizione fisica e politica delle divisioni di Nizza e di Genova", alle pp. 948-949.

[34] Il lemma è invece assente nel precedente, ma molto più breve, repertorio dello stesso autore: Dizionario domestico genovese-italiano, Genova, Tipografia, Ponthenier e F., 1841.

[35] Anche in copia anastatica edita da Tolozzi nel 1968, con prefazione di Vito Elio Petrucci.

[36] L’autore, che si firma in sigla (P.F.B.) è da identificarsi con Padre Francesco Bacigalupo (da non confondere con il poeta Niccolò Bacigalupo prima citato).

[37] Il lemma, a p. 82, è fra i pochi compresi nel glossario di termini dialettali liguri del Randaccio, contenuto in sole 3 pagine. L’opera ha avuto una ristampa anastatica: Arnaldo Forni Editore, 1988.

[38] Sottotitolo: arricchito di una raccolta di mille proverbi liguri e seguito da un rimario dialettale di Angelico Federico Gazzo. Ha avuto molte ristampe: Bologna, Forni Editore, 1969 e 1984 (anastatiche); le seguenti sono tutte edite a Genova: Valenti Editore, 1979; Nuova Editrice Genovese, 1997 e 2002; Consulta Ligure, 2005; Fratelli Frilli Editori, 2008.

[39] Questo dizionario è la versione cartacea del TIG (Traduttore Italiano Genovese) presente su Internet all’indirizzo http://www.zeneize.net/itze. La nota FB, come riporta l’Avvertenza, indica che il lemma è una proposta dell’autore e che "nessun altro riferimento riporta quella parola".

[40] Giovanni Battista Nicolò Besio, Dizionario del dialetto savonese: calepin da batuièza ciciolla, Savona, Edizioni Liguria, 1980.

[41] Vocabolario delle parlate liguri, vol. III (N-S), a cura di Giulia Petracco Sicardi e Fiorenzo Toso, Genova, Consulta Ligure, 1990, p. 138.

[42] Sergio Aprosio, Vocabolario ligure storico-bibliografico. Secoli X-XX, Parte Seconda, Volgare e Dialetto, Volume II (M-X), Savona, Società Savonese di Storia Patria, 2003. L’esempio, dal quale sembra di comprendere che la carne di scottona potesse essere spacciata per vitella, è tratto dal periodico O Canocciale de Savonn-a, pubblicato a Savona dal 1842 al 1848. Il lemma che precede è scutùn, definito "germoglio su vecchio tronco (specialm. di vite)" e, al plurale scutuìn, "penne giovani degli uccelli": si tratta probabilmente di gallicismo (cfr. FEW, s.v. skŏt ‘pollone’), che non ha relazione con scutuna

[43] Giovanni Ballarini in Tre etimologie bovine. Alfabeto, sanato, scottona ("Il progresso veterinario", 3/2004). Da questo articolo, che rappresenta forse l’incunabolo delle moderne ricerche e attestazioni recenti di scottona, dipendono le diverse vulgate che circolano sul web, di cui si è detto qualcosa al principio di questa ricerca.

[44] "Il Toro ha pessima Carne, più di qual si voglia altro Animale Quadrupedo, & è di grosso, e cattivo nutrimento, è dura da digerire, & è febrosa, perché è fredda, e secca, e di tal qualità sono il Bove, e Vaccina vecchi, quali sono cattivissimi" (Pratica e scalcaria d'Antonio Frugoli Lucchese intitolata Pianta di delicati frutti da servirsi a qualsivoglia mensa di Prencipi e gran Signori ecc., Roma, Francesco Cavalli, 1631, p. 68).

[45] Atti della Giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. V Tomo I, Monografia dei distretti di Vicenza, Lonigo e Barbarano (provincia di Vicenza), del Cav. Domenico Lampertico, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato, 1882, p. 601.

[46] Atti della Giunta cit., p. 602. Per indicare il salariato addetto alla custodia e al governo de bovini da allevamento, l’italiano ha anche il termine manzolaro (o manzolaio), voce di origine padana. Il DEI, s.v. scotta2, registra scotóm e scotón ‘aiuto del caciaio’ in area trentina e veneta settentrionale, nonché nel ladino dolomitico. Anche il LEI presenta diverse forme dialettali derivate da scotta e confrontabili con il nostro scottone, di area generalmente ticinese e lombarda orientale (Val Malenco, Bergamo, Brescia, Cremona): skotón, skutón, skutóm ‘garzone dell’alpe’, ‘garzone, cuoco della squadra di boscaioli o carbonai’ e ‘uomo di fatica’; con esito palatale: scouciòu ‘fabbricante e venditore di scòcia (=scotta)’, scogió ‘garzone di cucina’, scociù ‘mandriano’, scociòn ‘distillatore’.

[47] Maurizio Antonio Rigoni, Il ramarro, Macerata, Edizioni Simple, 2012, alle pp. 128, 166 e 168 (edizione digitale, corsivi miei). Il romanzo è ambientato precisamente presso Gallio, piccolo comune italiano posto nella conca centrale dell’Altopiano dei Sette Comuni, nella zona dove si parla ancora il cimbro e Asiago è detta Sleghe.

[48] Dante Olivieri, in I cognomi della Venezia euganea: saggio di uno studio storico-etimologico (Geneve, Olschki, 1923, p. 208; saggio estratto da: “Biblioteca dell’Archivum Romanicum”, Serie II vol. 6, e pubblicato insieme all’analoga opera di Paul Aebischer Sur l’origine et la formation des noms de famille dans le canton de Fribourg). Come l’Olivieri anche Enzo Caffarelli e Carla Marcato, I cognomi d’Italia: dizionario storico ed etimologico, Torino, UTET, 2008. Poco persuasive le altre ipotesi (dall’etnico todesco > todescoto > scotto > scotton; aferesi di Francescotto, diminutivo di Francesco; origine etnica scozzese, come Scott, ‘della Scozia, degli Scoti’).

[49] In maniera pressoché unanime, tutti i dizionari etimologici, a iniziare dal DEI, fanno derivare scotta dalla sostantivazione al femminile di excoctus, participio passato del latino classico excoquĕre (da coquĕre ‘cuocere’ con il prefisso intensivo ex-; e certamente un processo analogo interessa il termine ricòtta, femminile sostantivato di ricòtto, participio passato di ricuòcere, lat. recoquĕre). Di una forma latina volgare excocta si era già accorto l’Olivieri, nel luogo citato nella nota precedente.

Il LEI (vol. XXI, 2021, lemma excocta agg. f., pp. 1377-1405) dimostra che gli esiti di *excocta si rinvengono in buona parte dell’Italia settentrionale e mediana (Toscana, Marche, Lazio). Tuttavia l’intera area ligure, nonché molte zone dell’arco alpino e dell’area padana, presentano quasi sistematicamente i tipi scòcia e scògia, con regolare sviluppo palatale del nesso -ct- (in effetti, nel vocabolario genovese del Casaccia figura schèuggia ‘siero del latte’); pertanto, si legge nel LEI, nei casi in cui l’esito toscano e italiano scotta "si trovi attestato nelle varietà settentrionali, risentirà probabilmente di un influsso dell’italiano" (p. 1405). Va comunque osservato che scotta e scota, diffusamente presenti anche nell’Italia settentrionale, si ritrovano in aree di confine con la Liguria (Lunigiana, Emilia appenninica, alta Toscana). A proposito di scottare, il Lessico, ritenendo non necessario il ricorso alla forma ricostruita *excoctāre, adottata da tutti i repertori etimologici italiani dal DEI in poi, deriva il verbo direttamente da scotta, "probabilmente partendo da un ambito gastronomico e culinario poi estesosi, per traslato figurato, ad altri ambi­ti" (p. 1405).

[50] Lorenzo Viani, Mare grosso, Firenze, Vallecchi, 1955, p. 707 (si tratta di vari racconti, il primo dei quali è del 1923); Il figlio del pastore, Milano, Alpes, 1930, p. 14 (cito dall’edizione digitale di Liber Liber (https://www.liberliber.it/online/autori/autori-v/lorenzo-viani/il-figlio-del-pastore/).

[51] Rispettivamente: Opere agrarie, Firenze 1789, vol. 1, p. 233; I veri mezzi di rendere felici le società, Firenze 1772, p. 113.

[52] Ippolito Nievo, Novelliere Campagnuolo e altri racconti, a cura di Iginio De Luca, Torino, Einaudi, 1956, p. 65.

[53] Giambattista Giuliani, Delizie del parlare toscano, Firenze 1880, vol. 2, p. 190.

[54] Luigi De Bartolomeis, Notizie topografiche e statistiche, Libro II, Volume IV, Parte II, p. 949: "Del resto, questi animali sono destinati a rimanersene nelle stalle, e non ingrassano punto, perché male nutriti. Vi sono tuttavia dei cantoni ove si attende specialmente ad ingrassare i vitelli, col dare loro puro latte, che si mette in grandissime caldaie, e non vengono allora i vitelli mandati al pascolo. In tale stato vivono essi fino a nove od ai dodici mesi, e si sono veduti vitelli grassi in modo da non poter fare viaggi di poche miglia senza esservi trascinati sui carri: la loro carne allora acquistava un gusto squisito e diventava estremamente bianca".

[55] Atti della Giunta per la inchiesta agraria cit., p. 602.

[56] Padre Angelico Federico Gazzo, La "Divina Commedia" tradotta nella lingua genovese, Genova, Libreria Lanata, 1909, p. 463, nella sezione Spiegazione di alcune voci genovesi meno comuni o meno intese fuori della Liguria. Muscéppia vale in italiano ‘donna presuntuosa, smorfiosa e petulante’ (la voce, ritenuta dialettale pistoiese, è registrata nel Tommaseo e nel GDLI, che presentano diverse ipotesi etimologiche; è assente nei dizionari moderni).

[57] Vocabolario delle parlate liguri cit., p. 138.

[58] Carlo Randaccio, Dell’idioma e della letteratura genovese, cit. alla nota 20, p. 23. Da verificare anche, in questi usi traslati, una possibile sovrapposizione con scotta ‘gazza’ e, fig., ‘ragazza’ (DEI) e ‘donna o ragazza chiacchierona, pettegola’ (GDLI), di etimo incerto.

[59] Giorgia Mattedi, Courage. L’amore non ti lascia scampo, Villanova di Guidonia, Aletti Editore, 2019 o 2020, p. 70 (anche e-book).

[60] Libro di M. Giovanbattista palatino cittadino romano, nel qual s’insegna a scrivere ogni sorte lettera, antica, et moderna, di qualunque natione, con le sue regole, et misure et essempi, Roma, in Campo di Fiore per Antonio Blado Asolano, 1548, senza numerazione di pagine.

[61] Ossia: Non avendo altro tesoro per pagare il conto salato delle mie colpe, [offrirò] a Dio, taverniere che giustamente pretende il saldo, otto paternostri per ogni denaro dovuto (Iacopone da Todi, Laude, a cura di F. Mancini, Roma-Bari, Laterza, 1990, lauda n. 53, Que farai, fra’ Iacovone? / Èi venuto al paragone, vv. 59-62). Un’altra corrispondenza di scotto nel senso di conto da pagare a Dio, con riferimento alla salvezza o alla dannazione eterna, è nella lauda n. 88: "Frate Ranaldo, do’ si andato? / De quodlibet si ài desputato? / Or llo me di’, frate Ranaldo, / ché del tuo scotto non so’ saldo, / se èi engloria o en caldo" (vv. 1-5). Si tratta di una metafora topica nel Medioevo: cfr. Du Cange et alii, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Niort, Leopold Favre, 1883-1887 (tomo VII, 1886, s.v. scot/scotum/scottum: "in hac coena peccator debet ponere tria scota, scilicet contritionem, confessionem et satisfactionem", Serm. Gabr. Barel. in Septuag. fol. 2. v°. col. 2); e si ricordi Dante: "Alto fato di Dio sarebbe rotto, / se […] tal vivanda / fosse gustata senza alcuno scotto / di pentimento" (Purgatorio, XXX, vv. 142-145).

[62] Chronicon Petroburgense, a cura di Thomas Stapleton e John Bruce, "sumptibus Societatis Camdenensis", Londra, G.B. Nichols and son, 1849, pp. 47 e 65. La pastura di Scottona è ricordata accanto ad altri territori (Lautona, Duningtona, Fiskertona, Petroburgus, ecc.). Scotton è oggi denominazione di tre villaggi inglesi, situati a nord di Peterborough (Petroburgus).

[63] Manza è voce di tradizione toscana e indica appunto il bovino giovane, di sesso femminile, che non ha ancora partorito (con attestazioni poetiche, da Folgóre di San Giminiano a Giovanni Pascoli, nei Canti di Castelvecchio: "nell’umida capanna / le magre manze mangiano"); manzetta è la vitella, la giovane manza non ancora montata e fecondata; manzarda, voce probabilmente padana, non è registrata nei dizionari; nel disciplinare della Camera di Commercio di Varese del 2005, già cit. alla nota 15, è presentata come sinonimo di manza e scottona ("manza, giovenca o manzarda (scottona)"); ma in altri testi è così definito il bovino adulto femmina che ha partorito una sola volta, macellato fra i 12 e i 24 mesi.

[64] Pagina archiviata il 7 marzo 2012:
https://web.archive.org/web/20120307010430/https://www.forumdiagraria.org/bovini-f15/mucca-sorana-t5494.html

[65] Diego Gallo, Pier Giovanni Zanetti, Paesaggi agrari della pianura veneta, Legnaro (PD), Veneto Agricoltura, 2014, p. 179. I corsivi, che rilevano i dialettalismi, sono degli autori.

[66] La voce Bos Taurus è stata creata nel 2004, ma il paragrafo Denominazioni è stato aggiunto nel settembre 2011. La versione odierna, aggiornata ad aprile 2012, riporta questa definizione: "sorana o manzetta, se non ha ancora partorito ed è di età inferiore ai venti mesi".

[67] Si consideri che all’italiano sopra corrispondono le forme antiche e dialettali sór e sóra.

[68] Annali dell’università di Firenze, Facoltà di Agraria, 1919, voll. 4-6, p. 192. Il GDLI marca la voce come letteraria, e presenta un esempio del Guerrazzi: "Chiamiamo sottanni gli agnelli di un anno".

[69] Pubblicata nel 1863 con titolo italianizzato Cronaca Modenese di Tommasino de’ Bianchi detto de’ Lancellotti (vol. II, Parma, Pietro Fiaccadori, 1863), poi anche in Monumenti di Storia Patria delle Provincie Modenesi, “Serie delle cronache”, Tomo III, Parma, Pietro Fiaccadori, 1865. Le occorrenze segnalate sono fra le pp. 425 e 438.

[70] Gli esempi sono tratti da Brunella Bianchi, Il lessico dell'Inventario di Alfonso II d’Este, tesi di laurea con Bruno Migliorini, 1956, p. 3533.

[71] Historia dell’acquisto della fortezza di Cehrin nella Ukraina fatta dall’armi ottomane (1678) contro Moscoviti tradotta dall’idioma turco da Vincenzo Lio giovine di lingua, Venezia, presso Giovanni Cagnolini, 1683. Vincenzo Lio fu "giovine di Lingua", ossia interprete, al seguito del patrizio veneziano Giambattista Donà designato bailo di Costantinopoli, a cui l’opera è dedicata.

[72] Coltivazione toscana nella quale s’insegna quanto deve farsi per Coltivare perfettamente le Possessioni, e per governare diligentemente una Casa di Villa secondo l’uso di Toscana, Firenze, Stamperia de’ Landini, 1634, p. 57 (prima ediz.: Venezia 1625).

[73] Il Calitrano, periodico quadrimestrale, Anno XXVI, n. 33 settembre-dicembre 2006, pp. 23-24.

[74] Cfr. Enzo Di Cocco, La produttività della razza bovina romagnola. Rese tecniche qualitative e ponderali nell'azienda ordinaria, in “Rivista di economia agraria”, pubblicazione dell'Istituto Nazionale di Economia Agraria, Anno V, I fascicolo, 1950, Roma, Edizioni Italiane, pp. 22-66: sopranni e sopranne ricorrono alle pp. 43-44, 48-49, 58, 62-64. Si tratta di una indagine economica statistica, che utilizza la seguente nomenclatura di capi bovini (precisando tuttavia che nel linguaggio comune gli stessi termini non vengono adoperati "con un costante e preciso riferimento all’età"): vitelli e vitelle (da 0 a12 mesi), sopranni e sopranne (da 13 a 24), torelli (da 12 a 24), manzi e manze (da 25 a 36), vacche e buoi (oltre i 36 mesi).