Per una storia del termine italiano libertà

di Nicoletta Maraschio - Pär Larson

L'intervento Per una storia del termine italiano libertà, di Nicoletta Maraschio (Vicepresidente dell'Accademia della Crusca e Prof. Ordinario di Storia della Lingua Italiana all'Università di Firenze) e Pär Larson (Ricercatore presso l'Istituto dell'Opera del Vocabolario Italiano del CNR), completa il Dizionario della Libertà, un volume promosso dalla regione Toscana e realizzato con la collaborazione dell'Accademia della Crusca.
Il Dizionario, edito dall'editore Passigli, contiene la trattazione di 27 voci (una per ogni lettera dell'alfabeto internazionale più un fonema aggiunto per l'arabo e per l'ebraico), scelte per suscitare una riflessione sul valore etico e civile, letterario e scientifico della parola Libertà. L'opera è stata presentata il 20 novembre scorso nella Sala del Cenacolo, alla Camera dei Deputati, alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

I. Il termine italiano libertà appartiene di diritto al vocabolario di base ed è difficile immaginare che vi sia stata un'epoca in cui esso non fosse conosciuto da tutti: eppure è così. Infatti la stessa forma grafica della parola ne dimostra l'origine dotta in quella b intervocalica conservata tale quale, e non passata a v come immancabilmente accade nelle parole derivate senza interruzione dal latino, non ripescate da testi scritti: si pensi per esempio ad avere (HABERE), fava (FABA) e governare (GUBERNARE). Da LIBERTAS ci saremmo dunque aspettati *livertà o *livertate.


   Nel corpus testuale del Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (TLIO) (1), che allo stato attuale contiene 1581 testi del periodo anteriore al secolo XV, si trovano ben 1371 esempi della nostra parola (tutti con la b). Dato che la banca dati accoglie testi in ogni varietà italoromanza antica - dal milanese al siciliano, dal ligure e dal còrso al veneto d'Oltremare -, la grafia non è sempre la medesima; le forme presenti sono le seguenti (tra parentesi il numero delle occorrenze): libbertà (1), libertà (891), libertade (280), libertadhe (2), libertadi (2), libertae (8), libertate (141), libertati (36), libertaty (1), llibertà (7) e llibertate (2). Anche se alcune di queste forme finiscono in -i o -y si tratta sempre di forme del singolare.


   A riprova di quello che si è appena detto sull'origine dotta della parola, molti, anzi moltissimi degli esempi compaiono in testi tradotti o almeno fortemente influenzati da modelli latini. Le più antiche attestazioni si trovano nelle Storie de Troia e de Roma, un testo romanesco tradotto da un originale latino tra gli anni 1252 e 1258, dove si legge tra l'altro la frase «Agamenon fece lo consilio et concedeo ['concesse'] libertate ad Elena e Casandra et feceli rendere onne cosa». Il primo esempio in un testo originale in lingua volgare compare nel 1263, nel registro di di debitori e creditori di una compagnia commerciale senese operante in Francia: «maiestro Piero calonacho ['canonico'] di Toli ebe libertà ['ottenne il permesso'] dal deto vescovo di richonosciere la deta ['il debito'] denançi a' deti gudici».
   Nei testi della banca dati del TLIO la parola libertà compare in varie accezioni, che si possono grosso modo raggruppare sotto le seguenti definizioni: 'Capacità dell'uomo di essere causa delle proprie azioni, di autodeterminarsi', 'Libero arbitrio, possibilità di scegliere il bene', 'Capacità, potere, facoltà di agire secondo le proprie scelte', 'Condizione di chi gode della personalità giuridica oppure di chi non ha vincoli alla propria possibilità di muoversi (cioè non è schiavo o prigioniero)', 'Condizione di una comunità che non è soggetta a dominazione straniera o a un potere tirannico'. Mancano invece i valori oggi sentiti come naturali: 'Qualità dell'uomo che consiste nel non essere assoggettato, ma libero ad autorealizzarsi secondo le sue proprie scelte', 'Piena possibilità di esercitare il potere di scelta', 'Possibilità di esercitare la capacità di autodeterminazione, senza imposizione di divieti o obblighi, in una serie di campi (libertà personale, religiosa, di pensiero, di stampa, di associazione, di commercio, ecc.)'.
   Quando Dante nel primo canto del Purgatorio fa dire a Virgilio:


Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta. (Purg. I 70-72)


non bisogna dunque leggere la parola nel senso moderno, dato che si tratta della libertà dal peccato, della libertà morale e spirituale. Infatti i primi parlanti italiani non conoscevano la libertà individuale come - bene o male - la conosciamo noi: la dottrina delle libertà politiche e civili con i loro varî sottoinsiemi era ancora di là da venire, e lo stesso uso della parola libertà al plurale era impensabile prima del Settecento.


   L'essere privi di legami oppressivi di dipendenza era nel Medioevo privilegio esclusivo di certi strati della popolazione, e non sarà un caso che il sinonimo più frequente di libero in italiano antico sia franco, termine che designa colui che appartiene al popolo il cui re nell'anno 800 era stato elevato imperatore, Carlo Magno. Essere un uomo franco significava godere delle più ampie libertà cui una persona potesse godere, e dare la libertà a uno schiavo si definiva francare oppure, come ancora oggi si dice, affrancare. In perfetta accordanza con questo uso, il sostantivo generalmente adoperato nei testi medievali al posto dove noi useremmo libertà è franchezza (qualche volta, con un altro suffisso, franchigia), ed è interessante notare che nei testi antichi tradotti dal latino - i quali costituiscono una grandissima parte della documentazione - la parola libertas venga espressa da un binomio: nella versione milanese dell'Elucidario di Onorio di Autun, del secolo XIV, si dice che


l'omo k'era servo de l'inimigo ['il Diavolo'] in quessto zinquanteno ['cinquantesimo'] dì deveva receve ['ricevere'] libertade e franchisia per lo Spirito Sancto mandado da Deo.


   In un testo fiorentino press'a poco della stessa epoca, il volgarizzamento delle Lettere a Lucilio di Seneca, si trovano trentaquattro esempi di libertà come traduzione di libertas: ora, ben quindici volte il traduttore aggiunge di sua iniziativa la glossa franchezza. Così nella lettera 77, dove Seneca aveva affermato concisamente «Tam prope libertas est; et servit aliquis?», l'anonimo volgarizzatore fiorentino senza batter ciglio amplia tale frase in


Franchezza, e libertà ci è sì presso, come noi veggiamo, e sì si truova uomo, che serve?


   E nessuna tipologia di testi poteva considerarsi al sicuro da questo tipo di intrusioni. In una traduzione quattrocentesca della Bibbia, due passi di san Paolo - «ubi autem Spiritus Dominus, ibi libertas» e «libertatem nostram quam habemus in Christo Jesu» - si presentano rispettivamente come


dovunque è il Spirito del Signore, ivi è franchezza e libertà


e


la nostra franchezza e la nostra libertà la quale avemo in Iesù Cristo.


   Nella lingua medievale, la parola libertà si presentava sotto varie forme e in varî contesti, nei quali si possono scorgere il germe di molti usi moderni. Una grossa differenza fra allora e ora sta tuttavia nel fatto che la parola nell'italiano antico, e anche nella stessa mentalità medievale, presuppone sempre l'appartenenza a qualcosa - la chiesa, la società, il sistema feudale, ecc. - senza considerare la libertà come un valore in sé.
[Pär Larson]


II. La nuova storia del termine italiano libertà risale alla seconda metà del Settecento, quando si realizza il rinnovamento di una grande parte del vocabolario giuridico e politico italiano. In particolare si può datare «la nascita del linguaggio politico moderno in concomitanza con l'apparire di forme moderne di vita politica che quel linguaggio in parte rispecchia e da cui, insieme, scaturisce» (Leso 1991: 37), cioè al periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione francese (1789) e soprattutto a quello coincidente con il "triennio rivoluzionario» (1796-1799), benché non manchino significativi antecedenti di molte novità semantiche e lessicali nella grande stagione dell'Illuminismo.
   Libertà, appunto, e costituzione e codice, repubblica e monarchia, patria e nazione, democrazia e popolo, federalismo, ma anche opinione pubblica, ordine pubblico e pubblica istruzione sono tutti vocaboli che nel corso del Settecento, per influsso appunto della Francia prima illuminista e poi rivoluzionaria e napoleonica, acquistano un nuovo significato (Migliorini 1973 e Fiorelli 1993).


   La consapevolezza della frattura, ossia di un cambiamento linguistico radicale, si coglie facilmente negli scritti di quel periodo e la parola libertà, nel ricchissimo ventaglio dei suoi nuovi significati (politici, civili e religiosi) diventa, anche in Italia, una parola-bandiera. «Finalmente dai tanti mali delle nazioni è nata la libertà come dal caos nacque la luce nel principio dei secoli» scrive il giacobino Matteo Galdi nel 1798. E l'anno prima Melchiorre Cesarotti, politico moderato e linguista insigne, preoccupato dall'impatto sui ceti meno istruiti delle tante novità lessicali portate dagli eventi rivoluzionari, ne individuava una significativa costellazione (positiva e negativa) ruotante intorno alle parole fondamentali di Libertà e Uguaglianza della «Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino» (agosto 1789): «Voi sentite ogni giorno suonar nelle bocche e vedete scritto sulle carte pubbliche i nomi di Libertà e d'Uguaglianza, parole sacre, e pegni di felicità [...] spesso vi sarà accaduto di sentir a ripetere i termini di Repubblica, Monarchia, Aristocrazia, Democrazia, Anarchia, Despotismo. Ebbene: bisogna spiegarvi chiaramente ed esattamente il senso di questi vocaboli, che possono rendervi imbarazzati, e farvi temere di qualche inganno» (Cesarotti 1797, in Morgana 1994: 708).


   Per la loro "forza magica" , simbolica ed evocativa, molte parole chiave vengono insistentemente ripetute in quegli anni, spesso in combinazione fra loro. In particolare si riconosce che la parola libertà nei suoi molteplici significati (talvolta non ben distinti) ha il potere non solo di suscitare emozioni forti ma quasi di sostituire la "cosa". Illuminanti in proposito le parole di Carlo Testi: «Mi direte che una libertà a questo prezzo non vale la schiavitù: lo comprendo, ma questo solo nome di libertà mi tien luogo della cosa medesima (Testi 1799, in Dardi 1995: 7).


   Giuseppe Compagnoni parla in termini giuridicamente più consapevoli di diritto di libertà: «L'uomo ha bisogno di essere libero, cioè di poter fare da sé qualunque impiego gli piaccia delle sue facoltà, strumenti come della soddisfazione de' suoi bisogni così pure dell'esercizio de' suoi diritti. Ed ecco il diritto di libertà (Compagnoni 1797, in Leso 1991: 521).


   La parola libertà entra così largamente nelle Costituzioni italiane: in quella Cisalpina (1797), in quella Romana (1798) e in quella Napoletana (1799), che in primo luogo si impegnano a definirla. (ad es. Costituzione cisalpina, Diritti, art. 2: «la libertà consiste in poter fare ciò che non nuoce ai diritti altrui»). E se allarghiamo lo sguardo all'intero arco statutario e costituzionale preunitario (1794-1849), può essere interessante rilevare (sulla base dell'Indice della lingua legislativa italiana (ILLI): Mariani Biagini 1993-1997) che la frequenza della voce libertà negli Statuti e costituzioni avanti l'unità d'Italia è molto elevata (201.124 occorrenze) con una percentuale decisamente superiore a quella degli stessi testi del periodo successivo (1920-1971). Lo Statuto albertino (4 marzo 1848: assunto senza alcuna variazione a Costituzione del Regno d'Italia e rimasto, ma solo formalmente, inalterato fino al 1 gennaio 1948), negli articoli (24-32) della parte apposita dedicata ai Diritti e doveri dei cittadini, ribadisce il principio di uguaglianza e i diritti di libertà individuali (art. 26. «La libertà individuale è guarentita») e indica nelle libertà di domicilio, di stampa, di proprietà e di adunanza i settori d'applicazione.


   I più importanti vocabolari storici ottocenteschi e in particolare il Tommaseo-Bellini (1861-1879) e il Vocabolario degli Accademici della Crusca (nella sua quinta edizione: 1863-1923) solo in parte recepiscono i cambiamenti semantici fondamentali che l'antica parola libertà ha subito dalla fine del Settecento in poi. La Crusca non manca tuttavia di ricordare la Rivoluzione francese, citando l'Albero della libertà «quel fusto d'albero verdeggiante che ai tempi della Rivoluzione francese si usò piantare sulle piazze come simbolo di mutazione del governo da assoluto in libero e repubblicano, con nome e intendimento desunti dalla Rivoluzione Americana» e aggiunge alcuni esempi della parola, nella sua accezione pubblica e civile, tratti dai contemporanei (Botta, Gioberti e Lambruschini). Significativo tuttavia di un diffuso sentimento di continuità formale e semantica fra la voce antica e quella moderna di libertà è che lo stesso Tommaseo nel Dizionario dei sinonimi (rivisto dall'accademico della Crusca Giuseppe Rigutini) ponga a lemma, come sinonimi appunto, la voce moderna libertà e quella medievale franchigia delle quali precisa le differenze d'uso nella trattazione successiva.


   Nella seconda metà del Novecento, con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (Assemblea generale delle Nazioni Unite, 10 dicembre 1948) e con le Costituzioni europee contemporanee si afferma quella particolare forma di stato qualificata come "stato sociale" che ha tra i suoi tratti distintivi una nuova e più ricca concezione proprio dei diritti di libertà: non più solo libertà negative, ossia sfere di autonomia privata e civile da difendere contro indebite interferenze, ma anche libertà positive, ossia strumenti di partecipazione alla vita politica e sociale (Bobbio 1978, Caretti 2002). In questo senso particolarmente chiaro appare l'articolo 3 della Costituzione italiana del 1948. «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza fra i cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»

   Questa stessa concezione allargata di libertà in senso politico e sociale (che ha prodotto nelle Costituzioni contemporanee "regole" per il diritto allo studio, al lavoro, alla salute, all'assistenza e previdenza sociale, all'ambiente ecc.) ritroviamo nella recentissima Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (Bruxelles 28 settembre 2000 / Nizza 7-9 dicembre 2000). La Carta ribadisce che «l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà» e prevede, accanto ai tradizionali diritti di libertà, un insieme importante di diritti di "uguaglianza" e "solidarietà" (artt. 20-38) che garantiscono la partecipazione effettiva del cittadino europeo alla vita dell'Unione, in «uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia» (Bifulco, Cantarbia, Celotto 2001).