Pubblichiamo qui gli atti della terza Tornata accademica Lingua italiana e musica tra Otto e Novecento, tenutasi all'Accademia della Crusca il 20 maggio 2024.
L’interesse per gli epistolari dei musicisti nasce verso la metà dell’Ottocento. Esso è collegato al culto romantico del genio e al desiderio di conoscerne dal vivo la personalità, ma anche alla nuova posizione del compositore nella scala della gerarchia sociale: da semplice artigiano al servizio di nobili e istituzioni a libero professionista e, in certa misura, anche intellettuale, che nelle lettere può esprimere le sue vedute in fatto d’arte, nonché della vita politica e sociale. Proprio a partire da questo periodo le lettere dei musicisti cominciano a diventare oggetti di culto, a essere conservate in collezioni pubbliche e private, a essere studiate e ad acquisire un valore economico crescente, come dimostra la loro circolazione sul mercato antiquario.
Non a caso il primo compositore relativamente al quale si può osservare questo fenomeno è la figura simbolo del nuovo status, Ludwig van Beethoven: risale al 1866, da parte del biografo Ludwig Nohl, il primo tentativo di raccolta organica delle sue lettere, conservate in buon numero insieme ad altri documenti fondamentali quali i celebri quaderni di conversazione. Altre raccolte importanti comparvero nel 1910, nel 1923 e nel 1961, quest’ultima curiosamente un’edizione in inglese, curata da Emily Anderson, che finì per diventare il testo di riferimento negli studi per molti anni.
Per quanto riguarda gli altri “classici” - qui e oltre menziono solo le raccolte più ampie e sistematiche, non i numerosissimi contributi apparsi in articoli, monografie, miscellanee, opuscoli eccetera -, risale al 1914 la prima edizione delle lettere di Mozart e della sua famiglia, anch’essa ampliata in inglese nel 1938 dalla già citata Emily Anderson. Pure in inglese comparve nel 1959 la prima raccolta della corrispondenza di Haydn; l’edizione in tedesco, riveduta e ampliata, comparve nel 1965.
Per i musicisti più antichi il patrimonio conservato è assai più ridotto, per i motivi cui ho accennato sopra. Una notevole eccezione è costituita da Claudio Monteverdi, di cui sopravvive un buon numero di lettere indirizzate a un alto funzionario della corte ducale di Mantova, e perciò conservate all’Archivio di Stato di quella città. Note già alla fine dell’Ottocento, solo nel 1973 esse furono pubblicate in raccolta da Domenico De Paoli, e di nuovo nel 1994 in un’edizione filologicamente accurata dell’italianista ungherese Éva Lax.
Non stupisce invece che gli epistolari di autori che nell’Ottocento potevano essere considerati contemporanei, come Berlioz, Mendelssohn, Chopin, Schumann, Liszt e Wagner, cominciassero ad apparire poco dopo la morte dei rispettivi autori.
Ma veniamo agli operisti italiani, che costituiscono l’oggetto principale di questo resoconto. Per loro valgono condizioni culturali un po’ diverse. Da una parte il melodramma è stato a lungo considerato un’arte popolare, non degna di attenzione scientifica e di cure filologiche; e i suoi protagonisti hanno partecipato con ritardo e in misura minore a quell’evoluzione sociale da cui ho preso le mosse. Dall’altra parte alcuni di loro sono stati oggetto di curiosità biografica per la loro vita breve e supposta infelice, spesso congiunta a curiosità morbosa per le loro passioni amorose: è il caso di Donizetti e di Bellini, in parte anche di Puccini.
Il primo a essere oggetto di un’estesa raccolta di lettere fu Bellini. A pubblicarla fu nel 1882 Francesco Florimo, bibliotecario del conservatorio di Napoli, già intimo amico del compositore e destinatario di molte di quelle lettere. Il suo lavoro aveva un carattere chiaramente agiografico; non solo ma, come è stato dimostrato, egli manipolò in buona parte le lettere al fine di adeguarle al ritratto angelicato dell’amico che andava costruendo in altri lavori biografici. Oggi questa raccolta è più un documento di storia della ricezione che uno strumento di lavoro. Nuove raccolte, sempre più ampie e accurate, comparvero più avanti, perlopiù a cura di studiosi siciliani: Francesco Pastura nel 1935, Luisa Cambi nel 1943 (esemplare per l’epoca), Carmelo Neri nel 1991 e nel 2005.
Diverso fu il destino di Donizetti, le cui lettere furono pubblicate solo nel 1949 da Guido Zavadini, in una raccolta alla quale per il momento è ancora necessario ricorrere, e di Mercadante, delle cui lettere uscì una ridotta raccolta nel 1985 (ma si sa dell’esistenza di numerosissime altre inedite). Di Puccini - che appartiene a un’altra epoca in tutti sensi - comparve nel 1928, a soli 4 anni dalla morte, un Epistolario a cura di Giuseppe Adami, che era stato uno dei suoi librettisti, e nel 1958 un’altra più ampia ma insoddisfacente raccolta di Carteggi pucciniani, a cura del critico musicale Eugenio Gara (si noti come molte di queste pubblicazioni siano uscite negli anni centenari della nascita o della morte dei musicisti).
Invece Rossini e Verdi furono monumentalizzati già mentre erano in vita: essi divennero presto figure simbolo della tradizione artistico-culturale italiana, uomini pubblici rappresentativi del momento storico - si pensi all’assai discusso mito risorgimentale di Verdi. Non stupisce che non solo le loro lettere venissero, almeno da un certo momento, accuratamente conservate, forse intuendone il futuro valore economico, ma che a volte venissero addirittura pubblicate nei giornali a sostegno di questa o quella posizione artistica o politica. È questo il caso di una celebre lettera di Verdi del 1871 contenente una frase da allora citatissima: «Tornate all’antico, e sarà un progresso». Frase che, disse Luigi Dallapiccola, «ha fatto più danni della grandine»1.
Per Rossini la pubblicazione di riferimento è stata per molti anni la raccolta pubblicata per la prima volta nel 1892 dall’erudito Giuseppe Mazzatinti, ampliata con la collaborazione della bibliotecaria Fanny Manis (e di un non meglio identificato G. Manis) nel 1902.
Per quanto riguarda Verdi la mole delle pubblicazioni apparse a partire dal 1901, l’anno della morte, è notevole. Basterà qui ricordare le due raccolte più importanti: I copialettere di Giuseppe Verdi, pubblicati nell’anno centenario 1913 da Gaetano Cesari e Alessandro Luzio (come si evince dal titolo, basata perlopiù non sulle lettere spedite ma sulle minute allora conservate a Villa Verdi, arricchite però dalla trascrizione di molte lettere e documenti collaterali), e, a cura dello stesso Luzio, i quattro volumi di Carteggi verdiani promossi tra il 1935 e il 1947 dalla Reale Accademia d’Italia (poi Accademia Nazionale dei Lincei).
Queste imprese, tutte a loro modo meritorie, si rifanno direttamente o alla lontana alla tradizione erudita tardo-ottocentesca. Ma sono anche influenzate dal culto della personalità creatrice, come si vede dal fatto che privilegiano le lettere dei compositori tralasciando quelle dei corrispondenti; e non mancano venature nazionalistiche o addirittura regionalistiche. A partire dagli anni Sessanta del Novecento esse furono sentite insufficienti rispetto alle nuove esigenze in fatto di filologia epistolare. Il punto di avvio di un nuovo corso fu segnato dalla pubblicazione, tra il 1962 e il 1975, di una nuova edizione critica dei carteggi mozartiani sotto gli auspici del Mozarteum di Salisburgo. Imprese simili furono avviate nei decenni successivi per quasi tutti i grandi musicisti della tradizione classico-romantica.
Per gli operisti italiani un ruolo pilota è stato svolto dall’attività dell’Istituto di Studi Verdiani di Parma (Istituto Nazionale dal 1989). Dopo un’importante edizione pilota dedicata al Carteggio Verdi-Boito nel 1978, esattamente dieci anni dopo, sotto la guida illuminata di Pierluigi Petrobelli, l’Istituto avviò l’“Edizione critica dell’epistolario verdiano”, che nel 2014 era arrivata a nove volumi (comprende una nuova edizione del Carteggio Verdi-Boito, 2014; l’indicazione della serie non compare in due volumi ulteriori concepiti con gli stessi criteri, usciti nel 2015 e dedicati al Carteggio Verdi-Ricordi, rispettivamente1892 e 1893). L’“Edizione nazionale dei carteggi e dei documenti verdiani”, che ho l’onore di presiedere, è uno “spin-off” della precedente: ha sempre l’Istituto quale editore e segue in linea di principio i criteri editoriali di quella2. Caratterizza questi volumi la scelta di non pubblicare le lettere secondo l’ordine cronologico assoluto, ma di riunirle in volumi dedicati a singoli corrispondenti. Una scelta che ha suscitato qualche perplessità, ma che a mio avviso era inevitabile data la mole del materiale, lo stato di inaccessibilità di alcuni fondi e, di conseguenza, l’impegno di ricerca che richiedono. Il vantaggio è che ciascun volume, curato da un diverso specialista o gruppo di specialisti, costituisce una vera e propria monografia ricchissima di informazioni su aspetti primari della creazione verdiana quali i rapporti coi librettisti e la genesi delle opere, i rapporti con l’editore Ricordi, la partecipazione di Verdi alla vita politica italiana.
A parte questo aspetto l’edizione verdiana presenta le seguenti caratteristiche:
Non è un caso che i volumi di questa edizione abbiano suscitato l’interesse, oltre che degli storici della musica, degli storici della lingua. Non posso in questa sede non ricordare un importante e stimolante saggio-recensione di Luca Serianni pubblicato nella rivista dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani3.
A sua volta, la nuova edizione verdiana è servita da modello per altre avviate successivamente, con criteri largamente ispirati a quella anche se con alcune divergenze richieste dal differente oggetto. In particolare, queste edizioni non sono organizzate per corrispondenti ma seguono un ordine cronologico assoluto. Le ricordo nell’ordine di avvio:
Tutte queste edizioni sono ancora in corso, tranne la ponchielliana e la belliniana, di mole incomparabile alle altre (ma alcune lettere di Bellini comparse successivamente sul mercato antiquario sono state pubblicate in seguito4, e altre ancora ne potrebbero emergere). Il lavoro da fare è ancora tanto, e non mancano né la volontà né le competenze per portarlo avanti. I problemi, come al solito, sono di natura economica: promotori-editori dei carteggi sono fondazioni di diritto pubblico che dipendono da finanziamenti dello Stato, indispensabili sia alla ricerca sia alla stampa. A volte si aggiungono contributi di banche o altri enti, sui quali non si può contare continuativamente.
Il contributo più importante alla continuazione dei carteggi verdiani è stato negli ultimi anni il riconoscimento della qualifica di “Edizione nazionale”. Tuttavia la normativa più recente impone alle edizioni di nuovo avvio un termine temporale, peraltro assai ridotto: cinque anni più tre di proroga, per cui l’Edizione ha concluso formalmente i suoi lavori nel 2023, anche se l’ultimo volume esce fisicamente nel 2024 grazie ai fondi già impegnati. Nell’insieme, negli otto anni sono stati prodotti quattro volumi, non pochi, tenuto conto che c’è stato di mezzo il Covid e che il patrimonio già appartenente alla Villa Verdi di Sant’Agata, acquisito dallo Stato nel 2018, non è a oggi interamente consultabile. Al momento siamo in attesa di sapere se sarà possibile continuare in qualche modo questa serie; nel caso che non lo sia, è ferma intenzione dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani riprendere le fila della tradizione editoriale avviata nel 1978. Con quali mezzi si vedrà: siamo abituati a rimboccarci le maniche.
Edizioni citate:
Beethoven
Bellini
Berlioz
Chopin
Donizetti
Haydn
Liszt
Mendelssohn
Mercadante
Monteverdi
Mozart
Ponchielli
Puccini
Rossini
Schumann
Verdi
Wagner
Note:
[1] «[...] Verdi, a parte quello che gli fanno dire, e quello che effettivamente ha detto di “teorico” (quella frase: “Torniamo all’antico, ecc.” ha fatto più danni della grandine, usata da quelli che parlan sempre di ispirazione...), è un grandissimo musicista...», in Leonardo Pinzauti, A colloquio con Luigi Dallapiccola, “Nuova rivista musicale italiana”, 3, 1967, pp. 568-79: 576-7. L’esortazione di Verdi, che va letta nel contesto di una discussione sulla didattica del canto e della composizione, si trova in una lettera a Francesco Florimo del 5 gennaio 1871, subito ripresa dalla stampa e poi ripubblicata innumerevoli volte; qui la si cita da Giuseppe Verdi: autobiografia dalle lettere, a cura di Aldo Oberdorfer, nuova edizione rivista da Marcello Conati, Milano, BUR, 1981, p. 412.
[2] Il secondo volume uscito in questa serie, Carteggio Verdi-Cammarano 1843-1852, a cura di Carlo Matteo Mossa, Parma, Istituto Nazionale di Studi Verdiani, 2021, è la nuova edizione, arricchita di numerose lettere inedite, di un precedente volume, identico nel titolo e nel curatore, uscito nel 2001.
[3] Luca Serianni, Spigolature linguistiche dal carteggio “Verdi-Ricordi”, “Studi verdiani”, 10, 1994-1995, pp. 104-117; poi in Id., Viaggiatori, musicisti, poeti. Saggi di storia della lingua italiana, Milano, Garzanti, 2002, pp. 162-179.
[4] Sempre a cura di Graziella Seminara, col titolo I Carteggi di Bellini. Nuove acquisizioni, nei numeri 4, 2018, 5, 2019, 7, 2021 della rivista online “Bollettino di studi belliniani” (https://www.bollettinostudibelliniani.eu/).
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