Come sanno bene i più accaniti estimatori della serie televisiva del Commissario Montalbano di Andrea Camilleri, in una scena dell’episodio intitolato Par condicio (tratto dall’omonimo racconto di Un mese con Montalbano e da Catarella risolve un caso della raccolta Gli arancini di Montalbano), andato in onda per la prima volta il 29 settembre 2005, l’ultima il 24 aprile 2015, a circa mezz’ora dall’inizio della puntata si vedono il commissario Montalbano e l’ispettore Fazio, inquadrati in campo-controcampo (cioè in riprese speculari, che non li ritraggono mai insieme), mentre discutono della famiglia mafiosa che, contrapposta ai Sinagra, è al centro delle indagini: i Cuffaro. Ora, a Fazio/Peppino Mazzotta che parla dei Cuffàro (con accento sulla penultima) Montalbano/Luca Zingaretti inopinatamente replica, quattro secondi dopo, parlando dei Cùffaro, con accento sulla terzultima (Terrusi 2018).
Si tratta, è probabile, di una svista sfuggita al montaggio, come effetto di scene girate in momenti diversi. La pronuncia prevalente nella realtà siciliana (un Salvatore “Totò” Cuffaro è stato presidente della Regione dal 2001 al 2008) è Cuffàro, diffuso specie ad Agrigento e provincia e verosimilmente da accostare al siciliano cuffaru ‘chi fa coffe, panieri, ceste’ o ‘colui che, durante la vendemmia, trasporta l’uva al palmento’ (Caffarelli-Marcato 2008).
Analogamente si alternano, nella trasposizione televisiva di un altro romanzo di Camilleri, La luna di carta (stagione 2008), le varianti di un altro cognome, Sclàfani e Sclafàni nel dialogo tra la Michela Pardo/Pia Lanciotti e lo stesso Montalbano/Zingaretti. Anche nel testo del Ladro di merendine (1996) si ha un simile “scangio”, qui previsto e introdotto nella finzione dall’autore, quando il commissario, rivolgendosi a un testimone sottoposto a interrogatorio, lo chiama Lopìparo, con l’accento sulla ì, prontamente corretto dall’interlocutore che gli oppone la pronuncia piana: “Signor Lopìparo...”, “Lopipàro” (Terrusi 2018). Anche in questo caso l’equivoco – tra pipàro ‘fabbricante/venditore di pipe’ e pìpere, pìpero, dialettale per ‘pepe’– si spiegherebbe con un’alternanza realmente documentata tra la pronuncia piana del cognome (probabilmente originaria) e la variante sdrucciola (Caffarelli-Marcato 2008), quest’ultima del resto attestata, nella forma Lo Pìparo, in una ulteriore opera di Camilleri, La forma dell’acqua (1994).
Emilio Salgari è stato il primo al centro della discussione per la posizione dell’accento sul cognome (Fiorelli 2013); tanto che ancora oggi si sente la pronuncia anetimologica Sàlgari, trasmessa attraverso la scrittura, quella etimologica Salgàri, da salicarium ‘luogo di salici’ e c’è perfino chi dice “Sàlgari o Salgàri” per non scontentare nessuno. Ma il primo saggio di uno studioso che mi sia stato possibile rintracciare risale esattamente a un secolo fa, quando Alberto Bongioanni (1922, ma l’originale è firmato con data “Udine, ottobre 1921”), nel proseguire (e talvolta prendere le distanze da) un articolo di Cesare Poma (1919), si soffermò sui cognomi friulani Asino/Bellasino precisando: «Non di rado l’errata accentuazione dei cognomi, fuori della loro regione, è causa di interpretazioni lontanissime dal vero. In Friuli questi due cognomi ànno l’accento sulla penultima, e l’etimologia è ovvia: Asíni si dicono i nativi di Vito d’Asio (Spilimbergo); Bellasíno è forse un soprannome (il "biel Asín")» e poi sugli altrettanto friulani Somáro e Desomáro: «Per lo più si pronunzia sdrucciolo, ma in Carnia è piano. In una “Descriptio hominum a factis in Canali de Gorto”, del 1493, [...] trovo un Thomas Desemarius. È evidente che il cognome deriva dall’ufficio di riscuotere le decime».
Un caso simile a quello salgariano è il cognome Cagliàri: non c’entra il capoluogo sardo, bensì il mestiere di fabbricante di calzature militari in Roma antica, i calegarii, divenuti nei volgari italiani e nei cognomi Callegari, Calliari, Callieri e appunto Cagliàri. In alternativa è lecito pensare a un altro mestiere, il lavoratore del caglio. Ma il toponimo è d’uso moderno[1]) e la distribuzione del cognome esclude la Sardegna e riguarda in particolare le province di Mantova, Brescia, Verona e Modena.
La questione della posizione dell’accento ha interessato vari personaggi pubblici, come l’ottavo presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga, il quale era ben conscio che il suo cognome corrispondeva al nesonimo Corsica, dunque proparossitono. E il quinto presidente, Giuseppe Saragat, aveva un nome di famiglia – di origine catalana – ossitono e non proparossitono.
Il direttore generale della RAI e presidente di altre aziende Biagio Àgnes era in realtà un Agnés, dal personale Agnese. Il cognome del giornalista e scrittore Corrado Augias deriva da una voce sarda aùza ‘spilla’, della famiglia di aguglia, e andrebbe pertanto accentato sulla “u”. Quello del navigatore ed esploratore milanese Ambrogio Fogar è friulano e sta per ‘focolare’, dunque ossitono e non parossitono. Il Premio Nobel Salvatore Quasìmodo era in realtà un Quasimòdo, dall’antifona della Messa della Domenica in Albis, “Quasi modo geniti infantes...”.. La conduttrice televisiva Sveva Sagràmola è piuttosto una Sagramòla, nome di famiglia anconitano per ‘sacra costruzione’.
Negli anni scorsi il caso più discusso, anche al di fuori del ristretto àmbito dei linguisti, è stato però quello dell’ex ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan: la pronuncia corretta sul suffisso (= ‘padovano’) è stata sconfessata dallo stesso interessato, abituato a chiamarsi Pàdoan.
Il cambiamento o l’oscillazione della posizione dell’accento tonico possono essere dettati da varie motivazioni. Riportiamo qui i casi principali:
1) l’attrazione di un toponimo o di un aggettivo etnico identico. Accanto a Cagliari, spicca il caso dei noti fratelli ex calciatori Franco e Giuseppe (Beppe) Baresi; bandiere rispettivamente delle squadre del Milan e dell’Inter, non hanno alcun rapporto con la città di Bari, perché non è verosimile – dati e confronti alla mano – che eventuali lontani avi dei tanti Baresi emigrati dal capoluogo pugliese siano finiti tutti soltanto in alcuni piccoli paesi del Bresciano, nel cuore della Lombardia, e in nessun’altra parte d’Italia. La prova, di per sé sufficiente, è rafforzata dalla presenza in Val Brembana, non lontano da quei comuni, di un centro che si chiama proprio Bàresi con accento sulla “a”, toponimo d’origine celtica per un paese che fu comune autonomo fino al 1927 e venne poi inglobato nel territorio di Roncobello. La Lombardia trabocca di nomi di famiglia derivanti dai nomi di luogo della zona; ma tra le genti di quelle parti il nesso tra cognome e località non è affatto chiaro. All’anagrafe di Roncobello, direttamente interpellata, rispondono di conoscere, evidentemente, tanto la località quanto il nome di famiglia: ma la prima è Bàresi e il secondo Barési. Nessun legame. Anzi, proprio la posizione dell’accento segnerebbe l’invalicabile confine (per una più precisa ricostruzione v. Caffarelli 2012);
2) l’attrazione di un’omonima voce di lessico: salentino e reggino, Candito è pronunciato parossitono, ma non deriva dal cristallo colorato di zucchero usato in confetteria, bensì una variante di càndido aggettivo e nome personale; Chimici, a Trebisacce-Cs e in Sicilia, non indica gli studiosi di chimica, ma è forma palatalizzata di Chimisso, dall’arabo hamīs ‘giovedì’, dunque parossitono; il palermitano Indagati è formato dalla preposizione che segnala appartenenza o ingresso in una famiglia D’Agati dal personale Àgata (a meno che si tratti della pluralizzazione del toponimo Agàte)[2]; Tòssici, marchigiano e così pronunciato, è in realtà Tossìci, dal comune di Tossicìa (Teramo);
3) l’influenza di un’altra lingua (il fenomeno è stato attribuito in varia misura, e soprattutto per le variazioni maturate già da tempo, alla mediazione della pronuncia tedesca nell’epoca dell’occupazione austroungarica), cui si aggiunge la tendenza a non accentare sull’ultima sillaba i cognomi ossitoni in consonante che non presentano l’accento grafico e a ritrarre in genere l’accento sulle parole trisillabe (D’Achille 2019: 101). Tipico è il fenomeno riscontrabile tra i cognomi friulani e veneti; Lorenzo Tomasin (2009), per esempio, ha avviato un suo articolo sui cognomi mal accentati citando il pilota ferrarista montebellunese Luca Badoèr, più spesso chiamato Bàdoer; si vedano poi le dizioni Bàldas, Màlfer, Màzzer, Mènis, Pèllis, Pètris, Strìngher, Stràzzer che dovrebbero portare in realtà l’accento sull’ultima, e altrettanto i vari etnici in -an o -er, ovviamente tronchi e non sdruccioli: Furlàn, cognome triestino per ’friulano’, che si ascolta anche in versione parossitona, Fùrlan, nonché Maròstegan, Mùiesan, Piòvesan, Trèvisan, Vàzzoler ecc., erroneamente resi sdruccioli anziché tronchi;
4) la motivazione eufonica o nobilitante, ossia la ricerca di maggiore prestigio onomastico, nella direzione di una sprovincializzazione; i Benetton, i Salomon, i Sanson, ecc., specie se vi è corrispondenza con un marchio commerciale, possono accogliere pronunce gradite che, da un lato, evitino l’etimologica e facile identificazione qui con Benedettone e con i biblici Sansone e Salomone (anche per l’accostamento facile a salame) e, dall’altro lato, consentano l’acquisizione di una sorta di internazionalizzazione[3]. Lo stesso vale per il marchio Stefanèl, da accentare sul suffisso. Stefano Bartezzaghi (2020) aggiunge Coìn, i grandi magazzini, con pronuncia tronca, dunque non il diffuso Còin: non si tratta di un acronimo, bensì del nome di famiglia del fondatore (nel 1916 a Pianiga-Ve) Vittorio (‘codino’). Paolo D’Achille (2014), in una pagina della Consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca, ha segnalato l’attore e regista Gabriele Làvia, in origine La Via, cognome della Sicilia orientale. L’altra attrice Caterina Vertòva slaveggia col suo cognome piano: in realtà si corrisponde con lo sdrucciolo Vèrtova, comune bergamasco da cui indica origine o provenienza;
5) l’evitamento di un cognome imbarazzante o infamante: si noti come Tròia, accentato sulla prima sillaba – sia che derivi, come ad Andria e nel Barese, dall’omonimo comune foggiano, sia che continui, come perlopiù in Sicilia, un soprannome per ‘scrofa’ – spesso diventi, almeno nelle intenzioni dei portatori, Troìa (anche con grafia antiquata o anagraficamente modificata Troja o Troya) per ridurre l’omonimia con ‘prostituta’;
6) la confusione è spiegata da quei suffissi (talora già in latino) tonici o atoni, come -olo, per cui diciamo bracciolo, figliolo, montagnolo ecc. ma gomitolo, pungolo, truogolo ecc. Un calciatore della Spal (serie B nella stagione 2020-2021) viene da tutti chiamato Sernìcola e non Sernicòla, nome di famiglia laziale, in quanto non se ne riconosce la composizione (Mes)ser+Nicola. Ciò capita anche in altre situazioni di uscita ambigua: la terminazione -ano è perlopiù tonica, ma atona nelle terze persone plurali dell’indicativo presente dei verbi di prima declinazione: così i cognomi Ingrassano, Rasano, Travisano potrebbero apparire voci verbali (per quanto assai curiose) mentre valgono, rispettivamente, un’antica indicazione di ingresso nella famiglia Grassàno, a Mirabella Imbaccari (CT); il catanese Rasàno, dal toponimo Rasa, o forma corrotta di Rosano, nome personale e cognome altrettanto isolano; e un travisamento di Trevisàno ‘di/da Treviso’, specie in Puglia e in Calabria;
7) e qui veniamo a una motivazione che vale anche per alcuni dei casi precedenti: la perdita della trasparenza semantica, per cui il parlante nulla sa del significato del cognome. Cacopardo, siciliano, non fa parte della famiglia del leopardo e del ghepardo e la pronuncia è proparossitona: viene dal greco kakós ‘cattivo’ più il nome di persona Párdes o Párdos, oppure dal neogreco kakókardos ‘afflitto, triste, tetro’. Tornando ai composti con messer(e), si usa accentare parossitono il toscano Seriacòpi perché non si ha coscienza della sua formazione: (Mes)ser Iacopo con pluralizzazione finale (forse per influenza di xerocopia, fotocopia); lo stesso rischio corre Seragnoli, raro sull’Appennino tosco-emiliano, se non vi si riconosce il personale Àgnolo. Il lombardo Sirtori indica origine o provenienza dall’omonimo comune lecchese, proparossitono e non parossitono (per probabile attrazione di Sartòri). Il campano Mennone dovrebbe corrispondere a un Agamennone aferetico, dunque sdrucciolo. Virgopia, territorialmente disperso, non ricorda una pia vergine, ma un frutto: è corruzione del calabrese e siciliano pircopu, pricopo ‘albicocca’ a sua volta da pircopia, pricopia ‘albicocco’, pertanto da accentare sulla “o”;
8) altri errori possono nascere dalla confusione con un identico cognome da accentare diversamente secondo le regioni in cui ci si trova. Doppie pronunce caratterizzano, per esempio, Bavàro parossitono se corrisponde a bovaro, Bàvaro invece proparossitono se ‘abitante della Baviera’ o da bavero ‘colletto della giacca, del soprabito’; Fàvaro se è variante veneta di fabbro, ma Favàro – accentato sulla penultima – se è nome di mestiere legato alla fava; Vicàri al nord, dal latino vicarius, ma Vìcari al sud, dall’identico toponimo, comune del palermitano; inoltre Zùccaro per ‘zucchero’ nel Nord-ovest (anche frazione di Valduggia-Vc e di Coggiola-Bi), Zuccàro ‘coltivatore di zucche’ nel Meridione continentale e insulare (D’Achille 2019: 49).
In sintesi, sbagliare è più che lecito di fronte a forme la cui spiegazione risulta ostica perfino ai linguisti; un solo esempio: il famoso calciatore francese Michel Platini, attivo anche in Italia dal 1982 al 1987, ha in realtà un cognome italianissimo, tipico del Novarese. Ma può contare almeno quattro interpretazioni: da pratino ‘piccolo prato’, da Pilato con caduta della prima vocale e suffisso -ino, dall’albero del platano, dal platino prezioso metallo; tra le due pronunce italiane possibili, Plàtini o Platìni, si è facilmente optato per mantenere la pronuncia francese, ovviamente ossitona, ormai cristallizzata.
Tornando al caso Padoan, varie teorie pseudodialettologiche sono state formulate in proposito, ma la verità pare una: quel cognome è ossitono e tuttavia i suoi portatori possono scegliere di cambiare la sillaba tonica, attirandosi le critiche dei puristi della grammatica e dell’onomastica, ma senza altre conseguenze.
Infatti, come sostiene Paolo D’Achille (2015), "se l’accentazione Padoàn ha la sua storia, ed è certo da considerare corretta, la pronuncia Pàdoan risulta in sintonia con certe tendenze attuali dell’italiano e, almeno con riferimento al ministro che l’ha fatta propria, sembra senz’altro da accettare". Salvatore Claudio Sgroi (2015) va oltre, sostenendo che ritenere errata la pronuncia sdrucciola Pàdoan, e corretta solo quella tronca perché è quella etimologica è "una posizione errata, paradossale e antiscientifica" perché sarebbe "indizio di una concezione linguistica di stampo purista che non terrebbe conto del fatto che le lingue mutano, in funzione dei bisogni espressivo-comunicativi dei parlanti e del loro ruolo sociale".
Nello stesso tempo Michele Cortelazzo (2014) scrive che "ognuno ritiene di poter spostare come vuole l’accento, per ignoranza o per volontà di nobilitazione, e non c’è bisogno di nessuna procedura, perché non cambiano i documenti anagrafici, che, secondo le norme dell’ortografia italiana, segnano l'accento solo se la parola finisce con una vocale e questa è accentata. [...] Ma il prezzo di questa scelta è quello di recidere i legami con il proprio passato familiare, cancellando le tracce che gli avi lasciano su di noi non solo con i caratteri fisici, ma anche con l’onomastica".
Note:
1. Cagliari com’è noto, è stata per secoli chiamata su Casteḍḍu, e Casteḍḍani i suoi abitanti, tanto che il nome di famiglia Cagliaritano è rarissimo, sostituito da Calarese/-u che si rifà al latino Caralensis, etnico di Caralis ‘Cagliari’ anche nome di un’antica moneta sarda).
2. Per le etimologie dei cognomi siciliani citati, si veda in primo luogo Caracausi 1993.
3. Salomon e Sanson, accentati sulla prima sillaba, sono diffusi nomi e cognomi del dominio linguistico anglosassone.
Nota bibliografica
Sara Giovine
Jacopo Ferrari
Donatella Martinelli
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
Avvisiamo i visitatori che, a causa dei lavori di restauro in corso nella sede dell'Accademia, l'accesso alla villa di Castello è momentaneamente spostato al civico 48.