di Anthony Mollica, professor emeritus, Brock University, St. Catharines, Ontario (Canada)
(Nota dell'Autore: il testo è tratto con adattamenti da: Anthony Mollica, Ludolinguistica e Glottodidattica. Prefazione di Tullio De Mauro. Postfazione di Stefano Bartezzaghi. Perugia, Guerra edizioni, 2010)
In un saggio pubblicato in Dialogue, H. H. Stern sottolinea che l'insegnamento di una lingua [si riferisce al francese, N.d.A.] richiede un approccio diversificato e sottolinea che:
Negli ultimi anni si è fatta strada una nuova visione relativamente all'acquisizione delle lingue, in parte grazie agli studi sull'apprendimento delle seconde lingue ed in parte grazie alle ricerche sulle esperienze di "immersione". Si è concordi nel sottolineare il fatto che una lingua non può essere appresa con la sola pratica formale; si impara di più e meglio fare qualcosa utilizzando la lingua (1983, p. 4).
Pierre Calvé (1985, p. 278) fa eco a queste affermazioni quando concorda che
Ce n'est qu'en communiquant qu'on peut apprendre à communiquer ("è solo comunicando che si impara a comunicare".)
In sostanza, sia Stern che Calvé parafrasano il vecchio adagio:
Dimmi e dimentico,
mostrami e ricordo,
La parola chiave nella citazione di Stern riportata sopra, nell'affermazione di Calvé e nel motto è "coinvolgimento". E se siamo concordi nell'accettare il fatto che "si impara meglio facendo" e che parliamo quando abbiamo qualcosa da dire o quando vogliamo ottenere informazioni che ci interessano, lo stimolo che stiamo per proporre, dunque, soddisfarà entrambi i presupposti e le funzioni.
Nicola Zingarelli nell'edizione del Vocabolario della lingua italiana del 1998, per la prima volta registra la voce , "ludolinguistica" definendola:
branca della linguistica che si occupa di giochi di parole e combinazioni lessicali.
Rossi (2002, p. 247), a sua volta, conferma la definizione:
la ludolinguistica abbraccia tutti i giochi di parole in chiaro, contrapponendosi all'enigmistica classica, in cui entrano quei componimenti che propongono ai solutori uno o più soggetti sotto il velame delli versi strani (Dante).
Alla domanda: Come le piace essere definito? giocologo, ludolinguista, o altro? Bartezzaghi risponde:
"Giocologo" è una parola che Ennio Peres ha inventato per se stesso. "Ludolinguista" invece deve essere un conio di qualche enigmista accademico: una parola che ritengo ripugnante. In realtà quella che viene chiamata "ludolinguistica" non è una disciplina, ed è per questo che non ha un nome vero e proprio. Alla fine, "giochi di parole" è ancora la definizione più sensata, proprio per tutti gli equivoci che ammette. In caso di emergenza, cioè quando bisogna proprio essere identificati, uso "saggista ed enigmista". In fondo come enigmista ho incominciato, e oggi continuo a seguire le riviste e a pensare che l'enigmistica sia un contenitore più vasto di quanto non ritengano i suoi adepti meno elastici.
Ma Tullio de Mauro (2010, p. ix) ci ricorda che è da anni che diciamo in francese, inglese, spagnolo, italiano, ludoliguistique, ludolinguistics, ludolingüística, ludolinguistica (dalla matrice dei significanti latini, ma non del significato, si discosta solo il tedesco Sprachspielwissenschaft, uno scioglilingua per i non tedescofoni). Francamente, in inglese preferisco la traduzione di "Recreational Linguistics". L'inglese, come ben sappiamo, spesso preferisce la voce anglossassona invece della "pedante" del latino. E De Mauro suggerisce che,
il gioco di parole, nelle sue varie forme, può svolgere un ruolo molto importante nello stimolare e verificare l'apprendimento linguistico a diversi livelli di età. (2010, p. ix)
L'Italia può giustamente essere orgogliosa di avere dei grandi ludolinguisti - Bartezzaghi, Dossena, Francipane, Peres, Rossi - solo per indicarne alcuni, ma nessuno di loro si è avventurato finora a preparare delle attività per l'insegnamento dell'italiano come lingua straniera. Solo Bartezzaghi (2009) ha recentemente pubblicato un Libro dei giochi per le vacanze. Anagrammi, rebus, cruciverba, refusi, indovinelli, ma il libro è indirizzato al pubblico italiano di lingua madre piuttosto che al discente d'italiano come lingua straniera.
Perché la ludolinguistica nella glottodidattica?
L'uso dell'enigmistica e dei giochi nelle lezioni di lingua straniera è ormai diventato un elemento intrinseco a numerosi approcci ed è, di fatto, la scelta di molti docenti per quanto riguarda le attività di revisione e di rinforzo di grammatica, lessico e abilità comunicative, a un punto tale che diventa difficile ipotizzare un programma di formazione per docenti senza un seminario o un laboratorio che tratti l'argomento.
Si tratta di tecniche molto versatili, che possono essere utilizzate sia per compiti specifici che coprono punti discreti (quali il rinforzo strutturale e la conoscenza lessicale) sia per compiti di tipo interattivo (comunicazione e funzioni).
James Fixx (1978, p. 18), infatti, suggerisce che il motivo è, senza alcun dubbio, perché
i giochi enigmistici non solo ci danno piacere ma ci aiutano anche a lavorare e a imparare in un modo più efficace.
Se si escludono alcuni tentativi di fissarne la validità e di fornire una tipologia psicologicamente appropriata al loro utilizzo, poco è stato fatto al fine di dare a questo argomento una trattazione empirica esaustiva.
In Italia, tra i primi studiosi ad interessarsi di didattica ludica, troviamo Giovanni Freddi, uno dei padri fondatori della glottodidattica italiana, con le sue pubblicazioni degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Freddi (1990, pp. 130-136) indica vari principi fondamentali sui quali deve basarsi la didattica ludica: sensorialità, motricità, bimodalità neurologica, semioticità, "total physical response", relazionalità/transazionalità, pragmaticità, espressività, autenticità, biculturalismo, naturalità, integrazione delle lingue, ludicità.
Dal punto di vista delle teorie dell'acquisizione linguistica e della ricerca, esistono solide basi di tipo psicologico che supportano e giustificano l'uso di tecniche ludiche quale integrazione, supplemento o anche riferimento principale nell'insegnamento delle lingue straniere.
Rodgers (1981) ha evidenziato cinque caratteristiche delle tecniche ludiche che si riflettono nelle pratiche quotidiane dell'insegnamento delle lingue straniere.
1) Sono competitive.
2) Sono rette da regole (hanno un numero limitato e chiaro di regole da rispettare).
3) Hanno un obiettivo.
4) Hanno una conclusione (ad un certo punto l'attività ha una soluzione e può considerarsi finita).
5) Sono coinvolgenti (perché mantengono i partecipanti in una situazione di sfida.)
L'obiettivo della ludolinguistica è di migliorare l'insegnamento e di motivare lo studente attraverso questa "nuova" disciplina. I suggerimenti che seguono non sono in ordine di difficoltà; l'insegnante, che conosce meglio di tutti il bagaglio linguistico dei suoi studenti, ha l'opportunità di scegliere quelli a loro più adatti.
Le attività ludolinguistiche vanno utilizzate adeguatamente: il loro impiego è fondamentale per la motivazione e per la sfida; non dovrebbero mai essere adoperate come attività di riempimento, come semplici tappabuchi.
Dalla letteratura emergono due elementi:
1) le indicazioni sperimentali che esistono hanno dimostrato che queste tecniche sono di supporto ai processi di acquisizione delle lingue,
2) perché queste tecniche siano efficaci devono essere realizzate con consegne chiare e obiettivi didattici chiaramente definiti.
Ma quali sono i giochi di parole fanno parte alla ludolinguistica? Secondo la definizione della voce nello Zingarelli, possiamo facilmente identificare: le parole crociate, i crucipuzzle, l'abbinamento e l'incastro, l'acrostico e il mesostico, l'intruso, l'anagramma, i rebus, i crucipuzzle, le sigle, l'intruso, gli enigmi e gli indovinelli, ecc. A questi "tradizionali" noi abbiamo aggiunto degli altri come l'umorismo, le foto curiose e il calendario storico (Mollica, 2010). Qualsiasi "tema" può essere abbellito con attività ludolinguistiche. Prendiamo per esempio, "L'albero geneologico".
Gli autori di manuali generalmente presentano il lessico con un'immagine di un albero genealogico per presentare i nomi di parentela. Pochi o rari sono gli autori che danno il cognome a questi "personaggi" ma si limitano semplicemente a dare i nomi: padre, madre, nonno, nonna, figlio, figlia, ecc. Al livello di principianti o ad un gruppo di bambini, la prima attività sui nomi dovrebbe essere limitata ai nomi della famiglia immediata: nonno, nonna, padre, madre, figlio, figlia, fratello, sorella, zio, zia, cugino, cugina. Pochi, o meglio, rari sono i bambini che capiscono la parentela che esiste con suocero, suocera, cognato, cognata, nipote, pronipote, ecc. Raramente, o quasi mai, troviamo nei manuali matrigna, patrigno, fratellastro, sorellastra , ecc. poiché questi nomi di parentela che si trovano spesso nelle favole, hanno una connotazione negativa. E ricorriamo all'inglese per denotare una donna senza marito (single, single mother, single parent) o un marito senza moglie (single, single father, single parent).
1. Dal maschile al femminile.
Scrivi il femminile dei seguenti nomi di parentela.
a. nonno __________________
b. padre __________________
c. figlio __________________
d. fratello __________________
e. zio __________________
f. cugino _________________
2. Le vocali mancanti.
Via col vento... Un colpo di vento improvviso ha portato via tutte le vocali dai nomi di parentela. Inseriscile.
a. n___n n ___
b. p___d r___
c. f___g l___ ___
d. f r___t___l l___
e. z___ ___
f. z___ ___
g. n ___ n n ___
h. m ___ d r ___
i. f ___ g l ___ __
l. s ___ r ___ ll __
m. c ___ g ___ n ___
n. c ___ g ___ n ___
Una attività simile può farsi con le consonanti, attività un po' più difficile della precedente.
3. Le consonanti mancanti.
Via col vento... Un colpo di vento improvviso ha portato via tutte le consonanti dai nomi di parentela. Inseriscile.
a. ___ o ___ ___
b. ___ a ___ ___ e
c. ___ i ___ ___ i o
d. ___ ___ a ___ e ___ ___
e. ___ i o
f. ___ i a
g. ___ o ___ ___ a
h. ___ a ___ ___ e
i. ___ i ___ ___ i a
l. ___ o ___ e ___ ___ a
m. ___ u ___ i ___
n. ___ u ___ i ___
4. Problemi di logica
a. Il signore e la signora Bianchi hanno cinque figlie. Ogni figlia ha un fratello. Quanti figli hanno i signori Bianchi?
b. Il signore e la signora Rossi hanno due figlie e tre figli.
Teresa è la figlia più giovane.
Claudio ha un anno meno di Monica.
Monica ha sei anni più di Dario.
Giorgio è il figlio maggiore.
Dario ha sei anni meno di Monica.
Chi sono i figli in ordine di età?
Questo problema si può anche "dialogare" inserendo anche le immagini delle persone che parlano.
Il signore e la signora Rossi hanno due figlie e tre figli. Leggi quello che dicono e poi rispondi alla domanda.
Teresa: Io sono la figlia più giovane.
Claudio: Io ho un anno meno di Monica.
Monica: Io ho sei anni più di Dario.
Giorgio: Io sono il figlio maggiore.
Dario: Ho sei anni meno di Monica.
Chi sono i figli in ordine di età?
c. Due padri e due figli vanno a caccia. Ognuno di loro prende una lepre e due fagiani, ma tornano a casa con tre lepri e sei fagiani. Perché?
d. Maria e Pietro Bianchi raccontano a degli amici che sono stati in ferie e che nella loro macchina viaggiavano molte persone:
Pietro Bianchi: Nella nostra macchina c'era un nonno, una nonna, un suocero, una suocera, una nuora, due figlie, due sorelle, due figli, due padri, due madri e tre nipoti.
Maria Bianchi: Non esagerare! È vero tutte queste persone erano nella macchina, ma in verità non erano diciotto, bensì meno di dieci!
Sai dire quante persone erano nella macchina dei Bianchi?
5. Umorismo
Se siamo convinti che "repetita iuvant" - "la ripetizione aiuta l'apprendimento" - allora in questo caso il seguente dialogo umoristico è il proverbiale "cacio sui maccheroni":
Tra bambini .
Marco: Mi vuoi sposare quando saremo grandi?
Nadia: Impossibile! Non posso!
Marco: Perché?
Nadia: Perché nella mia famiglia si sposano tutti tra di loro: mio nonno ha sposato mia nonna... mio padre ha sposato mia madre... mio zio ha sposato mia zia...
Come suggerisce Erasmo da Rotterdam (1466-1536), teologo, umanista e filosofo olandese, in uno dei suoi scritti del 1497,
Una costante nota di divertimento deve essere frammista ai nostri studi, così che diventi possibile concepire l'istruzione come un gioco piuttosto che una fatica... Nessuna attività può essere condotta a lungo se non porta un qualche piacere a chi ne partecipa.
Più recentemente, Bruno Munari (1992, p. v) sostiene che
il gioco è il modo più giusto per conoscere, per capire tante cose, per formarsi una mentalità creativa. Il gioco chiede una partecipazione globale dell'individuo. Il gioco comunica attraverso i sensi.
E una massima anonima conferma
Non smettiamo di giocare perché siamo vecchi, diventiamo vecchi perché smettiamo di giocare.
E le citazioni sull'importanza del gioco potrebbero ancora continuare. Rossi (2002, p. 176) ci ricorda che Umberto Eco mette il gioco al quarto posto tra i bisogni fondamentali dell'uomo, dopo il nutrimento, il sonno, l'affetto e prima di "chiedersi perché". E ancora, Claude Aveline (1961, p. 7) afferma che
L'homme est fait pour jouer : c'est le péché originel qui l'a condamné au travail".
("L'uomo è nato per giocare; è il peccato originale che lo ha condannato al lavoro".)
Se si dà una rapida occhiata, in una edicola o in una qualsiasi libreria, alle novità o alla sezione dedicata ai giochi, si nota immediatamente una grande quantità di volumi dedicati a passatempi con giochi di parole.
Siamo fermamente convinti che l'insegnante debba creare in classe un'atmosfera di successo e sottolineiamo quelli che devono essere i suoi obiettivi:
rinverdendo quanto Orazio (65 a.C.-8 a.C.) auspicava nella sua Ars poetica,
Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci,
lectorem delectando pariterque monendo.
(Orazio, Ars poetica, versi 343-344)
Colse nel giusto segno chi alternò l'utile al dolce,
divertendo il lettore e nello stesso tempo istruendolo.
Per contattare l'Autore: mollica@soleilpublishing.com; mollica@brocku.ca
Firenze, 2 maggio 2011
Christian Ferrari
Maurizio Landini
Dario Missaglia
Evento di Crusca
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Evento esterno
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