Labirinti di parole: grifo, grifodico

di Mariella Canzani

Sulla terra c’è un essere che ha due piedi, e quattro, e tre,
e possiede una sola voce. Di tutti gli esseri che si muovono sulla terra,
volano nel cielo o nuotano nel mare, è il solo che muta il suo aspetto.
Ma quando, per affrettare la sua marcia, cammina con più piedi,
allora la forza delle sue membra è più scarsa.
(Antologia Palatina XIV, 64)[1]

La parola è gioco e presagio. La dizione oscura, l’enigma, è il velo che copre e che scopre, il prisma che riflette le sfaccettature del reale scomponendole in sensi diversi. L’enigma, l’indovinello, interroga e manipola: è “una serratura”[2], che “vuole una parola” per aprirsi su quel che già si conosce, attraverso la decifrazione della mappa ambigua dei segni linguistici.

L’aggettivo grifodico (dal greco griphṓdes, composto dalla radice griph- di grîphos ‘indovinello, enigma’ e dal suffisso degli aggettivi -ṓdes a indicare somiglianza: ‘simile a indovinello’), non attestato nei dizionari[3], è un tecnicismo settoriale appartenente al lessico specifico proprio dei filologi e di scarsa diffusione nella lingua comune. Impiegato esclusivamente all’interno della disciplina in cui è stato coniato, la filologia classica e l’esegesi dei testi letterari antichi, si riferisce alla forma letteraria dell’indovinello, breve componimento in cui il destinatario deve indovinare ciò che è evocato (un oggetto, un concetto, un’entità, un tema) attraverso una descrizione scherzosamente allusiva e ambigua – in modo, per l’appunto, ‘enigmatico’ –, in uno scarto fra il livello letterale e quello figurato-simbolico delle parole.

Ma conviene partire da grifo, parola dalla semantica complessa ed equivoca, che ci restituisce, tra le pieghe della propria storia, le sue sfumature significative, fornendoci uno spiraglio sulla comunicazione enigmatica antica.

Enigmi e indovinelli

Nel greco antico il grîphos (o grîpos) è una ‘rete’ molto ingarbugliata per pesci, fatta di steli di giunchi intrecciati[4]. Metaforicamente il termine indica un ‘intrico’ e dunque un ‘detto oscuro, indovinello, enigma’, un discorso arzigogolato e criptico; ed è attestato per la prima volta nella letteratura greca già in tale accezione nelle Vespe[5] di Aristofane, dove si allude all’indovinello come consueto passatempo conviviale nel contesto del simposio (parte del banchetto dedicata alla consumazione del vino e trascorsa tra canti, conversazioni filosofiche, danze, recite di poesie, giochi, e che indica propriamente l’azione del ‘bere insieme’)[6].

Oltre a grîphos, un altro vocabolo greco indica il parlare velato: aínigma, la cui testimonianza più antica si ha in un frammento di Pindaro[7] a proposito dell’enigma della Sfinge; derivato di ainíssomai (dialetto attico ainíttomai), ‘parlo oscuramente, copertamente, per allusioni’, che trova la sua radice fondativa nel termine aînos ‘racconto, storia, favola, detto, proverbio’ (anche ‘elogio, lode’). La difficoltà interpretativa lega l’enigma al racconto e alla favola didascalico-moralistica, giungendo fino alla tradizione cristiana della parabola; e accomuna alla formulazione enigmatica anche il linguaggio di oracoli, vaticini e sogni, comunicazioni oscure che rivelano il volere degli dei. L’enigma delle origini si configura come un intreccio fatale di parole, in cui, come nel caso di Edipo, la posta in gioco è la vita o la morte di chi pone l’enigma o di chi deve risolverlo; sfide verbali, che si riflettono nelle gare di sapienza tra poeti e indovini testimoniate dalla tradizione epico-lirica arcaica.

Il grîphos rappresenta, per così dire, la “varietà più giocosa e popolare di enigma, che più frequentemente dell’enigma propone trabocchetti verbali o soluzioni particolarmente argute”[8]: rompicapo ingegnoso ed erudito intorno alla parola, groviglio inestricabile, “rete” in cui rischiano di rimanere impigliati e catturati i lettori, che devono risolvere, sciogliere (lýein) l’enigma, nella trama e tessitura (plokḗ) di parole e immagini, trucchi verbali, metafore e similitudini, per arrivare alla verità, alla soluzione[9]. Il principio dell’enigma consiste infatti, secondo la definizione di Aristotele[10], nel “dire cose reali collegando elementi impossibili”, attraverso l’uso della metafora: antitesi e affermazioni contraddittorie creano un effetto sconcertante, il cui scopo è disorientare il destinatario, a cui si chiede un rovesciamento di prospettiva e uno sforzo interpretativo per decifrare i segni ambigui e uscire dal labirinto dell’apparenza.

La struttura narrativa può essere più o meno lunga, o anche limitarsi a una singola espressione enigmatica: in ciò troviamo qualche analogia con la kenning (pl. kenningar), tipica figura retorica dell’antica poesia nordica[11]. Tra le movenze del grîphos greco, la parola enigmatica non è applicata a qualsiasi concetto, ma è presente in determinate sfere di associazioni, per esempio, nei casi in cui la metafora rimanda a echi del linguaggio sacrale e rituale; altre volte attinge al linguaggio popolare, rifacendosi a motivi diffusi di un patrimonio ereditato (Esiodo, Opere e giorni 571: pheréoikos la “porta-casa” è la chiocciola), oppure si tratta di perifrasi che nobilitano l’espressione per designare un oggetto umile (Eschilo, Agamennone 495: la polvere è l’“assetata sorella del fango”), dopo di che il grîphos diventa un puro mezzo, un artificio stilistico[12].

Nella tradizione latina il termine griphus si presenta, come calco dal greco, in Apuleio, seppure in un passo filologicamente incerto (Florida IX, 28: satiras ac <g>riphos)[13] e in Aulo Gellio (Noctes Atticae I, 2, 4: griphos); trattando l’argomento degli indovinelli, Gellio scrive che l’aenigma era chiamato anche scirpus, una pianta palustre simile al giunco (sebbene il termine latino possa ritenersi qui un probabile, forzato calco semantico, nello slittamento metaforico, di Varrone sul greco grîphos)[14].

Mentre gli enigmi (aenigmata) si trasformano in genere letterario autonomo dalla tarda antichità in poi[15], le tracce della parola griphus, dopo sporadiche attestazioni[16], sembrano disperdersi nell’Occidente medievale, per riapparire all’inizio del Cinquecento[17]. Nella prima edizione del Dictionarium latinum del Calepino (1502), il lessicografo registra, all’interno della voce grypes ‘grifoni’, il termine gryphi, che in Gellio aenigmata sunt; più sotto, gryppos è definito sermo implicitus; nelle edizioni più tarde, di diversi editori, troviamo la forma gryphus e, finalmente, griphus[18]. Nelle Antiquae lectiones (1516) l’umanista Celio Rodigino formula le sue osservazioni sui due generi enigmatici antichi, aenigma et griphus[19].

Grifo

Il termine grifo ‘indovinello, enigma’ appare attestato in italiano con i volgarizzamenti del trattato Sullo stile (Perì hermeneías, lat. De elocutione) di Demetrio pseudo-Falereo[20]. L’opera, dopo aver incontrato una certa fortuna presso i bizantini e nel Medioevo latino, fu oggetto, a partire dall’aldina del 1508, di varie edizioni e traduzioni nell’arco del secolo, tra le quali quelle di Piero Vettori del 1542 (anonima, ma a lui attribuita) e 1552, a cui si aggiunse una traduzione latina con commento nel 1562[21].

La prima attestazione, che il GDLI rintraccia nel volgarizzamento[22] del trattato da parte di Marcello Adriani il Giovane, può essere anticipata grazie alla versione di Lorenzo Giacomini Tebalducci Malespini (1552-1598), ancora inedita e databile al 1573[23]: nello stile raffinato le attrattive espressive possono nascere dall’effetto di sorpresa che deriva dall’incoerenza rispetto alle premesse, e “tale inconseguenza si chiama Grifo” (c. 24r). In quanto ‘discorso intricato, oscuro’ il termine indica un ‘discorso equivoco o incoerente’.

La circolazione del termine si amplia nell’ultima parte del Cinquecento e nel corso del Seicento. Nelle deche della Poetica (1586) Francesco Patrizi elenca alcuni poeti antichi, con riflessioni sulla loro opera: “Dell’ora detto Cleobolo fu figliuola Cleobolina. E fu poetessa di certi poemi intitolati Grifi, che erano enimmi vari. E se ne legge ancor uno in Suida sopra i dodici mesi, come figliuoli dell’anno” [24]. Il vocabolo si ritrova tra gli artifici retorici della metafora nel Cannocchiale aristotelico (1654) di Emanuele Tesauro: “ancor per via di questi accrescimenti, o diminutioni, si fanno grifi, et enimmi piacevoli”[25]. Nelle Annotazioni a Oppiano (1728) Anton Maria Salvini spiega: “grifi, così si diceano da’ Greci gl’indovinelli, e cose simili, quasi reti, e lacci per chiappare il compagno”[26]. Evidentemente, trappole linguistiche.

Significativo è l’uso non in senso archeologico che ne fa Giovan Mario Crescimbeni, in un ditirambo recitato “in occasione di stravizzo” l’anno 1704[27]: “a gara proponete, / e sciogliete / grifi, enigmi, e indovinelli, / senza punto paventar, / d’avere ad ingollar mai salamoia”.

Il termine, nel significato concreto di ‘rete’ e in quello metaforico ed “enigmatico”, compare nelle Voci (non registrate dal Vocabolario della Crusca) di Gian Pietro Bergantini (1745), nel Dizionario universale di Francesco Alberti di Villanova (vol. III, 1798)[28] e nei maggiori dizionari ottocenteschi, dal Vocabolario universale italiano Tramater (vol. III, 1834)[29] al Vocabolario della lingua italiana di Pietro Fanfani (1855), fino al Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo (vol. II, 1869)[30]: il grifo è “una questione enigmatica, o indovinello, che oggi diciamo più comunemente logogrifo”.

La trasmissione della voce dotta ed erudita avviene dunque sostanzialmente attraverso le registrazioni lessicografiche, che la tramandano come residuo lessicale, e di libro in libro, in studi sulla poesia e la letteratura antica, nella trattatistica filosofico-retorica, in saggi di carattere semiotico e folklorico, o anche tra le parole giocose della moderna enigmistica. Le attestazioni si diradano in tempi più vicini a noi: nel XX e XXI secolo il termine trova la sua collocazione soprattutto nell’ermeneutica letteraria e nello specialismo filologico.

Il sostantivo grifo (da non confondere, per la diversa etimologia[31], con gli omonimi grifo ‘muso di maiale o cinghiale, grugno’, in senso figurato, spregiativo o scherzoso, ‘faccia, volto, ceffo [di una persona]’; grifo ‘grifone’, che in araldica indica la ‘figura chimerica con ali e parte anteriore del corpo di aquila e coda e parte posteriore con corpo di leone’) è riportato ancora oggi, nel significato di ‘rete’, come termine desueto, in diversi vocabolari italiani[32].

Non completamente coincidenti i repertori lessicografici[33] che ne riportino anche il valore traslato di ‘indovinello’, talora ancora di ‘logogrifo’, sebbene il logogrifo, nome generico, derivato pure dall’antico termine grîphos (con l’aggiunta del prefissoide logo- ‘parola, discorso’), per giochi combinatori di vario tipo, indichi poi il gioco enigmistico in cui si adopera solo una parte delle lettere di una parola per formarne altre (anagramma parziale o incompleto).

Grifodico

‘Simile a indovinello’, come si è detto più su, e dunque ‘enigmatico, oscuro’ è il significato dell’aggettivo greco griphṓdes, attestato nei Deipnosofisti di Ateneo di Naucrati e in Luciano di Samosata[34]; glossato poi in alcuni lessici enciclopedici bizantini, di detto complicato e involuto[35].

L’aggettivo pare riemergere, nel suo valore letterario[36], in una delle prime occorrenze in lingue vive, nel saggio di Eduard Fraenkel sul commediografo latino Plauto, Plautinisches im Plautus (1922). Qui il filologo adatta al tedesco l’antico aggettivo greco, comparando i passi di alcune commedie plautine a proposito della personificazione e animazione di certe parti del corpo:

Über die griphodische Art des Ausdrucks, wo erst der zweite asyndetisch zugesetzte Satz die volle Aufklärung bringt, ist früher [Kap. II] das Notwendige gesagt worden. (E. Fraenkel, Plautinisches im Plautus, Berlin, Weidmannsche Buchhandlung, 1922, p. 107, nota 1)

Il passo in questione è così tradotto da Franco Munari, nell’edizione italiana accresciuta con il titolo Elementi plautini in Plauto:

Questa maniera grifodica d’espressione, per cui soltanto la seconda frase, aggiunta in forma asindetica, permette di capire perfettamente quel che il poeta vuol dire, è stata esaminata nel cap. II. (E. Fraenkel, Elementi plautini in Plauto, traduzione di F. Munari, Firenze, La nuova Italia, 1960, rist. 1972, p. 101, nota 1)

Alla base antica con suffisso -ṓdes (lat. scient. -odes, assimilato a -eidḗs [-oide]) viene apposto, in tedesco, il suffisso -isch, terminazione che caratterizza aggettivi di ambito tecnico-specialistico ed è presente con parole straniere di origine greca, in cui esprime somiglianza o affinità con la sostanza o l’oggetto designato dal primo elemento della parola; e che equivale al suffisso aggettivale -ico in italiano, desinenza frequente e produttiva nell’italiano moderno soprattutto nel linguaggio tecnico-scientifico.

La più recente trasposizione inglese (2007), a cura di Tomas Drevikovsky e Frances Muecke, del medesimo saggio sceglie il termine più comprensivo per designare il racconto allusivo che sottende significati nascosti: “the enigmatic manner of expression” [‘maniera enigmatica di espressione’][37].

Le limitate occorrenze dell’aggettivo grifodico si rinvengono, come prevedibile, esclusivamente in studi di filologia e letteratura greca antica, nella comunicazione scientifica accademica, e dipendono ovviamente dall’alto specialismo del termine. Qualche esempio: il papiro P. Louvre inv. 7733 presenta

sul verso un epigramma grifodico di 6 versi, dal titolo “Un’ostrica”, seguito da un ampio commento di più di cinquanta righe, disposto su almeno tre colonne. (Giovan Battista D’Alessio, Aggiunte all’“Ostrica” [Suppl. Hell. 983 v. 3], “Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik”, LXXXI, 1990, pp. 299-303: p. 300)

L’oggetto, nonché il titolo (che rivela la soluzione), dell’indovinello è il prelibato mollusco di Abido, città situata sulla costa asiatica dell’Ellesponto. Nella possibile lettura di una perifrasi enigmatica nei frammenti papiracei

ci si troverebbe davanti a un gioco di parole – caratteristico dei componimenti grifodici; [...] Poiché il commento sembra assumere una rilevanza pari – o addirittura maggiore – rispetto alla citazione del testo letterario, è possibile che la sua eccezionalità sia da collegare alle caratteristiche del testo poetico commentato, che dipende strettamente dalla necessità di un’esegesi, non essendo di facile comprensione a causa della sua natura grifodica. (Chiara Martis, Il commentario del P. Louvre inv. 7733 verso: un esempio di esegesi antica, in Ricerche a confronto. Dialoghi di antichità classiche e del Vicino Oriente, [Bologna - Cagliari, 2013], a cura di Valeria Melis, Zermaghedo, Edizioni Saecula, 2018, pp. 30-55: p. 32, nota 17 e p. 52)

L’aggettivo greco entra nel lessico filologico italiano anche non adattato, ma solo traslitterato, nella sua forma originaria, spesso in espressioni quasi standardizzate:

dato il carattere griphodes delle misere reliquie nicandree (Ignazio Cazzaniga, Esegesi critica dei framm. 10, 20, 20a dei “Thebaika” e dei framm. 16 e 18 degli “Oetaika” Nicandrei, “Grazer Beiträge”, I, 1973, pp. 79-88: p. 79)

in contesto griphodes (Massimo Vetta, recensione a Ricerche sul testo di Sofocle, di Franco Ferrari, “Rivista di filologia e di istruzione classica”, CXII, 1984, p. 252)

Oppure sostantivato, già attestato in tedesco, e poi in italiano:

der gelehrte Stil des ‘griphodes[‘lo stile erudito del griphodes’] (Erich Diehl, Der Digressionsstil des Kallimachos, Riga, Verlag der Akt.-Ges. Ernst Plates, 1937, p. 26)

nel distico citato dal Parrasio ricorrono tutte le caratteristiche più vistose della personalità di Laso, e cioè la sua tendenza al griphodes (chi parla e di quale luogo?) e la sua predilezione per i lasismata […] (G. Aurelio Privitera, L’attribuzione a Laso del “Carm. Pop.” 6 D. in un inedito del Parrasio, “Quaderni urbinati di cultura classica”, XXI, 1976, pp. 57-62: p. 58)

Un’ultima osservazione: il testo della Syrinx è pressoché intraducibile, oscurato com’è dal griphodes che si basa su espedienti linguistici quasi mai trasferibili da una lingua all’altra. (Bruna Marilena Palumbo Stracca, La dedica di ‘Paride Simichida’ [“Syrinx” A.P. XV 21 = XLVII Gallavotti]: aspetti metaletterari di un “carmen figuratum”, in L’epigramma greco: problemi e prospettive. Atti del Congresso della Consulta universitaria del greco [Milano, 21 ottobre 2005], a cura di Giuseppe Lozza e Stefano Martinelli Tempesta, Milano, Cisalpino, 2007, pp. 113-136: p. 114)

In inglese troviamo l’aggettivo tradotto dal grecista Franco Ferrari, a proposito di Posidippo di Pella, epigrammista del III sec. a.C., riscoperto in forme nuove attraverso il rinvenimento e la lettura del cosiddetto “papiro di Milano”: nel frammento 18 a parlare è il cratere simposiale e “three stony friends” [‘i tre compagni lapidei’], – così il poeta li definisce con una perifrasi, “in a humorous and griphodic way” [‘in modo spiritoso e grifodico’], – sono tre brocche destinate a essere usate per trasferire la miscela d’acqua e vino nelle coppe ai convitati[38].

Per finire, torniamo all’inizio: ecco tre grîphoi, tre indovinelli. Il primo è legato al tema topico della scrittura, della tecnica dello scrivere, dei supporti e strumenti scrittori (cera, pergamena, stilo, la tignola vorace di carta); elementi alla base, peraltro, anche dell’Indovinello veronese, tra i primi documenti in volgare italiano, che assimila il lavoro dell’amanuense con la scrittura d’inchiostro nero sulla bianca carta al seminatore con l’aratro nei campi.

C’è un essere femminile che protegge nel grembo
i suoi piccoli. Benché privi di voce, essi lanciano un grido sonoro
che vola sul mare e sulla terra, raggiungendo
tutti gli uomini che vogliono. Questi possono sentire
anche se non sono presenti: il loro senso dell’udito è sordo.
(Antifane, Saffo, fr. 194.1-5 Kassel-Austin, citato da Ateneo, Deipnosofisti X, 450e-451b)

La risposta corretta è l’epistola (epistolḗ); i piccoli sono le singole lettere, che compongono le parole, mute eppure parlanti al tempo stesso, esse percorrono silenziosamente lo spazio e il tempo. Il testo veicola così un messaggio, un pensiero incontrando il pensiero altrui[39].

Se mi guardi tu, ti guardo anch’io. Ma perché tu mi guardi con gli occhi
mentre io con gli occhi non posso farlo? Io gli occhi non ce li ho.
Se vuoi, io parlo senza voce: tu la voce ce l’hai,
mentre le mie labbra si aprono inutilmente.
(Antologia Palatina XIV, 56)

Lo specchio (ésoptron) riflette ciò che vede, in uno straniante gioco di rimbalzi dell’immagine.

Infine, un epigramma attribuito al saggio Cleobulo di Lindo (o, secondo la Suda, a sua figlia Eumetide, conosciuta come Cleobulina[40]). 

Il padre è uno, i figli dodici. Per ciascuno di questi,
ci sono due volte trenta figlie, con due volti diversi:
alcune bianche a vedersi, altre invece nere.
Pur essendo immortali, muoiono tutte.
(Antologia Palatina XIV, 101)

La soluzione: l’anno (il padre), i mesi (i figli), i giorni (heméra in greco è femminile), scanditi tra il giorno e la notte, che si avvicendano senza sosta, tra la luce diurna (bianca) e l’oscurità notturna (nera). La logica del tempo, l’oggi perituro e immortale.


Note:

[1] Riprendo la traduzione da Simone Beta, Il labirinto della parola. Enigmi, oracoli e sogni nella cultura antica, Torino, Einaudi, 2016, p. 6, al quale si attinge in questo articolo per le traduzioni dal greco. Sugli indovinelli greci cfr. anche Luisa Schneider, Untersuchungen zu antiken griechischen Rätseln, Berlin-Boston, de Gruyter, 2020.

[2] Stefano Bartezzaghi, Incontri con la Sfinge. Nuove lezioni di enigmistica, Torino, Einaudi, 2004, p. 4.

[3] Assente nei dizionari dell’uso, ma anche in quelli settoriali. Tra i più recenti repertori dedicati al lessico filologico e critico-testuale, Enrico Malato, Lessico filologico. Un approccio alla filologia, Roma, Salerno editrice, 2008; Yorick Gomez Gane, Dizionario della terminologia filologica, Torino, Accademia University Press, 2013; riguarda più estesamente la terminologia tecnica delle scienze del linguaggio il Dizionario di linguistica e di filologia, metrica e retorica di Gian Luigi Beccaria, nuova ed., Torino, Piccola biblioteca Einaudi, 2004.

[4] Rammentata da Erotiano, Plutarco e Oppiano di Anazarbo nel suo poema didascalico sulla pesca; più spesso, in tale significato tecnico, nella forma grîpos, sebbene documentata più tardi nelle fonti a nostra disposizione. Per uno studio sulle due grafie del termine, la loro differenziazione morfologica e semantica cfr. Aurélien Berra, Théorie et pratique de l’énigme en Grèce ancienne, thèse de doctorat, Paris, École des hautes études en sciences sociales, 2008, pp. 236-269, <https://core.ac.uk/download/pdf/47714664.pdf>.

[5] Aristofane, Vespe 20. Nel prologo della commedia gli schiavi Sosia e Xantia si raccontano sogni, dall’esegesi enigmatica.

[6] Ed è proprio un banchetto, offerto dal ricco patrizio romano Larense, quello che ci descrive, nella cornice dell’allegra leggerezza dei suoi tempi dilazionati, Ateneo di Naucrati nei Deipnosofisti (I dotti a banchetto): al tema degli indovinelli, che costituivano nella tradizione letteraria greca un tipico intrattenimento simposiale, è dedicata un’ampia parte del libro X. Cfr. Maria Elena Della Bona, Gare simposiali di enigmi e indovinelli, “Quaderni urbinati di cultura classica”, n.s., CIV, 2013, n. 2, pp. 169-182; Anna Potamiti, γρίφους παίζειν. Playing at Riddles in Greek, “Greek, Roman and Byzantine Studies”, LV, 2015, n. 1, pp. 133-153; Salvatore Monda, Gli indovinelli letterari antichi come testimonianza di contesti ludici e agonali, “Enthymema”, XXIII, 2019, pp. 391-400.

[7] Pindaro, fr. 177d Snell: “l’enigma che risuona dalle mascelle feroci della vergine”.

[8] Stefano Bartezzaghi, Indovinelli e enigmi, in Enciclopedia dell’italiano, vol. I, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2010, <https://www.treccani.it/enciclopedia/indovinelli-e-enigmi_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/>. I due tropi non sono sempre distinguibili formalmente, e i due termini, aínigma e grîphos, vengono spesso usati in modo equivalente.

[9] Nei Deipnosofisti troviamo anche una definizione di grîphos del filosofo peripatetico Clearco di Soli (IV-III sec. a.C.), in un frammento del suo trattato sugli indovinelli, tramandato da Ateneo: “problema scherzoso, che impone di cercare e trovare la soluzione di ciò che viene proposto facendo uso dell’acume, con l’obiettivo di assegnare un premio o una punizione”. Accanto alla componente agonale e ludica, almeno per gli enigmi più antichi, “non è estranea la filosofia” (próblema, dall’ampio spettro di significati, designa anche la questione filosofica).

[10] Aristotele, Poetica 1458a 18 sgg.

[11] Sulle caratteristiche, la struttura e la funzione della kenning cfr. Maria Cristina Lombardi, Kenningar nelle Friðþjófsrímur islandesi, Roma, Aracne, 2012; Marco Battaglia, Tradizioni letterarie della Scandinavia medioevale, in Le civiltà letterarie del Medioevo germanico, a cura di M. Battaglia, Roma, Carocci, 2017, pp. 345-513. Gli esempi sono tratti da Fritz Bornmann, Kenning in greco?, “Athenaeum”, XXX, 1952, pp. 85-103; Id., Kenning norrena e γριφῶδες greco, “Studi germanici”, n.s., VIII, 1970, n. 1, pp. 99-109.

[12] Nella cultura greca l’enigma – modalità espressiva comune a tutte le culture, fin da tempi antichissimi, dalla doppia natura popolare e dotta, folklorica e letteraria – si sviluppa nel tempo: dalla radice sapienziale della pratica enigmatica alla sua presenza costante nella poesia simposiale, fino alla trattazione formale retorico-grammaticale antica; gli enigmi sono impiegati non solo come espediente letterario, ma anche per fini pedagogici. Per l’uso didattico dei giochi linguistici nelle scuole di Costantinopoli cfr. Simone Beta, Gli indovinelli a Bisanzio tra il simposio e la scuola, in Il gioco nella società e nella cultura dell’alto Medioevo. Atti della LXV Settimana di studio (Spoleto, 20-26 aprile 2017), Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 2018, pp. 855-881; Id., Studiare la lingua e la letteratura greca divertendosi: gli indovinelli greci nelle scuole di Bisanzio, “Pallas”, CXIV, 2020, pp. 23-42; per un esperimento didattico sugli indovinelli a scuola oggi cfr. Alberto Pavan, Ἀγῶν τῶν αἰνιγμάτων. Un gioco didattico tra parola mascherata e “problem solving”, “ClassicoContemporaneo”, IV, 2018, pp. 25-36. Sulle forme funzionali e le tipologie dell’enigma cfr. inoltre Alfonso Di Nola, Enigma, in Enciclopedia Einaudi, vol. V, Torino, Einaudi, 1978, pp. 439-462; l’evoluzione dell’enigma antico è percorsa in “Ainigma” e “griphos”. Gli antichi e l’oscurità della parola, a cura di Salvatore Monda, Pisa, ETS, 2012.

Il grîphos attraversa pressoché tutti i generi letterari (epos, lirica, tragedia, commedia), densi di allusioni enigmatiche, metafore oscure e invenzioni verbali, assumendo gradualmente un valore letterario compositivo autonomo; trova poi collocazione nelle raccolte tardo-antiche e medievali di indovinelli in versi, il cui esito ultimo è rappresentato dal libro XIV dell’Antologia Palatina, silloge compilata a Bisanzio nel X secolo, che comprende e amplia raccolte precedenti e che contiene centocinquanta epigrammi (per lo più anonimi), suddivisi tra problemi aritmetici, indovinelli e oracoli, senza titolo né soluzione, che spetta trovare al lettore o al filologo moderno.

[13] Cfr. Francesca Piccioni, I “Florida” di Apuleio. Prolegomena, testo critico e traduzione, tesi di dottorato, Sassari, Università di Sassari, 2014, p. 72 (pubbl. come: Apuleio, Florida, introduzione, testo, traduzione e commento a cura di F. Piccioni, Cagliari, CUEC, 2018).

[14] Cfr. Salvatore Monda, Gellio, “Noctes Atticae” 12, 6 e l’antico nome latino degli “Aenigmata”, in “Venuste noster”. Studi offerti a Leopoldo Gamberale, a cura di Marina Passalacqua, Mario De Nonno, Alfredo Mario Morelli, Hildesheim, Olms, 2012, pp. 445-450. Sui nomi dell’enigma in latino cfr. Bérra, Théorie et pratique cit., pp. 270-293, qui in particolare pp. 283-289.

[15] La più importante raccolta in lingua latina è quella di Simposio (o Sinfosio), sorta di nome d’arte e sfuggente figura autoriale: cento indovinelli composti da tre esametri ciascuno e preceduti da un titolo (la soluzione), da recitarsi come intrattenimento durante i Saturnali e basati su giochi di parole. Su Simposio cfr. "Aenigmata Symposii". La fondazione dell’enigmistica come genere poetico, edizione critica, traduzione e commento a cura di Manuela Bergamin, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2005 (della stessa autrice e per le medesime edizioni, in formato eBook, L’enigmistica nel Medioevo. Gli indovinelli di Simposio, 2017). Sulle raccolte latine di indovinelli nel Medioevo cfr. Giovanni Paolo Maggioni, Il genere letterario degli “Aenigmata” nella letteratura latina medievale, in “Ainigma” e “griphos” cit., pp. 183-226.

[16] Il termine è documentato nel III sec. in Mario Plozio Sacerdote, Artes grammaticae GL VI 461-462 Keil: aenigma sive griphus (l. I, § XIV 65 De allegoria Bramanti); aenigma vel griphus est dictio obscura, quaestio vulgaris, allegoria difficilis (l. I, § XIV 71 De aenigmate Bramanti); nel IV sec. in Ausonio (Griphus ternarii numeri). Come accade anche in tarde attestazioni greche, il termine raro ed erudito (griphus) viene associato a quello più comune (aenigma), proprio per caratterizzarne il significato, divenuto probabilmente vago.

[17] Si può addurre tuttavia una testimonianza anteriore della conoscenza del termine: Poliziano, nelle postille all’incunabolo dell’Institutio oratoria di Quintiliano, per il suo corso allo Studio fiorentino nell’anno accademico 1480-81, alla c. 35r propone di emendare la lezione corrotta gripo (come titolo di un’opera aristotelica) con il termine gripho, trascrizione latina del greco grîphos, con riferimento a Gellio. Sebbene la congettura non risanasse il testo (la lezione corretta, a cui Poliziano arrivò in un momento successivo, era Grylo), l’episodio mostra la riflessione finissima ed erudita dell’umanista. Cfr. Alessandro Daneloni, Poliziano e il testo dell’“Institutio oratoria”, Messina, Centro interdipartimentale di studi umanistici, 2001, pp. 185-187.

[18] Ambrogio Calepio, Dictionarium, Reggio Emilia, Dionigi Bernocchi, 1502, s.vv. grypes, gryppos; Dictionarium, Venezia, Bernardino Benali, 1520, s.v. grypes: gryphus; Dictionarium, Lione, Sébastien Gryphe, 1546, s.v. griphus.

Una lezione incerta, con deformazione del greco, si osserva anche nel commento dell’umanista Marino Becichemo ai Florida di Apuleio, in Panegyricus serenissimo principi Leonardo Lauretano et illustrissimo Senatui Veneto dictus, [Brescia, Angelo Britannico, 1504?], cap. XCVII: gryppos vel gryphos.

[19] Lodovico Maria Ricchieri (Celio Rodigino), Antiquae lectiones, Venezia, eredi di Aldo Manuzio e Andrea Torresano, 1516, l. XV, cap. 4: Sympotica vero hoc est convivalia fuerunt et illa, aenigma, et griphus. Illud lusum habebat, griphus vero etiam studium, ac curam.

[20] Sulla datazione controversa (le varie ipotesi spaziano dal III sec. a.C. al I/II sec.) e sulla fortuna dell’opera cfr. l’Introduzione all’edizione critica di Demetrio, Lo stile, a cura di Nicoletta Marini, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 2007, pp. 3-16; 38-40. Sull’importanza del trattato di Demetrio (insieme a quello di Ermogene) nella riflessione teorica cinquecentesca cfr. anche Eraldo Bellini, Agostino Mascardi tra ‘ars poetica’ e ‘ars historica’, Milano, Vita e pensiero, 2002, p. 164, nota 95.

[21] Anonimo (Piero Vettori), Demetrii Phalerei De elocutione, Firenze, [Bernardo Giunta], 1542; Piero Vettori, Demetrii Phalerei De elocutione, Firenze, presso i Giunti, 1552; Commentarii in librum Demetrii Phalerei De elocutione, con traduzione latina, Firenze, eredi di Bernardo Giunta, 1562.

All’inizio del XVII secolo il trattato è nuovamente tradotto: Demetrio Falereo, Della locuzione, volgarizzato da Piero Segni, Firenze, Cosimo Giunti, 1603; postuma è la pubblicazione del manuale di Francesco Panigarola, Il predicatore, overo Parafrase, commento e discorsi intorno al libro dell’Elocutione di Demetrio Falereo, Venezia, Bernardo Giunta e Giovanni Battista Ciotti e compagni, 1609.

[22] Edito solo in epoca successiva: Demetrio Falereo, Della locuzione, tradotto dal greco in toscano da Marcello Adriani il Giovane, Firenze, Gaetano Albizzini, 1738 (rist. Bologna, Annesio Nobili, 1821; poi Milano, Giovanni Silvestri, 1830 e Napoli, Raffaele De Stefano e socii, 1836, insieme ad altri volgarizzamenti di classici).

Su Marcello Adriani il Giovane, vissuto nella seconda metà del XVI secolo, cfr. Giuseppe Miccoli, Adriani, Marcello, il Giovane, in Dizionario biografico degli italiani, vol. I, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960, p. 310; Giorgio Bartoli, Lettere a Lorenzo Giacomini, a cura di Anna Siekiera, Firenze, Accademia della Crusca, 1997, pp. 291-292. La versione manoscritta del volgarizzamento, contenuta nel ms. A.XXXV (cc. 1r-32v) della Biblioteca Marucelliana di Firenze, non è datata; una menzione nel Diario degli Alterati (II, c. 83r) costituisce il termine ante quem per la datazione: “14 luglio 1589: si lesse d’una traduzione del Torbido [pseudonimo accademico di Marcello Adriani] di Demetrio Falereo”. Cfr. Bernard Weinberg, Argomenti di discussione letteraria nell’Accademia degli Alterati (1570-1600), “Giornale storico della letteratura italiana”, CXXXI, 1954, fasc. 394, pp. 175-194: p. 193. Anna Siekiera, Il volgare nell’Accademia degli Alterati, in Italia linguistica: discorsi di scritto e di parlato. Nuovi studi di linguistica italiana per Giovanni Nencioni, a cura di Marco Biffi, Omar Calabrese, Luciana Salibra, Siena, Protagon, 2005, pp. 87-112 e 331-333: p. 109, nota 51, colloca il volgarizzamento nel 1582 circa.

[23] Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Ashburnham 531: De la locutione, cc. 1r-42v, autografo di Giorgio Bartoli, che trascrive il volgarizzamento di Lorenzo Giacomini, amico e compagno di studio. Cfr. Bartoli, Lettere a Lorenzo Giacomini cit., p. 47 e nota 126: la data (28 agosto 1573), al termine di una traduzione di Bartoli all’interno del manoscritto, consente di individuare i tempi di composizione del volgarizzamento, portato a termine intorno al 1572. Su Giacomini e Demetrio cfr. anche Angelo Cardillo, Demetrio, Περὶ ἑρμενείας. (Note sulla fortuna del testo tra Medioevo e Rinascimento), “Misure critiche”, n.s., II, 2003, n. 1-2, pp. 30-44.

Di poco posteriore (ca. 1575) è la traduzione dell’umanista Giovanni da Falgano, o Falgani, attivo negli anni settanta e ottanta del XVI secolo, volgarizzatore di drammi antichi, contenuta nel ms. Magliabechiano VI.31 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, alle cc. 1-70. Alla c. 38r il termine greco è reso con: gruppo. Cfr. Maria Catapano, Demetrio, Περὶ ἑρμενείας. Volgarizzamento di Giovanni Falgano, tesi di dottorato, Salerno, Università di Salerno, 2009 (non disponibile per la consultazione in BNCF); Ead., Demetrio volgarizzato: Giovanni Falgano, in La letteratura italiana a congresso. Bilanci e prospettive del decennale (1996-2006). Atti del X Congresso AdI - Associazione degli italianisti (Capitolo, Monopoli, 13-16 settembre 2006), a cura di Raffaele Cavalluzzi et alii, vol. II, Lecce, Pensa multimedia, 2008, pp. 435-440; Ead., Dalla traduzione al volgarizzamento: il caso di Giovanni da Falgano, in Macramè. Studi sulla letteratura e le arti, a cura di Rosa Giulio, Donato Salvatore, Annamaria Sapienza, vol. I, Napoli, Liguori, 2010, pp. 137-144.

[24] Francesco Patrizi, Della poetica. La deca istoriale, Ferrara, Vittorio Baldini, 1586, l. I, p. 57. Giulio Cesare Capaccio, Delle imprese, Napoli, Giovanni Giacomo Carlino e Antonio Pace, 1592, l. I, c. 6v: “Grifi si chiaman poi l’enigme, da una qualità di rete, che involgono oscure questioni”.

[25] Emanuele Tesauro, Il cannocchiale aristotelico, o sia Idea delle argutezze heroiche vulgarmente chiamate imprese, Torino, Giovanni Sinibaldo, 1654, p. 462. Grifi, enigmi, sentenze oscure e allegorie, emblemi e geroglifici: i simboli (e le forme a essi assimilate) e la loro interpretazione suscitano un interesse antiquario e storico-filosofico.

[26] Oppiano, Della pesca, e della caccia, tradotto dal greco e illustrato con varie annotazioni da Anton Maria Salvini, Firenze, Giovanni Gaetano Tartini e Santi Franchi, 1728, p. 295.

[27] Giovan Mario Crescimbeni, I brindisi, in Raccolta di varj poemetti lirici, drammatici, e ditirambici degli Arcadi, Roma, Antonio De Rossi, 1722, p. 335 sgg.

[28] Già in Alberti di Villanova, Nuovo dizionario italiano-francese, Marsiglia, Jean Mossy, 1772, s.v. grifo.

[29] Il Tramater registra il vocabolo sia come ‘indovinello’ sia come termine retorico: “Figura rettorica che significa ‘non corrispondenza’, cioè conchiusione del discorso, la quale non risponde alle premesse”. Così anche in Giovanni Gherardini, Supplimento a’ vocabolarj italiani, vol. III, 1854, s.v. grifo, § 3 e § 5.

[30] La quinta impressione del Vocabolario della Crusca non registra il termine grifo, che tuttavia possiamo rintracciare  sotto il lemma indovinello (vol. VIII, 1899), dove viene riportato come esempio il passo di Anton Maria Salvini nella traduzione di Isaac Casaubon, Della satirica poesia de’ greci e della satira de’ romani, Firenze, Giuseppe Manni, 1728, p. 160: “satire, e grifi, ovvero indovinelli”.

[31] Cfr. DELI e l’Etimologico: grifo1 ‘muso del maiale’ dal lat. tardo gryphus ‘naso sporgente, nasone’, dall’agg. gr. grypós ‘adunco, aquilino’, connesso con grýps, grypós ‘grifone’; grifo2 ‘animale immaginario per la metà anteriore aquila e per la metà posteriore leone’, dal lat. tardo gryphus (lat. class. gryps, grypis), dal gr. grýps, passato nell’antico alto ted. grif(o) (ted. Greif). Per tali significati, registrati comunemente nei dizionari e attestati già nell’italiano antico, cfr. TLIO, s.vv. grifo1 e grifo2.

L’ulteriore accezione (da grifo ‘muso del maiale’) del dialetto romanesco, di ‘caduta violenta in avanti, ruzzolone’, già marcata nel DEI, poi nel Devoto-Oli 1967 e in altri dizionari, è spiegabile proprio con la “probabile allusione al colpo che si dà, di solito col viso, quando si cade a terra” (Sabatini-Coletti 2008), ‘il cadere rovinosamente, capitombolo’ (Vocabolario Treccani 2017 e online).

[32] Come termine del lessico marinaro e piscatorio, grifo ‘tipo di rete da pesca’ è attestato, tra i vocabolari novecenteschi, nel Novissimo dizionario della lingua italiana di Fernando Palazzi (1939) e nella sua revisione curata da Gianfranco Folena (1992); nel GDLI (vol. VII, 1972), nel Lessico universale italiano Treccani (vol. IX, 1972), nel GRADIT e nello Zingarelli; nel Grande dizionario italiano di Aldo Gabrielli, nuova edizione, 2011 e IV edizione, 2020, a cura di Massimo Pivetti e Grazia Gabrielli; nel Vocabolario Treccani online.

[33] Il valore di ‘indovinello, enimma’ è presente dalla prima edizione (1917) fino alla nona edizione compresa del 1966 dello Zingarelli, ma scompare nella decima (1970), così come è registrato nel Vocabolario illustrato della lingua italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli (1967), per essere rimosso (insieme al significato di ‘rete’) nella prima edizione del Vocabolario della lingua italiana Devoto-Oli del 1971. Non attestato in questo senso nel GRADIT.

[34] Ateneo, Deipnosofisti X, 456c, citando Camaleonte di Eraclea (IV-III sec. a.C.); Luciano, Zeus tragedo 28. Per le occorrenze di grîphos e dei suoi derivati nei testi greci cfr. Bérra, Théorie et pratique cit., pp. 240-241; per le attestazioni di griphṓdes, ivi, pp. 256-258.

[35] Cfr. Etymologicum Magnum 241, 33-34 Gaisford; traduzione latina nel trattato di Claude Dausque, Antiqui novique Latii orthographica, Tournai, Adrien Quinqué, 1632, p. 145: griphodes, difficilis, et perplexabilis oratio.

[36] Nel latino scientifico griphodes è l’attributo, nelle sue differenziazioni semantiche, di alcune specie di lepidotteri: Griphodes caligatus Kriechbaumer, 1894, cfr. Josef Kriechbaumer, Ichneumonidae novae e fauna Hungarica Musaei nationalis Hungarici, “Természetrajzi Füzetek” [‘Naturhistorische Hefte’], XVII, 1894, pp. 48-60 (p. 57 aenigmaticus); Abrotesia griphodes Turner, 1915, cfr. Alfred Jefferis Turner, Studies in Australian Lepidoptera, “Proceedings of the Royal Society of Queensland”, XXVII, 1915, pp. 11-57 (p. 26 “reticulated”); di coleotteri: Cybister griphodes Guignot 1942, cfr. Félix Guignot, Dytiscides et Gyrinides du Cameroun, “Bulletin de la Société entomologique de France”, XLVII, 1942, n. 10, pp. 155-160: p. 156; di conchiglie fossili: Metodontia griphodes Sturany 1899, cfr. Rudolf Sturany, W. H. Obrutschew’s Mollusken-Ausbeute aus Hochasien, “Anzeiger der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften in Wien. Mathematisch-naturwissenschaftliche Classe”, XXXVI, 1899, n. XXVII, pp. 355-359: p. 357.

[37] Eduard Fraenkel, Plautine Elements in Plautus, translated by Tomas Drevikovsky and Frances Muecke, Oxford, Oxford University Press, 2007, p. 317, nota 22.

[38] Franco Ferrari, Posidippus, Old and New: a provisional Text with a Translation and a Commentary, 2008, <www.academia.edu/8473948>; cfr. anche Id., Per il testo di Posidippo, “Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici”, LIV, 2005, pp. 185-212.

[39] L’indovinello può considerarsi perciò una particolare testimonianza della tensione del passaggio dalla cultura letteraria orale, ascoltata, alla dimensione testuale scritta e letta. Cfr. Beta, Il labirinto cit., pp. 116-118.

[40] Sulla figura di Cleobulina, tra realtà storica (l’esistenza della poetessa, autrice di enigmi, vissuta nel VI secolo a.C., è testimoniata da diverse fonti) e invenzione letteraria (personaggio riflesso sull’immagine del padre, secondo alcuni studiosi), cfr. Elisabetta Matelli, Sulle tracce di Cleobulina, “Aevum”, LXXI, 1997, fasc. I, pp. 11-61; Mariana Gardella Hueso, Cleobulina of Rhodes and the Philosophical Power of Riddles e Anna Potamiti, The Riddles of Cleobulina, in risposta all’articolo precedente, entrambi in Women’s Perspectives on Ancient and Medieval Philosophy, ed. by Isabelle Chouinard et alii, Cham, Springer, 2021, pp. 31-45 e 47-57.