Quando salivo quelle due rampe di scale di via Coverelli che mi portavano da lui sapevo che Giovanni Nencioni mi avrebbe raccolto nel suo studio, affacciato sul ponte di Santa Trinita, in mezzo ai libri e ai fogli che stava scrivendo e mi avrebbe dedicato molto tempo e molta attenzione. Entrando nella sua casa sentivo odore di cera e di carte e potevo parlare a lungo dei suoi e dei miei lavori, in conversazioni affettuose con un maestro che non desiderava apparire tale. Ma Giovanni Nencioni naturalmente è stato un maestro non solo dei suoi allievi diretti come me, ma di più generazioni di linguisti italiani.
Un maestro straordinario, gentile e disponibile, che è stato capace di rinnovare il quadro della ricerca sulla lingua italiana pur senza formare una scuola di studiosi che seguissero da vicino i molti sentieri del cammino da lui tracciato. Ed è questo a mio avviso il segno più chiaro della profondità del suo insegnamento. Nencioni è stato un punto di riferimento fondamentale nel nostro campo di studi (ma non solo in questo!) perché ha riunito in sé ruoli diversi difficilmente conciliabili, quelli dello studioso, dell'insegnante, e del presidente di un'istituzione prestigiosa come l'Accademia della Crusca che ha diretto, tra mille difficoltà, per circa trent'anni.
Nel campo della ricerca Nencioni, soprattutto dagli anni Sessanta in poi, si è aperto allo studio teorico, alle correnti più nuove della linguistica (i suoi seminari in Facoltà e Crusca su Saussure, Bally, Hjelmslev, Chomsky erano molto seguiti), senza mai allontanare tuttavia il suo sguardo dai testi e dai documenti della millenaria storia della lingua italiana: da Dante a Michelangelo poeta, da Verga a Pirandello.
Negli anni Ottanta Nencioni - aveva superato i settant'anni, essendo nato nel 1911 - decise di raccogliere molti dei suoi saggi (Tra grammatica e retorica, 1983; Di scritto e parlato: discorsi linguistici, 1983; Saggi di lingua antica e moderna, 1989; La lingua dei Malavoglia e altri scritti di prosa, poesia e memoria, 1988; Idealismo e realismo nella scienza del linguaggio, 1989). Vissi quel momento con animo incerto, felice di avere finalmente a disposizione tanti lavori importanti dispersi in sedi non facilmente raggiungibili, ma nello stesso tempo timorosa che si trattasse di una sorta di consuntivo. Tornando qualche tempo dopo nel suo studio, Nencioni cominciò a parlarmi con entusiasmo di un libro sul Manzoni che stava cominciando. E di lì a pochi anni nel 1993 sarebbe uscito dal Mulino La lingua del Manzoni.
Ma Nencioni non è stato solo capace di seguire i cambiamenti del tempo e di muoversi con grande consapevolezza tra teoria linguistica e pratica testuale, ma ci ha anche insegnato a guardare alla lingua sia come "istituzione" sia come realtà "individuale".
L'Accademia della Crusca che è oggi un moderno istituto di ricerca attivo su molti fronti (dalla scuola alla politica linguistica europea, dallo studio dell'italiano contemporaneo a quello del passato, dalle ricerche filologiche, lessicografiche a quelle grammaticali) gli deve l'impulso fondamentale al rinnovamento e anche un'inedita apertura verso l'esterno realizzata, in primo luogo, attraverso il periodico "La Crusca per voi" da lui fondato.
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