Un capitolo della storia del linguaggio scientifico-filosofico italiano: l’aggettivo animico

di Manuela Manfredini

Ci sono parole che bussano più volte alla porta del lessico di una lingua: a volte entrano ma sostano a lungo in anticamera, altre volte non ricevono nessuna risposta. Per queste parole, la situazione di uso incipiente, di cui parlava Bruno Migliorini, non rappresenta la fase preliminare e transitoria che precede il definitivo ingresso, ma una sorta di limbo dal quale non riescono ad uscire, nemmeno per finire silenziosamente nel dimenticatoio.

Una di queste “sventurate” parole è l’aggettivo animico, derivato dal sostantivo anima con il suffisso -ico, suffisso che indica appartenenza, relazione. Assente dai dizionari italiani dell’uso contemporaneo, animico è attestato dalle fonti lessicografiche solo nel Supplemento 2009[1] del Grande Dizionario della Lingua Italiana (GDLI), curato da Edoardo Sanguineti, poeta e scrittore dalla straordinaria vocazione lessicografica. Nei suoi minuziosi spogli lessicali, Sanguineti aveva infatti rintracciato la parola nel saggio critico L’Ora topica di Carlo Dossi (1911) di Gian Pietro Lucini (1867-1914), un autore di vasta cultura europea, ben noto a Sanguineti che gli aveva assegnato il compito di inaugurare il Novecento poetico italiano nella sua antologia Poesia italiana del Novecento (1969).[2]

Animico, dunque, non è neologismo ma non è nemmeno una parola novecentesca: sebbene le sue occorrenze siano piuttosto scarse, l’aggettivo è attestato nella nostra lingua fin dal XIX secolo, ma, a differenza di quanto accaduto in tedesco per seelisch (dal ted. Seele ‘anima’) e in spagnolo per anímico (dallo sp. ánima), non ha trovato accoglienza presso i parlanti italiani contemporanei né come un sinonimo di ‘psichico, psicologico’ né come sinonimo di ‘interiore, spirituale’. In francese, invece, animique ha avuto una certa fortuna, specie a fine Ottocento, anche con il significato di ‘interiore, spirituale’: oggi però non figura più nei dizionari dell’uso ma soltanto nel Trésor de la Langue française, testimoniato da occorrenze esclusivamente ottocentesche (Honoré de Balzac e Charles Renouvier).

La storia di animico in italiano inizia con un omografo che ci riporta agli albori della chimica organica e alle traduzioni dell’importante trattato in tre volumi del chimico svedese Jöns Jacob Berzelius (1779-1848), Lärbok i Kemien (1808-1818). Tradotta in tedesco con il titolo Lehrbuch der Chemie (Dresden 1825-1831), l’opera conobbe diverse edizioni e, dal tedesco, venne poi tradotta in inglese, francese, olandese. Dalla traduzione francese, Traité de chimie, traduit par A. J. L. Jourdan (e M. Esslinger), sur des manuscrits inedits de l’auteur, et sur la dernière edition allemande (Paris, Firmin Didot, 1829-1833), stampata in quattro volumi e otto tomi, furono infine realizzate la traduzione spagnola e quella italiana: J.J. Berzelius, Trattato di chimica, tradotto a Parigi per A.J.L. Jourdan sui manoscritti inediti dell’autore e sull’ultima edizione tedesca; recato in italiano da F. Du Pré, Venezia, Antonelli, 1830-1834. Ed è, in particolare, nel tomo dedicato alla Chimica organica, stampato nel 1833, che si legge per la prima volta la parola animico: “Il solfato animico è oleoso, poco solubile. […] Il benzoato animico è poco solubile nell’acqua fredda […]. L’idroclorato animico forma dei sali doppii” (p. 668).

Occorre subito chiarire che, nell’ambito della chimica organica, l’aggettivo animico non deriva da anima ma da animina (ted. Animin), ossia una base, un “composto che in soluzione possiede reazione alcalina e che reagendo con un acido forma un sale” (il Sabatini-Coletti, s.v.). L’animina, come l’odorina, l’olanina e l’ammolina venne descritta per la prima volta, come risultato della distillazione dell’olio di Dippel, negli “Annalen der Physik” del 1827 dal chimico tedesco Otto Unverdorben (1806-1873). Berzelius riprese questa scoperta e, nel suo fortunato trattato, descrisse i vari sali dell’Animin. Così, dal ted. Animin è derivato il fr. animine, da cui poi l’it. animina; e i composti formati dall’Animin, come lo Schwefelsaures Animin o il Benzoësaures Animin, sono diventati, in francese, il sulfate animique e il benzoate animique e, in italiano, il solfato animico e il benzoato animico. Come si vede, è dal fr. animique che l’italiano ha formato, a calco, animico: infatti, se animico fosse derivato dal ted. Animin o dall’it. animina avrebbe formato animinico, aggiungendo ad animina il suffisso -ico che, nel linguaggio della chimica, individua appunto i composti organici.

I rapidi progressi della chimica organica portarono però molto presto a obsolescenza le quattro basi individuate da Unverdorben, ritenute già, a metà Ottocento, prodotti impuri, composti di ammoniaca e altre sostanze derivate dalla distillazione secca. Così l’animina e il suo aggettivo animico divennero parole del lessico storico della chimica organica ed uscirono dalla sua terminologia d’uso. Alla fine degli anni Novanta del Novecento, la parola animina è tornata alla ribalta, in seguito ad alcune inchieste sul doping sportivo, come traducente di un farmaco da banco, in commercio in Belgio, denominato appunto Animine:

Anche alcuni giocatori della nazionale di calcio hanno usato i prodotti venduti dalla farmacia di Massimo Guandalini, esperto di integratori, consulente della squadra azzurra agli Europei del ’96 e ai Mondiali di Francia […]. Alla farmacia si è giunti anche con una ricetta medica per l’acquisto di animine, un prodotto belga a base di caffeina non compreso nella farmacopea ufficiale. Una ricetta per un cicloamatore laziale. Risulta che fu proprio l’animina a provocare in passato un arresto cardiaco ad un ciclista dilettante.[3]

Ma l’animico che qui ci interessa non ha a che fare con l’animina di Unverdorben e Berzelius. Come aggettivo derivato del sostantivo anima, animico arriva in italiano più tardi, solo nella seconda metà dell’Ottocento, in seguito alla diffusione delle teorie e delle riflessioni sulla vita e sul principio vitale che anima l’organismo vivente e, in generale, l’universo, condotte da studiosi di diversa formazione – filosofi, mistici, medici, fisici, letterati – che intendevano far dialogare la tradizione medica, alchemica e filosofica del XVI e XVII secolo (Paracelso, Jean Baptiste van Helmont, Jacob Böhme) con i progressi che, a partire dal XVIII secolo, stavano registrando discipline come la fisiologia e la fisica. Vengono ad esempio riprese le teorie mediche di Georg Ernst Stahl (1660-1734) e del suo vitalismo che considera l’anima quale “causa prima e unica dell’attività del corpo”,[4] non appartenente al mondo organico, e quelle di Franz Anton Mesmer (1734-1815) e del magnetismo animale secondo cui “uno spirito o fluido ‘vitale’ [...] si sprigionerebbe da ogni essere”.[5] Grazie all’impulso che il vitalismo e il magnetismo animale danno alle ricerche sperimentali sui fenomeni inconsci nell’uomo, a metà XIX secolo si avverte la necessità di avere un aggettivo che indichi ciò che è proprio dell’anima, intesa primariamente come principio vitale che agisce al di là della volontà e della coscienza, a livello inconscio.

Con una trafila simile a quella che abbiamo visto per l’ambito chimico, la parola animico, nel nuovo significato, arriva in italiano attraverso opere francesi (o in traduzione francese) di argomento filosofico, fisico, medico e psicologico.

Nel 1800, in Francia, venne tradotta Aurora oder Morgenröte im Aufgang (Amsterdam 1682) di Jakob Böhme, filosofo e mistico tedesco influenzato da Paracelso e dai testi alchimistici, che aveva suscitato l’interesse prima di Spinoza e poi dei Romantici tedeschi. Per indicare l’attributo dello spirito che, secondo Böhme, si estende fuori dal corpo dell’uomo attraverso le opere da lui realizzate, il traduttore francese di Aurora, il Philosophe Inconnu (pseudonimo di Louis Claude de Saint-Martin, 1743-1803) introdusse l’aggettivo animique: così l’“animalische Geist” o l’“animalische oder Seelengeist” (cap. 15, §39) di Böhme diviene, nella traduzione francese, “l’esprit animique ou de l’âme”. Come si vede, al di là della complessità del significato, animique è qui inteso come aggettivo di relazione di anima (che ha un suo equivalente anche nel ted. seelisch), sia pure in un’accezione che chiama in causa tanto la vita biologicamente intesa, quanto il principio vitale divino che è la finalità dell’organismo.

Anche gli idealisti tedeschi come F. Schelling e G.W.F. Hegel si interessarono al pensiero di Böhme e al tema della Seele ‘anima’. Per questo non sembrerà strano che una delle prime apparizioni in italiano dell’aggettivo animico compaia, nel 1860, sotto la voce Hegel, Giorgio Guglielmo Federico della Nuova Enciclopedia popolare italiana ovvero Dizionario generale di scienze, lettere, arti, storia, geografia ecc. ecc. (Torino, Unione Tipografico-editrice, 1860, V edizione, Vol. X: H-I, p. 49):

Tuttavia lo scopo dell’idea non è mai raggiunto nella natura; perché in qualunque ordine di cose il reale rimane sempre inferiore all’ideale; che anzi, tra la manifestazione e la cosa manifestata esiste una specie di opposizione che si riproduce nell’organismo animico e corporale di qualunque creatura vivente.[6]

Nella sua elaborazione di una filosofia dello spirito, entro il quadro sistematico delineato nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817, 1827, 1830), Hegel fu particolarmente attento agli sviluppi delle teorie mediche che indagavano i processi inconsci e, nel passo appena citato, animico indica precisamente la dimensione dell’anima come è intesa nell’Antropologia hegeliana ossia come Seele inconscia. Poiché la Nuova Enciclopedia popolare italiana è stata compilata sulla base di opere inglesi, tedesche, francesi, appare evidente come la coniazione di animico in italiano trovi le sue ragioni, ancora una volta, in esigenze traduttive.

L’opera hegeliana, però, non è la strada maestra per l’arrivo di animico in Italia, sebbene ci offra la giusta collocazione della nascita della parola in un contesto di dialogo interdisciplinare tra filosofia, religione, biologia e fisiologia. Negli anni Sessanta dell’Ottocento, la parola animico conobbe grande fortuna negli studi del fisico francese Gustave Adolphe Hirn (1815-1890): in Italia le sue opere non vennero tradotte ma, essendo scritte in francese, erano ampiamente conosciute e discusse dagli studiosi italiani, come il filosofo rosminiano dell’Università di Torino Giuseppe Allievo (1830-1913), parimenti impegnato nella critica a hegelismo e positivismo, in favore di uno spiritualismo cattolico. Nel saggio Théorie mécanique de la chaleur. Conséquences philosophiques et métaphysiques de la thermodynamique (Paris, Gauthier-Villars, 1868), Hirn poneva in relazione la termodinamica con l’anima e scriveva:

L’être animique et vivante n’est point un prisonnier temporairement enfermé dans un obscur cachot […]. C’est un principe constitutif de l’univers temporairement soudé, par suite de ses propriétés mêmes, à d’autres principes, et donnant lieu par ce contatct à des phénomènes d’un ordre special [L’essere animico e vivente non è un prigioniero temporaneamente rinchiuso in un oscuro sotterraneo (…). È un principio costitutivo dell’universo temporaneamente saldato, per le sue stesse proprietà, ad altri principi, e che dà origine, per questo fatto, a fenomeni di ordine speciale].

Sempre intorno agli anni Sessanta dell’Ottocento, in Francia, prendeva consistenza la dottrina dello spiritismo, per iniziativa di Allan Kardec (1804-1869): muovendo dalla teoria del magnetismo animale e dai postulati dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima, lo spiritismo riteneva che gli spiriti dell’aldilà potessero entrare in contatto con i vivi e dessero origine ai fenomeni parapsichici e medianici, detti appunto animici, come il sonnambulismo e la telepatia. Lo spiritismo si diffuse presto anche in Italia: come testimonia la precoce traduzione delle opere di Kardec e di Das Rätsel des Menschen. Eine Einführung in das Studium der Geheimwissenschaften (1892) di Karl Du Prel (Dell’enigma umano. Introduzione allo studio delle scienze psichiche, Milano, Galli, 1894),[7] accompagnata da una prefazione dello psicologo e scienziato torinese Angelo Brofferio (1846-1894). Ed è proprio tra i sostenitori italiani dello spiritismo, come dimostrano le diverse occorrenze rinvenibili nella rivista torinese “Annali dello spiritismo in Italia. Rassegna psicologica”, fondata da Niceforo Filalete (pseudonimo di Vincenzo Scarpa), che, intorno agli anni Novanta dell’Ottocento la parola animico fa più volte capolino, soprattutto in articoli tradotti dal francese e dallo spagnolo, con il significato di ‘ciò che non è spiegabile razionalmente ma che produce effetti visibili’, come dimostrano i seguenti contesti:

Onde si conchiude, che l’uomo è un essere, il cui elemento animico è lo spirito, e che lo spirito è l’essere intelligente della creazione, il quale anima, secondo il suo sviluppo, organismi differenti (M. Sanz Benito, Esistenza, immortalità e Progresso indefinito dello Spirito, in “Annali dello spiritismo in Italia. Rassegna psicologica”, XXVII, 2, febbraio 1890, p. 38);

Lo Spiritismo è venuto, perché le Sacre Scritture non sono complete: pagine viventi debbonsi loro aggiungere scritte da quelli, che nei secoli trascorsi hanno mancato d’insegnare mentr’erano nel mondo materiale, la grande e vera natura animica dell’uomo (dalla testimonianza della medium R.S. Lillie, Perché è venuto lo Spiritismo?, in “Annali dello spiritismo in Italia. Rassegna psicologica”, XXVII, 7, luglio 1890, p. 209);

L’Aksakow assai più del Hartmann si è studiato di applicare ai fatti la spiegazione animistica e misurare la portata di essa. In realtà ci son fenomeni fisici e intellettuali, che derivano dall’azione a distanza dell’organismo per virtù di un principio animico; ma ce ne sono pur altri, i cui caratteri ci costringono ad arguirne causa l’eguale principio animico, però sciolto dal corpo, cioè ad accettare la spiegazione spiritica. […] Le manifestazioni animiche non si osservano esclusivamente nei medii, ma eziandio ne’ sonnambuli. Ad esse appartengono anche tutti i casi di sdoppiamento o bicorporeità del pari dimostrati positivi per via fotografica e con le descritte forme di stearina (Carlo Du Prel, Fenomenologia dello Spiritismo, in “Annali dello spiritismo in Italia. Rassegna psicologica”, XXVIII, 12, dicembre 1891, p. 353).[8]

A fianco di questa accezione spiritistica, prende piede anche una nuova accezione di animico, quella teosofica. Quando nel 1875 a New York venne fondata la Società teosofica sulla base degli scritti di Elena Petrovna Blavatskij (1831-1891), l’antica teosofia, secondo cui

tutte le religioni del mondo conservano soltanto residui parziali di un’antica verità divina conosciuta nelle varie epoche da un ristretto numero di grandi iniziati, che però non ne avrebbero divulgato che gli aspetti conformi alle condizioni culturali del momento e dell’ambiente”,[9]

venne declinata in senso moderno in quanto, oltre a elementi di derivazione indiana, vi si innestarono presupposti di tipo evoluzionista, umanitarista e monista.

In particolare, grande influenza ebbe, a inizio Novecento, in Francia e in Italia, l’opera di Édouard Schuré (1841-1929), Les Grands Initiés. Esquisse de l’histoire secrète des religions. Rama Krishna Hermès Moïse Orphée Pythagore Platon Jésus (Paris, Perrin, 1899), il cui sottotitolo recita: “L’anima è la chiave dell’Universo”. Nel grande affresco teosofico e misticheggiante dei Grands Initiés, nel quale le religioni positive vengono assunte come momenti dello svolgimento dell’anima e dello spirito, la parola animique ricorre più volte e, nella traduzione italiana, fatta da Arnaldo Cervesato nel 1906 per Laterza (e ancora oggi riproposta ai lettori come testimonia la ristampa del 2018), viene resa sia con dell’anima sia con animico:

una nuova forza intellettuale ed animica, che agisca dall’interno e da quel fondo della natura che noi chiamiamo l’al di là, rispetto alla percezione dei sensi. Senza questa forza intellettuale e animica non si spiegherebbe nemmeno l’esistenza di una cellula organica nel mondo inorganico.[10]

Così, attestato soprattutto in testi spiritistici e teosofici, alla fine dell’Ottocento, in Italia, l’aggettivo animico si circonda di un’aura misteriosa e iniziatica che, come vedremo, renderà complicata l’acclimatazione della parola come aggettivo di relazione neutro. Questa difficoltà però non si ebbe né in Francia né in Spagna, dove il fr. animique e lo sp. anímico erano divenuti, nel corso del XIX secolo, sinonimi di ‘interiore’, ‘psichico’, ‘di ciò che riguarda lo stato emotivo o sentimentale’. Inoltre, il fr. animique e lo sp. anímico ricorrevano negli scritti degli autori che trattavano del cosiddetto animismo letterario, cioè della tendenza dei poeti e dei letterati ad animare la natura. Fonte teorica di questa posizione che considerava l’animismo letterario retaggio dell’animismo primitivo furono gli scritti dell’antropologo evoluzionista Edward Burnett Tylor (1832-1917), in particolare di Primitive Culture (1871), che con animismo indicò la forma aurorale di religione, per la quale tutte le creature viventi, le piante e gli oggetti possiedono un principio vitale chiamato anima, destinato a svilupparsi, secondo uno schema evoluzionistico, in animismo-politeismo-monoteismo.[11]

Di questa ambigua collocazione della parola animico tra religione, scienza, filosofia e letteratura valga la testimonianza di un passo tratto dalla recensione al saggio di Charles Letourneau, L’évolution mythologique. Nature et origines du sentiment religieux (1891), scritta da Iacopo Danielli e ospitata sulla rivista di Paolo Mantegazza, “Archivio per l’antropologia e la etnologia” (XXII, 1, 1892, p. 165):

l’Autore in questa lezione si occupa dell’animismo letterario, citando brani di poeti e di prosatori anche moderni, fra i quali Victor Hugo, che è un animico dei più intensi, che dà ai flutti la memoria dei naufragi e anche il talento di raccontarli. Il fatto stesso che per piacerci, per commuoverci, o per obbedire alla loro ispirazione, certi scrittori hanno bisogno di dare questa forma animica alle loro finzioni poetiche, proclama che l’animismo è ancora latente nello loro spirito e nel nostro.[12]

Quest’accezione animistico letteraria ci riporta alla prima attestazione di animico nei vocabolari italiani, rinvenuta nel Supplemento 2009 del GDLI e attribuita a Gian Pietro Lucini. La definizione di animico proposta dal Supplemento 2009, “che riguarda l’anima, i pensieri, la volontà, la coscienza morale”, se appare adeguata in generale, non risponde pienamente al contesto luciniano: infatti, se verifichiamo sulla fonte, L’Ora topica di Carlo Dossi (Nicola, Varese 1911), ci accorgiamo che Lucini impiega animico nel significato proprio dell’animismo letterario:

Con lui [Dossi] e per lui li oggetti, i mobili, le piante, i fiori, li animali, i fenomeni, tutti parlano e sentono, odono e rispondono. Egli adora le cose, perché queste nascono e vivono e muojono con noi, come noi, e sono il prolungamento di noi stessi. Noi, colla nostra vicinanza, le influenziamo ed esse ricevono da noi un certo animismo per simpatia, già che il nostro linguaggio, per necessita logica ed umana, le regala di un antropomorfismo, donde piangono e ridono con noi. – Egli, forse, abusò di questa proprietà di esteriorizzazione; ma la sua abbondanza animica sta bene coi fenomeni della materia che inzuffla di spirito.[13]

Oltre all’Ora topica di Carlo Dossi, altre occorrenze luciniane di animico si trovano nella Prima Ora della Academia (Palermo, Sandron, 1902), nel saggio critico Giosuè Carducci (Milano, Aliprandi, 1911) e nel manoscritto, datato 1912, D’Annunzio al vaglio dell’Humorismo (Genova, Costa & Nolan, 1989); c’è anche, nella Prima Ora della Academia, un’occorrenza dell’avverbio animicamente, in cui echeggia l’accezione ermetica e teosofica di animico, che abbiamo segnalato nei Grands Initiés di Édouard Schuré, opera che Lucini conosceva molto bene: “le spirali della storia del mondo hanno […] in questi punti di tempo immediatamente sovra posti l’uno all’altro logicamente e animicamente collegati”.[14]

Ancora una volta, dunque, le vie attraverso cui animico giunge in Italia sono francesi; inoltre il suo ambito di elezione, tra fine Ottocento e inizio Novecento, appare circoscritto alla teosofia e allo spiritismo.

In questo periodo di fermento irrazionalista, entra in scena una figura che sarà importante per la definitiva fisionomia della parola animico in italiano: si tratta del pensatore austriaco e studioso di Goethe, Rudolph Steiner (1861-1925), che, influenzato da Nietzsche e dalla filosofia indiana, a inizio Novecento si convertì alla teosofia. Quando Steiner abbandonò la società teosofica per fondare, nel 1913, la Società antroposofica, diverse sue opere erano state tradotte in francese, come Le Mystère chrétien et les mystères antiques (Paris, Perrin, 1908), a cura di Édouard Schuré in cui, ad esempio, possiamo leggere: “L’élément animique ne se borne pas à la substance corporelle qui est enfermée dans la peau [L’elemento animico non si limita alla sostanza corporea che è racchiusa nella pelle]”.

Alla base della riflessione antroposofica di Steiner vi è la tripartizione in corpo, anima e spirito: l’anima è forza vitale mentre lo spirito è pensiero e mente. Egli però intendeva procedere nelle sue indagini antroposofiche secondo il metodo delle scienze naturali tanto da ribadirlo nel titolo di una delle sue opere più importanti, Die Philosophie der Freiheit. Grundzüge einer modernen Weltanschauung. Beobachtungs-Resultate nach naturwissenschaftlicher Methode (Berlin, Felber, 1894), che nella prima traduzione italiana compiuta da Ugo Tommasini suona: La filosofia della libertà. Tratti fondamentali di una concezione moderna del mondo. Risultati d’osservazione secondo il metodo delle scienze naturali (Bari, Laterza, 1919).

Nel 1918, Steiner pubblicò la seconda edizione dell’opera introducendo una piccola ma significativa variante nel sottotitolo: Seelische Beobachtungs-Resultate nach naturwissenschaftlicher Methode, ossia “Risultati d’osservazione dell’anima [seelische] secondo il metodo delle scienze naturali”. Ma poiché la traduzione italiana del 1919 era basata sulla prima edizione, nel sottotitolo non si trova nessuna traccia del traducente di seelische; lo stesso accadde anche per la nuova traduzione che Tommasini pubblicò sempre da Laterza nel 1930, che, per quanto si dichiari “2a edizione riveduta e integrata secondo l’ultima edizione originale”, riproduce invece il sottotitolo della prima edizione, senza recepire l’aggiunta di seelische. Se guardiamo ad esempio a quanto accadeva in Francia, vediamo che la prima edizione di Philosophie der Freiheit uscì nel 1923 con il titolo La philosophie de la liberté (Paris, Sauerwein): poiché si basava sulla seconda edizione tedesca del 1919, il sottotitolo della traduzione francese diceva: Résultats de l’expérience intérieure conduite selon les méthodes de la science naturelle, con la scelta di intérieure ‘interiore’ e non di animique come traducente di seelische.

Soltanto negli anni Quaranta, la terza edizione italiana della Filosofia della libertà (Milano, Bocca, 1946) recepirà il sottotitolo della seconda edizione tedesca e l’aggettivo seelische verrà tradotto con animico: La filosofia della libertà. Tratti fondamentali di una concezione moderna del mondo. Risultati d’osservazione animica secondo il metodo delle scienze naturali.

Nel frattempo, però, animico aveva iniziato il suo cammino come parola “steineriana”. Fin dal 1908, infatti, le numerose traduzioni italiane delle opere Steiner compiute da Emmelina Sonnino De Renzis, amica e seguace del pensatore austriaco nonché animatrice di un salotto antroposofico nella Roma degli anni Venti e Trenta, impiegavano l’aggettivo, che entrava così a far parte del lessico di quanti – artisti, letterati, pensatori – si avvicinavano alle correnti irrazionalistiche e misticheggianti che si diffusero nel primo Novecento. Tra i frequentatori del salotto steineriano di Emmelina De Renzis vi fu anche Arturo Onofri (1885-1928), il primo, dopo Lucini, a offrire un’attestazione in ambito letterario di animico. Fortemente influenzato dalla lettura dei Grandi iniziati di Schuré e poi dall’incontro con il pensiero di Steiner, Onofri scriveva, ad esempio, nel saggio Nuovo Rinascimento come arte dell’io (Bari, Laterza, 1925):

L’uomo spirituale muta, e, nel mutarsi, trasforma il corso degli avvenimenti esterni. L’interiore struttura animica dell’uomo non è sempre la stessa, e non solo col cambiar dei particolari e degli episodi estrinseci della sua storia la stoffa-uomo si elabora e si trasforma ininterrottamente, ma proprio questo cangiamento interiore produce ed esprime il sempre nuovo elaborarsi della civiltà.[15]

Steiner diede a Onofri anche l’impulso per un rinnovamento poetico, tanto che questi è probabilmente l’unico poeta italiano a mettere in versi animico, in una raccolta di poesie contro il “drago”, cioè contro il materialismo della scienza:

Quella figura animica è il modello
celeste dei linguaggi della terra,
che via via s’alzeranno al suo livello.[16]

Anche nell’arte, l’intreccio tra spiritualismo, occultismo e filosofia lascerà tracce vistose: la lettura dei testi esoterici di Eliphas Lévi e di Papus e dei testi teosofici di Blavatsky, di Steiner e di Schuré era diffusa in vari cenacoli intellettuali, tra cui quello dei futuristi romani. Arnaldo Ginna (pseudonimo di Arnaldo Ginanni Corradini, 1890-1982), ad esempio, dipinse dei “ritratti animici” (Ritratto animico di una Signora, 1935; Ritratto animico di una bambina, 1941; Autoritratto animico, 1941), cioè raffigurazioni del volto umano in cui il pittore cercava di manifestare lo spirito, l’anima della persona ritratta, facendo un uso psicanalitico dei colori e ponendosi in una condizione di trance.

L’ambiente culturale romano nutriva inoltre grande interesse per la psicanalisi, ambito in cui esercitò la sua influenza lo studioso tedesco Ernst Bernhard (1896-1965), che, trasferitosi a Roma nel 1936, introdusse il pensiero di Carl Gustav Jung in Italia, creando una scuola di psicoterapeuti che diverrà, poi, molto attiva negli anni Sessanta. Bernhard ideò nel 1946, insieme a Roberto (Bobi) Bazlen (1902-1965), la collana “Psiche e coscienza” presso la casa editrice Astrolabio di Roma, in cui vennero tradotte opere di Sigmund Freud, di Alfred Adler e soprattutto di Jung. La psicologia analitica di Jung, postulando l’esistenza di due strutture di relazione dell’Io con il mondo esterno e interno, l’Anima e l’Animus,[17] poteva essere uno stimolo, per i traduttori italiani, all’utilizzo di animico come alternativa a “dell’anima”. L’indagine meriterebbe verifiche approfondite, ma, da una prima ricognizione su testi junghiani tradotti negli anni Quaranta, abbiamo rinvenuto animico nel volume di Jung, La realtà dell’anima, tradotto da Paolo Santarcangeli nel 1949 per la collana di Astrolabio prima citata, e precisamente in un saggio di Emma Jung, Un contributo al problema dell’“anumus”, lì raccolto, mentre non sembrerebbe occorrere in Psicologia e alchimia, tradotto da Bobi Bazlen nel 1950.[18]

Dopo la Seconda guerra mondiale, le correnti irrazionalistiche e spiritualistiche di fine Ottocento e primo Novecento non erano affatto spente. Nel 1957, Julius Evola pubblicò la prima traduzione italiana di Oswald Spengler, Der Untergang des Abendlandes. Erster Band Gestalt und Wirklichtkeit (1918-1922), ossia Il tramonto dell’occidente. Lineamenti di una morfologia della storia mondiale (Milano, Longanesi): qui troviamo un’occorrenza di animico che ci parla forse più della formazione antirazionalistica ed esoterica del traduttore che non del filosofo della storia tedesco: “Una civiltà muore quando la sua anima ha realizzato la somma delle sue possibilità sotto specie di popoli, lingue, forme di fedi, arti, Stati, scienze; essa allora si riconfonde con l’elemento animico primordiale [Urseelentum]” (ed. del 1978, p. 173); nel contesto citato, “elemento animico” poteva essere infatti tradotto direttamente con “anima”, ma l’aura si sarebbe perduta.

Nel secondo Novecento, la parola animico, oltre che in testi di storia delle religioni antiche, compare in testi etnografici ed antropologici, come ad esempio Carlo Tullio-Altan, Lo spirito religioso del mondo primitivo (1960)[19] o filosofici, religiosi o psicoanalitici, come ad esempio Albino Galvano, Per un’armatura (1960),[20] con una frequenza discreta ma che rimane all’interno dell’ambito ristretto di quelle discipline.

Ancora negli anni Sessanta, Eugenio Montale, sempre attento a cogliere le derive del proprio tempo incarnate nelle parole nuove, fa un uso ironico di animico in un suo celebre intervento dal titolo La fonduta psichica, uscito sul «Corriere della sera» del 24 marzo 1963:

Si dice che la terra sia avvolta da una sfera di psichismo in continuo aumento di spessore. La terra sarebbe dunque una sfera dentro un’altra sfera: la sfera interna sarebbe materiale, l’altra psichica, in attesa di diventare del tutto animica e pronta al decollo per più spirabile aria.[21]

Oggi animico ricorre soprattutto nelle traduzioni dei testi steineriani, confermando così nei lettori, la convinzione che si tratti di un termine specifico del pensiero antroposofico. Convinzione che i traduttori più recenti confermano, se si guarda, ad esempio, a quanto accaduto alla conferenza tenuta da Steiner a Zurigo nel 1916, Wie kann die seelische not der gegenwart uberwunden werden: nella traduzione del 1988, il titolo suona infatti così: Come si può superare l’angoscia animica del presente:[22] il ted. seelische è stato reso con animico, sebbene il suo significato, in questo contesto, potesse essere espresso con ‘spirituale’ o ‘interiore’.

Dunque, il fatto che, nel XX secolo, animico sia uscito raramente da contesti esoterici o antroposofici ne ha decretato l’isolamento rispetto alla lingua d’uso. I lettori delle traduzioni di Steiner sanno che, in esse, la parola assume diversi significati, dal semplice ‘dell’anima’ al più mediato ‘spirituale, interiore’; ma l’associazione dell’aggettivo animico a un sistema di pensiero al confine tra scienza e spiritualismo lo rende ancora troppo marcato per un ingresso indolore nel lessico dell’italiano comune. Tuttavia, in anni recenti, l’aggettivo animico sembra aver guadagnato un poco di neutralità come testimonierebbe questo piccolo aneddoto traduttivo: nella prima traduzione italiana del volume dello psicanalista junghiano statunitense James Hillman, Il suicidio e l’anima (1964),[23] fatta nel 1972 da Aldo Giuliani per Astrolabio, soul history viene reso per lo più con “storia dell’anima”, mentre nella nuova traduzione fatta nel 2010, per Adelphi, da Adriana Bottini, soul history viene reso alternativamente con “storia dell’anima” e “storia animica”. Ma siamo sempre in ambito junghiano.

A oggi, insomma, sebbene presente da tempo nella nostra lingua, animico non possiede ancora quel valore neutro necessario affinché i parlanti l’accettino come valida alternativa a “dell’anima”. Tuttavia, nei dizionari italiani di ampio lemmario, animico dovrebbe essere registrato almeno nei significati animistico, spiritistico e teosofico-antroposofico, con opportuna indicazione dei limiti d’uso.

 

Note:

1. Grande Dizionario delle Lingua Italiana, diretto da Salvatore Battaglia e Giorgio Barberi Squarotti, Supplemento 2009, diretto da Edoardo Sanguineti, Torino, Utet, 2008, p. 32.
2. Poesia italiana del Novecento, a cura di Edoardo Sanguineti, Torino, Einaudi, 1969.
3. Luigi Spezia, Anche gli azzurri si servono da noi, in “la Repubblica”, 12 agosto 1998.
4. Animismo, in Enciclopedia Treccani, Dizionario di Filosofia (2009), s.v.
5. Mesmerismo, in Enciclopedia Treccani, Dizionario di Medicina (2010), s.v.
6. Fonte: Google Ricerca Libri.
7. Si noti che, nel sottotitolo italiano, “scienze psichiche” traduce il ted. Geheimwissenschaften ‘scienze segrete, occulte’.
8. Fonte: Google Ricerca Libri.
9. Teosofia, in Enciclopedia Treccani, Dizionario di filosofia (2009), s.v.
10. Édouard Schuré, I grandi iniziati. Cenni sulla storia segreta delle religioni. Rama – Krishna – Ermete – Mosè – Orfeo – Pitagora – Platone – Gesù, tr. it. di Arnaldo Cervesato, Bari, Laterza, 1906, pp. XLV-XLVI. Il passo nell’edizione originale suona: “une novelle force intellectuelle et animique agissant par le dedans et le fond de la nature, que nous appelons l’au-delà relativement à la perception des sens. Sans cette force intellectuelle et animique on n’expliquerait pas même l’apparition d’une cellule organisée dans le monde inorganique”.
11. Cfr. Animismo, Enciclopedia Treccani, Dizionario di Filosofia (2009), s.v.
12. Fonte: Google Ricerca Libri.
13. Gian Pietro Lucini, L’Ora topica di Carlo Dossi. Saggio di critica integrale, Varese, Nicola, 1911, p. 105.
14. Gian Pietro Lucini, La Prima Ora della Academia, Palermo, Sandron, 1902, p. 13.
15. Arturo Onofri, Nuovo Rinascimento come arte dell’io, Bari, Laterza, 1925, p. 9.
16. Arturo Onofri, Vincere il drago! Poesie, Ribet, Torino 1928; Sonetto 110, vv. 9-11, p. 132.
17. Psicologia analitica, in Enciclopedia Treccani, Dizionario di filosofia (2009), s.v.: “l’Anima è il femminile inconscio dell’uomo, la personificazione di tutte le tendenze psicologiche femminili, positive e negative: ricettività, irrazionalità, emotività, irritabilità; mentre l’Animus è il maschile inconscio della donna e personifica tutti gli elementi psichici ‘maschili’: razionalità, spirito di iniziativa, coraggio, obiettività, freddezza, distruttività”.
18. Carl Gustav Jung, La realtà dell’anima, Roma, Astrolabio, 1949, spec. pp. 140-141 (edizione originale: Wirklichkeit der Seele, Zurich, Rascher, 1934). Id., Psicologia e alchimia, Roma, Astrolabio, 1950 (edizione originale: Psychologie und Alchemie, Zurich, Rascher, 1944).
19. Carlo Tullio-Altan, Lo spirito religioso del mondo primitivo, Milano, Il Saggiatore, 1960, p. 389: “Le vicende del principio animico, o trascendenza soggettiva, sono legate, nella religione egiziana e medio-orientale, al processo di affermazione dell’individuo”.
20. Albino Galvano, Per un’armatura, Torino, Lattes, 1960, p. 88: “così il contenuto animico si definisce in contrapposto alla coscienza: inconscio, Unbewusstsein”.
21. Eugenio Montale, La fonduta psichica, in «Corriere della sera», 24 marzo 1963, p. 7; poi in Auto da fé, Milano, Il Saggiatore, 1966; ora in Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori, 1996, pp. 329-332, p. 329.
22. Rudolph Steiner, Come si può superare l’angoscia animica del presente, Oriago di Mira, Arcobaleno, 1988 (edizione originale: Wie kann die seelische not der gegenwart uberwunden werden, in Die Verbindung zwischen Lebenden und Toten, Dornach, Rudolph Steiner Verlag, 1995; GA 168).
23. James Hillman, Suicide and the Soul, New York, Harper & Roe, 1964.


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