Sotto un unico titolo sono riunite qui due risposte a domande che riguardano due lemmi omonimi, avvisare ‘informare’ e il toscanismo avvisare/avvisarsi ‘essere adatto al viso’.
In questa duplice risposta, dopo una breve introduzione di carattere lessicografico ed etimologico (a cura di entrambi gli autori), cerchiamo di sciogliere nella prima parte della trattazione alcuni dubbi che ci sono stati espressi riguardanti l’uso intransitivo del verbo avvisare ‘informare’ e poi di trattare di alcuni aspetti relativi al verbo in questione. Si tratta di domande sulla liceità dell’espressione fare avvisato ‘avvertire’ e sul significato del termine avvisatura ‘avviso’ (a cura di Kevin De Vecchis). La seconda parte riguarda, come dichiarato, l’omonimo avvisare ‘essere adatto al viso’. Si ripercorre la storia del termine e la sua diffusione areale (a cura di Matilde Paoli).
Prima di entrare nel merito delle risposte, è bene offrire sin da subito un quadro il più possibile esaustivo, che tenga conto dell’etimologia e dei significati di avvisare e degli altri predicati omonimi presenti nella nostra lingua.
Il verbo avvisare ‘dare notizia, avvertire; informare, rendere consapevole, far sapere; annunciare’ (d’ora in avanti avvisare1) è attestato sin dal XIV sec. e deriva dal “fr. ant. avis (1135), comp. di à ‘a’ e fr. ant. vis, dal lat. vīsu(m) (part. pass. di vidēre) ‘ciò che sembra buono’” (DELI). Con questo significato, avvisare1 è un verbo transitivo che solitamente viene costruito in italiano secondo la struttura avvisare qualcuno di qualcosa (es. “Tizio avvisa Caio del proprio ritardo”). È possibile usare avvisare anche in principali che reggono proposizioni completive (es. “Tizio avvisa Caio che farà tardi”). Il GDLI registra per il nostro verbo anche altri significati, per lo più propri dell’italiano antico (per una panoramica completa si consiglia di consultare il TLIO), considerati oggi letterari o arcaici. Segnaliamo, ad esempio, le seguenti accezioni: “Figur. Pensare, credere, reputare, ritenere; giudicare, stimare. – Più spesso intr., anche con la particella pronom.”; “Intr. con la particella pronom. Figur. Ant. Porre mente, far attenzione, badare”; “Ant. Ammaestrare, ammonire”. Riportiamo un esempio dalle Tre Corone (Dante, Petrarca e Boccaccio) per ciascun significato:
Se per veder la sua ombra restaro, / com’io avviso, assai è loro risposto: / faccianli onore, ed esser può lor caro (Purgatorio V, 34-36)
Ma ’l tempo è breve, e nostra voglia è lunga: / però t’avisa, e ’l tuo dir stringi e frena, / anzi che ’l giorno, già vicin, n’agiunga. (Francesco Petrarca, Triumphi, a cura di Marco Ariani, Milano, Mursia, 1988, p. 261)
E così forse ad una ora a voi m’obligherò ragionando, e disobligherò consigliando, ovvero per le cose a me avvenute amonendo e avisando. (Giovanni Boccaccio, Elegia di madonna Fiammetta, a cura di Carlo Delcorno, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di Vittore Branca, 10 voll., Milano, Mondadori, 1964-1998, V/2, 1994, pp. 3-412: p. 83)
Registrato dalla lessicografia italiana contemporanea (Devoto-Oli e Zingarelli 2025), seppur pressoché ormai uscito fuori dall’uso, è avvisare2 ‘osservare con attenzione’, derivato del “fr. ant. aviser, comp. di à ‘a’ e viser ‘vedere’, dal lat. parl. *visāre, intens. di vidēre ‘vedere’” (Zingarelli 2025), di cui risultano attestazioni che coprono un arco temporale che va da Dante fino a Foscolo, che lo usa nella forma pronominale con il significato di “accorgersi; avvedersi, capire, intendere; accertarsi”:
Bizzarra cosa! Disse la signora, e sorrise, avvisandosi com’essa per un gruppo d’accidenti da nulla erasi trovata così sola meco due volte. (Ugo Foscolo, Viaggio sentimentale, in Id., Prose varie d’arte, a cura di Mario Fubini, Firenze, Le Monnier, 1951, p. 65)
Segue avvisare3, registrato dal GDLI, e dallo Zingarelli 2025 (in cui il lemma avvisarsi è affiancato da una crux che ne indica la definitiva scomparsa dall’uso; così anche in GRADIT 2avvisarsi con la marca “ob[soleto]”), col significato “rifl. Ant. Affrontarsi, mettersi a fronte a fronte in ordine di battaglia” e il cui etimo è riconducibile a viso ‘volto’, che deriva dal “lat. vīsu(m), astratto del v. vidēre (dal part. pass. vīsu(m)) ‘cosa vista, immagine, ‘visione, apparizione’” (DELI). Riportiamo un esempio di Boccaccio, tratto dal TLIO:
Di che, quantunque si sbigottissero i Fiorentini, nondimeno, fatte loro schiere, s’avvisarono con la gente de’ Sanesi. (Giovanni Boccaccio, Esposizioni sopra la “Comedia” di Dante, a cura di Giorgio Padoan, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, cit., VI, 1965, p. 530)
Al quadro si potrebbe aggiungere anche avvisare ‘essere adatto al viso’ che non è registrato dalla lessicografia italiana contemporanea e di cui si dirà meglio nella seconda risposta qui pubblicata.
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Rispondiamo ora alle varie domande che riguardano l’uso intransitivo di avvisare1. Come abbiamo visto avvisare1 col significato generico di ‘avvertire, dare notizia’ è un verbo transitivo e pertanto prevede che la persona avvisata dal soggetto sia espressa con l’oggetto diretto. Frasi del tipo avvisare a qualcuno di qualcosa, in cui la persona avvisata sembra avere la funzione di oggetto indiretto introdotto dalla preposizione a, non rispettano la norma grammaticale dell’italiano, ma presentano piuttosto un fenomeno morfosintattico, tipico di alcuni dialetti dell’area centro-meridionale d’Italia (con possibile risalita fino alle varietà regionali e popolari), oggi in espansione anche in italiano, nella varietà neo-standard e specie nelle varietà di parlato poco sorvegliato, in special modo “in presenza di frasi marcate (dislocazioni a sinistra, con o senza ripresa anaforica del clitico, e dislocazioni a destra, quasi sempre con anticipazione cataforica del clitico), soprattutto quando l’oggetto è rappresentato da un pronome tonico (tanto più se di prima o di seconda persona, singolare o plurale) e con determinati verbi” (D’Achille 2018: p. 292). Si tratta dell’accusativo preposizionale, un “fenomeno, […] per cui il complemento oggetto è preceduto dalla preposizione a: vai a chiamare a tuo fratello, ho incontrato a Maria, […] senti a me”, che avviene “quando il complemento oggetto designa un’entità definita” o un’espressione indefinita con “un’interpretazione specifica […] es. conosco a uno molto bravo” (Fiorentino 2010).
Questa spiegazione giustifica perfettamente la frase “si avvisa ai fedeli” segnalataci da un lettore proveniente da Pozzuoli (NA). Un altro esempio comunicatoci da un altro lettore, invece, sebbene faccia riferimento al medesimo uso intransitivo di avvisare, proviene dal settentrione (presso la stazione di Porta Nuova di Torino il lettore avrebbe sentito la frase “si avvisa alla gentile clientela che…”). Non avendo modo di verificare la trasmissione di questo messaggio né la sua provenienza (presupponiamo gli altoparlanti della stazione torinese), possiamo soltanto postulare alcune spiegazioni. La prima fa capo nuovamente all’accusativo preposizionale. Il fenomeno è, però, poco presente nei dialetti centro-settentrionali e solitamente occorre quando il tema è «posto in evidenza all’inizio di frase, almeno se l’oggetto è un pronome personale (“a me nessuno mi protegge”) o con alcuni verbi reggenti come convincere, disturbare, preoccupare (“a te proccupa”)» (Serianni 1989, II, 39; cfr. anche Berretta 1989; sull’accusativo preposizionale si veda la risposta di Manuela Cainelli). Inoltre, gli annunci pubblici delle stazioni rientrano solitamente in contesti in cui si fa un uso sorvegliato della lingua. Non possiamo, comunque, escludere che il messaggio sia stato pronunciato da un lavoratore delle ferrovie proveniente dal Centro-Sud o figlio di immigrati centromeridionali. Una seconda ipotesi chiama in campo l’interferenza di strutture linguistiche simili, quali “avviso alla gentile clientela”, in cui avviso è sostantivo, e “si comunica alla gentile clientela” (ma fanno da controesempio formule come “si informa la gentile clientela” e “si prega la gentile clientela”). In ogni caso, ribadiamo che l’unica forma possibile nell’italiano standard è avvisare qualcuno. Una terza ipotesi è che la a finale di avvisa sia stata nella pronuncia “allungata” tanto da venire intesa dall’ascoltatore come una preposizione.
Veniamo ora a fare avvisato. Si tratta di un’espressione registrata già nella prima impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), in cui si legge: “Avvisato add. Fare avvisato, dar notizia, fare consapevole, avvertire, significare. Lat. certiorem facere”, con esempi tratti da Giovanni Villani e Boccaccio. Oggi si trova registrata nel GDLI (s.v. avvisato, § 5): “Fare, rendere avvisato: rendere consapevole, avvertire, informare; mettere sull’avviso, rendere accorto” e nel Devoto-Oli (s.v. avvisato ‘informato, avvertito’, affiancato dalla marca “non com[une]”), ma non nello Zingarelli 2025. Era, infatti, frequente in italiano antico la locuzione verbale (fare avvisato qualcuno di qualcosa), in cui avvisato svolge la funzione di aggettivo e ha il significato di ‘consapevole’, ‘informato’ (TLIO). In questo caso, possiamo rilevare la funzione di supporto assunta dal verbo fare, che è usato come sinonimo generico di rendere e sostiene l’aggettivo avvisato, in una locuzione che sostituisce il verbo avvisare (si vedano anche locuzioni analoghe quali fare contento ‘contentare’, fare tristo ‘rendere dolente’ Tommaseo-Bellini).
Si tratta di una costruzione diversa da quelle previste dall’italiano standard, come fare + N, es. fare giuramento ‘giurare’, fare perdonanza/perdono ‘perdonare’ (Pelo-Consales 2003: p. 51; sull’uso di fare si vedano anche La Fauci-Mirto 2003 e la risposta di Michele Loporcaro su questo stesso sito), o dall’italiano regionale di tipo meridionale, come l’«infinitiva della completiva dopo i “verba voluntatis”. Es. voglio essere fatto un servizio ‘voglio che sia fatto un servizio’, Francesco vuol essere spiegato “F. vuole che gli sia spiegato”» (Telmon 1993: p. 126; a tal proposito si veda anche la risposta di Bruno Moretti).
Oggi la locuzione verbale fare avvisato supera di poco i 250 risultati sulle pagine in italiano di Google e le attestazioni presenti su Google libri rimandiamo principalmente a testi storici e letterari che non dimostrano un suo effettivo impiego nel parlato d’oggi.
Dalle forme verbali avvisare e fare avvisato passiamo al sostantivo avvisatura, che un nostro lettore trova attestato nella sequenza avvisatura di pagamento. Il termine, che ha il significato di ‘avviso’, non è registrato nella lessicografia contemporanea (è presente nella seconda impressione del Vocabolario degli accademici della Crusca del 1623 e nel TLIO con il significato, però, di ‘sguardo’, ‘guardatura’). Dal punto di vista della morfologia, il termine presenta l’aggiunta del suffisso -tura alla base del tema verbale avvisa- (è possibile anche l’ipotesi che si tratti del suffisso -ura aggiunto al participio passato, ma si veda Livio Gaeta, Derivazione nominale deverbale, in Grossmann-Rainer 2004, pp. 314-350: pp. 334-337). Si tratta di un processo di derivazione molto produttivo (specie dal secondo dopoguerra in poi) per formare soprattutto tecnicismi (nell’àmbito della burocrazia ricordiamo visura e voltura). Rientra perfettamente in questo quadro l’avvisatura che compare ad esempio sul sito di Roma Capitale, nuova denominazione del Comune di Roma (si trova scritto avvisatura PagoPA, ossia ‘avviso di pagamento attraverso la piattaforma pagoPA’). L’attestazione meno recente che siamo riusciti a trovare è del 19 aprile 1999 all’interno del Foglio delle inserzioni apparso sulla “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”:
istruttoria: in misura compresa tra 0,50% e 1,00% min. L. 150.000 max L. 2.500.000; pratiche rinunciate: L. 250.000; estinzione anticipata: 2,00%, calcolato sul capitale anticipatamente rimborsato; conteggi di estinzione anticipata: L. 200.000; avvisatura (previste qualora il pagamento delle rate non avvenga mediante addebito in conto corrente): L. 5.000 per rata. (Banca popolare di Verona, Banco S. Geminiano e S. Prospero, in Foglio delle inserzioni, “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 19/4/1999, p. 9)
Si tratta, quindi, di un tecnicismo dell’àmbito burocratico e amministrativo, ancora poco diffuso nella lingua comune (sulle pagine in italiano di Google conta 4.110 risultati).
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Affrontiamo adesso la trattazione di avvisare ‘essere adatto al viso’. Una lettrice ci scrive da Signa, località a ovest di Firenze, lungo il corso inferiore dell’Arno, che “nella sua cerchia familiare e amicale” si usa dire “questo colore non ti avvisa” intendendo che quel colore non valorizza il colore della pelle, degli occhi o dei capelli di chi lo sta indossando; confrontandosi con un’amica non toscana si è resa conto che l’uso di avvisare in questo senso non è conosciuto altrove né è registrato sui dizionari da lei consultati.
Chi risponde a questo dubbio condivide con la lettrice (oltre alla toscanità, benché del Valdarno Superiore), anche l’uso di avvisare nel senso descritto: un colore può avvisare, ma anche avvisarsi, a qualcuno (“il giallo, bellissimo colore, ahimè!, non mi si avvisa”). L’uso è tuttora vivo anche a Firenze, come testimonia l’inchiesta (non ancora pubblicata) svolta per il Vocabolario del fiorentino contemporaneo (VFC) nel quartiere di Santa Croce:
Sì, se ti sta bene di colore. Io questo lo uso sempre. Ad esempio: a me i’ verde un m’avvisa. Ah, ma io quello anche alle clienti lo dicevo: i’ rosso, magari, avvisa bene. Eh.
L’uso non è certamente recente, infatti è registrato da Giuseppe Rigutini, nato a Lucignano in val di Chiana, nelle Giunte ed osservazioni al Vocabolario toscano di Pietro Fanfani:
Avvisare neutr. ass. Stare, Tornar bene al viso. Dicesi più che altro degli ornamenti del capo, come cappelli, cuffie e va discorrendo; e si riferisce tanto alla forma che al colore. (G. Rigutini, Giunte ed osservazioni al Vocabolario toscano, Firenze, Cellini e C., 1864)
Una seconda attestazione, di poco posteriore, si trova in una scheda compilata dal padre pratese Lorenzo Ciulli (1843-1922) consultabile nell’Archivio digitale dell’Accademia.
Avvisare. Per essere adattato, proporzionato al viso. Detto, per lo più, di cappello. Es[empio] Gli avvisa; è adattato al suo viso. (Voci e modi popolari non registrati nei Vocabolari compreso quello dell’uso toscano di Pietro Fanfani, c. 45, a cura di Fiammetta Fiorelli)
Il verbo in questo significato non si trova nel Vocabolario italiano della lingua parlata di Rigutini e Fanfani (Firenze, Tipografia Cenniniana, 1875), né nel Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze (Giorgini-Broglio 1877-1897) e neanche nel Nòvo dizionario universale della lingua italiana di Policarpo Petrocchi (Milano, F.lli Trèves, 1892), che pure nella parte “fuori d’uso” registra con particolari accezioni sia avvisare transitivo, sia avvisarsi intransitivo pronominale (rispettivamente “Pensare, Crédere. § […] Presentare alla mente d’uno. § Ravvisare. § Riguardare avvedutamente. […] § Mirare, Guardare”; e “Trovarsi a viSo a viSo” [con S l’autore rende la s sonora]). Né troviamo avvisare nel valore segnalato dalla lettrice tra le molteplici accezioni (fino a sedici) registrate cinque edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca e nemmeno lo si trova nel Tommaseo-Bellini e nel GDLI, nonché nella lessicografia contemporanea.
Anche lo spoglio dei repertori toscani, Giunte di Rigutini e scheda di Ciulli a parte, non ha dato molti risultati e il verbo ci risulta attestato solo in alcuni testi abbastanza recenti, come intransitivo:
avviśare, v. intr. Donare particolarmente al volto, detto del colore di un abito: questo holore ti sta bbene, t’avviśa! (Lidia Gori e Stefania Lucarelli, Vocabolario pistoiese, a cura di Gabriella Giacomelli, Pistoia, Società pistoiese di storia patria, 1984)
o come intransitivo pronominale:
avvisarsi, v. intr., star bene al viso, migliorandone l’aspetto (il verde s’avvisa alle bionde e alle ’astane). (Glossari e glossarietti del vernacolo di Colle di Val d'Elsa, a cura di Olimpio Musso, con la collaborazione di Meris Mezzedimi, Anna Tempesti, Alessandro Melandri e Franco Galli, Firenze, Sarnus, 2013)
avvisàssi, v. stare bene, donare, riferito ad abbigliamento: sto maglione ti s’avvisa. (Associazione culturale Ottagono, Di qua dal fosso. Nuovo dizionario di chianino, Sinalunga, Fondazione Torrita Cultura, 2018)
A queste testimonianze si possono aggiungere quella per Prato fornita da Annalisa Nesi (che ringraziamo) e, come già detto, quella di chi scrive per il Valdarno Superiore. Le attestazioni, tutte piuttosto recenti, sono riferibili al toscano centrale, in senso lato.
Priva di esito, a parte lo “sporco” generato da avvisare1 ‘avvertire; mettere sull’avviso’ ecc., la ricerca in Google libri (“mi/ti/gli/le [si/s’]avvisa]” + colore/giallo/verde/rosso), e dalla rete è emerso solo un recente esempio tratto da Facebook, anch’esso riferibile al toscano centrale (presenta infatti anche gorfe per golf, un per non):
Questo gorfe ’un ti s’avvisa...è troppo smorto..sarebbe più bellino un ber rosso ’nviperito! […] Zia Franca profile... (Detti proverbi e dialetti, 7/5/2024)
Sia nelle Giunte del Rigutini che in due delle tre attestazioni reperite nei repertori toscani l’accezione positiva di avvisare/avvisarsi è resa nella descrizione con stare bene (al viso); questa locuzione risulta usata ancora oggi (“sta bene al viso”: 37.900 r. pagine in italiano al 7/1/2025), mentre non sono (quasi) più usate tornare / dire bene al viso, testimoniate almeno fino al XIX secolo. Avvisarsi quindi appare come un “concorrente” minoritario di questa locuzione, che ha il vantaggio di essere sicuramente più trasparente, nonché di non poter essere confusa con il diffuso verbo omonimo avvisare ‘avvertire’ e non solo.
Per quanto riguarda l’origine del verbo, si può far riferimento al quadro delineato nella parte introduttiva. Tra i vari omonimi di avvisare1, il nostro avvisare toscano deriva sicuramente da viso ‘volto’, stessa base etimologica di avvisare3 (avvisarsi “Affrontarsi, mettersi a fronte a fronte in ordine di battaglia”). Si tratterebbe, quindi, o di un caso di poligenesi (e allora si dovrebbe considerare avvisare4 un ulteriore omonimo) o di uno sviluppo semantico dei significati di avvisare3: ‘stare viso a viso’ > ‘trovarsi vicino al viso’ > ‘stare vicino al viso’. Quest’ultima ipotesi appare un po’ azzardata, anche se l’uso di avvisare seguito dall’avverbio bene testimoniato dal VFC riportato sopra potrebbe far supporre un valore “neutro” di avvisare ‘stare (bene o male) vicino al viso’.
Mariella Canzani (che ringraziamo) ci ha segnalato l’uso del verbo svisare per il concetto opposto ‘non donare al volto’, detto di un colore, di un cappello, ecc.: “il rosso mi piace, ma purtroppo mi svisa!”. Anche di quest’accezione del verbo non si trovano attestazioni nella lessicografia antica o contemporanea, ma, come avvisare, anche svisare è attestato in molti altri significati (si riporta la voce, omettendo le citazioni, dal Vocabolario Treccani online):
sviṡare v. tr. [der. di viso2 (= Sinon. più elevato, e più limitato come usi, di faccia), col pref. s- ].
1. ant. Rompere, sfigurare il viso con percosse o ferite
2. fig.
a. Alterare il viso, il vero aspetto di una persona, facendolo apparire diverso
b. Alterare, fare apparire qualcosa diverso da quello che è (lo stesso che travisare, ma meno comune)
Diversamente da avvisare/avvisarsi in Google libri si trovano, benché assai rare, attestazioni in cui svisare si avvicina all’accezione di ‘non donare al viso, renderlo meno attraente, deturparlo’ o simili:
Si, Gesù mio, il cuor mio ti ama, e desidera sovra ogni modo sempre amarti. Nessuna macchia ti svisa sei bellissimo, bianco, vermiglio, il diletto di tutti i diletti, e trascelto fra mille. (L'anima solitaria nella campagna ossia il dolce amore di Gesù e di Maria opera del p. Francesco della Passione, Napoli, dai torchi del Tramater, 1836, pp. 224-225)
Oh sì, proprio così, ma questo riccio non toglie a patto nissuno il posarsi dolcemente, negligentemente su quest'altra ciocca, e questo ferro è sì caldo che mi giunge sul viso come soffio di fornace... ma santo Dio la barba, oh la barba è sì incolta, rabbuffata che m'intristisce, mi svisa tutto quanto! - e qui rammaricarsi, brontolare sul ferro, sul malvagio destino, sul tempo che fuggiva colla rapidità del pensiero. (Ignazio Clarenza, Lo studente, “Il Vaglio”, VIII, 1843, pp. 77-78: p. 77)
LX. Pittura di forestieri visitatori di Roma. [da Edmondo o i costumi del popolo romano]
[…]. Le loro donne mingherline, asciutte e vestite di bigio piombo, con certi cappelli in capo a catinella rovescia, e a faldoncini riboccati, dai quali pende una trinetta scura che le svisa, entrano a salterelli, […], urtando spesso gli astanti così sgarbate, così attose, che il fatto loro è un fastidio. (Fiori di racconti… tratti dalle opere del padre Antonio Bresciani, Modena, Tip. dell’Imm. concezione, 1864, vol. II, p. 160)
Forse la troppa luce lo svisava. I globi degli occhi induriti apparivano stravolti sotto le pálpebre livide, stirate; i peli biondicci dei baffi e della barba spartita sul mento, nel pallore violaceo, parevano radi radi e appiccicati come quelli di una maschera. La bocca era scontorta. (Luigi Pirandello, Tutt’e tre [1913], in Id., Novelle per un anno, a cura di Mario Costanzo, vol. II, parte II, Milano, A. Mondadori, 1987, p. 1074)
Signori, non ci si crederebbe: poche ore prima del convegno m’è venuto un colossale foruncolo sul naso. Ma un foruncolo da alzar l’idea, che mi svisa completamente, che deforma in modo turpe la mia fisonomia. (Achille Campanile, Il diario di Gino Cornabò [1942], in Id., Opere: romanzi e scritti stravaganti, 1932-1974, a cura di Oreste Del Buono, Milano, Bompiani, 1994, p. 309)
Nei repertori toscani consultati il verbo non si trova se non nel Vocabolario dell’uso toscano di Pietro Fanfani (Firenze, Barbèra, 1863), che però lo riporta non nel significato che ci interessa, bensì in quello di lingua (2b. in Treccani):
SVISARE e SVISATO. si usa anche nel senso di presentare col discorso una cosa sotto un aspetto diverso da quello che è, Alterare la verità. Anche il Nerli racconta quel fatto, ma ha svisato ogni cosa.
Il lemma è seguito dall’aggettivo al femminile svisata, tratto a sua volta dal repertorio lucchese di Salvatore Bianchini (1773-1830; S. Bianchini, Voci usate nel dialetto lucchese che non si trovano registrate nei vocabolari italiani: ovvero idee e sperimentazioni linguistiche di un enciclopedista lucchese, Lucca, M. Pacini Fazzi, 1986), che invece si riferisce all’estetica, probabilmente del volto:
SVISATA. dicesi, con la negativa di Donna che non è bella, ma che ha qualche cosa nel volto di piacente. Es.: Maria Domenica non è una donna bella, ma non è poi tanto svisata da non piacere. In Alberti si ha Svisato, ma in senso però di guastato nel viso. (Bianchini, Vocab. lucchese.)
L’Alberti a cui ci si riferisce è l’abate Francesco Alberti Di Villanova, che già nella prima edizione del suo Dizionario universale critico enciclopedico della lingua italiana (6 voll., Lucca, Domenico Marescandoli, 1797-1805, vol. VI, 1805) ha a lemma svisato come participio passato di svisare ‘guastare il viso’. E svisare con lo stesso significato si trova anche nella parte “fuori dall’uso” del Nòvo dizionàrio scolastico della lingua italiana dell’uso e fuori uso di Policarpo Petròcchi (Milano, Fratelli Treves, 1912), mentre non appare nel precedente Novo dizionario universale della lingua italiana dello stesso autore citato più sopra a proposito di avvisare.
Anche se continuiamo a muoverci nel campo delle ipotesi, non è impossibile che l’avvisare/avvisarsi nel significato di ‘stare bene al viso’ sia una sorta di reinterpretazione dell’antico avvisarsi ‘contrapporsi, fronteggiarsi’, ‘opporre viso a viso’, considerato come l’opposto di svisare ‘guastare il viso’ sul modello di altre coppie di verbi di uso comune (sbottonare vs abbottonare, sganciare vs agganciare, srotolare vs arrotolare, staccare vs attaccare, svitare vs avvitare) attraverso una sorta di “procedimento inverso” rispetto a quello che storicamente ha portato alla costituzione di queste coppie di opposti, formate a partire da un verbo parasintetico (abbottonare, agganciare, arrotolare ecc.) per mezzo della sostituzione del prefisso a(d)- con s- con valore reversativo (cfr. Claudio Iacobini, Prefissazione, in Grossmann-Rainer 2004, pp. 97-161: p. 117).
Qualunque sia il percorso che ha prodotto avvisare/avvisarsi ‘donare al volto’ detto di colore, accessorio, e simili, si tratta di un toscanismo di area centrale, peraltro (almeno apparentemente) non molto diffuso, e non una parola appartenente alla lingua comune.
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Chiudiamo la trattazione con la duplice speranza, come due sono gli autori che questa volta hanno risposto, di avervi ben avvisato sui corretti usi di avvisare.
Nota bibliografica:
Kevin De Vecchis
Matilde Paoli
8 settembre 2025
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
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