In questa scheda cercheremo di rispondere ai lettori che ci chiedono perché venga usato il modo di dire scusate il francesismo dopo espressioni volgari e perché francesismo venga associato ad azioni maleducate e modi bruschi.
Le espressioni scusate, perdonate o passatemi il francesismo, sono state recentemente analizzate da Roberta Cella, che ne mette in luce, oltre che la storia, alcuni tratti pragmatici fondamentali:
per quanto non ancora registrati dai dizionari, sono modi di dire per attenuare ironicamente l’impatto di espressioni volgari e giustificarne scherzosamente l’uso, ben diffusi negli ultimi due-tre decenni e in crescita tanto quanto cresce – nel parlato e nello scritto informale del web e dei social media – l’impiego di parole prima tabuizzate. (Cella 2023, p. 239)
I modi di dire sono stati registrati nelle nuove edizioni del Devoto-Oli online e dello Zingarelli 2024 sotto la voce francesismo, che, ironicamente e in contesti colloquiali, assume il significato scherzoso di ‘parola o espressione volgare’. Per capire la storia di quest’accezione e della frase idiomatica dovremo affrontare sinteticamente tre argomenti: che cos’è un francesismo e che cosa ha rappresentato il francese per la cultura italiana; l’ironia e lo stereotipo nella conversazione; una piccola disamina delle attestazioni del modo di dire.
Che cos’è un francesismo?
Il francesismo è un termine, una locuzione, una struttura sintattica introdotta in un’altra lingua (nel nostro caso in italiano) dal francese (Devoto-Oli online, s.v. francesismo), ovvero rientra in ciò che in linguistica viene detto prestito, che può essere adattato alle forme e ai suoni della lingua di arrivo (ad es. il francesismo viaggio) oppure integrale (ad es. garage, che mantiene anche la pronuncia francese). I francesismi, o meglio i gallicismi (termine più ampio, che include anche i prestiti medievali dalle lingue d’oc e d’oil), rappresentano una percentuale cospicua del nostro lessico perché sono stati introdotti nell’italiano fin dalle origini della nostra lingua: basti pensare che nel Duecento la poesia in lingua d’oc (cioè in provenzale) si era estesa al di qua delle Alpi, tant’è che troviamo poeti italiani che scrivono essi stessi in provenzale imitando i trovatori. La presenza della lingua francese torna a imporsi nel XVIII secolo, quando la Francia diventa il centro culturale dell’Europa proprio con la propagazione delle idee dei Lumi. Specie in questi due periodi storici, il francese (e il provenzale nel Medioevo) era visto come lingua di prestigio o addirittura di riferimento, da cui prendere in prestito parole nuove, à la page. Nel corso dell’Ottocento l’influsso del francese è stato ancora molto forte (basti pensare alla belle époque, all’impressionismo e alle altre correnti artistiche nonché di pensiero del tempo) per poi ridursi progressivamente nel corso del Novecento, senza comunque estinguersi del tutto. Ancora oggi il francese risulta essere una lingua di prestigio in alcuni ambiti: quello culinario (e della pasticceria) e quello della moda (a tal proposito nella sezione “Parole Nuove” del sito dell’Accademica della Crusca sono stati trattati i termini dressare (da dresser ‘preparare, sistemare’ usato in pasticceria) e bralette, che, pur essendo un anglismo (da bra ‘reggiseno’), imita nella forma i termini della moda francese, come salopette, il tessuto georgette o la gonna longuette).
Negli ultimi decenni, però, per l’italiano, la lingua di prestigio da cui si attingono numerosi prestiti è divenuta l’inglese, che ha affiancato, se non addirittura superato, il francese anche in quegli ambiti in cui la lingua d’oltralpe era padrona indiscussa (proprio come la cucina e la moda). Nonostante questo passaggio di testimone, il francese continua a mantenere lo stereotipo di lingua raffinata e di buon gusto, spesso quasi al limite dell’affettazione. Il rapporto tra italiani e francesi, poi, non è sempre stato del tutto pacifico: se è vero che da una parte il mondo della cultura ha sempre nutrito un’invidia positiva per le espressioni artistiche francesi (tra cui la densa e intensa letteratura), dall’altra la stessa invidia si è spesso tramutata in rivalità, non sempre sana (si legga la risposta di Paolo D’Achille sui valori della parola invidia). Proprio in questa alternanza di sentimenti risiede il progressivo cambiamento semantico della parola francesismo, e la diffusione del modo di dire antifrastico scusate il francesismo.
L’ironia e lo stereotipo nella conversazione
L’espressione di cui ci stiamo occupando è un chiaro esempio di ironia conversazionale, ossia quel procedimento per cui si ha un’opposizione semantica fra ciò che si dice e ciò che si intende. Spesso l’ironia è stata associata all’antifrasi, quella figura retorica per cui una parola o un’espressione è usata con significato opposto a quello proprio. La stessa ironia era già stata oggetto di studio presso i latini, che la chiamavano, appunto dissimulatio: Cicerone nel De oratore (II, LXVII 269) dice che “urbana etiam dissimulatio est, cum alia dicuntur ac sentias”, cioè ‘piacevole riesce anche l’ironia, quando si dice una cosa diversa da quella che si pensa’, e Quintiliano nell’Istitutio Oratoria (IX, 2 XLIV) la definisce come “contrarium quod dicitur intelligendum est”, cioè quella figura del linguaggio in cui si deve intendere il contrario di ciò che letteralmente si asserisce. Passando direttamente a studi più recenti, dobbiamo ricordare che nella linguistica pragmatica l’ironia è stata classificata come un’implicatura conversazionale che vìola la massima di qualità nella teoria di Herbert Paul Grice degli anni ’60: la conversazione è basata su un tacito patto tra coloro che fanno parte dell’atto comunicativo, il principio di cooperazione. Questo principio si basa su alcune regole, tra cui la massima di qualità, per cui durante la conversazione si dà per certo che ciò che viene detto è vero. Alcune informazioni poi, nella conversazione stessa, sono implicite, ossia non sono trasmesse dall’enunciato e non vengono codificate espressamente da esso: queste informazioni vengono desunte direttamente dall’interlocutore (ad esempio, se la finestra è aperta e una persona dice “fa freddino qua dentro”, fa inferire agli altri partecipanti all’atto comunicativo che si dovrebbe chiudere la finestra). L’ironia è una particolare tipologia di implicatura, la quale fa intendere al destinatario che ciò che si vuole comunicare è il contrario del messaggio effettivamente (e letteralmente) pronunciato. Il modo di dire scusate il francesismo è un’implicatura basata sull’ironia per due motivi diversi: 1) effettivamente il parlante non si sta scusando, in quanto consapevolmente e volontariamente ha usato una parolaccia, probabilmente a scopo espressivo; 2) violando in maniera manifesta la massima di qualità (ossia dimostrando che ciò che si sta dicendo non è vero) asserisce che il turpiloquio non è effettivamente un francesismo, o comunque una parola raffinata, ma lo si fa passare per tale, con conseguente effetto comico. Questo espediente vuole far inferire all’interlocutore che la parolaccia è giustificata in quel contesto, quasi necessaria a livello espressivo, e finisce così per essere oggetto di alleggerimento del tono. Dietro questo effetto vi è uno stereotipo legato alla lingua francese: come dicevamo il francesismo porta con sé lo stereotipo di parola raffinata, di gusto, colta. Gli stereotipi, infatti, “guidano l’attribuzione di senso alle espressioni linguistiche, restringendone il significato che sarebbe potenzialmente più esteso” (cfr. Lombardi Vallauri 2019, p. 82). L’etichetta francesismo non è più riferita a una qualsiasi parola o costrutto francese entrati nel lessico di un’altra lingua, ma indica per convenzione un vocabolo o un’espressione particolarmente raffinati, perché, sempre per stereotipo, il francese, per l’italiano (ma non solo, come vedremo), rappresenta tradizionalmente una lingua elegante e colta.
Storia del modo di dire
La frase scusate (o perdonate o passatemi) il francesismo, si trova già nell’Ottocento, ma allora non aveva assunto tutti quei correlati pragmatici di cui abbiamo appena parlato, ossia non aveva valore ironico. La troviamo in due testi di primo Ottocento: in Camillo Ranzani (Disamina degli elementi di zoologia, Forlì, Stamperia Casali, 1820, p. XIX) in cui il francesismo viene definito “peccato sì lieve, ed innocente”. Interessante è l’occorrenza in una lettera a Mamiani inviata da Vincenzo Gioberti nel 1845:
Tuttavia il mio libro sarà posto all’Indice; meno per questo che per un altro punto; ma io ci avrà almeno questo vantaggio di mettere (scusate il francesismo) i proibitori nel loro torto nel concetto dei moderati e dei giudiziosi. (Vincenzo Gioberti, Lettera a Mamiani del 5 aprile 1845, in Ricordi biografici: Carteggio, Tomo III, Napoli, Morano, 1868, pp. 82-83)
In questo periodo storico, l’espressione scusate il francesismo serviva dunque a giustificare l’uso di una parola o un costrutto di origine francese (come in questo caso mettre en leur faut ‘incolparli’ che viene reso con mettere nel loro torto) in una visione puristica della lingua. In quest’ottica di censura dell’uso di parole ed espressioni straniere l’uso del francese, pur se lingua di prestigio, andava comunque giustificato. Ma anche in questo caso c’è un correlato conversazionale: Gioberti non si sta realmente scusando ma sta dicendo che l’uso di quel costrutto francese è necessario, che è raffinato e che il destinatario (il Mamiani) è tanto raffinato da capirlo e accettarlo.
Le altre attestazioni tardo-ottocentesche e primo-novecentesche sono pressoché analoghe. Così come è simile, nel significato e nelle funzioni, l’occorrenza in Eugenio Montale: nella poesia Torpore primaverile uscita nella raccolta Quaderno di quattro anni (pubblicata nella sua versione ampliata e definitiva dopo il conseguimento del premio Nobel, con il titolo inglese It depends: a poet’s notebook, Milano, Mondadori, 1977) usa scusate il francesismo per giustificare l’uso di battere il pieno da battre son plein ossia ‘essere all’apice’:
Torpore primaverile || È tempo di rapimenti | si raccomanda di non uscire da soli | le più pericolose sono le ore serali | ma evitare le diurne questo va da sé | i maestri di judo e di karaté | sono al settimo cielo | i sarti fanno gilets | a prova di pistola | i genitori dei figli vanno a scuola | i figli dei genitori ne fanno a meno | la nostra civiltà batte il suo pieno | scusate il francesismo rotte le museruole | le lingue sono sciolte non hanno freno. (Eugenio Montale, It depends: a poet’s notebook (Quaderno di quattro anni), Milano, Mondadori, 1977, pp. 128-130)
Nella seconda metà del Novecento il significato dell’espressione non registra, per lo meno nelle attestazioni scritte, lo slittamento semantico e pragmatico che registriamo in quelle contemporanee. Le prime attestazioni del modo di dire associato al turpiloquio sono rilevabili intorno al 2002-2003:
Chiariamola una volta per tutte, questa faccenda che noi interisti ci sentiremmo nobilitati dalla disgrazia, che saremmo una specie di aristocrazia della sfiga, di eterni secondi che consideriamo molto volgare vincere. Volgare un cacchio!, scusate il francesismo. (Michele Serra, Noi, stanchi di perdere, “la Repubblica”, 6/5/2002, p. 1)
E con una tale concentrazione di questurini e di magistrati non esce fuori un cazzo di niente...se mi scusa il francesismo. (Mario Quattrucci, Troppi morti, commissario Marè, Robin, 2003, p. 138)
Si passa dunque dall’uso dopo un francesismo vero, semantico o sintattico, in cui l’espressione significa ‘non dovrei usare una parola o un costrutto straniero in un testo italiano ma è l’unico modo per esprimere il concetto che voglio veicolare’ (oppure, maliziosamente, ‘voglio dimostrare al mio interlocutore la mia cultura, attestando che conosco il francese, con un pizzico di (apparente) modestia’), all’uso fittizio dopo una parola o espressione volgare in cui significa ‘non dovrei usare la parolaccia, ma la uso per ovvi scopi espressivi, perché è necessaria e la giustifico chiamandola, in maniera ironica, con una definizione che indica, secondo uno stereotipo, raffinatezza e cultura’. Questo passaggio può essere stato sostenuto anche dal modo di dire inglese pardon my French, anch’esso usato in contesti di turpiloquio, sempre senza motivazioni puristiche ma solo ironicamente, già dal 1865 (cfr. OED):
[l’espressione] si deve alla miscela di odio e amore che gli inglesi storicamente nutrono nei confronti della cultura francese: il particolare senso dell’umorismo britannico rovescerebbe lo stereotipo della raffinatezza e della buona educazione francese, e chiamerebbe French un’espressione volgare, o troppo netta o troppo forte. (Cella 2023, p. 241)
Roberta Cella, dunque, parla ragionevolmente di calco semantico cioè “il trasferimento di un significato da una parola o espressione straniera a un’analoga parola o espressione già esistente in italiano” (ibidem). Che quest’uso sia cominciato ad affiorare solo in un periodo relativamente recente (i primi anni Duemila) va imputato alla diffusione che ne hanno dato i mezzi di comunicazione, a cominciare dalla televisione. Infatti, come abbiamo visto, la primissima attestazione dell’espressione nel suo senso ironico è di Michele Serra (che continuerà a usarla in tutto il suo percorso da opinionista per l’Amaca sulla “Repubblica”), e risale al 2002, lo stesso anno in cui la comica Anna Maria Barbera compariva nella trasmissione Zelig Circus con il personaggio di Sconsolata, anche detta Sconsy, una donna del sud emigrata al nord che si esprime con un personalissimo italiano regionale meridionale e semicolto, infarcito di dialettismi ma anche di malapropismi, ipercorrettismi, che ricorre al turpiloquio per fini espressivi e ludici. Proprio dopo ogni parola volgare il personaggio usa l’espressione scusate il francesismo, che diventa la sua marca comica, tant’è che non esiste un suo sketch che non la presenti. A testimonianza di quest’uso, oltre ai numerosi video della comica, abbiamo il seguente commento uscito nella rubrica Scioglilingua del “Corriere della Sera”:
il francesismo
Come lo intende il lettore è una battuta di Anna Maria Barbera quando interpreta Sconsolata. Dato che dice cose irripetibili sul marito e i figli, termina con la frase “scusate il francesismo” che di francese non ha nulla. (commento di [T]eresa [T]eller, Scioglilingua, a cura di Giorgio De Rienzo e Vittoria Haziel, forum.corriere.it, 25/5/2009)
L’espressione può anche seguire parole che non sono propriamente classificabili come appartenenti al turpiloquio, ma semplicemente poco eleganti:
È sempre stato così, raccontare – parlare, parlare, parlare – è una necessità che sento dentro, che poco alla volta monta, sale, si fa strada e viene su proprio... come un rigurgito. Scusate il francesismo, ma capirete che il rigurgito in questo racconto, ha perfettamente senso. (descrizione del libro L’asciugona di Ludovica Comello, Segrate (MI), Sperling & Kupfer, 2021)
scusate il francesismo, ma stasera GODO! :) (post di X, @naqern del 28/10/2009)
Recentemente si registra l’associazione del modo di dire con parole, frasi (anche idiomatiche) in dialetto, specie napoletano:
Scusate il francesismo ma “ca ’o fatt’è serio..” (post di B-selling, facebook.com, 9/7/2020)
L’efficacia della frase idiomatica dipende sia dalla sensibilità del parlante, sia dall’effetto che si vuole produrre sul destinatario, nonché sugli stessi stereotipi che i partecipanti alla conversazione condividono. Ad esempio, il dialetto per i dialettologi non è considerato triviale o poco elegante: quindi l’effetto che dovrebbe provocare scusate il francesismo dopo una frase in dialetto perde senz’altro forza. Forza che invece ha presso tutti coloro che ancora considerano, a torto, il dialetto una lingua incolta o bassa, una sottospecie di lingua e che quindi colgono in francesismo tutto il suo valore antifrastico.
Concludendo, il personaggio di Anna Maria Barbera ha senz’altro aiutato la diffusione del probabile calco inglese scusate (o perdonate o passatemi) il francesismo, con riferimento non solo a parole volgari, ma anche a voci ed espressioni poco eleganti o dialettali (e talvolta pure a gesti rozzi o privi di raffinatezza).
Nota bibliografica:
Miriam Di Carlo
6 settembre 2024
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