Giornata di studio È solo la lingua che ci fa uguali. L'insegnamento di don Lorenzo Milani. Saluti di apertura

di Paolo D'Achille

Presentazione:
Il 12 giugno 2023 si è tenuta in Crusca una giornata di studio organizzata in occasione del centenario dalla nascita di Don Lorenzo Milani, È solo la lingua che ci fa uguali. L'insegnamento di don Lorenzo Milani, a cui hanno partecipato studiosi di lingua, di didattica ed educazione, rappresentanti del mondo della politica vicini al mondo della scuola. La giornata è stata organizzata dall'Accademia in collaborazione con l'Associazione Proteo Fare Sapere. Riportiamo qui i contributi dei partecipanti, a partire dai saluti di apertura del Presidente dell'Accademia della Crusca, Paolo D'Achille. 

Saluti di apertura

È un particolare piacere, per me, ‘debuttare’ da Presidente dell’Accademia della Crusca in una giornata di studi dedicata a Don Milani, di cui nel 2023 è ricorso il centenario della nascita. La giornata, è doveroso ricordarlo, è stata organizzata dal Presidente onorario Claudio Marazzini insieme all’Associazione Proteo Fare Sapere, con cui la nostra Accademia ha già collaborato in passato e con cui mi auguro che ci saranno in futuro ulteriori occasioni di incontro e di confronto.

Sono felice anche che la giornata sia dedicata a Don Milani, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita.

La figura di Don Milani è stata molto importante nella cultura italiana della metà del Novecento (dal dopoguerra alla fine degli anni Sessanta) e la sua attività, non solo di sacerdote ma anche di insegnante, a Barbiana viene giustamente considerata un imprescindibile punto di riferimento nella storia dell’insegnamento scolastico, in particolare per quanto riguarda la lingua italiana. Potremmo banalmente etichettare Don Milani come una personalità ‘divisiva’, nei confronti della quale, non solo negli anni in cui egli visse, scrisse e operò, ma anche successivamente, e con periodicità ricorrente, fino ad anni recenti e perfino nel corso di questo centenario, ferve il dibattito, si alternano gli osanna e i crucifige, che vedono una apparentemente insanabile contrapposizione tra coloro che considerano la famosa Lettera a una professoressa (non firmata da lui, diversamente dalle precedenti Esperienze pastorali) un vero e proprio manifesto, che è alla base delle dieci tesi del GISCEL, della riforma della scuola media del 1979 e più in generale dello sviluppo dell’educazione linguistica democratica, e quanti invece imputano a Don Milani e ai suoi seguaci il lassismo, il permissivismo, la perdita di centralità dello studio e dell’apprendimento della grammatica italiana nella storia di oggi. Ebbene, senza entrare nella questione, io credo che una storicizzazione della figura e dell’opera di Don Milani sia importantissima per una serena ed equa valutazione dei suoi scritti e anche per cogliere gli elementi tuttora attuali del suo messaggio, che a mio parere sono molti, e dovrebbero essere considerati un patrimonio comune irrinunciabile, distinguendoli da quelli ‘datati’, che pure dovrebbero essere individuati e riconosciuti da tutti.

Ma questo tema e altri ad esso connessi verranno certamente affrontati nei numerosi interventi in programma oggi, a cui non voglio sottrarre ulteriore tempo. Voglio dunque concludere il mio intervento introduttivo e vorrei farlo citando un brano della recensione alla Lettera a una professoressa scritta da Pier Paolo Pasolini, un’altra figura fondamentale nella cultura del pieno Novecento, di cui è stato celebrato lo scorso anno il centenario della nascita, e che viene spesso avvicinato a Don Milani nella storia del dibattito linguistico novecentesco.

Ebbene, Pasolini, che della Lettera a una professoressa parlò anche in televisione, in un suo intervento del 1968 incluso nella raccolta dei Saggi sulla politica e sulla società curato per i Meridiani Mondadori da Walter Siti e Silvia De Laude, e intitolato La cultura contadina nella scuola di Barbiana, dichiara di fare “una breve storia della lettura della Lettera a una professoressa” di cui i “destinatari […] sono i ragazzi di Barbiana”. Dopo aver dichiarato di aver cominciato a “sfogliare impazientemente qua e là” il testo e di aver “letto alcune frasi che lo hanno leggermente irritato”, Pasolini scrive:

Leggendo però il libro, questa iniziale irritazione si è assolutamente attenuata, finché mi son trovato immerso in uno dei più bei libri che io abbia letto in questi ultimi anni: un libro straordinario, anche per ragioni letteraria. D’altra parte, c’è in questo libro una delle definizioni di letteratura più belle che io abbia mai letto, cioè la poesia sarebbe un odio che una volta approfondito e chiarito diventa amore.
È un libro che mi è piaciuto immensamente perché mi ha tenuto continuamente in sospeso fra delle risate che facevo veramente, fisicamente, tra me stesso, e dei continui groppi alla gola; cosa che molto raramente succede nel leggere un libro. E si ha questa sensazione davanti a dei libri che riscoprono, con verginità e con novità, qualcosa, dando un senso come di vertigine, di libertà, nel giudicare il mondo che ci è intorno.

Nelle pagine successive Pasolini scrive cose molto interessanti, ma mi fermo qui e cedo la parola alla collega e amica carissima Rita Librandi, Vicepresidente dell’Accademia e responsabile delle attività di Crusca Scuola. Il suo intervento si intitola “La parola è la chiave fatata che apre ogni porta”. Come leggere oggi l’insegnamento di don Milani.


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