"Io canto per me". Stereotipi e rivoluzioni della figura femminile nelle canzoni di Mina

di Chiara Murru

L'articolo qui presentato è la trascrizione di un intervento tenuto durante il convegno «Una Donna con la D maiuscola». Percorsi tra parole e musica, svoltosi il 5 ottobre e curato dall'accademica Giovanna Frosini per conto dell’Accademia della Crusca all’interno dell’edizione 2019 del festival “L’eredità delle donne”. Lo pubblichiamo con l'introduzione che Giovanna Frosini ha premesso alla pubblicazione degli Atti, avvenuta sull'XI numero di "Italiano digitale".

"Per la seconda volta nel 2019 l’Accademia della Crusca ha partecipato all’iniziativa L’Eredità delle donne, il festival organizzato a Firenze con la direzione artistica di Serena Dandini: a questa manifestazione, che riunisce multiformi iniziative all’insegna della valorizzazione del patrimonio femminile, l’Accademia non ha voluto far mancare la sua voce, sempre naturalmente nel segno della sua specifica vocazione e attenzione ai fatti dello studio, della parola, della lingua.

Nell’edizione del 2019 abbiamo individuato, insieme alle collaboratrici che hanno speso le loro ricerche, una doppia linea di interesse: da un lato, valorizzare il ruolo e la presenza in Accademia di una grande studiosa, storica della lingua e filologa fra le maggiori del Novecento, Franca Brambilla Ageno; dall’altro, una linea di rappresentazione della figura femminile fra parola e musica.

Francesca De Blasi, Chiara Murru, Francesca Cialdini e Veronica Ricotta ci accompagnano in un percorso che indaga la rappresentazione della donna in musica: si soffermano così in modo particolare su stereotipi e luoghi comuni, o al contrario su immagini nuove e concetti coraggiosi, scorrendo dalla poesia medievale alle parole cantate di Ornella Vanoni, Mina, Carmen Consoli, vale a dire di tre interpreti e autrici fra le più sensibili e innovative dei nostri tempi. Se ne ricava un’immagine complessa e multiforme, di grande ricchezza anche linguistica, a cui gli studiosi guardano negli ultimi anni con crescente attenzione, come spia sensibile dell’evoluzione della società e del linguaggio. Elisabetta Benucci e Caterina Canneti ci guidano a scoprire vicende, opere e pensieri di Franca Ageno, di cui nel 2020 ricorre il cinquantesimo anniversario della nomina ad accademica corrispondente: l’eccellenza scientifica, che fu per lei una dura conquista, in un mondo severo e certo non indulgente, è ancora per noi raggiungibile e ricostruibile attraverso le sue carte depositate nell’Archivio dell’Accademia, le bozze dei suoi libri, perfino le schede dei suoi minutissimi spogli linguistici.

Con fatica l’Accademia ha fatto spazio alle donne: dopo Caterina Franceschi Ferrucci e Ersilia Caetani Lovatelli, prime socie corrispondenti nell’Ottocento, si è dovuto attendere appunto il 1970 e l’elezione di Franca Ageno per avere la prima accademica novecentesca, passata dopo venti anni a socia ordinaria: antesignana di una serie che si è fatta via via più fitta, e che ha poi conquistato anche la presidenza, con Nicoletta Maraschio.

Per questo, le collaboratrici e le accademiche che oggi percorrono e frequentano la Villa di Castello, sede della Crusca, che arricchiscono l’Accademia col loro studio, col loro impegno non solo scientifico ma anche organizzativo, devono molto a Franca Ageno, al suo coraggio, alla sua scienza e alla sua straordinaria capacità di lavoro. Per parte mia, guardando alle giovani ricercatrici, non posso che essere grata all’entusiasmo di chi ha partecipato alla manifestazione del 2019, e sperare che sempre più numerose e determinate siano le donne di Crusca.

Giovanna Frosini"

"Il ventennio d’oro (1960-1977 circa) della canzone ‘d’autore’ (o, come qualcuno preferisce, della 'canzone d’arte'), intrecciato con significativi movimenti sociali e politici che vedono protagonisti i giovani (il Sessantotto, il Settantasette) è uno dei più ricchi e fecondi della storia, non solo linguistica, della canzone italiana, con esponenti, molti dei quali ancora attivi, che sarebbe troppo lungo elencare"1: con queste parole Lorenzo Coveri descrive uno dei periodi di maggiore rilevanza della canzone italiana in un articolo, disponibile sul sito dell’Accademia della Crusca, dal titolo L’italiano e le canzoni2, traccia un profilo di storia della lingua della canzone italiana a partire dai principali interrogativi che hanno guidato le riflessioni sul tema (la natura semiotica della canzone, il suo ruolo nella storia dell’Italia unita e i rapporti tra italiano della canzone e italiano quotidiano). La lingua della canzone rappresenta infatti un polo di forte interesse per la ricerca linguistica3 e ad essa è dedicata un’intera sezione nell’area Arti del portale VIVIT (Vivi Italiano)4.

Nel "ventennio d’oro" una delle principali interpreti della canzone italiana è Mina Anna Maria Mazzini, in arte Mina, la celebre Tigre di Cremona che dà voce alle donne veicolandone, con la propria inconfondibile voce e con le proprie magistrali interpretazioni, un’immagine complessa e multiforme. Sono davvero numerosi i brani cui Mina lega indissolubilmente il proprio nome; in alcuni di essi la protagonista è una figura femminile vivacemente tratteggiata, che si muove nelle dinamiche amorose con decisione e forza d’animo fino a ricoprire ruoli che, nell’immaginario comune, sono tradizionalmente appannaggio esclusivo dell’uomo.

In questa direzione, tra le canzoni che fanno maggiormente scalpore si colloca L’importante è finire5 il cui testo, unito all’interpretazione estremamente sensuale della cantante, indusse la Rai a censurarla ed escluderla per un certo tempo dai suoi programmi. La canzone parla di una donna che decide di interrompere la relazione con il proprio amante, ma che, pienamente appagata da lui sul piano sessuale, continua a rimandare la decisione. L’importante è arrivare alla fine: espressione volutamente ambigua, in quanto potrebbe alludere sia alla fine della loro storia d’amore, sia, semplicemente, alla fine del rapporto che stanno consumando.

Adesso arriva lui:
apre piano la porta
poi si butta sul letto
e poi e poi…
ad un tratto io sento
afferrarmi le mani,
le mie gambe tremare
e poi e poi e poi e poi…
Spegne adagio la luce,
la sua bocca sul collo,
ha il respiro un po' caldo,
ho deciso lo mollo,
ma non so se poi farlo
o lasciarlo soffrire:
l'importante è… finire.
Adesso volta la faccia;
questa è l'ultima volta che lo lascio morire
e poi e poi…
ha talento da grande lui
nel fare l'amore,
sa pigliare il mio cuore
e poi e poi e poi e poi…
Ha il volto sconvolto,
io gli dico "ti amo",
ricomincia da capo,
è violento il respiro,
io non so se restare o rifarlo morire:
l'importante è… finire.

Non è un caso che una canzone come questa sia oggi reinterpretata da una voce maschile: ne è stata proposta una magistrale cover dai Sikitikis nel 20056.

Anche il brano Non gioco più7, in cui il rapporto d’amore è visto come un gioco che, dopo un po’, annoia la protagonista (la cui posizione dominante all’interno del rapporto è evidenziata da frasi come "se ti faccio male, poi ti passerà"), è stato reinterpretata da un gruppo maschile, i Marlene Kuntz, nel 20048.

Non gioco più,
me ne vado.
Non gioco più, davvero.
La vita è un letto sfatto,
io prendo quel che trovo
e lascio quel che prendo dietro me.
Non gioco più,
me ne vado.
Non gioco più,
davvero.
La faccia di cemento,
tu parli e non ti sento;
io cambio e chi non cambia resta là.
Non gioco più,
lascia stare.
Non gioco più,
ti assicuro.
Se ti faccio male
poi ti passerà,
tanto il mondo come prima
senza voglia girerà.
Non gioco più,
me ne vado.
Non gioco più,
davvero.
Non credere ai capricci di una foglia
che col vento se ne va.
Non gioco più…
non gioco più…
non gioco più…

Anche il celebre brano Grande grande grande9, scritto da Alberto Testa e Tony Renis nel 1972, propone una figura femminile diversa dall’immagine tradizionale di donna tesa esclusivamente a sentirsi amata: 

Con te dovrò combattere:
non ti si può pigliare come sei.
I tuoi difetti son talmente tanti
che nemmeno tu li sai.
Sei peggio di un bambino capriccioso:
la vuoi sempre vinta tu;
sei l'uomo più egoista e prepotente
che abbia conosciuto mai.
Ma c'è di buono che al momento giusto
tu sai diventare un altro,
in un attimo tu sei grande, grande, grande…
le mie pene non me le ricordo più.
Io vedo tutte quante le mie amiche:
son tranquille più di me;
non devono discutere ogni cosa
come tu fai fare a me,
ricevono regali e rose rosse per il loro compleanno,
dicono sempre di sì,
non hanno mai problemi
e son convinte che la vita è tutta li.
Invece no, invece no,
la vita è quella che tu dai a me,
in guerra tutti giorni sono viva,
sono come piace a te.
Ti odio poi ti amo poi ti amo, poi ti odio, poi ti amo…
non lasciarmi mai più:
sei grande, grande, grande…
come te sei grande solamente tu.

Persino il topos delle rose rosse come dono con il quale tradizionalmente si placa l’ira della donna in occasione di litigi o allontanamenti (basti pensare al classico Rose rosse di Massimo Ranieri10), è qui capovolto, nel verso "ricevono regali e rose rosse per il loro compleanno […] e son convinte che la vita è tutta lì".

Si noti inoltre come la forte individualità della donna sia salvaguardata anche dal fatto che in tutto il testo non ricorre mai il pronome noi, ma un’esclusiva e costante alternanza tra l’io / me e il tu / te.

Si propone ora l’analisi di un brano, condotta con l’ausilio di alcuni strumenti lessicografici online, finalizzata a evidenziare la presenza di stereotipi legati alla donna e al rapporto amoroso.

La canzone è Anche un uomo, il cui testo è scritto nel 1979 da quattro autori (Mike Bongiorno, Ludovico Peregrini, Anselmo Genovese e Dina Tosi) appositamente per Mina:

Ragazza mia, ti spiego gli uomini,
ti servirà quando li adopererai:
son tanto fragili, fragili, tu
maneggiali con cura…
fatti di briciole, briciole che
l'orgoglio tiene su.
Ragazza mia, sei bella e giovane,
ma pagherai ogni cosa che otterrai:
devi essere forte, ma forte, perché
dipenderà da te,
tu sei l'amore il calore che avrà
la vita che vivrai.
Anche un uomo può sempre avere un'anima,
ma non credere che l'userà per capire te;
anche un uomo può essere dolcissimo,
specialmente se al mondo oramai
gli resti solo tu.
Ragazza mia, adesso sai com'è
quell'uomo che mi porti via e vuoi per te. 

Il brano rappresenta uno dei topoi principali delle dinamiche amorose: l’uomo che abbandona la donna per un’amante più giovane e bella. Il testo è costituito dalle parole rivolte dalla protagonista all’altra donna, sotto forma di avvertimenti e consigli; da qui il tono prescrittivo, quasi da manuale di istruzioni (introdotto infatti dal verbo spiegare), che porta con sé implicazioni semantiche molto forti: i verbi adoperare e maneggiare indicano una nuova consapevolezza del rapporto con l’uomo e, insieme all’aggettivo fragili, portano alla mente l’espressione “Fragile! Maneggiare con cura” che si pone sugli scatoloni contenenti materiale di valore che, durante traslochi o spostamenti di merce, sono potenzialmente a rischio.

Vediamo ad esempio questi tre vocaboli, adoperare, maneggiare e fragile, nel GDLI11 e nel Nuovo De Mauro (da qui NDM)12.

GDLI s.v. adoperare:
Adoperare e adoprare (ant. e dial. aoperare, aoprare, adovraré), tr. (adòpero, adòpro). ‘Usare, impiegare; valersi o servirsi (di cosa o persona), mettere a profitto (un mezzo, uno strumento, una risorsa, una qualità dell’animo o della mente)’.

NDM s.v. adoperare:
Adoperare: 1. v.tr. AU ‘usare, impiegare qcs. o qcn.: adoperare l’automobile, adoperare il martello per piantare un chiodo; adoperare tecnici esperti […]’.

Anche maneggiare, verbo che deriva etimologicamente da mano e significa ‘trattare con le mani, tenere tra le mani per scopi vari’ (DELI 213 s.v. mano) è generalmente riferito a oggetti, strumenti, a referenti inanimati, ma vede interessanti usi come ‘sottoporre qcn. alla propria influenza o al proprio potere, manovrarlo per i propri scopi’.

Si legge ad esempio nel GDLI s.v. maneggiare:

maneggiare: (ant. manegiare, manezzare, manicare), tr. (manéggio). ‘Lavorare, elaborare, trattare con le mani (e, per estens., anche con uno strumento); manipolare; tenere fra le mani, toccare, sollevare, reggere facilmente, far passare di mano in mano, smuovere.’ 2. ‘Usare, adoperare; adibire a un determinato uso; utilizzare per lo più con l’aiuto delle mani; brandire, manovrare, far funzionare (uno strumento, un’arma, ecc.). — In partic.: saper usare, essere in grado di usare con abilità, con perizia’ - Per estens. ‘Adibire a determinate funzioni o scopi (una persona)’.

Infine, l’aggettivo fragile è generalmente riferito al sesso femminile, come risulta evidente dall’accezione 3 del GDLI s.v. fragile:

Fragile 3. Figur. ‘Che è incline alle tentazioni, all’errore, al peccato; che ha facoltà e capacità limitate e inadeguate; (l’uomo, la sua natura, il suo corpo)’.
– ‘Che ha un carattere debole, indeciso. Che è dotato di delicata sensibilità (una persona, e, in partic., una donna, il suo animo)’.
Sesso fragile: ‘sesso femminile’.

La figura maschile di Anche un uomo è dunque fragile, fatta di briciole, pronta a sgretolarsi, tenuta insieme solo dall’orgoglio; la donna deve invece essere forte (come sottolineato dall’anafora "forte, ma forte").

Quest’ultimo aggettivo è però tradizionalmente riferito agli uomini: infatti, unito al sostantivo sesso dà luogo alla locuzione sesso forte, che, come si legge nel NDM, indica
‘iron., scherz., gli uomini’.

Nel GDLI, s.v. sesso nell’accezione 2 ‘Con meton. e con valore collettivo: la totalità degli individui (o anche un certo numero di essi) che per tali caratteristiche fanno parte dell’uno o dell’altro’ si legge:

in numerose espressioni, usate per lo più con intonazione scherzosa o galante (come sesso amabile, bello, debole, gentile, fragile, imbelle, matto, molle, bel sesso, gentil sesso, ecc.) per indicare collettivamente l’insieme delle donne contrapposto a quello degli uomini (a loro volta qualificati come sesso forte, migliore, ruvido, ecc.).

Gli aggettivi relativi alla donna cui la protagonista si rivolge sono i classici attributi richiesti alla figura femminile: bella e giovane. Proprio questa coppia di aggettivi rappresenta un cliché, rintracciabile nel GDLI online mediante una ricerca in sequenza libera che consente di ritrovare le occorrenze della stringa bella e giovane in tutto il vocabolario.

I risultati sono senza dubbio interessanti: se ne riportano di seguito alcuni tra i più significativi.

Giovanni Boccaccio e Ludovico Ariosto si riferiscono, rispettivamente nel Decameron, II giornata novella 10 e nella prima redazione della commedia Il negromante, II scena, ad una moglie bella e giovane:

  • Boccaccio, Dec., 2-10 (1-IV-220): Forse credendosi con quelle medesime opere sodisfare alla moglie che egli faceva agli studi, essendo molto ricco, con non piccola sollecitudine cercò d’avere e bella e giovane donna per moglie…
  • Ariosto, VI-461: - Odo che ti sei fatto in corpo e in anima / cremonese, né più curi la patria, / e che hai qui presa moglie bella e giovane. / - Maisì, che te ne pare? E di quattordici / anni era, quand’io la tolsi, e non passano / ancora dui ch’io l’ho.

In Mal d’Africa, di Riccardo Bacchelli, gli aggettivi sono riferiti a una schiava:

  • Bacchelli, 14-149: Il padrone di una bella e giovane schiava la condusse col laccio al collo davanti ad Azanga.

Sotto la voce servire, in particolare sotto l’accezione ‘soddisfare sessualmente’, si trova un esempio tratto dalle Novelle di Matteo Bandello:

  • Bandello, 1-19 (1-224): Ella era molto bella e giovane. Il perché essendo in abito di cortegiana ed usando atti di putta, cominciò a servire quelli che erano in nave, non dico di spiegar vele e simili servigi marinareschi, ma di quelli servigi che communemente gli uomini da le donne ricercano, e per un baiocco si dava in vettura a chi voleva.

Si rimane nel vero e proprio ambito del meretricio con l’esempio tratto da La suocera di Benedetto Varchi, sotto la voce scozzonato, accezione ‘- in partic. di una donna: esperta sessualmente; navigata nell’esercizio del meretricio’:

  • Varchi, 24-13: Non bisognerebbe altro, a voler far correre la cavallina, se non che o io fossi bella e giovane come sei tu o tu fossi scaltrita e scozzonata come sono io: io so ch’ella andrebbe al palio, io.

Per concludere, infine, sotto la voce burro, nell’espressione sentire il burro il caldo: ‘incominciare a divenire flaccido (il corpo)’, troviamo un esempio tratto dalle Commedie di Venere di Cesare Tronconi:

  • Tronconi, 2-202: La marmoreità d’un tempo era già butirrosità, e quantunque si potesse, si dovesse dire che la donna era bella e giovane ancora, qua e là qualche... ‘détail’ faceva pensare che il burro avesse sentito un po’ il caldo.

Tutti gli esempi citati confermano l’ambito di applicazione di questa coppia di aggettivi come cliché che identifica la donna nelle sue qualità necessarie per essere desiderabile agli occhi dell’uomo, fino all’ultimo contesto, in cui la concessiva "quantunque si potesse dire che la donna era bella e giovane ancora" incarna alla perfezione lo stereotipo di donna desiderabile esclusivamente finché il tempo non lascia i segni sul suo corpo.

In conclusione, in questo testo si amalgamano stereotipi e ribaltamenti degli stessi: nell’intera discografia che vede Mina come interprete la figura femminile si declina variamente secondo le molteplici immagini (dalla donna dignitosa e schietta a quella volubile, a quella tutta tesa ad essere amata)14 in cui si incarna la donna nella rappresentazione artistica.

L’esempio di Mina è senza dubbio magistrale perché offre, nella vastissima produzione musicale di cui è protagonista e grazie alla vivacità della sua figura umana e artistica, un’immagine di donna consapevole e complessa che si muove, meravigliosamente a proprio agio, tra i cliché che da sempre la accompagnano e la fiera decisione di ribaltarli: "mi sento donna così, come mai"15.

 

Note:

1. Lorenzo Coveri, L’italiano e le canzoni, consultabile all’indirizzo https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/litaliano-e-le-canzoni/20.

2. Lorenzo Coveri, L’italiano e le canzoni, cit.

3. La bibliografia sulla canzone italiana è ricchissima: si veda almeno Leonardo Colombati, La canzone italiana. 1861-2011. Storie e testi, Milano, Mondadori/Ricordi, 2011. Tra i vari studi sulla lingua della canzone si ricordano almeno Luca Zuliani, L'italiano della canzone, Roma, Carocci, 1968; Giuseppe Antonelli, Ma cosa vuoi che sia una canzone: mezzo secolo di italiano cantato, Bologna, Il mulino, 1970; Lorenzo Coveri, Parole in musica: lingua e poesia nella canzone d'autore italiana saggi critici e antologia di testi di cantautori italiani, con prefazione di Roberto Vecchioni, Novara, Interlinea, 1996.

4. VIVIT è un repository informatico di materiali e strumenti rivolti agli italiani all’estero, in particolare a quelli di seconda e terza generazione. La banca dati multimediale è rappresentativa della lingua e della cultura italiana e vuole diventare un punto di riferimento per chi voglia stabilire un solido contatto culturale a distanza con il nostro paese. La sezione relativa a L’italiano e le canzoni è consultabile all’indirizzo http://www.viv-it.org/schede/l-italiano-e-canzoni.

5. Il testo è di Cristiano Malgioglio, la musica di Alberto Anelli: il brano fa parte del 45 giri L’importante è finire / Quando mi svegliai, che entra in classifica il 16 agosto 1975 e staziona per sette settimane in seconda posizione (cfr. Leonardo Colombati, La canzone italiana. 1861-2011, cit., p. 1010).

6. Il brano fa parte dell’album Fuga dal deserto del Tiki, pubblicato da Casasonica e EMI Music nel 2005.

7. Fa parte del 45 giri Non gioco più / La scala buia, pubblicato nel 1974: il testo è scritto da Roberto Lerici su musica di Gianni Ferrio, ed era la sigla di chiusura di Milleluci, programma del sabato sera trasmesso dalla Rai nel 1974. "Nel video clip, una Mina biondo platino con abito d’epoca e boa di struzzo emergeva tra le volute di fumo di un sigaro, quasi a voler rifare il verso alle donne fatali del cinema americano degli anni Quaranta; seduta su uno sgabello, con aria tra il trasognato e l’ironico, cantava quasi sottovoce questo splendido blues, arrangiato con una semplice sezione ritmica (piano, chitarra, basso, batteria), alla quale nella seconda parte del brano si aggiungeva qualche battuta di fiati […]. Non gioco più rappresentò il simbolico congedo di Mina dal pubblico televisivo italiano che era stato suo per una lunga stagione durata quindici anni, e concludeva anche la serie di collaborazioni con il regista televisivo Antonello Falqui, che aveva diretto Mina fin dal suo esordio nel Musichiere di Mario Riva" (Leonardo Colombati, La canzone italiana. 1861-2011, cit., p. 1010).

8. Il brano fa parte dell’album Fingendo la poesia, pubblicato da EMI Music nel 2004.

9. Il 45 giri Grande grande grande / Non ho parlato mai esce nel 1971, pubblicato dall’etichetta PDU, ed entra al sesto posto della classifica dei singoli il 26 febbraio 1972, rimanendo nella top ten per venti settimane, di cui quattro in prima posizione (cfr. Leonardo Colombati, La canzone italiana. 1861-2011, cit., p. 1009).

10. Il testo, scritto da Giancarlo Bigazzi con musica di Enrico Polito, recita: "rose rosse per te / ho comprato stasera / e il tuo cuore lo sa / cosa voglio da te. / D'amore non si muore / e non mi so spiegare / perché muoio per te; / da quando ti ho lasciato / sarà perché ho sbagliato / ma io vivo di te. / E ormai non c'è più strada / che non mi porti indietro, / amore, sai perché? / Nel cuore del mio cuore / non ho altro che te".

11. In seguito all’accordo stipulato nel 2017 tra l’Accademia della Crusca e la casa editrice UTET Grandi Opere, dal 9 maggio 2019 è consultabile gratuitamente on line la versione elettronica del Grande Dizionario della Lingua Italiana UTET sul sito dell’Accademia della Crusca, nella sezione “Scaffali digitali”, all’indirizzo http://www.accademiadellacrusca.it/it/scaffali-digitali.

12. Versione online del GRADIT (Grande Dizionario dell’italiano di Tullio De Mauro) disponibile sul sito della rivista "Internazionale" all’indirizzo https://dizionario.internazionale.it/.

13. Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Manlio Cortelazzo, Paolo Zolli, seconda edizione a cura di Manlio e Michele Cortelazzo, Bologna, Zanichelli, 1999.

14. Si fa riferimento al contributo di Francesca De Blasi in questo stesso numero, nel quale, entro una dicotomia fondamentale che oppone da un lato la donna oblativa e dall’altro la donna narcisista, si offre una serie di esempi di varie figure di donna, declinate in vario modo in base all’epoca e all’ambiente culturale.

15. Da La mente torna, nel 45 giri Uomo / La mente torna, pubblicato dall’etichetta PDU nel 1971.