L'accademico Carlo Alberto Mastrelli propone una riflessione sul valore del bilinguismo paritario in Alto Adige.
NOTA DELLA PRESIDENZA DELL’ACCADEMIA
Il testo che segue è stato scritto da Carlo Alberto Mastrelli, il decano degli Accademici della Crusca, studioso che vanta una lunga esperienza sulla materia che qui si discute (professore emerito di Glottologia all’Università di Firenze: indeuropeista, classicista, germanista, romanista, italianista. Consulente scientifico del Grande Vocabolario italo-polacco, voll. 5, Varsavia 2001-2010; coautore con Sv. Bach e J. Brunet del Quadrivio romanzo, Firenze, Accademia, 2008.– Dal 1968 al 1994 direttore dell’“Archivio Glottologico Italiano” e dal 1969 presidente dell’Istituto di Studi per l’Alto Adige.
Va precisato che il cosiddetto “Appello dei 48” di cui qui si parla è stato firmato a titolo individuale da un certo numero di Accademici, tra cui il Presidente e i membri del Direttivo. Non esiste per ora una posizione formalmente espressa da parte del Collegio accademico nella sua interezza sulla difesa della toponomastica italiana nella Provincia autonoma di Bolzano, ma esiste una presa di posizione comune del Direttivo a favore dell’ “Appello dei 48”, formalmente assunta il giorno 17 ottobre 2016.
È possibile che alcuni giudizi del prof. Mastrelli suscitino qualche distinguo, in particolare per quanto riguarda la valutazione della figura del geografo e senatore Ettore Tolomei e la sua attività, svoltasi nel clima dell’irredentismo e del nazionalismo di un secolo fa; ma il Direttivo dell’Accademia è comunque concorde con il prof. Mastrelli sull’inopportunità di intervenire oggi, a tale distanza cronologica da quegli atti di politica linguistica, turbando una ben regolata normativa di plurilinguismo che ha assicurato la pacifica e serena convivenza tra gruppi diversi, tanto da essere ormai un valore sociale stabile ed esemplare nella provincia di Bolzano, e un modello per altre comunità.
Novembre 2016
L’importante “Appello dei 48”, com’è stata ribattezzata la lettera aperta che quarantotto accademici italiani e tedeschi hanno rivolto un mese fa alle Istituzioni della Repubblica per salvare i nomi italiani della toponomastica bilingue in Alto Adige, è nato da una notizia sconcertante: l’esame, da parte della Commissione paritetica Stato-Provincia autonoma di Bolzano, detta Commissione dei Sei, di una ipotesi di norma d’attuazione di rango costituzionale che avrebbe aperto le porte alla cancellazione del sessanta per cento (almeno!) del patrimonio storico e linguistico italiano in vigore da quasi un secolo in Alto Adige.
Ho scritto “avrebbe” perché, proprio la ferma, fondata e documentata presa di posizione di professori e studiosi totalmente estranei a qualsivoglia gioco politico, ma tutti consapevoli del valore della Costituzione e del patrimonio culturale bilingue italiano-tedesco come un modello esemplare nell’Europa di nuovi e vecchi muri, ha portato alla sospensione, almeno per ora, dei lavori della Commissione che già venivano considerati “cotti e mangiati” nel silenzio generale. Proprio il grave rischio linguistico e giuridico paventato nell’Appello, ripreso da una notevole quantità di mezzi di comunicazione nazionali e locali, ha indotto tutti i diretti e anche indiretti interessati a una più attenta riflessione. Ma il pericolo che in una parte della Repubblica la sua lingua ufficiale venga cancellata dalle dizioni di migliaia di toponimi bilingui, oltretutto toponimi ufficiali riconosciuti dalla legge e dalla gente da quasi cent’anni, non è scampato. E allora provo a sintetizzare i termini della grave questione.
1) Con l’Accordo De Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946 l’Italia introduceva “l’uso, su di una base di parità, della lingua tedesca e della lingua italiana (…) nella nomenclatura topografica bilingue” in Alto Adige.
2) Col primo Statuto regionale del 1948 e col secondo Statuto provinciale del 1972 oggi in vigore, tale obbligo della toponomastica nella forma italiano-tedesca è stato trasformato in legge costituzionale. La Provincia può legiferare sul tema, “fermo restando l’obbligo della bilinguità nella Provincia di Bolzano”. Può legiferare, inoltre, non già sradicando dall’ordinamento le secolari dizioni italiane dai nomi bilingui, ma dando ufficialità ai toponimi tedeschi e ladini, come espressamente stabilito dagli articoli 101 e 102: “Nella Provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l’esistenza ed approvata la dizione”.
3) Nonostante la chiarezza del quadro normativo dello Statuto d’autonomia speciale e costituzionale che, parificando il tedesco all’italiano, precisa che l’italiano “è lingua ufficiale dello Stato” e perfino che, in caso di dubbio, l’italiano “fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali dal presente Statuto è prevista la redazione bilingue” (articolo 98), la Provincia ha tentato ciò che non poteva né doveva: abolire per legge gran parte della secolare toponomastica italiana. Tale tentativo s’è trasformato in una legge subito impugnata dall’allora governo-Monti. Legge all’esame della Corte Costituzionale dal 2012!
4) Contrariamente a quanto si afferma a volte erroneamente, la grande maggioranza delle dizioni italiane non è affatto “fascista”. I nomi sono il risultato di lavori competenti e di ricerche meticolose molto precedenti, dai primi anni del Novecento in avanti, ad opera di diversi studiosi, cominciando da Ettore Tolomei che già nel 1906 fondava la rivista “Archivio per l’Alto Adige”. Quei nomi trovarono nel “Prontuario dei nomi locali dell’Alto Adige” del 1916 (Reale Società Geografica) la loro prima elencazione bilingue: oltre cinquemila toponimi per la prima volta anche nella forma italiana, e che sarebbero stati poi resi ufficiali col Regio Decreto del 29 marzo 1923. Convalidato, quasi vent’anni dopo, dal Decreto Ministeriale del 10 luglio 1940, che ufficializzava la terza e più ampia (ottomila toponimi) edizione, sempre bilingue, del Prontuario del 1935. Decisivo e straordinario fu il contributo di Carlo Battisti, cosa che si tende, ingiustamente ma non per caso, a dimenticare. Ben undici furono i criteri utilizzati, all’epoca, per rendere in italiano i nomi di luogo dell’Alto Adige. Dalla traduzione al mantenimento del nome con adattamento fonetico o grafico. Dal mantenimento della forma dialettale italiana alle riprese, con adattamento o senza. E dal 1946, ossia da settant’anni, l’ufficialità dei nomi un tempo utilizzati nella sola dizione italiana è diventata pienamente bilingue: italiana e tedesca, e trilingue nelle zone ladine. Dunque, saggiamente la Repubblica non ha cancellato né privilegiato nomi e tradizioni: li ha messi tutti sullo stesso piano uno accanto all’altro all’insegna del rispetto e della ricchezza, consentendo così a ciascuno di pronunciare nella propria lingua italiana o tedesca i nomi di luogo condivisi.
5) Altro equivoco: il tentativo di selezione linguistica in corso non riguarderebbe nomi di luogo rilevanti come Bolzano, Merano e Bressanone, concentrandosi solo sulla toponomastica meno conosciuta o lontana (picchi di montagna, ruscelli minori ecc.). Ma a parte il fatto che i criteri immaginati per distinguere ciò che non si può distinguere, ossia come separare il micro dal macro, sono comunque contrari alla lettera e allo spirito della Costituzione, l’eliminazione dei toponimi meno conosciuti sarebbe comunque atto grave.
6) L’”Appello dei 48”, dunque, rappresenta la rigorosa e vigorosa difesa della civiltà del bilinguismo paritario, che non solo aiuta la convivenza, ma è anche un mezzo efficace nel favorire una reale ed effettiva intercomprensione fra le comunità presenti in Alto Adige, sollecitandole alla mutua conoscenza linguistica, e con ciò assolvendo pienamente a una funzione civica, istituzionale e pedagogica.
L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.
La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.
Il Consiglio direttivo dell'Accademia (Paolo D'Achille, Rita Librandi, Annalisa Nesi, Federigo Bambi, Rosario Coluccia), riprendendo la questione del genere nella lingua, più volte e sotto vari aspetti affrontata dalla Crusca, propone come Tema di discussione una riflessione e alcune indicazioni per un uso non discriminatorio della lingua.
Riprendiamo il tema del dialetto, già affrontato in altri temi del mese, trattando questa volta della sua recente ripresa nei media e in particolare nella televisione.
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
Per concomitanza con le Feste, la visita all'Accademia della Crusca dell'ultima domenica del mese di dicembre è stata spostata al 12 gennaio 2025 (ore 11).
Intervento conclusivo di Carlo Alberto Mastrelli
Al testo firmato da Flavio Martinelli del 18 novembre 2016 ha replicato in maniera storicamente e scientificamente corretta la Lettrice informata dei fatti in data 22 novembre 2016, anche se molte altre considerazioni potrebbero essere aggiunte a sostegno delle sue giuste osservazioni. L’Anonimo del 22 novembre 2016 espone riflessioni interessanti, che tuttavia non riguardano le specifica questione dell’Alto Adige. Successivamente il 3 dicembre 2016 il Mathieu riprende l’argomento valdostano e si domanda perché la questione toponomastica della Val d’Aosta sia stata risolta in maniera diversa da quella altoatesina; non è qui il caso di illustrare tutti i motivi, mi preme però sottolineare l’argomento linguistico che sovrasta tutti gli altri: il francese e il francoprovenzale sono idiomi di origine latina come l’italiano e quindi sono facilmente intercomprensibili. La questione che sottopone Stefano Di Brazzano il 19 dicembre 2016 è senza dubbio di grande e grave rilievo, ma purtroppo ora non la possiamo trattare; raccomanderò ai colleghi di prendere al più presto qualche iniziativa per esaminare quali siano i risultati conseguiti con la Legge sulle minoranze linguistiche (Gazzetta Ufficiale n. 297 del 20 dicembre 1999, n. 482); è ora infatti che si veda quanto hanno risposto le amministrativi ivi preposte, cosa ne pensano le popolazioni interessate e gli studiosi competenti in materia.
Al termine di queste risposte, desidero esprimere i più vivi ringraziamenti a quanti hanno voluto manifestare il loro assenso per telefono o per posta all’Appello dei 48, ma mi preme anche sottolineare che, nella questione della toponomastica dell’Alto Adige, il bilinguismo, a tanti anni di distanza e nel contesto dell’Europa unita, non va inteso come contrapposizione etnica, bensì come mezzo istruttivo che aiuta l’intercomprensione, specialmente italo-tedesca.
Infatti:1) anzitutto le due lingue non hanno le stesse strutture; inoltre mentre un tedesco in Alto Adige ha a che fare con degli italiani non dialettofoni, gli italiani si trovano a contatto con una popolazione tedesca che nella scrittura usa lo Hochdeutsch, ma poi parla un dialetto Oberdeutsch, molto distante dal tedesco standard; 2) non ha alcun senso parlare di toponimi storici, pensando che la storia cominci solo con la nomenclatura tedesca: tutti i toponimi sono storici, di varia stratificazione: a) preindeuropeo (retico, norico), b) celtico (età del ferro), c) latino, d) ladino-tedesco-italiano; d) anche una spruzzatina di inglese è adesso presente; 3) i microtoponimi, soprattutto in Alto Adige, sono di grande rilevanza, essi vanno quindi conservati: il turismo estivo ed invernale è così esteso che comprende quasi tutte le località (fra le quali moltissimi microtoponimi) di tutte le valli interessate agli sport di montagna (alpinismo, canyoning, freeride, mountain bike, parapendio, rafting, sci, speleologia, trekking, ecc.); ci risulta che nel 2015 ci siano stati circa 30 milioni di pernottamenti (21 milioni di stranieri, 9 milioni di italiani).
Come si vede, i molteplici problemi della toponomastica devono essere affrontati da persone di grande preparazione storico-culturale-linguistica.
Rispondi
Rispondi
Rispondi
Rispondi
Rispondi