In Toscana c’è il dialetto?

I dialetti sono stati più volte oggetto del Tema. In questa occasione Annalisa Nesi, accademica segretaria, invita a discutere sul dialetto in Toscana.


La Giornata Nazionale del Dialetto e delle Lingue Locali, istituita dall’”Unione Nazionale delle Pro Loco d’Italia” e giunta alla tredicesima edizione (17 gennaio 2025), ha l’obiettivo di valorizzare il patrimonio linguistico della tradizione che si traduce in iniziative varie su tutto il territorio nazionale. Anche la Toscana ha partecipato a quest’ultima edizione con tre appuntamenti – uno ad Aulla, in provincia di Massa Carrara, uno a Sesto Fiorentino, uno a Roccastrada in provincia di Grosseto –, dedicando al dialetto approfondimenti, testimonianze, letture. A parte il caso di Aulla, dove il dialetto non appartiene alla compagine toscana, ci chiediamo: com’è possibile che a Sesto, alle porte di Firenze, e a Roccastrada, in Maremma, si celebri il dialetto che nella Toscana, terra della lingua, non c’è? Eppure, a rinforzare l’interesse dei media sulla Giornata dei dialetti, arriva in edicola anche “Topolino”, che si apre con una storia tradotta in milanese, napoletano, catanese e fiorentino, destinata a ciascuna delle città di riferimento. La storia, Zio paperone e il PDP 6000, è scritta da Niccolò Testi, i disegni sono di Alessandro Perini; Riccardo Regis, dell’Università di Torino, ha coordinato i linguisti-traduttori. Alex Bertani, direttore di “Topolino”, nella premessa afferma pacificamente che, se si è comprato il numero 3608 a Firenze e dintorni, lo leggeremo in dialetto fiorentino e, aggiungiamo, con la traduzione di Neri Binazzi, dialettologo e sociolinguista dell’Università di Firenze, coordinatore del Vocabolario del fiorentino contemporaneo, progetto dell’Accademia della Crusca.

Stupisce ancora che in Toscana e, soprattutto a Firenze, non si possa parlare di dialetto senza dover discutere, ma anche in ambito scientifico il fatto non è assodato. La parola “dialetto” entra in rotta di collisione o in sinonimia con la parola “vernacolo”, fatto che non accade in altre zone, dove i dialetti sono più distanti dalla lingua. Per questo motivo “vernacolo” è usato, oltre che per dialetti toscani, per quelli umbri e laziali (GDLI), ma, propriamente, dal momento che lo si definisce in contrapposizione alla lingua letteraria, è riservato all’uso letterario del dialetto (GRADIT; e cfr. Nesi 2008), per cui il teatro vernacolo livornese, i sonetti in vernacolo di Renato Fucini.

Ci sembra dunque utile, a distanza di venti anni dalla prematura scomparsa di Gabriella Giacomelli, fondatrice della dialettologia toscana, illustrare brevemente lo speciale statuto dei dialetti toscani e la posizione dei toscani davanti al loro parlato. Non necessariamente in questo ordine, anzi in “disordine”.

Il rivolgersi alla Toscana come “oggetto di studio dialettologico”, così normale per tutti quelli che si sono formati sotto la guida di Gabriella Giacomelli, è stata una rivoluzione, pacifica ma decisiva, che ha permesso di aprire alla dimensione dialettale la terra dove è nata la lingua italiana, di progettare e di portare a termine l’Atlante Lessicale Toscano (ALT), di instaurare un confronto serrato e costante con la lingua, tanto che le ricerche successive, a cui hanno concorso diversi studiosi, si sono rivolte anche all’italiano comune, corrente della regione fino all’inserimento delle città toscane capoluogo (compresa Carrara) nella ricerca nazionale la Lingua delle Città - LinCi, progettata e portata avanti da Teresa Poggi Salani e da chi scrive, con la partecipazione di linguisti di diverse università. A conclusione del lavoro l’Accademia della Crusca ha pubblicato una banca dati interrogabile (Nesi-Poggi Salani 2013a) ed è uscita una raccolta di studi che si apre con un saggio su obiettivi e metodi della ricerca (Nesi-Poggi Salani 2013b).

L’ALT, grazie alla lungimiranza di Gabriella Giacomelli e alla collaborazione con l’Istituto di Linguistica Computazionale “Antonio Zampolli” di Pisa, è stato il primo atlante dialettale consultabile in banca dati, pubblicato su cd nel 2000 e disponibile in rete dal 2006 (ALTweb).

L’Accademia nel 1994 per volontà di Giovanni Nencioni diede l’avvio al Vocabolario del fiorentino contemporaneo – di cui si è già accennato –, impresa diretta da Teresa Poggi Salani e coordinata da Neri Binazzi, che si innestò sulla strada tracciata dalla dialettologia toscana e segnatamente dall’ALT (Nencioni 1998), che a suo tempo era stato incoraggiato dallo stesso Nencioni. Questo vocabolario è una specie di Giorgini-Broglio dell'oggi (così si cita di solito il Nòvo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze), in cui, grazie al metodo d’indagine scelto, i contesti sono dati dai “racconti” dei testimoni tanto da avere appunto una particolare vivezza. A monte dell’indagine sul campo, si ha una ricognizione di testimonianze presenti in atlanti, testi di letteratura dialettale, dizionari. Fra quest’ultimi spicca, appunto, il Giorgini-Broglio (1870-1897) che si colloca sulla linea manzoniana e che, di fatto, testimonia il fiorentino parlato alla fine dell’Ottocento. Non contiene riferimenti o esempi da testi letterari, ma frasi che si rifanno all’uso così che il lemma si trovi collocato in un contesto “reale”. Lo scopo del Giorgini-Broglio è proporre un modello di lingua (si rinvia alla prefazione di Ghino Ghinassi che apre la ristampa anastatica del 1979), ma il suo lemmario diventa, per il VFC, la pietra di paragone per misurare il cambiamento del fiorentino nel tempo. Ma su questo punto, e sui i diversi aspetti del metodo adottato, si rinvia all’articolo Il vocabolario del fiorentino contemporaneo e, in particolare, al paragrafo Come abbiamo lavorato di Poggi Salani (2019, pp. 76-82).
Allora non è forse rivoluzionario un dizionario del parlato di Firenze, in quella dimensione che di fatto è dialettale?
Vorrei ora ricordare una data storica: nell’anno accademico 1966/67 Giacomelli tenne all’Università di Firenze il primo corso di Dialettologia italiana, proprio in quella città dove

la sicurezza nel possesso indiscusso della lingua e la consapevolezza che qui ha la sua origine caratterizzano i fiorentini e più in generale i toscani, che avvertono la differenza fra un “parlar male” e un “parlar bene” come gradi di un’unica lingua comunque italiana, quasi si trattasse soltanto di essere più o meno accurati nella scelta del comportamento adeguato alle diverse situazioni comunicative. (Nesi-Binazzi 2023, pp. XV-XVI)

Ma nel mondo accademico risuonano sicure e “pedagogiche” le parole di Gabriella Giacomelli:

La difficoltà nella distinzione tra lingua e dialetto è particolarmente notevole nel caso del lessico. Fonetica e morfologia sono state infatti incanalate da secoli in schemi normativi più o meno rigidi. Contravvenire a questi dicendo, secondo il tipo vernacolare fiorentino odierno i ffoho o le la mi disse, equivale a mettersi esplicitamente fuori dalla lingua nazionale. Ma nel campo del lessico una tale distinzione non è sempre facile: fattoio per «frantoio» e midolla per «mollica» sono parole riportate dai vocabolari italiani, insieme al rustico redo «vitello piccolo» (dal lat. herede) che è entrato anche nella poesia del Pascoli e del D'Annunzio. (Devoto-Giacomelli 1972: 69)

Del resto in una città e in una regione dove oggettivamente la lingua è a disposizione dei parlanti per “natura”, l’effettiva e nota prossimità fra lingua e dialetto genera una situazione atipica, rispetto alle altre regioni (a parte il caso della città di Roma), anche nell’opinione degli stessi parlanti. Così i fiorentini, testimoni del citato VFC, sostengono di usare un gergo, cioè ‘un modo di parlare’, o che fiorentinaccio, quando è aggettivo, designa ‘un modo d’essere’ e, quando è sostantivo, ‘un modo di parlare’, ambedue autentici. Così come scaciato è aggettivo che designa "il modo di parlare basso, fortemente connotato, verace" (VFC), come spiega un informatore a proposito della locuzione stare nei panni: "Unn’ istà più ne’ panni – guarda – un vede l’ora d’andare. Nei panni è propio fiorentino scaciato!" In generale, poi, secondo i toscani il dialetto lo hanno gli altri, gli altri italiani, e semmai riconoscono di avere un vernacolo, ossia una lingua colloquiale la cui diversità è sancita dal confronto con lo scritto.

Nella scrittura, con un sistema ortografico fissato su base fonologica, i toscani si riconoscono, anche se poi nella lettura continuano con le loro abitudini di pronuncia. Prendiamo il caso più che noto della spirantizzazione, conosciuta come gorgia, fenomeno di indebolimento, fino al dileguo, delle occlusive sorde e sonore in contesto vocale-consonante-vocale (primario o in fonosintassi) e, nello stesso contesto, le affricate palatali che passano a fricative. A fronte di qualche ipercorrettismo nella scrittura (stantio > stantico) o del tentativo di adeguamento all’italiano corretto nell’oralità (il citato stantico o il desueto Vicareggio > Viareggio), nella lettura ad alta voce si applica facilmente la spirantizzazione. È un tratto resistente, difficile da correggere se non con molto allenamento, soprattutto per i toscani di area centrale che anche in un registro alto di parlato possono realizzare occlusive e affricate palatali nel contesto citato (la hasa, la sciliesgia) con gradi diversi fino a una realizzazione da “fiorentino emendato”. Naturalmente giocano un ruolo l’accuratezza, il grado di formalità che la situazione richiede. L’oscillazione, in questa come in altre variabili, è legata in parte anche al livello culturale.

Con buona pace dei fiorentini e di tutti gli altri toscani, c’è una storia alle spalle del cammino intrapreso da Giacomelli che mostra come è stato lungo il percorso di accettazione dell’idea che in Toscana si potesse parlare di dialetto e di indagarlo puntualmente nei livelli fonetico e morfologico (a partire almeno da Agostiniani e Giannelli 1990, e poi altri a seguire) e lessicale (Giacomelli a partire dagli articoli fondanti del 1975 e altri a seguire). E un’attenta lettura del Questionario dell’ALT, soprattutto di quello destinato alla raccolta con l’apparato di suggerimenti ai raccoglitori, permette di capire l’ipotesi da verificare sul terreno, ossia la prefigurazione di un disegno areale abbozzato, intuito, che oggi possiamo seguire con i dati raccolti dalla banca dati in rete (ALTweb) e misurare anche nella variazione sociolinguistica. Già in Dialettologia toscana Giacomelli (1975a) indica le linee principali dell’assetto del lessico toscano, di fatto le linee sulle quali muovere per una ricerca che rompa con un’interpretazione monolitica della realtà linguistica della nostra regione e del suo rapporto con la lingua. In sintesi: si può avere coincidenza fra parola italiana e parola dialettale (bambino); le parole pantoscane (o di area fiorentina) non coincidono con lo standard attuale, ma possono avere una tradizione letteraria (gota ‘guancia’, al tocco ‘all’una’); certe parole dialettali, anche se corroborate da una qualche tradizione letteraria, sono uscite dall’uso o sono in regresso (desinare ‘pranzare’, fare a miccino ‘fare economia’); le parole considerate “regionali toscane” spesso sono di aree più ristrette e non hanno attestazione letteraria (aretino peglia e grossetano lappa ‘riccio della castagna). A quasi vent’anni di distanza, con le inchieste per l’ALT in via di conclusione  ̶ dunque su una ricca base di dati raccolti capillarmente  ̶  Giacomelli e Poggi Salani (1984/85) saggiano in Parole toscane le dinamiche interne al territorio regionale e il rapporto con le attestazioni in lingua di otto parole di ampia diffusione. Due di queste, acquaio ‘lavandino della cucina’ e sciocco ‘scarso di sale, riferito al cibo’, sono risposte a domande inserite più tardi anche nel questionario LinCi, applicato a partire dal 2000 (Nesi-Poggi Salani 2013a), e che, come si è già detto, è strutturato per indagare l’italiano di uso corrente. Luca Serianni prende in considerazione questi due “toscanismi” e aggiunge, sempre attingendo dai dati LinCi, cannella ‘rubinetto’, cencio ‘straccio’, popone ‘melone’ come risposte di quattro città scelte come rappresentative (Firenze, Pisa, Siena, Grosseto) e conclude:

E assai significativa la solidarietà tra le varie aree della Toscana attuale per quel che riguarda il lessico d’uso quotidiano: il dato, tanto più notevole in un’epoca di forte omologazione, testimonia dell’alto tasso di fedeltà che lega i Toscani al proprio patrimonio linguistico (la language loyalty dei sociolinguisti) ed emerge con chiarezza da un’importante ricerca condotta da Annalisa Nesi e Teresa Poggi Salani. (Serianni 2019, p. 30)

Passiamo ora a qualche esempio caratteristico di alcune varietà dialettali, tenendo presente che qui il gradiente di differenziazione interna ha valore basso rispetto ad altre regioni linguistiche, che si tratta di dialetti prossimi alla lingua per i noti fatti storico-linguistici, che non si può parlare di bilinguismo, ma piuttosto di una gestione di registri dove la "separazione è malcerta" (Calamai 2011). Ma a questa ultima considerazione di Silvia Calamai si deve aggiungere che la maggiore o minore sicurezza nella separazione dei registri, se da un lato si lega alla biografia linguistica del parlante, dall’altro si intreccia per la pronuncia alla consuetudine di tratti locali di maggiore o minore estensione diatopica, come abbiamo visto prima a proposito della lettura.

Da qui alla fine del paragrafo non si citano puntualmente i riferimenti bibliografici, ma si rinvia a Giannelli 2000; Poggi Salani, Nesi 2014; D’Achille 2019; Nesi 2019; Poggi Salani 2019. Quanto, ad esempio, alla morfologia verbale, il modello scolastico di lingua e la consuetudine alla lingua anche ascoltata giocano precocemente un ruolo primario nella separazione: pensiamo ad andonno per andarono, portonno per portarono, forme insieme rustiche e antiche, oppure eramo per eravamo del senese o comunque non fiorentino. Diversa è la gestione della 3a persona plurale dell’indicativo: dicano per dicono, leggano per leggono, scrivano per scrivono. La resistenza in situazioni colloquiali, non necessariamente basse, resiste soprattutto a Firenze e pensare che Edmondo De Amicis (1905) e Fedele Romani (1907), ai primi dello scorso secolo, avevano additato, fra gli altri, proprio questo tratto che discostava il fiorentino dall’italiano. La misura della resistenza ci è data dagli informatori della LinCi: nelle undici città toscane indagate il numero più alto di dichiarazioni d’uso (la proposta era vengono) è a Firenze, dove la forma è meno avvertita e, dunque, meno censurata. Per altri versi la sensibilità dei parlanti toscani oggi mostra un’inclinazione alle forme piene per un eloquio più accurato, così le forme usuali la mi’ mamma, i mi’ babbo, i’ mi’ figliolo (nelle aree che presentano questo tipo di sequenza) si allineano all’italiano (la mia mamma ecc.) e addirittura ad Arezzo la forma è dialettale a causa dell’articolo e del possessivo. Babbo non è certo messo in crisi, mentre figliolo resiste nel parlato corrente anche orientato all’italiano (non è da trascurare la connotazione affettiva), ma è certo che il confine è più complicato da definire nel lessico, che comunque, in certi casi, è oggetto di cambiamento. Ed ecco un caso che registra anche la posizione dei parlanti: il tocco per le ore tredici, chiosato toscano anche dai dizionari e di fatto pantoscano, resiste nelle città dov’è endemico, ma di rado è esclusivo. Gli informatori sono consapevoli del recente cambiamento e del fatto che l’una è un uso che si misura su una formalità non sempre dichiarata o sulla minor frequenza della forma condivisa dagli altri italiani. Addirittura assistiamo a giudizi che mostrano l’incrinarsi della sicurezza linguistica dei toscani: il tocco è, rispetto all’italiano, tipico e locale, non corretto, non compreso altrove.

Per quanto riguarda la Toscana linguistica, come si sa, ha contorni geografici diversi rispetto alla regione amministrativa, cioè occupa un’area meno ampia. Infatti dobbiamo subito escludere la Lunigiana a nord e la Romagna toscana a nord-est, nell’area appenninica della provincia di Firenze, che hanno dialetti di tipo settentrionale, così come, pur non escludendole, si deve rilevare che per le aree a sud e sud-est, amiatina e basso maremmana, è difficile stabilire un confine netto con i dialetti dell’Alto Lazio. Giannelli (2000) ripartisce il territorio in "zone d’influenza", cioè aree che hanno un centro egemone di riferimento, e al suo studio si rifanno sia Calamai (2011), sia Binazzi (2019: § 1.2), nel suo recente e approfondito saggio sulla Toscana linguistica. Mentre si rinvia agli autori citati e alle carte (disponibili in rete) per la descrizione delle porzioni di territorio che, pur presentando fenomeni comuni, hanno caratteri propri distintivi, si nominano le zone di influenza fiorentina, lucchese, pistoiese, pisano-livornese, senese, grossetana, aretina; sono da considerare zone di transizione le aree volterrana, massetana, piombinese che dalla costa si incuneano fra le zone pisano-livornese, fiorentina, senese e grossetana. Giannelli (1988) individua poi delle "parlate" che non hanno veri e propri centri egemoni: parlate alto-garfagnine, versiliesi e massese, parlate chianine (fondo senese), parlate casentinesi, parlate amiatine e basso-grossetane. Nell’Arcipelago distingue fra le parlate dell’isola dell’Elba, per le quali (in particolare per Portoferraio) si può vedere in Piombino un punto di riferimento per il cambiamento, e l’isola di Capraia, che definirei non semi-corso, ma di fondo capocorsino con interferenze liguri e toscane (Nesi in stampa).

 Per concludere vorrei richiamare una particolare iniziativa dell’Accademia della Crusca in occasione dei dieci anni dalla prima edizione “Piazza delle Lingue”: nel 2016 la “Piazza” è stata dedicata a "Firenze e la lingua italiana" e, inevitabilmente, pur restando centrale la “fiorentinità” per il ruolo di Firenze nella costruzione dell’italiano, il discorso ha coinvolto la toscanità intera. In particolar modo voglio ricordare che il compianto Luca Serianni, nel suo citato contributo, intitolato "Fiorentino e toscano", aveva sottolineato l’intercambiabilità in certi ambiti e lungo l’asse diacronico delle due denominazioni e aveva risposto alla domanda: "Ma qual è il grado di convergenza dei vari dialetti toscani fra loro e qual è la specificità del fiorentino?" La risposta è molto articolata, ma un punto è da rilevare: Serianni tiene conto del rapporto tra fiorentino e il resto della toscana linguistica nel suo mutare nel tempo, dando spazio all’oggi nel rapporto con l’italiano (Serianni 2019).

La Toscana è indirizzata verso un italiano locale, certe forme marcate vengono accantonate per andare verso la norma dell’italiano che qui è nato e fissato, come ben sappiamo, mentre nel parlato la situazione evolveva: pensiamo solo all’espansione della spirantizzazione da Firenze e dall’area centrale verso altre aree. Certo la Toscana è resistente e conservativa, ma i toscani, fiorentini compresi, tendono verso una uniformazione interna che comunque va verso la lingua, partecipano delle innovazioni e lentamente mutano, e in parte hanno mutato, la percezione del loro parlato, che, pur nella fedeltà alla tradizione, non viene sempre avvertito come lingua tout court.

Ora si può rispondere alla domanda posta nel titolo: In Toscana c’è il dialetto? Avrà connotati speciali, ma la risposta è sì.

 

* Il testo, qui con alcune modifiche, anticipa il contributo in corso di stampa negli atti del Convegno internazionale Italoellenica 2023, Dialetti e lingue altre in Grecia e in Italia, Università Nazionale e Kapodistrias, Atene (19-21 ottobre 2023).


Bibliografia:

  • Agostiniani-Giannelli 1990: Luciano Agostiniani, Luciano Giannelli, «Considerazioni per un’analisi del parlato toscano», in M.A. Cortelazzo e A.M. Mioni (a cura di), L’italiano regionale, Roma, Bulzoni, 219-237.
  • ALT 2000: Gabriella Giacomelli e altri: Atlante Lessicale Toscano (ALT). Roma, Lexis Progetti Editoriali (con cd-rom).
  • ALTweb: L’Atlante Lessicale Toscano in rete, http://serverdbt.ilc.cnr.it/altweb/.
  • Binazzi 2019: Neri Binazzi, Toscana, in R. Bauer e T. Krefeld (a cura di), Lo spazio comunicativo dell’Italia e delle varietà italiane. Toscana | Korpus im Text (uni-muenchen.de).
  • Calamai 2011: Silvia Calamai, «Toscani, dialetti», in Enciclopedia dell'Italiano, direttore R. Simone, comitato scientifico G. Berruto e P. D’Achille, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, in rete all’indirizzo https://www.treccani.it/enciclopedia/dialetti-toscani_(Enciclopedia-dell'Italiano)/.
  • D’Achille 2019: Paolo D'Achille, «Gli “errori” dei fiorentini» in Marazzini-Nesi 2019, 85-101.
  • De Amicis 1905: Edmondo De Amicis, L'idioma gentile, Milano, Treves.
  • Devoto-Giacomelli 1972: Giacomo Devoto, Gabriella Giacomelli, I dialetti delle regioni d’Italia, Firenze, Sansoni.
  • Ghinassi 1979: Ghino Ghinassi, Prefazione, in Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, ristampa anastatica dell’edizione 1870-1897, Firenze, Le Lettere.
  • Giacomelli 1975a: Gabriella Giacomelli, «Dialettologia toscana», AGI, LX, 179-191.
  • Giacomelli 1975b: Gabriella Giacomelli, «Aree lessicali toscane», La ricerca dialettale, I, 115-152.
  • Giacomelli-Poggi Salani 1984/85: Gabriella Giacomelli, Teresa Poggi Salani, «Parole toscane», QuadALT 2/3, 124-229.
  • Giacomelli 2002: Gabriella Giacomelli, «Italiano e toscano nell’ALT», in L’Accademia della Crusca per Giovanni Nencioni. Firenze, Le Lettere, 373-386.
  • Giannelli 1988: Luciano Giannelli, «Toskana», in G. Holtus, M. Metzeltin e C. Schmitt (a cura di), Lexikon der Romanistischen Linguistik, IV. Italienisch, Korsisch, Sardisch, Tübingen, Niemeyer, 594-606.
  • Giannelli 2000: Luciano Giannelli, Toscana. Pisa, Pacini [aggiornamento dell’edizione 1976].
  • Giorgini-Broglio 1870-1897: Giovan Battista Giorgini, Emilio Broglio, Novo vocabolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze. Firenze, Cellini.
  • Marazzini-Nesi 2019: Claudio Marazzini, Annalisa Nesi, a cura di, Firenze e la lingua italiana, Atti della Piazza delle lingue 2016. Firenze, Accademia della Crusca.
  • Nencioni 1998: Giovanni Nencioni, «Spigolature», La Crusca per voi, 16, 15-16.
  • Nesi 2008: Annalisa Nesi, «Mi pa' un pòle venì: ma il toscano non sarà qualcosa di più che un vernacolo?», La Crusca per voi, 36, 13.
  • Nesi 2013: Annalisa Nesi (a cura di), La lingua delle città. Raccolta di studi, Firenze, Cesati.
  • Nesi-Poggi Salani 2002: Annalisa Nesi, Teresa Poggi Salani, «La Toscana», in M. Cortelazzo e altri (a cura di), I dialetti italiani. Storia struttura uso. Torino, Utet, 414-451.
  • Nesi-Poggi Salani 2013a: Annalisa Nesi, Teresa Poggi Salani, La lingua delle città LinCi. La banca dati. Firenze, Accademia della Crusca (con dvd).
  • Nesi-Poggi Salani 2013b: Annalisa Nesi, Teresa Poggi Salani, «”La Lingua delle Città”. Che cos’è e a cosa serve» in Nesi 2013, 15-45.
  • Nesi-Binazzi 2023: Annalisa Nesi, Neri Binazzi, Parola mia! Viaggio in Toscana tra lingua e dialetto. La Repubblica-Accademia della Crusca. Ariccia (Roma), Puntoweb.
  • Poggi Salani 1992: Teresa Poggi Salani, «La Toscana», in F. Bruni (a cura di), L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali, Torino, Utet, 402-461.
  • Poggi Salani-Nesi 2014: Teresa Poggi Salani, Annalisa Nesi, «L’italiano attraverso le città. “La lingua delle città”: concludendo una ricerca», in E. Banfi e N. Maraschio (a cura di), Città d’Italia. Dinamiche linguistiche postunitarie, Atti del Convegno per i 50 anni della Storia linguistica dell’Italia unita di Tullio De Mauro, Firenze, 18-19 aprile 2013, Firenze, Accademia della Crusca, Società di Linguistica Italiana, 157-178.
  • Poggi Salani 2019: Teresa Poggi Salani, «Il vocabolario del fiorentino contemporaneo», in Marazzini - Nesi 2019, 71-83.
  • Romani 1907: Fedele Romani, Toscanismi, Firenze, Bemporad.
  • Serianni 2019: Luca Serianni, «Fiorentino e Toscano», in Marazzini - Nesi 2019, 23-41.
  • VFC: Vocabolario del fiorentino contemporaneo. www.vocabolario fiorentino.it.

Per inviare la richiesta è necessario autorizzare al trattamento dei propri dati personali secondo quanto riportato nella Informativa sulla Privacy *

Per inviare la richiesta è necessario avere almeno 14 anni *


Il tema corrente

In Toscana c’è il dialetto?

I dialetti sono stati più volte oggetto del Tema. In questa occasione Annalisa Nesi, accademica segretaria, invita a discutere sul dialetto in Toscana.

Archivio Temi

Mirko Tavoni

La competenza grammaticale è o non è importante per la comprensione dei testi? E quale competenza grammaticale?

L'Accademico Mirko Tavoni affronta il tema dell'insegnamento della grammatica a scuola e del suo rapporto con le effettive competenze linguistiche e metalinguistiche degli italiani.

Vittorio Coletti

Enfasi ed eufemismi negli usi linguistici attuali

L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.

Rita Librandi

Molte parole nascono ma poche crescono: chi lo decide?

La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.

Vai all'archivio

Agenda eventi

  Evento di Crusca

  Collaborazione di Crusca

  Evento esterno


Avvisi

Dalla parola al fumetto, dal fumetto alla parola

Avviso da Crusca

Partecipa alla realizzazione del piccolo glossario illustrato della lingua del fumetto!
Tutte le informazioni qui.

Vai alla sezione

Notizie dall'Accademia

Tornata accademica Giorgio Vasari: arte e lingua e Presentazione dei restauri della Villa medicea di Castello (13-14 dicembre 2024)

27 nov 2024

Progetto Le parole verdi - natura e ambiente - da Dante ai giorni nostri

01 gen 2025

CruscaScuola: Corso di formazione per i docenti a.s. 2024/2025 Leggere e comprendere i testi: riflessioni, strumenti e strategie didattiche

01 gen 2025

CruscaScuola: Un viaggio tra le parole. Il progetto per i docenti delle scuole secondarie di primo grado per l'a.s.2024/2025

01 gen 2025

L’Accademia della Crusca nomina otto nuovi Accademici

30 ott 2024

Scomparsa l'Accademica Ornella Castellani Pollidori

21 ott 2024

Dalla parola al fumetto, dal fumetto alla parola. Verso un piccolo glossario del fumetto e dell'illustrazione - Istruzioni per l’uso

01 gen 2025

L'Accademia della Crusca partecipa alla Bright Night dell'Università di Firenze

17 set 2024

Vai alla sezione