La competenza grammaticale è o non è importante per la comprensione dei testi? E quale competenza grammaticale?

di Mirko Tavoni

L'Accademico Mirko Tavoni affronta il tema dell'insegnamento della grammatica a scuola e del suo rapporto con le effettive competenze linguistiche e metalinguistiche degli italiani.


Scrivo queste pagine mentre i telegiornali rilanciano il 58° Rapporto Censis, dal quale apprendiamo che il 30% degli italiani non sa chi è Mazzini, il 32% afferma che la Cappella Sistina è stata dipinta da Giotto o da Leonardo, e non tutti sono convinti che Dante abbia scritto la Divina Commedia. Dunque “gli italiani sono ignoranti”: constatazione che fa serie con “gli studenti non capiscono quello che leggono”, come ci ripetono ogni anno tanto le rilevazioni nazionali Invalsi quanto le rilevazioni internazionali Ocse-Pisa; e con “gli studenti non sanno l’italiano”, come denunciava sette anni fa la cosiddetta Lettera dei seicento (ma vedi risposta di M.G. Lo Duca), con tutta la polemica scaturitane, dalle vaste implicazioni ideologiche, sociologiche, politiche e linguistiche.

Qui mi limito invece a toccare un argomento scolastico molto circoscritto: cioè se la grammatica che “si fa” – o forse “non si fa” – nella scuola secondaria abbia o non abbia conseguenze sulla migliore o peggiore comprensione dei testi: abilità, quest’ultima (Reading literacy), senza alcun dubbio di capitale importanza nei sistemi educativi di tutto il mondo.

Il tema è limitato, ma è un tassello tutt’altro che irrilevante di una questione educativa e sociale di ampia portata e, comunque la si valuti, piuttosto grave. Tutt’altro che irrilevante, perché sull’analfabetismo di ritorno agiscono tutti i fattori sociologici che conosciamo a iosa, ma conterà anche qualcosa come vengano spese le due o tre ore di scuola dedicate alla lingua, sulle sei complessive riservate all’“Italiano”, ogni settimana, da due milioni e mezzo di adolescenti nel pieno del loro sviluppo intellettuale, e replicate per tre anni (alle medie) più due (al biennio) della loro vita. Si tratta di una montagna di tempo e di energie, degli adolescenti e dei loro insegnanti. Se tutto questo tempo e tutte queste energie vengono messi a frutto meglio o peggio può fare una bella differenza, per la vita futura degli studenti e per la frustrazione o soddisfazione degli insegnanti.

Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, varate dal MIUR nel 2012, non danno tanta importanza alla grammatica, né in generale né in particolare per servire a comprendere i testi. Mettono giustamente in primo piano, nelle finalità dell’educazione linguistica, le “quattro abilità” – saper ascoltare, saper parlare, saper leggere, saper scrivere – che la scuola deve far acquisire agli studenti, all’insegna dell’inclusione sociale e della cittadinanza consapevole. Sulla grammatica, invece, nelle Indicazioni nazionali arriva l’onda lunga di una svalutazione iniziata cinquant’anni fa. Gli “Obiettivi di apprendimento al termine della classe terza della scuola secondaria di primo grado” (pp. 34-36), dopo aver elencato tutti gli obiettivi relativi ad “Ascolto e parlato”, “Lettura”, “Scrittura”, “Acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo”, da ultimo arrivano a “Elementi di grammatica esplicita e riflessione sugli usi della lingua”. E qui sono elencati dieci obiettivi, evidentemente in ordine di importanza, il primo dei quali è “Riconoscere ed esemplificare casi di variabilità della lingua”, seguito da altri obiettivi pure afferenti ai vari ambiti d’uso della lingua e ai vari tipi di testo, oltre che alla struttura del lessico, finché solo al sesto posto, a poche righe dalla fine del capitolo “Obiettivi”, compare “Riconoscere l’organizzazione logico-sintattica della frase semplice”.

L’interesse per i traguardi e gli obiettivi dati come prioritari ha preso un po’ la mano agli estensori delle Indicazioni, e li ha indotti a magnificare gli uni e gli altri in termini non molto realistici. Chi legga le pp. 34-36 delle Indicazioni converrà che una percentuale molto piccola della popolazione italiana adulta sa fare anche solo una parte di tutte le cose che queste e questi quattordicenni dovrebbero saper fare alla fine della terza media: dall’Ascolto e parlato (“Narrare esperienze, eventi, trame selezionando informazioni significative in base allo scopo, ordinandole in base a un criterio logico-cronologico, esplicitandole in modo chiaro ed esauriente e usando un registro adeguato all’argomento e alla situazione”) alla Lettura (“Leggere testi letterari di vario tipo e forma (racconti, novelle, romanzi, poesie, commedie) individuando tema principale e intenzioni comunicative dell’autore; personaggi, loro caratteristiche, ruoli, relazioni e motivazione delle loro azioni; ambientazione spaziale e temporale; genere di appartenenza”), alla Scrittura (“Scrivere testi di forma diversa (ad es. istruzioni per l’uso, lettere private e pubbliche, diari personali e di bordo, dialoghi, articoli di cronaca, recensioni, commenti, argomentazioni) sulla base di modelli sperimentati, adeguandoli a situazione, argomento, scopo, destinatario, e selezionando il registro più adeguato”). E queste sono solo un assaggio di tutte le competenze elencate.

Viceversa, le competenze grammaticali sono poca cosa. Dopo “Riconoscere l’organizzazione logico-sintattica della frase semplice”, visto sopra, e prima di “Riconoscere in un testo le parti del discorso, o categorie lessicali, e i loro tratti grammaticali” (all’ottavo posto: ma non era più logico metterlo prima?), al settimo posto c’è “Riconoscere la struttura e la gerarchia logico-sintattica della frase complessa almeno a un primo grado di subordinazione”. Cioè possiamo immaginare un’insegnante o un insegnante delle medie che dice alla classe: “Prendiamo la frase Ha detto che ci va perché ne ha voglia. Ragazzi, perché ne ha voglia è troppo difficile per voi: questo lo studierete alle superiori”. Evidentemente, le Indicazioni nazionali assumono che anche se non sanno riconoscere frasi subordinate ardue come perché ne ha voglia i ragazzi di terza media saranno capaci di “padroneggiare e applicare in situazioni diverse le conoscenze fondamentali relative al lessico, alla morfologia, all’organizzazione logico-sintattica della frase semplice e complessa, ai connettivi testuali; utilizzare le conoscenze metalinguistiche per comprendere con maggior precisione i significati dei testi e per correggere i propri scritti” (p. 34), ecc. ecc.

Rileggendo quanto ho scritto finora sento il bisogno di dire subito, a scanso di equivoci, una cosa, che riprenderò meglio alla fine: non sono affatto un laudator temporis acti. Andiamo avanti.

Per verificare se le competenze morfologiche, sintattiche e attinenti alla linguistica del testo siano più o meno utili a comprendere testi, le prove Invalsi ci mettono a disposizione un materiale eccellente, cioè le 349 domande, molto ben strutturate, relative alla “Comprensione del testo” alla fine della secondaria di primo grado, e le 381 alla fine del primo biennio della secondaria di secondo grado, erogate a circa mezzo milione di studenti delle medie e altrettanti del biennio ogni anno fra il 2010 e il 2017. Il tutto consultabile nel portale Gestinv 3.0. Archivio interattivo delle prove Invalsi.

Per fare un’indagine abbastanza contenuta sulle domande delle medie, ho selezionato tre campioni, di una trentina circa di domande ciascuno, in base alle percentuali di successo nelle risposte: a un estremo quelle che hanno ottenuto più del 90% di risposte corrette; all’estremo opposto quelle che hanno ottenuto meno del 50% di risposte corrette; e in posizione intermedia quelle che hanno ottenuto fra il 65 e il 70% di risposte corrette. Sono tre campioni che ciascuno può ricreare nel portale Gestinv > Prove di Italiano > Ricerca guidata, selezionando Grado = 08 (cioè 8 anni di scolarità = 3a media); poi Tipologia sezione = Comprensione del testo; poi Perc. risposte corrette = 90, ovvero > 65 e < 70, ovvero > 50.

Ho classificato le 87 domande così ottenute in funzione del fatto che, per rispondere correttamente: A) non fosse necessaria nessuna particolare competenza metalinguistica; B) fosse necessaria una competenza lessicale; C) fosse necessaria una competenza morfologica, sintattica e/o linguistico-testuale. Naturalmente la classificazione in A, B o C ha un margine di soggettività; ma non, credo, un margine ampio, come chiunque può verificare, o falsificare, rifacendo da sé l’esperimento.

Così, incrociando le tre fasce per percentuale di successo con le tre colonne per tipo di competenza, ho ottenuto una tabella a 9 caselle, che a me risulta popolata con questi numeri:


La distribuzione dei valori nella tabella è talmente sbilanciata che ci basterà la sua auto-evidenza. Ma se, per scrupolo, richiedessimo una conferma statistica, il test del Chi-quadro ci direbbe che questa distribuzione ha una probabilità di essersi prodotta per caso molto inferiore a una su mille. Dunque deve esistere una ragione che spieghi perché si è prodotta.

E la ragione è che le competenze metalinguistiche, e in particolare grammaticali in senso lato, discriminano molto la popolazione studentesca: le domande a cui praticamente tutti gli studenti sanno rispondere sono tutte domande che non richiedono nessuna competenza metalinguistica. Ma chi si trova in questa condizione deve accontentarsi di cogliere solo ciò che il testo dice esplicitamente, direttamente e a chiare lettere, anzi a lettere cubitali. All’opposto, le domande a cui pochi studenti (addirittura meno della metà) sanno rispondere sono in grande maggioranza domande che richiedono competenze metalinguistiche, e in particolare grammaticali in senso lato. In altre parole, la mancanza o scarsità di competenze metalinguistiche limita drasticamente la capacità di comprendere i testi in modo preciso e approfondito, di cogliere informazione implicita, di trarre inferenze, di focalizzare quale sia l’intenzione comunicativa. E con ciò, possiamo dire, limita drasticamente la possibilità di godere di cittadinanza linguistica piena.

Ma gli esempi faranno percepire meglio. Di ciascuno do, tra parentesi, la percentuale esatta di risposte corrette: che da sola basta a ritrovare l’esempio nel corpus consultabile online, per chi desideri farsi la propria idea direttamente sui dati. Chi invece vuole esimersi dalla documentazione minuta può saltare alla pagina successiva.

Competenze lessicali

Casella II.B. 1) Scegliere l’espressione equivalente al rumorino di cui parla il racconto (66,9%). 2) Scegliere l’espressione equivalente all’espressione intero sensato del racconto (69,6%). 3) Scegliere l’espressione equivalente alla frase L’estate sanciva una tregua ai nostri bisticci del racconto (69,5%). 4) Significato dell’aggettivo facoltoso usato nel racconto (69%). 5) Significato dell’espressione barcolliamo usata in senso figurato (69,1%). 6) Scegliere l’aggettivo che definisce un racconto in cui, come in questo, “io narrante” e autore sono la stessa persona (autobiografico) (69,2%). 7) Scegliere quali frasi del testo hanno una funzione regolativa (67,5%).

Casella III.B. 1) Trovare nel racconto due sinonimi di destino (Sorte e Fato) (32%). 2) Riconoscere due sinonimi fra i quattro aggettivi presenti nel racconto arguto, gioviale, estatico e rapito (36%). 3) Significato dell’espressione torva spazzola rossa del testo (40,4%). 4) Significato della coppia di aggettivi rustica ma linda attribuita alla cucina dove avviene l’incontro descritto dal racconto (44,8%). 5) Spiegazione della definizione della pubblicità come ossigeno del capitalismo (significato figurato di ossigeno) (46,4%). 6) Perché l’ora legale si chiama così? (47,7%).

Competenze morfologiche, sintattiche e/o linguistico-testuali

Casella II.C. 1) Scegliere l’espressione equivalente al participio adattatisi nell’espressione adattatisi a ruoli molto particolari al r. 5 del testo (possibili valori delle frasi participiali) (67,1%). 2) Rispondere a una domanda che implica aver capito esattamente il significato, veicolato dalla sintassi, di un capoverso costituito da due frasi complesse (67%). 3) Rispondere a una domanda che implica aver capito esattamente il significato, veicolato dalla sintassi, di un capoverso costituito da tre frasi complesse (66,9%). 4) Significato del connettivo mentre al r. 19 del testo (69,6%). 5) Giudicare se sono vere o false, sulla base del testo espositivo e della relativa illustrazione, otto affermazioni (capacità di gestire informazione combinata testuale e grafica) (68,3%). 6) Abbinare 4 titoli ai 4 capoversi del testo, rispettandone la successione logico-cronologica (68,6%). 7) Scegliere tra 4 frasi quale definisce le caratteristiche del racconto in esame (65,5%).

Casella III.C. 1) Esempio molto significativo. È richiesto di individuare le tre parti, “corrispondenti a momenti diversi della vita del protagonista”, nelle quali è suddiviso il racconto (le tre parti sono di per sé facilmente individuabili). Con l’aggiunta: “Ciascuna parte si distingue anche per l’uso di un tempo verbale prevalente: indica quale”. I tre tempi sono, con grandissima evidenza, imperfetto, passato remoto e presente, e la loro successione esemplifica perfettamente i valori aspettuali di imperfetto, tempo dello sfondo, e passato remoto, tempo degli eventi, costitutivi dei testi narrativi. Ma sembra che l’ulteriore indizio non abbia facilitato, bensì reso più difficile, la risposta (impressionante la percentuale di risposte corrette: 12,24%). 2) Individuare i rapporti logici in sequenze di affermazione - obiezione - risposta alla obiezione (capacità di padroneggiare meccanismi argomentativi  che implicano l’adeguata comprensione di una serie di frasi) (37,8%). 3) Individuare l’antecedente di ne nella frase nel contempo non ne ha stimolato… al rigo 8 del testo (39,7%). 4) Scegliere quale di 3 frasi spiega perché le piante tropicali sono sempreverdi sulla base dell’informazione veicolata dalla frase complessa dei righi 6-11 (43,7%). 5) Scegliere quale di 3 frasi individua a che momento del passato si riferisce l’espressione fino all’altro ieri (rigo 5), il che implica l’esatta comprensione del significato della frase complessa dei righi 5-8 (47,2%). 6) Scegliere quale di 4 frasi spiega perché una decisione del New York Times è definita saggia (rigo 12), il che  implica l’esatta comprensione della gerarchia e dei rapporti logici fra le tre frasi dei righi 10-15 (48,3%). 7) Individuare il tempo verbale (l’imperfetto) che il testo usa per narrare di “situazioni e fatti che si ripetono più volte nel passato” (48,8%). 8) Dire se il protagonista del racconto e chi l’ha scritto sono la stessa persona, il che richiede una pur minima attitudine ad accorgersi di segnali testuali evidenti (abbastanza impressionante la percentuale di risposte corrette, 25,2%, visto che il protagonista è un ragazzo algerino e l’autrice che si firma è una donna italiana). 9) Domanda di carattere interpretativo che richiede di aver capito l’intenzione comunicativa implicita del narratore (31,6%). 10) Domanda che richiede capacità di interpretare congiuntamente testo e grafica di un testo espositivo (35,5%). 11) Collocare quattro sintagmi nominali, che identificano quattro fenomeni attinenti allo sviluppo demografico, al punto giusto in uno schema che visualizza le relazioni logiche che li collegano (35,8%). 12) In un testo espositivo corredato da illustrazione sul confronto fra lettura a stampa e digitale, abbinare correttamente operazioni mentali e corrispondenti caratteristiche del libro cartaceo (36,3%). 13) Scegliere tra quattro  frasi quella che definisce la finalità comunicativa del narratore (39%). 14)  Trovare nel testo espositivo la frase che risponde alla domanda che il testo si poneva all’inizio (non sorprendentemente, è l’ultima frase del testo) (45,4%). 15) Completare con le parole appropriate tre frasi che dichiarano punti di vista diversi sul confronto fra lettura a stampa e digitale (49%). 16) Individuare, sulla base di precisi indizi, a quale anno del ginnasio-liceo si colloca il protagonista-narratore del racconto (42%).

Conclusione, dal mio punto di vista. Sono convinto che le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica  del GISCEL (1975) avessero ragione a criticare severamente la “pedagogia linguistica tradizionale”, cioè la grammatica che si insegnava allora a scuola. Ed era anche molto difficile, allora e diciamo nei venti anni successivi, individuare un paradigma grammaticale sostitutivo e riuscire a farlo accettare dal mercato scolastico, come alcuni tentarono generosamente di fare senza successo. Ma il risultato di questa lunga storia è che la grammatica scolastica, per quanto migliorata nella capacità di descrivere finemente la norma e l’uso, è rimasta immutata –  a parte limitate iniezioni di grammatica valenziale – nell’impostazione teorica sottostante, cioè nella obsoleta routine di analisi grammaticale, analisi logica, analisi del periodo, e annesse inerti tassonomie. Appunto il tipo di grammatica che non serve granché a capire i testi. E le parti aggiuntive al corpo centrale della grammatica (comunicazione, quattro abilità, varietà della lingua, ecc.), che all’inizio si erano prese il 40% dei manuali (rendendoli ipertrofici, perché la grammatica non era dimagrita), negli ultimi anni si stanno riducendo a zero. Cioè, dopo cinquant’anni, l’educazione linguistica, nei manuali, torna a identificarsi totalmente nella grammatica, che nell’impianto teorico è la stessa di allora. Noi docenti universitari di Linguistica italiana abbiamo la responsabilità di non aver insegnato ai futuri insegnanti istituzioni di grammatica italiana scientificamente aggiornate. Sarebbe ora, finalmente, che riuscissimo a mettere a loro disposizione uno strumento didattico che rendesse possibile fare le cose fondamentali che andrebbero fatte a scuola, come la linguistica moderna ci ha insegnato da almeno trent’anni, e che costituirebbero anche l’introduzione ottimale alla comprensione dei testi. E cioè, in discontinuità con il conformismo mimetico dell’editoria scolastica, analizzare la frase in sintagmi (davvero, non per finta), distinguere il livello sintattico dal livello semantico e dal livello informativo, riconoscere la struttura argomentale non solo dei verbi, far vedere cosa è la deissi, ecc. ecc. Il tutto partendo, come nessun manuale ha mai fatto, dalla competenza nativa degli studenti, dalla lingua italiana funzionante nelle loro menti, facendoli passare davvero dalla “grammatica implicita” alla “grammatica esplicita”, cosa che le Indicazioni nazionali raccomandano agli insegnanti di fare (p. 30) senza dare loro la minima indicazione su come farlo.

Se riuscissimo a fare questo avremmo finalmente voltato pagina.

Cristiana De Santis
16 dicembre 2024 - 00:00
Leggo, in un volume appena uscito per Franco Cesati (Il domani dell'educazione linguistica democratica, a c. di S. Ferreri e S. Loiero), una frase che mi sembra sintetizzare bene il clima culturale di un'epoca (gli anni Settanta) che sembra irripetibile e decisiva a chi la visse: da lì sarebbe nato tutto il bene e tutto il male della scuola italiana. In quegli anni, però, sono nate anche persone che oggi sentono il bisogno di storicizzarla, quell'epoca. "Le Dieci tesi sono nate da un'esigenza primaria : mettere a disposizione degli insegnanti nella forma più concisa possibile argomenti di riflessione che nascevano sia dall'osservazione del mediocre stato dell'educazione linguistica nelle scuole, soprattutto le nostre italiane, sia dell'elaborazione dei risultati dello sviluppo della linguistica e del pensiero teorico avvenuto nel Novecento". La frase è di Tullio De Mauro e si trova a p. 36. Poche pagine prima Maria Luisa Altieri Biagi ricordava come nel 1973 "un noto pedagogista e preside di facoltà si opponeva alla chiamata di un collega (uno storico della lingua italiana, da lui personalmente stimato) perché questa disciplina - nelle facoltà di Magistero - assumeva l'ignobile titolo di "Storia della lingua e della grammatica italiana". Ignobile, agli occhi del preside, era l'inserimento della parola "grammatica", che sembrava gettare discredito sull'intero insegnamento. Questo accadeva a Bologna, dove nel 1980 sarebbe nato il primo insegnamento di Didattica dell'italiano. Questo per ricordare che del clima di un'epoca non sono mai responsabili i singoli, anche se alcuni singoli a volte hanno la forza e il coraggio di cambiare le cose. Quando si tratta di singole, tuttavia, non sempre questo debito (e l'autorità che ne deriva) viene loro riconosciuto. Parlo di Maria Luisa Altieri Biagi (scomparsa nel 2017: l'intervento sopra citato risale a un convegno del 2015), ma non solo. In una riedizione della sua fortunata grammatica ("L'italiano dai testi", 1999) scriveva: "Fino a ieri, una Grammatica poteva limitarsi a far riflettere su una lingua; oggi deve contribuire a insegnarla, anche se siamo consapevoli che non si ottiene 'per grammatica' quello che si ottiene per esercizio reale di lingua". La proposta di Altieri Biagi consisteva nell'osservare i testi: testi veri, non frasette inventate dall'autore della grammatica. La sua grammatica "dal" testo (che comprendeva anche la grammatica "del" testo) ha fatto scuola per chi ha avuto la fortuna di incontrarla sui banchi, nei corsi di formazione, nelle sue lezioni universitarie. Questo accadeva mentre le grammatiche di impianto più o meno generativo uscite negli anni Ottanta e Novanta andavano al macero dopo il primo anno di vita. Ma c'è un'altra esperienza che, dagli anni Ottanta, continua a dare i suoi frutti: quella degli "esperimenti grammaticali" di Maria G. Lo Duca, apparsi prima a puntate sulla rivista "Italiano e oltre" e poi in volume (da ultimo per Carocci, che li ha ripubblicati nel 2004 e li ha ancora in catalogo, arrivati al 2024 lla 22a ristampa). Basati sulla grammatica implicita (cioè sulla conoscenza spontanea della lingua), e sul metodo laboratoriale (cioè sull'osservazione guidata di dati linguistici autentici), portano alla scoperta delle regole e alla loro consapevole definizione e applicazione. I libri di grammatica ispirati a quel metodo (scritti da Lo Duca con Rosaria Solarino) non ebbero il successo che avrebbero meritato, ma gli esperimenti hanno continuato a nutrire le migliori pratiche di riflessione grammaticale della scuola italiana (in particolare nella scuola primaria, alla quale Lo Duca ha dedicato un volume fortunato uscito nel 2018 sempre per Carocci: Viaggio nella grammatica). Dobbiamo a Lo Duca anche un recente "Dizionario di base della grammatica italiana" che ha il merito di mettere a disposizione degli insegnanti uno strumento agile in grado di aggiornarli sui concetti nuovi che si sono imposti (con le relative denominazioni) nella disciplina (deissi, sintagma, connettivo ecc.). Ma, soprattutto, dobbiamo a Lo Duca il "Quadro di riferimento delle prove INValSI dell'italiano" (2013 e 2018), in cui questi concetti si ritrovano spiegati. Se queste prove stanno, sia pur lentamente, riorientando la riflessione grammaticale a scuola, lo dobbiamo all'intelligente lavoro del gruppo da lei coordinato fino ad alcuni anni fa. Dobbiamo a lei anche le più lucide riflessioni sulla presenza della grammatica in quelli che un tempo si chiamavano Programmi scolastici e oggi si chiamano "Indicazioni nazionali per lo sviluppo del curricolo" (indicazioni volutamente generiche in nome dell'autonomia scolastica che lascia ai diversi istituti comprensivi il compito di sviluppare curricoli per la scuola di base: dall'infanzia alla secondaria di primo grado). Insomma: a leggere le opere delle grammatiche (intese come persone) c'è molto da imparare. Lì ci sono semi che danno ancora frutti, senza bisogno di fare terra bruciata.

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