La competenza grammaticale è o non è importante per la comprensione dei testi? E quale competenza grammaticale?

di Mirko Tavoni

L'Accademico Mirko Tavoni affronta il tema dell'insegnamento della grammatica a scuola e del suo rapporto con le effettive competenze linguistiche e metalinguistiche degli italiani.


Scrivo queste pagine mentre i telegiornali rilanciano il 58° Rapporto Censis, dal quale apprendiamo che il 30% degli italiani non sa chi è Mazzini, il 32% afferma che la Cappella Sistina è stata dipinta da Giotto o da Leonardo, e non tutti sono convinti che Dante abbia scritto la Divina Commedia. Dunque “gli italiani sono ignoranti”: constatazione che fa serie con “gli studenti non capiscono quello che leggono”, come ci ripetono ogni anno tanto le rilevazioni nazionali Invalsi quanto le rilevazioni internazionali Ocse-Pisa; e con “gli studenti non sanno l’italiano”, come denunciava sette anni fa la cosiddetta Lettera dei seicento (ma vedi risposta di M.G. Lo Duca), con tutta la polemica scaturitane, dalle vaste implicazioni ideologiche, sociologiche, politiche e linguistiche.

Qui mi limito invece a toccare un argomento scolastico molto circoscritto: cioè se la grammatica che “si fa” – o forse “non si fa” – nella scuola secondaria abbia o non abbia conseguenze sulla migliore o peggiore comprensione dei testi: abilità, quest’ultima (Reading literacy), senza alcun dubbio di capitale importanza nei sistemi educativi di tutto il mondo.

Il tema è limitato, ma è un tassello tutt’altro che irrilevante di una questione educativa e sociale di ampia portata e, comunque la si valuti, piuttosto grave. Tutt’altro che irrilevante, perché sull’analfabetismo di ritorno agiscono tutti i fattori sociologici che conosciamo a iosa, ma conterà anche qualcosa come vengano spese le due o tre ore di scuola dedicate alla lingua, sulle sei complessive riservate all’“Italiano”, ogni settimana, da due milioni e mezzo di adolescenti nel pieno del loro sviluppo intellettuale, e replicate per tre anni (alle medie) più due (al biennio) della loro vita. Si tratta di una montagna di tempo e di energie, degli adolescenti e dei loro insegnanti. Se tutto questo tempo e tutte queste energie vengono messi a frutto meglio o peggio può fare una bella differenza, per la vita futura degli studenti e per la frustrazione o soddisfazione degli insegnanti.

Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, varate dal MIUR nel 2012, non danno tanta importanza alla grammatica, né in generale né in particolare per servire a comprendere i testi. Mettono giustamente in primo piano, nelle finalità dell’educazione linguistica, le “quattro abilità” – saper ascoltare, saper parlare, saper leggere, saper scrivere – che la scuola deve far acquisire agli studenti, all’insegna dell’inclusione sociale e della cittadinanza consapevole. Sulla grammatica, invece, nelle Indicazioni nazionali arriva l’onda lunga di una svalutazione iniziata cinquant’anni fa. Gli “Obiettivi di apprendimento al termine della classe terza della scuola secondaria di primo grado” (pp. 34-36), dopo aver elencato tutti gli obiettivi relativi ad “Ascolto e parlato”, “Lettura”, “Scrittura”, “Acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo”, da ultimo arrivano a “Elementi di grammatica esplicita e riflessione sugli usi della lingua”. E qui sono elencati dieci obiettivi, evidentemente in ordine di importanza, il primo dei quali è “Riconoscere ed esemplificare casi di variabilità della lingua”, seguito da altri obiettivi pure afferenti ai vari ambiti d’uso della lingua e ai vari tipi di testo, oltre che alla struttura del lessico, finché solo al sesto posto, a poche righe dalla fine del capitolo “Obiettivi”, compare “Riconoscere l’organizzazione logico-sintattica della frase semplice”.

L’interesse per i traguardi e gli obiettivi dati come prioritari ha preso un po’ la mano agli estensori delle Indicazioni, e li ha indotti a magnificare gli uni e gli altri in termini non molto realistici. Chi legga le pp. 34-36 delle Indicazioni converrà che una percentuale molto piccola della popolazione italiana adulta sa fare anche solo una parte di tutte le cose che queste e questi quattordicenni dovrebbero saper fare alla fine della terza media: dall’Ascolto e parlato (“Narrare esperienze, eventi, trame selezionando informazioni significative in base allo scopo, ordinandole in base a un criterio logico-cronologico, esplicitandole in modo chiaro ed esauriente e usando un registro adeguato all’argomento e alla situazione”) alla Lettura (“Leggere testi letterari di vario tipo e forma (racconti, novelle, romanzi, poesie, commedie) individuando tema principale e intenzioni comunicative dell’autore; personaggi, loro caratteristiche, ruoli, relazioni e motivazione delle loro azioni; ambientazione spaziale e temporale; genere di appartenenza”), alla Scrittura (“Scrivere testi di forma diversa (ad es. istruzioni per l’uso, lettere private e pubbliche, diari personali e di bordo, dialoghi, articoli di cronaca, recensioni, commenti, argomentazioni) sulla base di modelli sperimentati, adeguandoli a situazione, argomento, scopo, destinatario, e selezionando il registro più adeguato”). E queste sono solo un assaggio di tutte le competenze elencate.

Viceversa, le competenze grammaticali sono poca cosa. Dopo “Riconoscere l’organizzazione logico-sintattica della frase semplice”, visto sopra, e prima di “Riconoscere in un testo le parti del discorso, o categorie lessicali, e i loro tratti grammaticali” (all’ottavo posto: ma non era più logico metterlo prima?), al settimo posto c’è “Riconoscere la struttura e la gerarchia logico-sintattica della frase complessa almeno a un primo grado di subordinazione”. Cioè possiamo immaginare un’insegnante o un insegnante delle medie che dice alla classe: “Prendiamo la frase Ha detto che ci va perché ne ha voglia. Ragazzi, perché ne ha voglia è troppo difficile per voi: questo lo studierete alle superiori”. Evidentemente, le Indicazioni nazionali assumono che anche se non sanno riconoscere frasi subordinate ardue come perché ne ha voglia i ragazzi di terza media saranno capaci di “padroneggiare e applicare in situazioni diverse le conoscenze fondamentali relative al lessico, alla morfologia, all’organizzazione logico-sintattica della frase semplice e complessa, ai connettivi testuali; utilizzare le conoscenze metalinguistiche per comprendere con maggior precisione i significati dei testi e per correggere i propri scritti” (p. 34), ecc. ecc.

Rileggendo quanto ho scritto finora sento il bisogno di dire subito, a scanso di equivoci, una cosa, che riprenderò meglio alla fine: non sono affatto un laudator temporis acti. Andiamo avanti.

Per verificare se le competenze morfologiche, sintattiche e attinenti alla linguistica del testo siano più o meno utili a comprendere testi, le prove Invalsi ci mettono a disposizione un materiale eccellente, cioè le 349 domande, molto ben strutturate, relative alla “Comprensione del testo” alla fine della secondaria di primo grado, e le 381 alla fine del primo biennio della secondaria di secondo grado, erogate a circa mezzo milione di studenti delle medie e altrettanti del biennio ogni anno fra il 2010 e il 2017. Il tutto consultabile nel portale Gestinv 3.0. Archivio interattivo delle prove Invalsi.

Per fare un’indagine abbastanza contenuta sulle domande delle medie, ho selezionato tre campioni, di una trentina circa di domande ciascuno, in base alle percentuali di successo nelle risposte: a un estremo quelle che hanno ottenuto più del 90% di risposte corrette; all’estremo opposto quelle che hanno ottenuto meno del 50% di risposte corrette; e in posizione intermedia quelle che hanno ottenuto fra il 65 e il 70% di risposte corrette. Sono tre campioni che ciascuno può ricreare nel portale Gestinv > Prove di Italiano > Ricerca guidata, selezionando Grado = 08 (cioè 8 anni di scolarità = 3a media); poi Tipologia sezione = Comprensione del testo; poi Perc. risposte corrette > 90, ovvero > 65 e < 70, ovvero < 50.

Ho classificato le 87 domande così ottenute in funzione del fatto che, per rispondere correttamente: A) non fosse necessaria nessuna particolare competenza metalinguistica; B) fosse necessaria una competenza lessicale; C) fosse necessaria una competenza morfologica, sintattica e/o linguistico-testuale. Naturalmente la classificazione in A, B o C ha un margine di soggettività; ma non, credo, un margine ampio, come chiunque può verificare, o falsificare, rifacendo da sé l’esperimento.

Così, incrociando le tre fasce per percentuale di successo con le tre colonne per tipo di competenza, ho ottenuto una tabella a 9 caselle, che a me risulta popolata con questi numeri:


La distribuzione dei valori nella tabella è talmente sbilanciata che ci basterà la sua auto-evidenza. Ma se, per scrupolo, richiedessimo una conferma statistica, il test del Chi-quadro ci direbbe che questa distribuzione ha una probabilità di essersi prodotta per caso molto inferiore a una su mille. Dunque deve esistere una ragione che spieghi perché si è prodotta.

E la ragione è che le competenze metalinguistiche, e in particolare grammaticali in senso lato, discriminano molto la popolazione studentesca: le domande a cui praticamente tutti gli studenti sanno rispondere sono tutte domande che non richiedono nessuna competenza metalinguistica. Ma chi si trova in questa condizione deve accontentarsi di cogliere solo ciò che il testo dice esplicitamente, direttamente e a chiare lettere, anzi a lettere cubitali. All’opposto, le domande a cui pochi studenti (addirittura meno della metà) sanno rispondere sono in grande maggioranza domande che richiedono competenze metalinguistiche, e in particolare grammaticali in senso lato. In altre parole, la mancanza o scarsità di competenze metalinguistiche limita drasticamente la capacità di comprendere i testi in modo preciso e approfondito, di cogliere informazione implicita, di trarre inferenze, di focalizzare quale sia l’intenzione comunicativa. E con ciò, possiamo dire, limita drasticamente la possibilità di godere di cittadinanza linguistica piena.

Ma gli esempi faranno percepire meglio. Di ciascuno do, tra parentesi, la percentuale esatta di risposte corrette: che da sola basta a ritrovare l’esempio nel corpus consultabile online, per chi desideri farsi la propria idea direttamente sui dati. Chi invece vuole esimersi dalla documentazione minuta può saltare alla pagina successiva.

Competenze lessicali

Casella II.B. 1) Scegliere l’espressione equivalente al rumorino di cui parla il racconto (66,9%). 2) Scegliere l’espressione equivalente all’espressione intero sensato del racconto (69,6%). 3) Scegliere l’espressione equivalente alla frase L’estate sanciva una tregua ai nostri bisticci del racconto (69,5%). 4) Significato dell’aggettivo facoltoso usato nel racconto (69%). 5) Significato dell’espressione barcolliamo usata in senso figurato (69,1%). 6) Scegliere l’aggettivo che definisce un racconto in cui, come in questo, “io narrante” e autore sono la stessa persona (autobiografico) (69,2%). 7) Scegliere quali frasi del testo hanno una funzione regolativa (67,5%).

Casella III.B. 1) Trovare nel racconto due sinonimi di destino (Sorte e Fato) (32%). 2) Riconoscere due sinonimi fra i quattro aggettivi presenti nel racconto arguto, gioviale, estatico e rapito (36%). 3) Significato dell’espressione torva spazzola rossa del testo (40,4%). 4) Significato della coppia di aggettivi rustica ma linda attribuita alla cucina dove avviene l’incontro descritto dal racconto (44,8%). 5) Spiegazione della definizione della pubblicità come ossigeno del capitalismo (significato figurato di ossigeno) (46,4%). 6) Perché l’ora legale si chiama così? (47,7%).

Competenze morfologiche, sintattiche e/o linguistico-testuali

Casella II.C. 1) Scegliere l’espressione equivalente al participio adattatisi nell’espressione adattatisi a ruoli molto particolari al r. 5 del testo (possibili valori delle frasi participiali) (67,1%). 2) Rispondere a una domanda che implica aver capito esattamente il significato, veicolato dalla sintassi, di un capoverso costituito da due frasi complesse (67%). 3) Rispondere a una domanda che implica aver capito esattamente il significato, veicolato dalla sintassi, di un capoverso costituito da tre frasi complesse (66,9%). 4) Significato del connettivo mentre al r. 19 del testo (69,6%). 5) Giudicare se sono vere o false, sulla base del testo espositivo e della relativa illustrazione, otto affermazioni (capacità di gestire informazione combinata testuale e grafica) (68,3%). 6) Abbinare 4 titoli ai 4 capoversi del testo, rispettandone la successione logico-cronologica (68,6%). 7) Scegliere tra 4 frasi quale definisce le caratteristiche del racconto in esame (65,5%).

Casella III.C. 1) Esempio molto significativo. È richiesto di individuare le tre parti, “corrispondenti a momenti diversi della vita del protagonista”, nelle quali è suddiviso il racconto (le tre parti sono di per sé facilmente individuabili). Con l’aggiunta: “Ciascuna parte si distingue anche per l’uso di un tempo verbale prevalente: indica quale”. I tre tempi sono, con grandissima evidenza, imperfetto, passato remoto e presente, e la loro successione esemplifica perfettamente i valori aspettuali di imperfetto, tempo dello sfondo, e passato remoto, tempo degli eventi, costitutivi dei testi narrativi. Ma sembra che l’ulteriore indizio non abbia facilitato, bensì reso più difficile, la risposta (impressionante la percentuale di risposte corrette: 12,24%). 2) Individuare i rapporti logici in sequenze di affermazione - obiezione - risposta alla obiezione (capacità di padroneggiare meccanismi argomentativi  che implicano l’adeguata comprensione di una serie di frasi) (37,8%). 3) Individuare l’antecedente di ne nella frase nel contempo non ne ha stimolato… al rigo 8 del testo (39,7%). 4) Scegliere quale di 3 frasi spiega perché le piante tropicali sono sempreverdi sulla base dell’informazione veicolata dalla frase complessa dei righi 6-11 (43,7%). 5) Scegliere quale di 3 frasi individua a che momento del passato si riferisce l’espressione fino all’altro ieri (rigo 5), il che implica l’esatta comprensione del significato della frase complessa dei righi 5-8 (47,2%). 6) Scegliere quale di 4 frasi spiega perché una decisione del New York Times è definita saggia (rigo 12), il che  implica l’esatta comprensione della gerarchia e dei rapporti logici fra le tre frasi dei righi 10-15 (48,3%). 7) Individuare il tempo verbale (l’imperfetto) che il testo usa per narrare di “situazioni e fatti che si ripetono più volte nel passato” (48,8%). 8) Dire se il protagonista del racconto e chi l’ha scritto sono la stessa persona, il che richiede una pur minima attitudine ad accorgersi di segnali testuali evidenti (abbastanza impressionante la percentuale di risposte corrette, 25,2%, visto che il protagonista è un ragazzo algerino e l’autrice che si firma è una donna italiana). 9) Domanda di carattere interpretativo che richiede di aver capito l’intenzione comunicativa implicita del narratore (31,6%). 10) Domanda che richiede capacità di interpretare congiuntamente testo e grafica di un testo espositivo (35,5%). 11) Collocare quattro sintagmi nominali, che identificano quattro fenomeni attinenti allo sviluppo demografico, al punto giusto in uno schema che visualizza le relazioni logiche che li collegano (35,8%). 12) In un testo espositivo corredato da illustrazione sul confronto fra lettura a stampa e digitale, abbinare correttamente operazioni mentali e corrispondenti caratteristiche del libro cartaceo (36,3%). 13) Scegliere tra quattro  frasi quella che definisce la finalità comunicativa del narratore (39%). 14)  Trovare nel testo espositivo la frase che risponde alla domanda che il testo si poneva all’inizio (non sorprendentemente, è l’ultima frase del testo) (45,4%). 15) Completare con le parole appropriate tre frasi che dichiarano punti di vista diversi sul confronto fra lettura a stampa e digitale (49%). 16) Individuare, sulla base di precisi indizi, a quale anno del ginnasio-liceo si colloca il protagonista-narratore del racconto (42%).

Conclusione, dal mio punto di vista. Sono convinto che le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica  del GISCEL (1975) avessero ragione a criticare severamente la “pedagogia linguistica tradizionale”, cioè la grammatica che si insegnava allora a scuola. Ed era anche molto difficile, allora e diciamo nei venti anni successivi, individuare un paradigma grammaticale sostitutivo e riuscire a farlo accettare dal mercato scolastico, come alcuni tentarono generosamente di fare senza successo. Ma il risultato di questa lunga storia è che la grammatica scolastica, per quanto migliorata nella capacità di descrivere finemente la norma e l’uso, è rimasta immutata –  a parte limitate iniezioni di grammatica valenziale – nell’impostazione teorica sottostante, cioè nella obsoleta routine di analisi grammaticale, analisi logica, analisi del periodo, e annesse inerti tassonomie. Appunto il tipo di grammatica che non serve granché a capire i testi. E le parti aggiuntive al corpo centrale della grammatica (comunicazione, quattro abilità, varietà della lingua, ecc.), che all’inizio si erano prese il 40% dei manuali (rendendoli ipertrofici, perché la grammatica non era dimagrita), negli ultimi anni si stanno riducendo a zero. Cioè, dopo cinquant’anni, l’educazione linguistica, nei manuali, torna a identificarsi totalmente nella grammatica, che nell’impianto teorico è la stessa di allora. Noi docenti universitari di Linguistica italiana abbiamo la responsabilità di non aver insegnato ai futuri insegnanti istituzioni di grammatica italiana scientificamente aggiornate. Sarebbe ora, finalmente, che riuscissimo a mettere a loro disposizione uno strumento didattico che rendesse possibile fare le cose fondamentali che andrebbero fatte a scuola, come la linguistica moderna ci ha insegnato da almeno trent’anni, e che costituirebbero anche l’introduzione ottimale alla comprensione dei testi. E cioè, in discontinuità con il conformismo mimetico dell’editoria scolastica, analizzare la frase in sintagmi (davvero, non per finta), distinguere il livello sintattico dal livello semantico e dal livello informativo, riconoscere la struttura argomentale non solo dei verbi, far vedere cosa è la deissi, ecc. ecc. Il tutto partendo, come nessun manuale ha mai fatto, dalla competenza nativa degli studenti, dalla lingua italiana funzionante nelle loro menti, facendoli passare davvero dalla “grammatica implicita” alla “grammatica esplicita”, cosa che le Indicazioni nazionali raccomandano agli insegnanti di fare (p. 30) senza dare loro la minima indicazione su come farlo.

Se riuscissimo a fare questo avremmo finalmente voltato pagina.

Redazione
16 gennaio 2025 - 00:00

Commento di chiusura di Mirko Tavoni

Ringrazio i numerosi autorevoli intervenuti, che confermano quanto il tema sia sentito, ricco e variegato – e con ciò rendono difficile una sintesi conclusiva. Vado subito all’essenziale.

L’essenziale è: che cosa possiamo fare oggi di fronte al fatto che il sistema scolastico lascia una percentuale inaccettabile di giovani nella condizione di non capire, se non a un livello troppo superficiale, un testo di media complessità scritto in italiano standard? Né un testo informativo né un testo argomentativo né un testo narrativo né di qualunque altro tipo. Una percentuale inaccettabile in termini etici, di dovuto rispetto per i giovani che abbiamo la responsabilità di formare, di mancata mobilità sociale, di qualità della democrazia, di spreco di capitale umano e di freno a mano tirato a danno dello sviluppo, o meglio del progresso, in tutti i sensi possibili, del paese.

Comprendere in modo approfondito un testo di media complessità in italiano standard, infatti, non è una “prestazione di diretta utilità applicativa subito spendibile in pratica”. È piuttosto il coronamento dello scopo profondo e globale di tutta l’educazione linguistica, che certo deve sviluppare altrettanto il saper ascoltare e il saper parlare: ma una verifica intelligente, com’è quella dell’Invalsi (come confermano Cristiana De Santis e Maria Pia Lo Duca), operata ogni anno sulla totalità degli studenti italiani di vari gradi scolastici, del loro sapere o non saper leggere, ci dice già moltissimo sul successo o l’insuccesso di anni e anni di scuola.

La domanda che mi ponevo nel titolo – se la competenza grammaticale serva alla comprensione dei testi – non è affatto ovvia. Infatti: a) il movimento dell’educazione linguistica democratica, il cui spirito è stato recepito dalle indicazioni ministeriali dal 1979 a oggi, ha svalutato l’utilità della grammatica tradizionale, senza peraltro proporne una migliore, ai fini dello sviluppo delle abilità linguistiche; b) all’opposto, l’intera manualistica scolastica dedica amplissimo spazio alla grammatica tradizionale; e presumibilmente la grande maggioranza dei docenti, non lambita dal movimento dell’educazione linguistica democratica, seguendo i manuali vi dedica del tempo, anche se forse con scarsa convinzione: e con quanto costrutto? c) diversi linguisti avveduti, pur convinti (come sono anch’io) dell’importantissima potenzialità formativa che avrebbe una grammatica “intelligente”, sono al tempo stesso scettici sulla sua utilità per potenziare le abilità linguistiche.

Alla domanda del titolo ho risposto affermativamente sulla base di un campione di domande Invalsi sulla comprensione del testo. Le risposte, infatti, mi hanno convinto che non si può capire puntualmente una testualità abbastanza complessa (né si può arrivare a produrne di altrettanto complesse) se non si è acquisita una consapevolezza esplicita del valore, o meglio dei valori, delle strutture sintattiche.

Sono felice che commenti autorevolissimi – dall’Italia e dall’estero, dall’università e dalla scuola – abbiano condiviso appieno questa convinzione. In particolare, mi riconosco perfettamente nelle parole di Michele Prandi: da una parte “la grammatica ha un valore formativo paragonabile a quello della matematica, delle scienze o della musica”; dall’altra “lo studio della grammatica aiuta il parlante a raggiungere la consapevolezza di ciò che fa per diventare un soggetto responsabile”, sia sul piano delle regole sia ancor più sul piano delle scelte: qui “la consapevolezza non è dispensabile: una scelta non consapevole della posta in gioco non è una scelta ma una routine più o meno riuscita”.

E quale grammatica è più adatta a sviluppare la consapevolezza, ovvero la competenza metalinguistica, suddetta? Su questo punto cruciale la discussione ha prodotto un risultato nuovo, originale e a mio giudizio decisivo, cioè la convergenza fra due massimi studiosi di sintassi e didattica: Giorgio Graffi, di larga e aperta ispirazione generativista, e il già citato Michele Prandi, che nel suo progetto comprensivo di grammatica accoglie la teoria della valenza. Il primo ha manifestato la convinzione, raggiunta “con l'aiuto dell'indimenticabile Adriano Colombo”, che “bisogna adottare una prospettiva ‘ragionevolmente eclettica’, che quindi unisca nozioni di grammatica valenziale ad altre di grammatica generativa… con un'imprescindibile attenzione anche al testo”. Il secondo “che i tempi siano davvero maturi per superare gli steccati tra le scuole che hanno caratterizzato il Novecento e per accogliere dai diversi approcci ciò che sono in grado di offrire, collocando i risultati duraturi di ciascuno all’interno dei suoi limiti di competenza in un progetto unitario e inclusivo… La sintassi della frase semplice nasce dal contributo congiunto della grammatica generativa e della teoria della valenza”, e su su fino alla dettagliata prospettiva di come “lo studio delle frasi complesse non argomentali offre una via d’accesso intuitiva e preziosa allo studio del testo”, ecc.

Non mi stupisco che Alvise Andreose, filologo romanzo e grammatico illuminato come il suo maestro Lorenzo Renzi, approvi in pieno questa convergente linea di pensiero.

Sono stato criticato, anche qui, e prima nella discussione seguita al mio articolo La grammatica a scuola serve? pubblicato a settembre nella rivista online il Mulino, per non aver citato illustri grammatiche scolastiche degli anni Ottanta e Novanta. A parte l’espressione “senza bisogno di fare terra bruciata”, priva di senso, mi sfugge la logica di questa critica. Non ho citato nessuna delle grammatiche che conosco e studio da molti anni perché non avevo a disposizione 50 pagine per storicizzare le grammatiche scolastiche e il movimento dell’educazione linguistica democratica dal 1975 a oggi, ma 5 pagine per porre il tema del mese, del mese di dicembre 2024, oggi: e cioè il fatto che oggi gli studenti capiscono così poco sia la struttura delle frasi sia i significati dei testi.

Per ironia, una delle grammatiche innovative che avrei occultato sarebbe la mia L’italiano di oggi. Educazione linguistica & grammatica, Le Monnier 1999, che attraversò il firmamento scolastico come una meteora, rivaleggiando in velocità con quelle di Adriano Colombo (Pensare le parole, Bruno Mondadori 1988) e di Maria G. Lo Duca – Rosaria Solarino (La città delle parole. Grammatica italiana per il biennio, La Nuova Italia 1990). Donatella Lovison, colonna del Giscel Veneto, la descrive così (bontà sua): “Dal 1999 in poi ho avuto un valido strumento di consultazione e di appoggio alla mia attività didattica nel manuale per la scuola media (si chiamava così) L’italiano di oggi di Mirko Tavoni. A me è sembrato di trovarvi tutto il necessario per insegnare la grammatica secondo i principi del Giscel e secondo la prospettiva sostenuta da Colombo stesso, da Lorenzo Renzi, da Maria Pia Lo Duca, da Cettina Solarino, da Valter Deon ecc. di una grammatica ragionevole, una grammatica per l’intelligenza, basata su conoscenze tratte da modelli diversi, da quello valenziale a quello generativo, passando per qualche criterio nozionale e usando anche classificazioni legate alla grammatica tradizionale”.

Comunque, quando qualcuno scriverà la storia dell’educazione linguistica, non potrà certo mettere Maria Luisa Altieri Biagi fra i simpatizzanti delle Dieci Tesi: “Non ho fatto parte in passato (quando ciò era produttivo di facile popolarità e di credibilità ‘ideologica’) delle squadre di assalto alla ‘grammatica’, anche se condividevo largamente le critiche al modo in cui si faceva grammatica nella scuola… Oggi che il fiume trasporta i cadaveri di a-grammaticalisti, di anti-grammaticalisti, di ‘spontaneisti’ ecc. dovrei stare sulla riva del fiume a vederli passare; ma è uno spettacolo che non mi dà alcuna soddisfazione”, ecc. (in Italiano lingua selvaggia, numero monografico di “Sigma. Rivista di letteratura” promosso da Gian Luigi Beccaria, XVIII/1-2, 1985, pp. 99-102).

Non ho citato nessuna grammatica scolastica anche perché non intendevo minimamente esprimere opinioni sull’una o sull’altra, né impigliarmi nella discussione di dettagli. Ma Vittorio Coletti mi richiama alla proposta di grammatica valenziale che un altro maestro, Francesco Sabatini, porta avanti da quattro decenni, e quindi non posso non rispondere. Che la struttura argomentale dei verbi, pur importantissima, non sia la chiave di volta della sintassi della frase, lo ha scritto qui ben più autorevolmente di me Michele Prandi: “Dalla grammatica generativa, che a sua volta eredita e completa la tradizione distribuzionale, il modello che propongo prende l’analisi in costituenti immediati – il sintagma nominale con funzione di soggetto e il sintagma verbale con funzione di predicato – che razionalizza la partizione tradizionale in soggetto e predicato, e le nozioni di sintagma, di costituente e di gerarchia”. Da Prandi apprendiamo inoltre che è meglio parlare di “teoria della valenza” che di “grammatica valenziale” – differenza non da poco. Quanto mai opportuno anche il riferimento alla “tradizione distribuzionale”: i sintagmi non li ha introdotti nella linguistica mondiale Chomsky, ma Bloomfield (Language, 1933), e prevedo che compiranno il loro primo secolo di vita prima di entrare (senza essere svuotati di senso) nelle grammatiche scolastiche italiane. Quanto agli “schemi radiali”, sì, sono d’accordo con le critiche di Colombo-Graffi (Capire la grammatica. Il contributo della linguistica, Carocci 2017, pp. 183-185) e di Emilia Calaresu (2019): ritengo anch’io che la nozione martinettiana di “frase minima” non sia la più indicata (litote) per muovere dalle intuizioni linguistiche del parlante per farle evolvere. Perché il parlante, se vuol dire che la casa di sua zia è andata a fuoco, se ha in testa questo referente, ha in testa tutto il sintagma che lo designa, e non viene particolarmente illuminato quando lo informiamo che la casa fa parte della frase minima, di mia zia no, come se lui avesse pensato prima la casa e poi, per rifinire l’informazione con una specificazione di qualche utilità, anche se non necessaria, avesse pensato di aggiungere di mia zia. Coerentemente, l’analisi logica che continuiamo a propinare dice che il soggetto della frase è la casa e basta, e non la casa di mia zia come ovviamente è.

Tornando all’oggi, dice benissimo Graffi che “è necessario superare la contrapposizione tra ‘scuole’ accennata prima, e soprattutto la scomunica contro la grammatica generativa, che in passato ho sentito emanare da studiosi anche illustri e seriamente impegnati nel campo dell'educazione linguistica. Non sarà forse questa scomunica ad aver ostacolato la diffusione della Grande grammatica italiana di consultazione curata da Renzi, Salvi e Cardinaletti tra molti insegnanti seriamente motivati?”. Quest’opera, pubblicata fra il 1988 e il 1995 e definita da Giulio Lepschy “una pietra miliare nello studio della grammatica italiana”, conteneva e contiene una miniera di idee illuminanti, che già trent’anni fa avrebbero potuto sostanziare il programma di partire dalla “grammatica implicita” per farla evolvere in “grammatica esplicita”.

È stata un’occasione persa  ̶  finora. Per responsabilità di chi? Be’, certamente anche per precisa scelta intellettuale dei linguisti in primissima fila nel movimento dell’educazione linguistica democratica. Questa è una verità evidente, un dato di fatto, e non capisco perché i militanti storici del movimento non vogliano sentirlo dire. Ma soprattutto è per responsabilità di tutti noi linguisti italiani, cioè storici della lingua, che non abbiamo mai voluto uscire dalla comfort zone della nostra formazione, mentalità e strumentazione professionale storico-filologica, e spingerci a curiosare se fuori da questo perimetro non ci fosse qualcosa magari di molto interessante con cui far interagire il nostro modo abituale (certo sempre fondamentale) di vedere le cose.

Stefano Gensini “dubita che le difficoltà dell’insegnamento grammaticale possano essere isolate da un quadro più generale”: p.es., cito, dal fatto che l’analfabetismo funzionale nel 2012 dilagava fra gli adulti, e più al Sud e nelle Isole che al Nord;  che la scuola è bistrattata, screditata, malpagata e iperburocratizzata; che le biblioteche e i centri di lettura sono precari e inesistenti; e che il mezzo televisivo ha una gestione da terzo mondo. Tutte cose generiche e fuori dalla nostra portata e responsabiità. E sull’insegnamento grammaticale, che invece è interamente alla nostra portata e sotto la nostra responsabilità, abbiamo qualcosa da dire, qualcosa di preciso? A quanto pare no, niente.

Il mio vivo ringraziamento va a Bernhard Huss, Gerda Hassler e  Letizia Lala, che hanno inviato i loro commenti dall’estero, tutti in sintonia con l’urgenza di rilanciare scientificamente la grammatica a scuola. Letizia Lala dall’importantissimo centro di linguistica testuale guidato da Angela Ferrari a Basilea. E, a proposito di Svizzera, la Repubblica e Cantone del Ticino ha pubblicato un ottimo “manuale di riflessione sulla lingua in prospettiva valenziale” (di 167 pagine! un quinto della paginazione dei manuali italiani): Per fare il punto, di Alessandra Moretti, Nicola Selvitella, Nicodemo Cannavò. Il comune interesse di Bernhard Huss e Gerda Hassler, illustri romanisti di Berlino e Potsdam, mi fa pensare quanto potrebbe essere istruttiva una ricerca comparativa sull’insegnamento della L1 nei paesi dell’Unione Europea.

A questo proposito, segnalo la tesi di dottorato di Jimmy H.M. van Rijt, Understanding Grammar. The Impact of Linguistic Metaconcepts on L1 Grammar Education (2021), con ampia bibliografia soprattutto di area anglofona e germanofona, dalla quale si evince che “grammar or knowledge about language more broadly has (once again) taken up a central position in L1 language education, sometimes after years of (partial) absence from the curriculum” (p. 10).

Infine, il ringraziamento più sentito a Carmen Quadri e Federica Gara, le due docenti di scuola che sono intervenute con commenti. La seconda testimonia, sulla base della sua più che trentennale esperienza di insegnamento, che una precisa consapevolezza sintattica è necessaria per comprendere e comporre testi adeguati. E la prima affianca alla necessità il fascino, testimoniando che la grammatica “per così dire profonda della lingua… è uno degli aspetti che più affascinano e appassionano” i suoi studenti.

Gli insegnanti bravi, nei quali dobbiamo riporre tutte le nostre speranze, non vogliono sentirsi dire che se la scuola va come va non è colpa loro. Vogliono avere strumenti avanzati che li mettano in condizione di ricavare soddisfazione dal lavoro che hanno scelto. Strumenti che, per funzionare, devono mettere a loro disposizione il meglio della grammatica scientifica, e al tempo stesso rimediare al fatto che, colpevolmente, non glielo abbiamo insegnato quando avremmo dovuto, cioè quando erano studenti universitari.

 

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Alvise Andreose
14 gennaio 2025 - 00:00

In zona Cesarini, mi inserisco in questo dibattito ispirato dallo stimolante intervento di Mirko Tavoni. Molto, forse tutto, è già stato detto. Mi limiterò ad aggiungere alcune considerazioni basate sulla mia esperienza professionale come professore nei licei e docente universitario.
Un dato che mi colpisce nella mia attività di formazione degli insegnanti è che, quando vado ad affrontare il tema delicato dell’insegnamento grammaticale, non pochi si mettono sulla difensiva, rifiutando di mettere in discussione le proprie conoscenze tradizionali, spesso risalenti ai tempi della scuola media, per ragionare sulla lingua tramite categorie concettuali meno vaghe e arbitrarie. Quali siano le ragioni del conservatorismo (o conservativismo) di certi insegnanti e aspiranti tali faccio fatica a capire. Certo, la componente nostalgica ha il suo peso. Un altro ostacolo è rappresentato dalla difficoltà di accettare l’idea che la lingua non sia così semplice ed elementare come la rappresenta la ‘buona vecchia’ grammatica scolastica, che, nonostante la pletora dei complementi, ci trasmette pur sempre l’idea rassicurante che sussista una corrispondenza esatta tra strutture del pensiero e strutture del linguaggio. La complessità della lingua, cerco di spiegare, richiede un apparato concettuale adeguato, che può essere semplificato solo entro certi limiti. Oltrepassarli significherebbe cadere nel semplicismo, ritornando al punto di partenza. (Parentesi. Qui emerge il grande problema della formazione universitaria dei futuri insegnanti. Chi andrà a insegnare la lingua italiana deve, a mio parere, sostenere almeno un esame di grammatica italiana, oltre a quelli di linguistica generale e italiana, di glottologia e sociolinguistica, di didattica dell’italiano e stilistica e metrica...)
Forse, la cosa più difficile da far capire a chi frequenta i corsi di formazione e i percorsi abilitanti per l’insegnamento è che l’armamentario grammaticale tradizionale non è utile a migliorare la capacità di decodificare i testi, né serve a potenziare le abilità espressive, nell’orale come nello scritto, di un parlante nativo (si veda sopra l’analisi di Tavoni). Nei miei corsi, comincio di solito consigliando la lettura di un libro di Laura Vanelli, uscito nel 2010 e oggi introvabile, in cui si prendono in esame alcune grammatiche di impostazione tradizionale per metterne in luce i limiti. Il volumetto mostra, partendo da esempi concreti, come un elemento caratteristico dell’approccio ‘scolastico’ sia il rilievo attribuito, nell’analisi della frase e dei suoi elementi costitutivi, ai criteri semantico-concettuali piuttosto che a criteri di tipo distribuzionale o morfologico. Un altro tratto tipico è quello di fornire definizioni spesso inadeguate sul piano descrittivo perché enunciano condizioni che non sono necessarie o non sono sufficienti a identificare in maniera univoca la categoria o la funzione che ambiscono a definire. Un’altra tendenza della grammatica scolastica è la sua natura essenzialmente nomenclatoria e classificatoria. Il suo difetto più macroscopico è l’inclinazione intrinseca a produrre analisi fini a se stesse o, nel migliore dei casi, finalizzate a fornire qualche rudimento per l’apprendimento delle lingue classiche, ma del tutto inadeguate a riflettere sulla lingua “vera”, quella dei testi.
Quando poi mi azzardo a dire che i nostri studenti (italofoni) possiedono già una grammatica implicita e che il compito dell’insegnante è principalmente quello di esplicitarla, colgo spesso un senso di smarrimento in molti dei presenti.
Passo ora alla pars construens. Mi riconosco in molti contributi di coloro che hanno partecipato al dibattito. Vorrei in particolar modo riprendere alcune parole di Michele Prandi, che rimarca come, grazie ai risultati conseguiti dalla ricerca linguistica della seconda metà del ‘900, «disponiamo degli strumenti concettuali per costruire una grammatica ragionevole, e quindi per porre le basi di un insegnamento ragionevole della grammatica nella scuola». Considerazioni pienamente condivisibili, tanto più che l’aggettivo «ragionevole», riferito alla grammatica, mi è particolarmente caro, perché mi ricorda un saggio pubblicato dal mio maestro, Lorenzo Renzi, che negli anni Settanta, forse in controtendenza rispetto a certe tendenze iconoclaste, proponeva di cercare una sintesi, appunto, ragionevole tra il metodo tradizionale e le modalità di analisi della lingua ispirate alla riflessione linguistica novecentesca: "Una grammatica ragionevole per l'insegnamento" in ‘Scienze del linguaggio ed educazione linguistica’, a cura di G. Berruto, Torino 1977. Il saggio è stato ripubblicato in una versione più breve nel 2009 (L. Renzi, ‘Le piccole strutture. Linguistica, poetica, letteratura’, Bologna).
Sottoscrivo, infine, l’idea di Giorgio Graffi secondo cui nell'insegnamento grammaticale «bisogna adottare una prospettiva "ragionevolmente eclettica", che quindi unisca nozioni di grammatica valenziale ad altre di grammatica generativa», nonché il suo invito a non demonizzare la grammatica generativa, che tanto ha contribuito all’avanzamento delle ricerche sulla sintassi. La difficoltà, in questo momento storico, mi sembra consista nell’individuare un nucleo di concetti e nozioni basilari, condivisi dalla maggioranza delle scuole linguistiche, che possano essere posti a fondamento dell’insegnamento grammaticale dell’italiano nelle scuole di ogni ordine e grado. Impresa improba, dirà qualcuno. Suggerisco di partire dai «capitoli centrali di un’ideale grammatica scolastica» proposti da Prandi. Se fossi il ministro, li inserirei subito nelle indicazioni nazionali. Inoltre, a spese del ministero, regalerei una copia della ‘Grande grammatica’ di Renzi, Salvi, Cardinaletti a tutti gli insegnanti di italiano del Regno…

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Luca Fiocchi Nicolai
12 gennaio 2025 - 00:00
L'intervento della de Santis, come anche la terminologia usata - tratti binari - vero e proprio codice di riconoscimento ad escludendum, sono molto interessanti. La dottoressa si rifiuta di controargomentare nel merito, si limita a liquidare come barbarie retorica (magari ne avessi la padronanza!) quelle che vogliono essere considerazioni di chi vede le cose da fuori. Tutte le persone intelligenti ritengono molto utile il punto di vista del profano, che, proprio perché non obnubilato dal gergo specialistico che fa vedere punti di non ritorno (come se il progresso democratico , anche se fallimentare, sia un valore di per sé) è a volte, non dico sempre, meglio in grado di scorgere assurdità e aporie. Ora, se un Andrea Carandini consiglia di tornare agli esercizi di composizione e ai riassunti dei classici, se Pascoli, che studiò il latino senza vocabolario suggeriva ai facitori della scuola laica , ed è trascorso più di un secolo, di seguire l'esempio dei barnabiti, ripristinando le versificazioni, se addirittura S. Gregorio Barbarigo affermava, per il suo seminario patavino, che "lingua latina non est, ex grammaticorum libris, comparanda", se per secoli la grammatica normativa tradizionale, coi casi (vd. Corticelli) le reggenze, i complementi, ha formato grandi scrittori e classi dirigenti all'altezza del compito (leggi Brizzi), se sempre si è fatto distinzione (Locke?) tra l'insegnamento grammaticale scolastico e l'approfondimento filosofico successivo della lingua che ci vorrebbe dire i perché dei fenomeni fonologici, della morfologia e della sintassi (col Traina che registra il revival dell'ellissi, come a dire della vanità di dispute secolari) io, ingenuo cittadino italiano ignorante certamente ma testimone indiretto dello sfascio, cosa devo pensare se non che, per poter diventare un dotto, e desiderando ricominciare da zero, siano di gran lunga preferibili i metodi tradizionali? Non sarà, insisto, che ad accecare certe menti sia il ripudio di una scuola selettiva? dove si sa meno ma meglio? non sarebbe preferibile costringere i giovani ad impiegare sin dalla loro tenera età il tempo in modi più proficui e produttivi? non converrà fornirli di un bel quaderno da tenere con cura, rimettergli in mano una penna, far mandare a memoria precetti della grammatica, dar da tradurre Fedro, Orazio, far comporre testi in prosa e in poesia, restituire insomma il piacere di fare qualcosa di personale e originale? e, infine, come si può credere di appassionare i ragazzi alle lettere propinando Chomski? argomentando in uno "stile" volutamente oscuro e asfittico?

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Federica Gara
11 gennaio 2025 - 00:00
Il tema che il prof. Tavoni ha posto all’attenzione mi è subito sembrato interessante e soprattutto ineludibile per una seria riflessione sull’ormai palese crisi dell’insegnamento dell’italiano nella nostra scuola, dalle elementari alla secondaria di secondo grado. I risultati della sua indagine sulle prove Invalsi sono molto utili e illuminanti. Grazie. E grazie anche a tutti coloro che con i vari interventi hanno arricchito la discussione. La competenza grammaticale è o non è importante per la comprensione dei testi? E quale competenza grammaticale? Sì, la competenza grammaticale è decisamente importante per la comprensione dei testi, per la loro comprensione profonda e completa, per coglierne pienamente gli spunti impliciti, per capirne la non sempre evidente finalità comunicativa, ma soprattutto per individuare in maniera precisa le connessioni logiche tra le informazioni che ci presentano. In merito a quale competenza grammaticale rivesta questa importanza, in base alla mia più che trentennale esperienza di insegnante nei licei (indirizzi scientifico, scienze applicate, linguistico) posso affermare che “riconoscere la struttura e la gerarchia logico-sintattica della frase complessa” quanto meno aiuta ad evitare una comprensione approssimativa (mi si permetta l’ossimoro). Proprio recentemente in una classe quarta liceo scienze applicate ho proposto, per congedarci da Galilei, esercizi di analisi e comprensione del testo della sua abiura. Nella parte centrale ci si imbatte in una frase complessa con una ipotassi tale da mettere in difficoltà lo studente più attrezzato. Alle domande di comprensione del contenuto ha risposto in maniera precisa solo chi aveva colto la funzione logica delle numerose dipendenti, in particolare delle implicite. Ma la forza di questa competenza di analisi logico-sintattica si manifesta e agisce se è frutto di “un approccio scientifico alle questioni grammaticali”, come ci ricordano Colombo e Graffi e sta soprattutto nel fatto che è espressione di una più ampia esigenza di “razionalità critica” (Capire la grammatica, p. 13). Per sviluppare una tale competenza occorre avere il coraggio di sganciarsi da un approccio rigidamente classificatorio e proporre non solo esercizi di analisi del periodo costituiti da frasi decontestualizzate, ma anche, e soprattutto, esercizi di produzione di testi integrando linguistica testuale e ‘grammatica’. Si può provare a chiedere di stendere un breve testo che presenti frasi complesse, magari non troppo estese, dati dei vincoli relativi a situazione e funzione comunicativa, continuità tematica, presenza di determinati connettivi. Sarebbe certo molto utile avere uno strumento didattico aggiornato, agile ed efficace, così da proporre un’ora di ‘grammatica’ rinnovata, che magari potremmo chiamare anche diversamente (testualità?) e che forse aiuterebbe a migliorare comprensione e produzione del testo.

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
08 gennaio 2025 - 00:00
Felice di registrare il malcelato fastidio della de Santis per la mia indebita intromissione nel "dibattito specialistico" del cui compiaciuto, autoreferenziale gergo diffidava il Petronio. Argomenti di peso...quali, quelli di chi crede di invertire la rotta con l'introduzione di "nuove" metodologie? di formare scientificamente i nuovi insegnanti? ma vi leggete, cribbio? io non ci riesco fi o in fondo per sopraggiunta mancanza di respiro. Ma che lingua usate per parlarvi tra di voi? una prosa degna di un manuale di algebra. Rivendico i diritti del buon senso. Se per secoli la grammatica normativa è servita con successo a dare i primi rudimenti per l'apprendimento della lingua, il problema non è, mi pare lapalissiano, nella grammatica tradizionale, bensì nel mutamento di paradigma didattico per cui alla competenza di scrittura si è sostituita la comprensione (addirittura metalinguistica) di un testo. Per sapersi esprimere con un buon tasso di "Parole", con originalità, cosa c'è di meglio di una grammatica scritta in linguaggio chiaro, senza inutili specialismi e complicazioni, con tanti esempi di classici e di moderni? cosa più proficuo di un precoce avvicinamento a testi esemplari, classici e contemporanei? i giovani, se abituati a familiarizzare con l'italiano letterario, poetico, da lingua scritta dei nostri autori insigni, non potranno mai trovare difficoltà di sorta. Certo, se al dialogo costante, quotidiano, coi classici, al quotidiano esercizio scritto, sempre colla scorta di lessico e grammatica, si preferisce l'introduzione alla cittadinanza, che poche tracce lascerà per la sua vaghezza, o la lezione di gruppo o altre amenità che non pare diano buona prova, allora cantatevela e suonatevela pure tra di voi. Usate pure un gergo esclusivo alla faccia della vostra cara inclusivita'. Vedremo con quali risultati.

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Cristiana De Santis
10 gennaio 2025 - 00:00
Il fastidio, sia chiaro, non deriva dalla presunta intrusione in un dibattito specialistico, ma dal tipo di argomenti che vengono portati. Dire "era meglio prima (del 1960)", come pure dire "la colpa è di chi non volle portare a scuola i tratti binari", finisce per portare il dibattito su quello che Chomsky ci ha insegnato a riconoscere e chiamare "falso binario" argomentativo. Nessuno di noi auspica che il dibattito si trasformi in polemica in ragione di questa brutale semplificazione retorica, così pervasiva nei social media.
Michele PRANDI
05 gennaio 2025 - 00:00
Mi sono deciso a entrare nella discussione suscitata da Mirko Tavoni perché tengo a ribadire un’idea della quale sono convinto da decenni e che ho riconosciuto come la conclusione ideale della discussione di qualche settimana fa su Academia, condivisa dai maggiori esperti del settore. In questo momento, grazie alla riflessione grammaticale della seconda metà del ‘900, alla quale alcuni di noi hanno partecipato in modo diretto, disponiamo degli strumenti concettuali per un costruire una grammatica ragionevole, e quindi per porre le basi di un insegnamento ragionevole della grammatica nella scuola. La messa a punto di questi strumenti si deve all'apporto di scuole di pensiero e di metodologie diverse ma in grado di descrivere ciascuna aspetti importanti della struttura delle frasi semplici e complesse e dei testi: in particolare, la grammatica generativa, la teoria della valenza, la linguistica del testo. La grammatica della frase semplice e complessa e la struttura del testo non formano un regno monocratico ma una confederazione di strutture diverse che funzionano con criteri diversi; di conseguenza, la loro descrizione richiede strumenti diversi per gli studiosi e abilità cognitive diverse da parte degli studenti. 
Per questa ragione profonda, e non per una semplice valutazione di opportunità, ritengo che i tempi siano davvero maturi per superare gli steccati tra le scuole che hanno caratterizzato il Novecento e per accogliere dai diversi approcci ciò che sono in grado di offrire, collocando i risultati duraturi di ciascuno all’interno dei suoi limiti di competenza in un progetto unitario e inclusivo. Queste ragioni portano al di là delle derive polemiche forse inevitabili che affiorano nelle discussioni pubbliche, alle quali non sono minimamente interessato. 
Presento ora in modo schematico quelli che, dal mio punto di vista, sono i capitoli centrali di un’ideale grammatica scolastica.
La sintassi della frase semplice nasce dal contributo congiunto della grammatica generativa e della teoria della valenza. Dalla grammatica generativa, che a sua volta eredita e completa la tradizione distribuzionale, il modello che propongo prende l’analisi in costituenti immediati – il sintagma nominale con funzione di soggetto e il sintagma verbale con funzione di predicato – che razionalizza la partizione tradizionale in soggetto e predicato, e le nozioni di sintagma, di costituente e di gerarchia. 
Il sintagma nominale occupa diverse posizioni nella struttura gerarchica della frase: in particolare di soggetto, di oggetto diretto o di costituente di un sintagma preposizionale. Tuttavia, ha una struttura propria che può essere descritta indipendentemente. Nello studio del sintagma nominale occorre in particolare distinguere i determinanti, essenziali per formare un sintagma nominale insieme ai nomi comuni, dai modificatori e dai complementi del nome, che ne formano la periferia.
Nello studio della struttura interna del sintagma verbale, il modello generativo deve essere integrato in primo luogo con una tipologia dei predicati in funzione del termine principale: verbo, nome, aggettivo. Nell’analisi del predicato verbale ha un ruolo fondamentale la valenza dei verbi: il predicato verbale è formato dal verbo predicativo e dai suoi complementi, e cioè dagli argomenti che si aggiungono al primo, affidato al soggetto. Il soggetto, nelle lingue come l’italiano, ha una forma propria, indipendente dalla struttura e dal contenuto del predicato, e a maggior ragione della valenza del verbo. Del soggetto, la valenza del verbo controlla invece il contenuto, cioè il ruolo: per esempio, agente, paziente o altro. I complementi, viceversa, sono controllati dal verbo, oltre che nel numero, nella forma. È importante, a questa altezza, distinguere due tipi di complementi del verbo: quelli che sono associati a una relazione grammaticale indipendente dal ruolo che le assegna il verbo, come l’oggetto diretto o l’oggetto indiretto, e quelli che esprimono direttamente contenuti concettuali, come le relazioni spaziali, che hanno funzione di argomento con i verbi di stato e di movimento. Nel primo caso, la forma di espressione è rigida; nel secondo, contiene una preposizione scelta dal parlante all’interno di un paradigma di opzioni.
L’osservazione della loro posizione e delle loro funzioni nella struttura del nucleo della frase fornisce criteri diretti e intuitivi per la definizione delle diverse classi di parole – le parti del discorso – tradizionalmente incluse nella morfologia. Nelle grammatiche, le parti del discorso sono introdotte e studiate in una sezione che precede lo studio della sintassi, e quindi prima di vederle all’opera nella costruzione della frase. Nel modello che propongo, sono messe a fuoco a mano a mano che compaiono nella struttura delle frasi e descritte in modo riassuntivo e sistematico in una sezione che segue lo studio della sintassi. 
Una volta isolato il nucleo della frase, formato dal verbo e dai suoi argomenti, occorre identificare una gerarchia anche tra le espressioni che esprimono relazioni periferiche, non argomentali: oltre alle circostanze esterne, come lo spazio e il tempo, ci sono relazioni che arricchiscono i predicati di azione, come lo strumento o il beneficiario, e i modificatori del verbo, che includono gli avverbi di modo e i cosiddetti complementi di modo. 
L’idea centrale del progetto di razionalizzazione della tradizionale analisi logica è visibilmente quella di gerarchia, che sostituisce l’elenco piatto dei cosiddetti complementi.
L’analisi della frase complessa distingue a sua volta, in primo luogo, le frasi subordinate argomentali richieste dalla valenza del verbo o dal predicato nominale – le oggettive e le soggettive – dalle frasi non argomentali. Per la frase complessa, la distinzione è ancora più strategica che per la frase semplice. La ragione è legata alla funzione. La funzione della frase complessa che contiene una subordinata non argomentale, cioè il collegamento tra contenuti di frasi attraverso relazioni come la causa, il fine o la concessione, può essere realizzata anche dalla giustapposizione di due frasi indipendenti. La continuità nella funzione tra frase complessa subordinativa o coordinativa da un lato, e giustapposizione dall’altro, non comporta continuità nella struttura. La frase complessa collega due o più frasi in una struttura grammaticale unitaria che le include. Nella giustapposizione, le frasi coinvolte sono indipendenti sul piano grammaticale, mentre i loro contenuti si collegano con una relazione concettuale per formare un frammento di testo.
Da questa premessa discende che lo studio delle frasi complesse non argomentali offre una via d’accesso intuitiva e preziosa allo studio del testo, fondato sulla coerenza dei concetti e sull’uso appropriato di strumenti linguistici della coesione, e in primo luogo delle relazioni anaforiche. In questo modo lo studio del testo è integrato in una descrizione coerente della lingua.
Vorrei concludere con un’osservazione ispirata dall’intervento di Vittorio Coletti. 
Al di là della sua ‘utilità’ per la comprensione dei testi, che mi sembra scontata anche se, ovviamente, non sufficiente, la grammatica, se studiata in modo coerente e rigoroso, è formativa a due livelli.
All’interno dell’educazione linguistica, lo studio della grammatica aiuta il parlante a raggiungere la consapevolezza di ciò che fa per diventare un soggetto responsabile. Le ragioni sono due. La competenza linguistica non è una forma di conoscenza ma un’abilità pratica; solo la riflessione sulle strutture grammaticali è in grado di completare l’abilità con la conoscenza. Inoltre, la grammatica è fatta di regole ma anche di opzioni, che aprono ampi spazi di scelte. Nel caso delle regole, la consapevolezza aiuta. Nel caso delle scelte, la consapevolezza non è dispensabile: una scelta non consapevole della posta in gioco non è una scelta ma una routine più o meno riuscita.
A un livello più generale, la grammatica ha un valore formativo paragonabile a quello della matematica, delle scienze o della musica. In primo luogo, davanti a un problema di analisi, lo studente deve capire se sta ragionando sulle strutture della grammatica, come quando parla di soggetto o di complemento oggetto, o sulla struttura dei concetti che alimentano il nostro pensiero coerente e di conseguenza gli strati meno centrali della struttura delle frasi e l’organizzazione del testo, come quando parla di causa, di mezzo o di fine. In entrambi i casi, la grammatica addestra a compiere riflessioni coerenti e rigorose. 

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Stefano Gensini
04 gennaio 2025 - 00:00
Credo che le questioni sollevate da Mirko Tavoni siano importanti, ma eterogenee, e dubito che le difficoltà dell’insegnamento grammaticale possano essere isolate da un quadro più generale. Per dirne una: dieci anni fa gli esiti dell’indagine PIAAC-Ocse 2012 sulle competenze degli adulti rendevano noto che “in totale il 70% della popolazione italiana si colloca(va) al di sotto del Livello 3, il livello di competenze considerate necessarie per interagire in modo efficace nella società del XXI secolo”; con l’aggravante di una consistente differenza di rendimento a seconda delle parti del paese, col Nord a fare da capofila e il Sud e le Isole a chiudere il corteo. Bisognerebbe dunque, come metodo, considerare che la scuola (la bistrattata, screditata, malpagata, iperburocratizzata scuola dei nostri anni) si muove in sostanza da sola in un contesto culturale complessivamente depresso, nel quale incide, fra l’altro, la precarietà e talora l’inesistenza di un sistema di biblioteche e centri pubblici di lettura, una gestione da terzo mondo (per qualità culturale) della enorme risorsa rappresentata dal mezzo televisivo, per nulla dire (ci torno fra breve) delle carenze nella prima formazione e nell’aggiornamento del personale insegnante. Quanto alla grammatica, è un problema di strumenti didattici? Può darsi, ma per farsi un’idea più precisa occorrerebbe (e varrebbe davvero la pena) svolgere un’indagine sui libri e gli strumenti bibliografici che risultano oggi più adottati. Certamente, dagli anni Settanta in poi si sono riversati sulla scuola libri eccellenti, compilati dai nostri migliori linguisti, per guidare gli insegnanti nella didattica dell’italiano: da Simone a Sabatini, da Altieri Biagi a Sobrero, per nulla dire di Luca Serianni, che tanto rimpiangiamo, la possibilità di scelta non è davvero mancata. Ma oggi? Tuttavia, resta da dimostrare che un buon libro sia sufficiente per garantire una buona qualità di insegnamento (linguistico). Intanto, almeno nel ciclo superiore, a farla da padrona è la letteratura, sicché il libro “di grammatica”, quando viene acquistato, rimane per lo più sullo scaffale. E ci sarebbe da esser contenti se le stesse “indicazioni nazionali” sulla grammatica, che Mirko trova scarse, trovassero adempimento, diciamo, alla fine del biennio superiore. In questo settore, indubbiamente, c’è stata una marcia indietro del corpo docente (almeno in una non piccola quota di casi): la grande ventata delle Dieci tesi Giscel, che per alcuni lustri ha ravvivato le metodiche di insegnamento dell’italiano, in mancanza - ricordiamolo! - di un serio piano nazionale di aggiornamento, si è affievolita, mentre – anche per dinamiche generali della società – crescevano le spinte conservatrici o restauratrici. Riassunto e tema sono tornare a essere le prove di lingua più utilizzate e il testo letterario è tornato a essere la tipologia di base (se non l’unica) sulla quale adottarle. Concordo – e come non si potrebbe – circa l’esigenza che i docenti universitari si facciano carico della formazione dei futuri docenti per quanto riguarda (nel nostro caso) la didattica dell’italiano. Ma non credo basterebbe una robusta iniezione di storia della lingua nei curricula didattici: occorrerebbe che le competenze storiche (indispensabili) si saldassero con quelle teoriche e con puntuali indicazioni operative: ma che posto hanno oggi, nei nostri ordinamenti, le didattiche (dell’italiano, della storia, della matematica ecc.)? C’è, anche qui, un ritardo gravissimo di cui le accademie (spiace dirlo) portano la responsabilità. Se questo è il quadro complessivo, confesso di non trovare particolarmente appassionante il dibattito su quale modello grammaticale proporre nelle scuole. Grammatiche funzionali, generative, valenziali? Siamo sicuri che l’adozione di una o di un’altra concezione abbia di per sé un potere innovativo? Mi pare che il nodo sia piuttosto "a che punto" inserire l’osservazione grammaticale, "come" sgranarla in relazione ai livelli di età e di sviluppo cognitivo, "come" farne lo strumento per un incremento delle capacità linguistiche complessive a seconda degli anni di scuola. Posso ovviamente sbagliare, ma in relazione a tali interrogativi direi che il modello prescelto sia abbastanza indifferente. Perfino la vecchia nomenclatura grammaticale, alleggerita dal troppo e dal vano, può tornare utile, una volta che sia chiaro il percorso curriculare in cui inserirla, diciamo, dal secondo ciclo delle elementari fino alla maturità. Ed è solo ai livelli superiori dell’istruzione, a me pare, e in particolare nel segmento universitario, che le fra le diverse opzioni teorico-metodologiche acquistano peso: nel momento, cioè, in cui esse possano essere assunte come oggetto di studio, col distacco critico che è ragionevole attendersi in un corso che sia almeno tenuemente specialistico.

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Carmen Quadri
03 gennaio 2025 - 00:00
L'intervento del prof. Graffi sintetizza in maniera mirabilmente puntuale i numerosi nodi che si pongono oggi nell'insegnamento dell'italiano. Da docente di un biennio liceale, mi permetto di aggiungere solo un paio di spunti. In primo luogo il bisogno e l'interesse degli studenti verso uno studio "grammaticale" che consenta di rendere conto della dimensione per così dire profonda della lingua, sottesa agli enunciati, sia in chiave di comprensione, che di produzione: nella mia esperienza professionale è una delle richieste più frequenti dei miei alunni e insieme uno degli aspetti che più li affascinano e li appassionano. Per rispondere a questo interesse tuttavia è assolutamente necessario per l'insegnante da un lato avere una preparazione adeguata e aggiornata (che esula pertanto dai soli studi universitari), dall'altro una non indifferente capacità di mediazione didattica: l'una e l'altra cosa richiedo insegnanti di italiano che amino la lingua italiana. In secondo luogo mi pare che sia necessario - nel quadro contemporaneo - riflettere anche sull'IA, a due livelli: il primo riguarda la costruzione dei testi nel (non) linguaggio delle IA: si tratta di modelli probabilistici, che generano testi verosimili sulla base di criteri statistici e - credo si possa dire - distribuzionali. Il secondo è una considerazione di natura più spiccatamente etica (o, in tono minore, emotiva): che a 77 anni dalla promulgazione della Costituzione della Repubblica italiana si addestrino delle macchine a esprimersi in un linguaggio verbale umano e nel contempo si sottraggano strumenti di riflessione ai parlanti nativi, in particolare giovani, fa - almeno a me - un po' male: la scuola dovrebbe essere un luogo in grado di gestire i processi, non di subirli. Infine un'ultima considerazione: forse l'IA ci spinge a riflettere su ciò che intendiamo per "grammatica", in maniera analoga a come ci spinge a riflettere sul concetto di "Autore" (un suggerimento in tal senso viene da Giusella Finocchiaro: https://www.fondazioneleonardo.com/sites/default/files/downloads/2024-04/_Civilta-delle-Macchine-n1-24-x-web.pdf)

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Carmen Quadri
03 gennaio 2025 - 00:00
Mi permetto di segnalare nuovamente qui il volume di Renato Oniga, Riscoprire la grammatica. Il metodo neo-comparativo per l'apprendimento del latino, a mio parere una proposta pregevole di "riscoperta" grammaticale, una sintesi efficace tra teoria e didattica. Io lo utilizzo - con gli opportuni adattamenti anche come spunto per la didattica della lingua italiana: è per me uno strumento utilissimo.

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
07 gennaio 2025 - 00:00
Ce l'ho pure io, l'Oniga bello sullo scaffale colla sua copertina blu; mi riprometto di studiarlo. Questi libri mi ricordano quelli che proponevano un metodo alternativo nell'insegnamento dell'Armonia. Interessante la proposta di graduare l'insegnamento direttamente su un testo tacitiano. Buona pure la scommessa di lavorare su un metodo valorizzando la tradizione grammaticale. Solo, insisto, il problema è la grammatica normativa o non la compressione del tempo e dell'importanza degli studi classici a tutto vantaggio delle materie "utili"? sono i casi e le reggenze o non piuttosto la rinuncia a uno studio dell'Italiano e del Latino orientato alla produzione di testi?
LUCA FIOCCHI NICOLAI
31 dicembre 2024 - 00:00
Invece di questionare a valle se gli studenti italiani sono messi in grado di comprendere testi e gergo della linguistica contemporanea, magari per giustificare le traduzioni dai classici italiani, bisognerebbe chiedersi in che modo avviene l'apprendimento graduale in tenera età. Un tempo, soprattutto nei collegi, si studiava come si deve. Scopo dell'insegnamento era, in ultima analisi, formare classi dirigenti colte. Sin dalla "scuoletta" si rigava dritto, tra grammatica, esercizi scritti, letture di testi esemplari, versificazioni, lettere, versi imparati a memoria, componimenti. Altro che grammatica valenziana, dai collegi sono usciti Pindemonte, Varano, Cesarotti e compagnia bella, tutti i più grandi scrittori fino al D'Annunzio (che frequento' il rigoroso Cicognini laicizzato ma organizzato quasi militarmente e con insegnanti della vecchia scuola) i quali non credo non sapessero di grammatica, certamente sapevano scrivere. Se la scuola di oggi, che si è privata, colla rinuncia al latino, di un formidabile strumento per abituare le giovani menti all'esercizio linguistico, che vede sé stessa come un luogo di socializzazione, non fa che promuovere tutti, giustificare eccezioni, chiudere gli occhi di fronte alle lacune, se non pretende dagli alunni uno studio serio e attenzione in classe e, soprattutto, non ha il coraggio di sottoporre gli alunni ad uno sforzo considerevole fatto di ore di studio a casa, senza telefonini, social (e paghette), se non boccia i tonti e i perditempo, se i mezzi di informazione ufficiali, di Stato, scritti e orali, non curano più come una volta la forma linguistica, perché uno studente dovrebbe dare importanza allo studio quando sa che otterrà immancabilmente il pezzo di carta alla fine del percorso scolastico? si provi, un adulto, ricominciando da capo, in una sorta di "epoche'" Husserliana, a seguire "le indicazioni" del Monaldo e del Sanchini, studiando Fedro e Cornelio Nepote, il Porretti appunto, il De Colonia, provi come fece il decenne Giacomo a tradurre Orazio, e poi vediamo i risultati. La scuola non deve formare poeti ma buoni cittadini, come voleva il Carducci? bene, ma non era Giorgio Pasquali a protestare perché per agevolare la traduzione dal greco si dava la versione LATINA a fronte? che penserebbe della s uola di oggi? che penserebbe della riscrittura dell'Ortis?

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Cristiana De Santis
07 gennaio 2025 - 00:00
Capisco la tentazione di intervenire in un dibattito specialistico anche quando non si hanno argomenti di peso. Del resto, quando si parla di lingua e di grammatica, ogni parlante tende a farlo senza troppo pensarci: "m'as tu vu?" - direbbero i francesi. Ma il lavoro di linguista non consiste nel correggere errata: né quelli di lingua, né quelli della storia. Abbiamo però la responsabilità, almeno se lavoriamo per università pubbliche, di studiare la lingua in modo scientifico e di formare gli insegnanti di scuola. Di questo stiamo ragionando, chi da più tempo, chi da meno. Se le è stata segnalata la svista aggettivale è perché tradisce una sinecura non rispettosa dell'ambiente con il quale il suo commento è destinato a interagire.
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LUCA FIOCCHI NICOLAI
06 gennaio 2025 - 00:00
L'anonimo usa argomenti fiacchi e non replica nel merito. Infatti: 1) non conosco, per ora, la grammatica valenziale, se non, male, di nome! e non ho interesse a conoscerla. Ho letto qualcosa di eclettico che forse è pure peggio. Non penso serva confondere in primis gli insegnanti abituati alla rassicurante grammatica tradizionale che per secoli ha dato ottima prova. Se un metodo di esposizione della grammatica funziona perché buttarlo a mare? quello che non funziona è invece il lassismo di sinistra che per non escludere le schiappe ha abbassato il livello generale dell'insegnamento. 2) La mia ignoranza, se dimostrata, rappresenterebbe semmai un'accusa ancora più grave alla scuola di oggi, che ha permesso che cervelli dotati sprecassero un intero ciclo di studi a non far nulla e per questo venissero pure premiati. Io dico ai giovani: non fate come me, che devo recuperare alla bene e meglio il tempo passato a vedere Novantesimo Minuto. Studiate sodo. Aspetto serie repliche nel merito. Questi metodi di discussione di persone che neppure si firmano e cercano l'errore col lanternino per non rispondere mi annoiano. Magari mi avessero dato votacci a scuola!
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anonimo romano
05 gennaio 2025 - 00:00
La grammatica è valenziale e non valenziana! Un errore del genere nel modello di scuola evocato con rimpianto nell'intervento sarebbe bastato per un votaccio. Se fosse dovuto al correttore automatico, sarebbe ancora peggio perché significherebbe che il testo non è stato riletto, cosa gravissima
Risposta
Cristiana De Santis
04 gennaio 2025 - 00:00
In risposta a Luca Fiocchi Nicolai: Mi risulta che valenziane siano specialità della cucina e danze della tradizione, non grammatiche dell'italiano. Quanto a Giorgio Pasquali, non si stupirebbe di come va il mondo, se - ricordando la propria esperienza di studente del ginnasio - definiva l'analisi logica modellata sul latino "una frode", per l'imperdonabile tendenza a "falsificare l'italiano" (L'insegnamento linguistico nella scuola media e nell'università, "Belfagor", vol. 4, N. 4, 1949, pp. 479-486, leggibile a questo indirizzo: https://www.jstor.org/stable/26057453).
Paola Marinetto
27 dicembre 2024 - 00:00
Mi inserisco con qualche riluttanza nella discussione, a fianco di nomi più prestigiosi, ma i miei recenti approfondimenti di psicolinguistica (affiancati a quelli più sedimentati di linguistica) mi spingono a riflettere. Nel processo di comprensione del testo un ruolo centrale (e riconosciuto) ha la conoscenza del lessico, dal momento che la comprensione inizia proprio dalla decifrazione delle singole parole e dalla loro semantica, senza la quale non vi è accesso al lessico mentale. Ma il passo immediatamente successivo è quello della co-costruzione del significato della frase attraverso l'interazione della singola parola con il cotesto. Il passaggio dal significato della parola a quello della frase avviene attraverso conoscenze che potremmo definire "grammaticali": la morfologia della parola individua la classe della parola; la classe della parola (soprattutto, ma non solo, nomi e verbi) porta verso la sintassi della frase, che passa attraverso la funzione del predicato nel richiedere certi argomenti, adeguati in numero e "natura". Mi fermo qui, ma il processo verso la comprensione del testo continua attraverso l'interazione tra frasi e periodi e l'individuazione della gerarchia tra questi. La "grammatica" dunque è patrimonio centrale per la comprensione di frasi e testi. La discussione deve spostarsi altrove: non se la "grammatica" sia utile, ma se il suo insegnamento sia adeguato. Su questo punto centrale Le Dieci tesi, che avevano visto giusto, hanno saputo incidere? L'osservazione della realtà, purtroppo, è la risposta.

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Gerda Haßler
23 dicembre 2024 - 00:00
Sono grata a Mirko Tavoni per la chiarezza con cui tratta il ruolo della grammatica in ambito scolastico. L'insegnamento senza grammatica si basa su modelli e schemi che gli studenti dovrebbero imparare e utilizzare. Tuttavia, l'attività linguistica è così varia e complessa che modelli e schemi non analizzati non sono sufficienti. Trascurare la grammatica porta anche a deficit nella comprensione dei testi. Purtroppo questo problema è già ben presente in Germania, come dimostrano i risultati dello studio di PISA. Una caratteristica particolare del sistema educativo tedesco è che non dipende da un ministero federale, ma è di competenza degli Stati federali. In Germania non c'è mai stato un linguista come Tullio de Mauro, che si è interessato all'insegnamento delle lingue nelle scuole e che ha avuto anche un'influenza politica sull'istruzione. Questo porta a grandi differenze, ma anche all'arbitrarietà, che si riflette ripetutamente in risultati scadenti, ad esempio nel test PISA. Il ruolo della grammatica è stato ridotto in Germania in modo simile all'Italia. Da alcuni anni si parla molto di un “ruolo di servizio della grammatica”, anche se nessuno capisce veramente a chi o a cosa serva e cosa dovrebbe significare questa personificazione della grammatica. In ogni caso, gli insegnanti si sono resi conto che esplicitamente non stanno più insegnando la grammatica. Naturalmente, il cosiddetto ruolo di servizio della grammatica si riferisce al fatto che i termini grammaticali non debbano essere imparati, ma che le lezioni di grammatica debbano servire a migliorare le competenze linguistiche degli studenti. Tuttavia, mancano soprattutto due elementi: in primo luogo, libri di testo appropriati e, in secondo luogo, insegnanti che abbiano una solida conoscenza della grammatica e che siano in grado di riflettere su di essa nelle loro lezioni. Nei libri di testo vengono utilizzati termini fuorvianti e la grammatica non è inclusa nei programmi di formazione degli insegnanti in molte università perché è impopolare e non rientra negli interessi di ricerca dei professori. Nella maggior parte dei programmi di studio tedeschi, la grammatica è destinata alla scuola primaria, cioè agli alunni di un'età in cui non sono ancora in grado di astrarre e riflettere sulla propria lingua madre. Nei gradi superiori, soprattutto prima dell'Abitur, la grammatica non ha più luogo. Come risultato di questo tipo di insegnamento, la maggior parte degli studenti del primo anno dei corsi di laurea in filologia considera un oggetto come un soggetto quando compare all'inizio di una frase, oppure non è in grado di distinguere un avverbio da un aggettivo, con le relative conseguenze sull'acquisizione di una lingua straniera. La maggior parte degli insegnanti di lingue non è in grado di insegnare le capacità di analisi linguistica perché non le ha acquisite personalmente e perché non gli sono state insegnate durante gli studi. Ma anche quando i docenti universitari si assumono questo compito, il successo è incerto, perché gli studenti possono scegliere corsi più piacevoli e facili di quelli che trattano la grammatica e l'analisi linguistica. I laureati in filologia oggi spesso conoscono meglio le peculiarità delle varietà esotiche di una lingua che la grammatica della lingua che stanno studiando e come insegnarla. L'ignoranza della necessità di conoscenze linguistiche da parte degli insegnanti di lingue ha una lunga tradizione in Germania. Già nel XIX secolo, gli insegnanti imparavano molto sullo sviluppo dei suoni nelle prime fasi della lingua all'università e quasi nulla sulle strutture e sulle relazioni funzionali della lingua che dovevano insegnare. A mio avviso, la Grande grammatica italiana di consultazione è un'opera creata sulla base di un immenso corpus di testi e destinata a facilitare l'insegnamento della lingua italiana. Non esiste una grammatica simile per il tedesco. Naturalmente non si tratta di una grammatica scolastica, ma è adatta a mostrare il funzionamento della lingua italiana e a fornire agli insegnanti una guida per l'insegnamento. In Germania, purtroppo, manca ancora una grammatica che non contraddica la grammatica “implicita” acquisita spontaneamente con l'acquisizione della lingua madre, ma che anzi la sostenga e la promuova. A mio parere, partire dalla conoscenza implicita degli studenti è un buon punto di partenza per l'insegnamento della grammatica, da cui si possono rendere consapevoli strutture e funzioni. Questa consapevolezza è a sua volta un prerequisito per un uso efficiente della lingua e, in particolare, per lo sviluppo delle abilità di lettura. L'ultimo studio PISA ha mostrato ancora una volta quanto la Germania debba recuperare in questo campo. Gli alunni tedeschi hanno ottenuto un punteggio di 480 nell'area della competenza di lettura, inferiore alla media OCSE di 487. Un aspetto degno di nota è che circa un quinto degli alunni tedeschi ha difficoltà a cogliere e riflettere sul significato dei testi.

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Vittorio Coletti
21 dicembre 2024 - 00:00
Se è pienamente condivisibile l’assunto di fondo dell’intervento di Mirko Tavoni, che rilancia l’opportunità dell’insegnamento e dello studio della grammatica dell’italiano a scuola, non posso nascondere le mie perplessità di fronte alle considerazioni e alle proposte con cui lo sostiene. Prima di tutto, ho qualche riserva sull’idea che il beneficio dell’insegnamento della grammatica di una lingua materna (le ragioni per cui lo si impartisce) starebbe nel fatto che la conoscenza della grammatica favorirebbe una produzione/comprensione linguistica migliore da parte degli allievi. C’è indubbiamente (è ovvio) anche questo vantaggio, per altro assicurato pure da altre competenze e conoscenze, come leggere buoni libri e fare esercizi di scrittura. Ma questi mi paiono vantaggi collaterali, perché io credo che la conoscenza di come funziona la lingua che si usa nella propria comunità sia un valore culturale in sé, una tappa basilare nella crescita intellettuale e civile di una persona, come lo è la conoscenza della storia del proprio Paese o della sua geografia. Quindi non partirei dalle prestazioni linguistiche per giudicare dell’opportunità delle conoscenze metalinguistiche, indispensabili solo se le prestazioni richieste sono a loro volta di tipo grammaticale, plausibili strumenti di verifica di quel sapere specifico (le tipiche domande di grammatica), ma non il suo fine (chi giudicherebbe dell’importanza dello studio della geografia solo sulla base della sua utilità nelle risposte date a domande di geografia?). Lo studio della lingua spiega come funziona lo strumento che si usa pensando e comunicando e la sua storia mostra come e quanto esso risenta della cultura della comunità che lo adopera. Per questo, più ancora che per produrre o capire testi in lingua, vanno soprattutto insegnate la grammatica e la storia della lingua, come si insegna la storia della letteratura o la filosofia o la scienza. Pensare che lo studio scolastico della lingua materna debba essere “giustificato” da una sua diretta utilità applicativa, oltre che dubbio in sé mi pare un riflesso del diffuso pensiero che a scuola ammette solo ciò che “serve” su due piedi, subito spendibile in pratica, al punto da promuovere la discussa se non sciagurata “alternanza scuola- lavoro”. Venendo poi ai metodi con cui insegnare la grammatica a scuola, mi lasciano perplesso le riserve di Tavoni sulla grammatica valenziale, respinta nel suo ufficio scolastico sulla base dell’analisi assai discutibile che ne fanno studi che confondono la gerarchizzazione interna (a scopo didattico) dei vari costituenti di un sintagma con la sua “lacerazione”, come se ciò comportasse la sua scomparsa o sottovalutazione, mentre il legame che li unisce è sempre visibilmente esplicitato. Infine, non so se sia ancora o di nuovo il caso di mettere al centro di una nuova grammatica (cioè, ripeto, della riflessione sul funzionamento della lingua materna) per le scuole un obiettivo metodologico, anche se è innegabile che alcuni metodi siano migliori e più efficienti di altri. Alla giusta osservazione di Tavoni che certi errori degli studenti a domande di metalinguaggio grammaticale dipendono dalla scarsa conoscenza della grammatica, va aggiunto infatti che non conta tanto il metodo con cui è stata loro insegnata, ma se è stata loro insegnata e se l’hanno studiata (altrimenti dovremmo distinguere le risposte degli studenti che hanno studiato su una grammatica tradizionale da quelle di quanti lo hanno fatto su una generativa o su una di orientamento valenziale). Fermo restando che l’impianto grammaticale tradizionale è ormai largamente superato e scarsamente efficiente, e che ci sono metodi più scientificamente fertili e avanzati di altri (come quello valenziale o quello strutturalista o quello generativo), a scuola serve, a mio parere, come scrive qui anche Graffi, un concorso di metodi, di esperienze, più che una rigida monodottrina. Anche perché, a seconda dei livelli di analisi della lingua, funzionano bene metodologie diverse. Purché abbiano un requisito comune ineliminabile: che siano economiche, nel senso che spieghino il molto della lingua con il poco o con l’essenziale dei loro modelli esplicativi, e che siano semplici, e cioè chiare nella terminologia e accessibili innanzitutto ai docenti che le adottano e poi agli studenti che dovrebbero studiarle. Vittorio Coletti

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Letizia Lala
20 dicembre 2024 - 00:00
Mirko Tavoni fa emergere con chiarezza lo scollamento che ancora sussiste tra la didattica dell’italiano impartita, salvo illuminate eccezioni, all’interno delle classi e le reali necessità sottostanti alla comprensione e alla produzione dei testi. Sappiamo tutti che scrivere un testo non significa solo accostare frasi che siano corrette dal punto di vista grammaticale; vuol dire anche, e, anzi, soprattutto, distribuire i contenuti e collegarli tra loro in modo che vadano a costituire un insieme coerente, quindi unitario e strutturato. Questo in quanto il testo non è solo la somma di materiale linguistico in successione, ma una costruzione articolata che ha una sua organizzazione interna, una sua struttura, sue gerarchie. E riuscire a padroneggiare la costruzione e l’analisi di un testo non può prescindere dal comprendere questa struttura e queste gerarchie. Nonostante questa evidenza, ciò che di testualità è approdato ad oggi nella didattica è poco e poco efficace. I ragazzi non sono chiamati a comprendere cos’è un testo, come si struttura, e dunque anche come si analizza. Concetti come deittici, connettivi, organizzazione informativa dell’enunciato, raramente sono affinati in classe e le conseguenze comunicative dei loro impieghi sono estranee alle competenze della quasi totalità degli studenti. Questo deve far riflettere in primo luogo chi, come noi, forma i nuovi docenti, i quali dopo studi di linguistica moderna, una volta arrivati in aula mostrano, con una certa regolarità, una propensione a rientrare nell’alveo dell’insegnamento tradizionale: norma grammaticale avulsa da un contesto comunicativo e storia letteraria. Tralasciando di impartire gli strumenti essenziali per l’acquisizione di una coscienza metalinguistica e testuale. In meritò a ciò, dalle ricerche che stiamo svolgendo in Svizzera italiana emergono, sintetizzando, due nodi critici fondamentali, segnalati regolarmente dagli insegnanti. Da una parte, la necessità di costruire un ponte tra le nozioni teoriche acquisite dalla ricerca linguistica e l’ambito didattico; un percorso di adeguamento dei concetti teorici che consentono di rendere conto di come è costruita la testualità, da formalizzare sulle necessità di formazione degli insegnanti, semplificando senza snaturare. Dall’altra, la produzione di adeguati strumenti didattici che consentano di integrare nelle classi un’ottica basata sulla linguistica del testo, sostituendo strumenti più tradizionali, poco adeguati ma familiari, disponibili in quantità e facilmente reperibili. Niente di nuovo, in realtà, ma niente che ad oggi sia stato realmente raggiunto. Per facilitare l’ingresso di una visione adeguata dell’educazione linguistica nella scuola e aiutare gli insegnanti nel passaggio dalla teoria alla didattica dobbiamo procedere in queste due direzioni, e unirci a chi – Cristiana De Santis fa bene a sottolinearlo – già da tempo si impegna in questo senso.

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
20 dicembre 2024 - 00:00
Se ci si diverte a leggere dei nostri grandi scrittori vissuti nell'Antico Regime i dati biografici relativi alla loro prima formazione si scopre che, a trasmettere le basi, solide basi, grammaticali, poetiche, metriche, retoriche, necessarie a farne degli scrittori, furono l'applicazione ragionevole della Ratio Studiorum nei collegi gesuiti (leggete i nomi degli scolari di quello di Modena), della Methodus in quelli somaschi, gli insegnamenti dei seminari, delle scuole barnabite, delle Scuole Pie, dei precettori privati. Pascoli confermo' in un'intervista che in quelle scuole si apprendeva a dovere la lingua latina, fondamentale presupposto per maneggare quella italiana, venivano assegnati ottimi esercizi di versificazione, ci si abituava a imitare i classici per magari persino superarli. Non piacciono più quei metodi? di cui si giovarono da Dante al Manzoni, no che dico, al Carducci, i nostri migliori scrittori? a che serve ottundere le giovani menti di nomenclature e concetti filosofici e linguistici sempre mutevoli? mica si dava da studiare lo Scioppio o il Sanchez, si dava il Donato o l'Alvarez. E che, il Parini consigliava il Bembo? o non preferiva la chiarezza aliena da algebriche analisi del Corticelli? Non sarà meglio proporre una sana grammatica prescrittiva, normativa, senza inutili fronzoli ? invece di imbottire lo studente di deittici non si raccomandera' mai abbastanza la lettura di un classico? e la successiva parafrasi? non varrà la pena di dare molti esercizi, obbligare i ragazzi a studiare molte ore la grammatica, a scrivere scrivere scrivere, a studiare molte ore il latino, Cicerone, con traduzioni, amplificazioni, e tutto il vecchio armamentario retorico che tanti risultati diede? Certo, posso immaginare che il Leopardi non sapesse fare né derivate ne integrali, ma non perdeva nemmeno il tempo sui social. Ma, si dirà , nel diplomificio inclusivo si possono tormentare dei poveri ragazzi? Se invece di insegnare alla nostra gioventù studiosa a scrivere, si pensa o a divertirla coll'enigmistica o a tediarla colle espansioni, bè il triste epilogo sono le traduzioni dei classici italiani. Espurgati magari di ciò che suona misogino o eurocentrico. Cosa si vuole, la "comprensione" o la competenza di scrittura? non sono le aziende a pretendere dal candidato "l'orientamento al risultato"? insomma, si vuole formare una classe dirigente in grado di saper scrivere le leggi, o due o tre appassionati patiti di Oniga e Ghiselli? di Hjelmslev e Chomski? Ah, un'ultima cosa: cominciai a leggere una eclettissima grammatica latina del Ghiselli: Tornai al Porretti.

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
23 dicembre 2024 - 00:00
Errata corrige: ecletticissima, non eclettissima. Eclettico fa ecletticissimo, come pratico praticissimo; eletto invece elettissimo (ma eletto è già un massimo). Devo studiare di più. L'ho fatto male alle medie inferiori. Oggi si sposta sempre più avanti, anche fino all'Universita', l'insegnamento di materie scolastiche che una volta si apprendevano in tenera età, quando le menti dei fanciulli sono più malleabili e ricettive. La lingua latina insegnata alle medie, fornisce quella familiarità colle cose grammaticali che non si dimentica più. Ma capisco lo scandalo, il Latino è classista!
Bernhard Huss
18 dicembre 2024 - 00:00
Vorrei ringraziare molto l'amico e collega Mirko Tavoni per queste osservazioni, che condivido pienamente. Il mio consenso si basa sia sulla mia esperienza didattica sia con gli studenti Erasmus italiani che con i nostri studenti tedeschi, che molto spesso hanno un qualche tipo di background privato italiano. Insegno letteratura italiana di tutte le epoche a Berlino e cerco sempre di lavorare a stretto contatto con il testo nei seminari. Naturalmente non si tratta di un insegnamento della lingua in senso stretto, ma di un tipo di insegnamento che comunque richiede conoscenze grammaticali, riflessioni grammaticali e anche “intuizioni” grammaticali a vari livelli. Posso constatare che non tutti, ma molti studenti hanno un grosso deficit, perché o non hanno quasi nessuna conoscenza grammaticale preliminare o tale conoscenza è molto rigida e inflessibile (quasi cose imparate 'a memoria') e non può essere attivata bene per lo studio dei testi letterari. Per inciso, ho l'impressione che la situazione degli studenti tedeschi rispetto alla lingua tedesca sia abbastanza simile a quella degli studenti italiani rispetto all'italiano, come descritta e documentata da Mirko. Ringrazio Mirko per questa importante e utile iniziativa e non posso che sostenere l'obiettivo di fornire agli studenti un approccio moderno alla comprensione delle strutture grammaticali nelle varie situazioni comunicative orali e scritte in cui ci dobbiamo misurare con la lingua italiana - ciò vale anche per i parlanti stranieri dell'italiano.

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Maria G. Lo Duca
18 dicembre 2024 - 00:00
Ringrazio Cristiana De Santis dei molti meriti che mi attribuisce, ma uno di questi è in parte immeritato, o meglio da condividere con i molti colleghi che hanno lavorato al Quadro di Riferimento delle prove Invalsi. Che è nel suo complesso il frutto di un lavoro collettivo cui tante e diverse competenze hanno lavorato a più riprese, sulla base delle esperienze delle prove, via via che venivano somministrate, e dell’avanzamento della ricerca linguistica oltre che della ricerca psicometrica. Una modalità di lavoro non facile da realizzare, e che io personalmente ricordo con rimpianto. Quello che De Santis coglie in pieno è la modernità della filosofia grammaticale che l’Invalsi accettó a suo tempo di accogliere e di utilizzare nella costruzione delle prove.

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Giorgio Graffi
18 dicembre 2024 - 00:00
L'intervento di Mirko Tavoni e il lungo e approfondito commento di Cristana De Santis danno molti spunti su cui riflettere: in primo luogo, una valutazione dell'atmosfera culturale degli anni '70, che a mio parere rimangono il periodo più entusiasmante della storia dell'Italia contemporanea, dal punto di vista del progresso e delle conquiste sociali. In questa atmosfera si collocavano appunto le "Dieci tesi" del GISCEL (dovute in realtà, a quanto sembra, di fatto al solo De Mauro), la cui risonanza è stata indiscutibile, ma il cui impatto sulla pratica didattica effettiva è ancora tutto da dimostrare. Questo per dire che le carenze lamentate nella famosa "Lettera dei seicento", alla quale si riferisce Mirko all'inizio del suo intervento, non sono da attribuire alle stesse "Dieci tesi" o a don Milani, come, in varie altre sedi, hanno insinuato alcuni (non tutti) dei firmatari della lettera stessa. Una volta chiarito questo, non si possono tarscurare due problemi fondamentali: 1) le carenze degli studenti delle scuole medie (inferiori e superiori) per quanto riguarda soprattutto l'uso della lingua scritta sono innegabili; 2) la preparazione degli insegnanti di italiano (salvo alcune notevoli eccezioni) è altrettanto carente, per quanto riguarda l'educazione linguistica. Su questi due punti penso che siamo tutti d'accordo, come pure siamo d'accordo sul fatto che la causa del secondo di questi problemi sta nella scarsa preparazione in materia fornita ai futuri insegnanti dall'università che hanno frequentato (anche in questo caso, con alcune eccezioni). Il punto essenziale della riflessione a cui ci invita Mirko mi pare però un altro: il ruolo specifico dell'insegnamento grammaticale . Se è vero che l'unversità italiana fornisce ben poca preparazione ai futuri insegnanti di "educazione linguistica" (salvo poche eccezioni, lo ripeto), c'è anche da rilevare che c'è poco accordo, anche tra gli specialisti, su che cosa sia la "grammatica" da insegnare. Mi pare che in questo campo si proiettino, a sproposito, le dispute teoriche tra le varie "scuole di linguistica": quindi c'è chi contrappone la grammatica valenziale alla grammatica generativa, chi quest'ultima, che certamente si occupa solo della frase, alla "linguistica del testo", e quindi considera la grammatica generativa insufficiente, e così via. Personalmente, da quando ho cominciato a riflettere su questi argomenti, in primo luogo con l'aiuto dell'indimenticabile Adraino Colombo, sono giunto alla conclusione che è forse la più ovvia, ma non è comunemente accettata: per quanto riguarda l'insegnamento grammaticale, bisogna adottare una prospettiva "ragionevolmente eclettica", che quindi unisca nozioni di grammatica valenziale ad altre di grammatica generativa (ad es., è graziea quest'ultima che si è arrivati a distinguere chiaramente tra "funzioni grammaticali" e "ruoli tematici"), ecc., con un'imprescindibile attenzione anche al testo. Per ottenere questo risultato, però, è necessario superare la contrapposizione tra "scuole" accennata prima, e soprattutto la scomunica contro la grammatica generativa, che in passato ho sentito emanare da studiosi anche illustri e seriamente impegnati nel campo dell'educazione linguistica. Non sarà forse questa scomunica ad aver ostacolato la diffusione della "Grande grammatica italiana di consultazione" curata da Renzi, Salvi e Cardinaletti tra molti insegnanti seriamente motivati? Si tratta naturalmente di un testo complesso, non sempre semplice da assimilare, ma la cui conoscenza sarebbe certamente utile a ogni insegnante, purché libero da ogni diffidenza nei confronti dell'impostazione dichiaratamente generativista dell'opera. E finché, lo ripeto, ci saranno illustri studiosi che dipingeranno la grammatica generativa come "instrumentum diaboli", c'è da essere sicuri che questa diffidenza in buona parte rimarrà.

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Cristiana De Santis
16 dicembre 2024 - 00:00
Leggo, in un volume appena uscito per Franco Cesati (Il domani dell'educazione linguistica democratica, a c. di S. Ferreri e S. Loiero), una frase che mi sembra sintetizzare bene il clima culturale di un'epoca (gli anni Settanta) che sembra irripetibile e decisiva a chi la visse: da lì sarebbe nato tutto il bene e tutto il male della scuola italiana. In quegli anni, però, sono nate anche persone che oggi sentono il bisogno di storicizzarla, quell'epoca. "Le Dieci tesi sono nate da un'esigenza primaria : mettere a disposizione degli insegnanti nella forma più concisa possibile argomenti di riflessione che nascevano sia dall'osservazione del mediocre stato dell'educazione linguistica nelle scuole, soprattutto le nostre italiane, sia dell'elaborazione dei risultati dello sviluppo della linguistica e del pensiero teorico avvenuto nel Novecento". La frase è di Tullio De Mauro e si trova a p. 36. Poche pagine prima Maria Luisa Altieri Biagi ricordava come nel 1973 "un noto pedagogista e preside di facoltà si opponeva alla chiamata di un collega (uno storico della lingua italiana, da lui personalmente stimato) perché questa disciplina - nelle facoltà di Magistero - assumeva l'ignobile titolo di "Storia della lingua e della grammatica italiana". Ignobile, agli occhi del preside, era l'inserimento della parola "grammatica", che sembrava gettare discredito sull'intero insegnamento. Questo accadeva a Bologna, dove nel 1980 sarebbe nato il primo insegnamento di Didattica dell'italiano. Questo per ricordare che del clima di un'epoca non sono mai responsabili i singoli, anche se alcuni singoli a volte hanno la forza e il coraggio di cambiare le cose. Quando si tratta di singole, tuttavia, non sempre questo debito (e l'autorità che ne deriva) viene loro riconosciuto. Parlo di Maria Luisa Altieri Biagi (scomparsa nel 2017: l'intervento sopra citato risale a un convegno del 2015), ma non solo. In una riedizione della sua fortunata grammatica ("L'italiano dai testi", 1999) scriveva: "Fino a ieri, una Grammatica poteva limitarsi a far riflettere su una lingua; oggi deve contribuire a insegnarla, anche se siamo consapevoli che non si ottiene 'per grammatica' quello che si ottiene per esercizio reale di lingua". La proposta di Altieri Biagi consisteva nell'osservare i testi: testi veri, non frasette inventate dall'autore della grammatica. La sua grammatica "dal" testo (che comprendeva anche la grammatica "del" testo) ha fatto scuola per chi ha avuto la fortuna di incontrarla sui banchi, nei corsi di formazione, nelle sue lezioni universitarie. Questo accadeva mentre le grammatiche di impianto più o meno generativo uscite negli anni Ottanta e Novanta andavano al macero dopo il primo anno di vita. Ma c'è un'altra esperienza che, dagli anni Ottanta, continua a dare i suoi frutti: quella degli "esperimenti grammaticali" di Maria G. Lo Duca, apparsi prima a puntate sulla rivista "Italiano e oltre" e poi in volume (da ultimo per Carocci, che li ha ripubblicati nel 2004 e li ha ancora in catalogo, arrivati al 2024 lla 22a ristampa). Basati sulla grammatica implicita (cioè sulla conoscenza spontanea della lingua), e sul metodo laboratoriale (cioè sull'osservazione guidata di dati linguistici autentici), portano alla scoperta delle regole e alla loro consapevole definizione e applicazione. I libri di grammatica ispirati a quel metodo (scritti da Lo Duca con Rosaria Solarino) non ebbero il successo che avrebbero meritato, ma gli esperimenti hanno continuato a nutrire le migliori pratiche di riflessione grammaticale della scuola italiana (in particolare nella scuola primaria, alla quale Lo Duca ha dedicato un volume fortunato uscito nel 2018 sempre per Carocci: Viaggio nella grammatica). Dobbiamo a Lo Duca anche un recente "Dizionario di base della grammatica italiana" che ha il merito di mettere a disposizione degli insegnanti uno strumento agile in grado di aggiornarli sui concetti nuovi che si sono imposti (con le relative denominazioni) nella disciplina (deissi, sintagma, connettivo ecc.). Ma, soprattutto, dobbiamo a Lo Duca il "Quadro di riferimento delle prove INValSI dell'italiano" (2013 e 2018), in cui questi concetti si ritrovano spiegati. Se queste prove stanno, sia pur lentamente, riorientando la riflessione grammaticale a scuola, lo dobbiamo all'intelligente lavoro del gruppo da lei coordinato fino ad alcuni anni fa. Dobbiamo a lei anche le più lucide riflessioni sulla presenza della grammatica in quelli che un tempo si chiamavano Programmi scolastici e oggi si chiamano "Indicazioni nazionali per lo sviluppo del curricolo" (indicazioni volutamente generiche in nome dell'autonomia scolastica che lascia ai diversi istituti comprensivi il compito di sviluppare curricoli per la scuola di base: dall'infanzia alla secondaria di primo grado). Insomma: a leggere le opere delle grammatiche (intese come persone) c'è molto da imparare. Lì ci sono semi che danno ancora frutti, senza bisogno di fare terra bruciata.

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Mirko Tavoni

La competenza grammaticale è o non è importante per la comprensione dei testi? E quale competenza grammaticale?

L'Accademico Mirko Tavoni affronta il tema dell'insegnamento della grammatica a scuola e del suo rapporto con le effettive competenze linguistiche e metalinguistiche degli italiani.

Archivio Temi

Vittorio Coletti

Enfasi ed eufemismi negli usi linguistici attuali

L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.

Rita Librandi

Molte parole nascono ma poche crescono: chi lo decide?

La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.

Il Consiglio Direttivo dell’Accademia della Crusca

Ancora sull’uso del genere femminile nei testi giuridico-amministrativi

Il Consiglio direttivo dell'Accademia (Paolo D'Achille, Rita Librandi, Annalisa Nesi, Federigo Bambi, Rosario Coluccia), riprendendo la questione del genere nella lingua, più volte e sotto vari aspetti affrontata dalla Crusca, propone come Tema di discussione una riflessione e alcune indicazioni per un uso non discriminatorio della lingua. 

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Notizie dall'Accademia

Tornata accademica Giorgio Vasari: arte e lingua e Presentazione dei restauri della Villa medicea di Castello (13-14 dicembre 2024)

27 nov 2024

Progetto Le parole verdi - natura e ambiente - da Dante ai giorni nostri

12 nov 2024

CruscaScuola: Corso di formazione per i docenti a.s. 2024/2025 Leggere e comprendere i testi: riflessioni, strumenti e strategie didattiche

08 nov 2024

CruscaScuola: Un viaggio tra le parole. Il progetto per i docenti delle scuole secondarie di primo grado per l'a.s.2024/2025

08 nov 2024

L’Accademia della Crusca nomina otto nuovi Accademici

30 ott 2024

Scomparsa l'Accademica Ornella Castellani Pollidori

21 ott 2024

Dalla parola al fumetto, dal fumetto alla parola. Verso un piccolo glossario del fumetto e dell'illustrazione - Istruzioni per l’uso

16 ott 2024

L'Accademia della Crusca partecipa alla Bright Night dell'Università di Firenze

17 set 2024

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