"La dimensione internazionale dell’italiano porta l’attenzione alla cultura italiana - dall’arte alla musica, dalla scienza alla gastronomia -, superando la diffusione del “falso” italiano": l'Accademica Maria Teresa Zanola invita a riflettere sulla questione del rilancio commerciale dell'italianità e di come questo abbia impatto sulla lingua.
Nel vertice del G7 a Borgo Egnazia lo scorso giugno 2024, nell’ambito della tavola rotonda sul tema dell’intelligenza artificiale, il discorso di Papa Francesco è stato tenuto in italiano: in un contesto del tutto internazionale, l’italiano è stata una lingua del mondo. Papa Leone XIV usa l’italiano nei discorsi pubblici, ricevendo e incontrando personalità e gruppi stranieri. Il suo portafoglio linguistico comprende inglese, italiano, spagnolo, francese e portoghese, e la scelta linguistica ad hoc è introdotta quando passa a interazioni più personali o se si trova in contesti che determinano il fatto di privilegiare una di queste lingue in particolare: affacciandosi dalla loggia della Basilica di San Pietro, il Pontefice ha esordito in italiano, augurando ai fedeli “Che la pace sia con voi!”; è passato in un solo momento allo spagnolo, per salutare la sua diocesi peruviana.
Il Papa è il più prestigioso ambasciatore della lingua italiana ed è impressionante sentir risuonare la nostra lingua nelle celebrazioni, perché fa pensare a tutte quelle che nel mondo utilizzano l’italiano per le rispettive comunità. Non si tratta di un italiano di tipo veicolare, ma dell’italiano come lingua e tradizione culturale viva, praticata dalle comunità italiane presenti in tantissimi paesi, laddove per emigrazione lontana o recente si ritrovano gruppi di italiane e italiani e le loro famiglie.
Lasciando sullo sfondo temi oggetto di studi sociolinguistici, relativi all’identità linguistica migrata e allo spazio linguistico italiano, nella consapevolezza che una politica linguistica mai ben definita non ha facilitato la strada, è interessante approfondire il rapporto generato dalla lingua e cultura italiana nel mondo, a partire dai processi di carattere economico e produttivo legati alla diffusione di prodotti italiani, per giungere a una valutazione della posizione internazionale attuale dell’italiano.
Italian Sounding e italiano globalizzato
Un prodotto italiano può anche essere un simbolo se legato a tradizioni e segni tipici della sua cultura: lo diventano così spesso i prodotti alimentari, espressione della dieta mediterranea, del saper vivere – e cucinare – italiano. Su impulso dell’Accademia Italiana della Cucina, della Fondazione Casa Artusi e della rivista “La Cucina Italiana”, è stata lanciata nel marzo 2023 la candidatura UNESCO della cucina italiana alla lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Non solo quindi prodotti e alimenti: la pratica della cucina nella sua quotidianità, nel modo di prendersi cura di sé e degli altri, di ricordare le proprie origini e di trasmetterle alle nuove generazioni, sarà valutata nel corso del 2025. L’attenzione è rivolta a un complesso agroalimentare, antropologico e culturale, fatto di gesti condivisi, ricette antiche e rinnovate, gusti, sapori e profumi che coinvolge non solo i 60 milioni di italiani che vivono in Italia, ma anche gli 80 milioni che sono all’estero.
Nell’evidenza di un contesto così ampio e significativo, parrebbe ovvio pensare che l’italiano abbia fin qui identificato e denominato ogni angolo di questo patrimonio linguistico-culturale: purtroppo, nel tempo, un certo grado di inconsapevolezza e di incuria ha fatto sì che si siano diffuse anche etichette linguistiche italiane per designare referenti e contenuti di carattere alimentare non proprio ortodossi. Mentre dal punto di vista legislativo l’etichetta Made in Italy identifica tutti i prodotti realizzati in Italia, con materia prima italiana, l’Italian Sounding designa i falsi prodotti pseudo-italiani: il fenomeno si riferisce all’uso di parole, immagini, combinazioni cromatiche, riferimenti geografici, marchi e simboli evocativi dell’Italia per la commercializzazione di prodotti principalmente agroalimentari – ma non solo – che in realtà nulla hanno a che fare con l’originale italiano. Con l’Italian Sounding sono messi in circolo prodotti con nomi che usano l’italiano – e suoi spesso maldestri adattamenti – per far uso della reputazione di una presunta origine italiana, della qualità riconosciuta internazionalmente, ma che in realtà sono prodotti di ben altra provenienza e di qualità diversa, se non discutibile. L’effetto è che questa italianizzazione evocata procura danno al fatturato italiano e ne danneggia l’immagine.
Alle spalle c’è un ampio quadro di riferimenti normativi: il codice sulla proprietà industriale (D.L. 10.02.2005, n. 30), il decreto Crescita (D.L. 30.04.2019 n. 34), la legge 28.06.2019, n. 58 (Conversione in legge del decreto Crescita); altri documenti ministeriali e istituzionali si occupano della lotta alla contraffazione, fra cui un rapporto, realizzato nel 2017 dal Senato della Repubblica (2017) in collaborazione con la Guardia di Finanza, che analizza tutte le forme della contraffazione, compreso il ‘falso’ Made in Italy. Si può quindi combattere ogni forma di imitazione e di riduzione del prodotto italiano autentico. Vero contro falso. La contraffazione dei prodotti che violano marchi registrati e non rispettano i segni distintivi tutelati - come le denominazioni di origine controllata - produce un danno economico ingente, periodicamente valutato nell’ordine di più di 50 miliardi di euro. Denominazioni di prodotti agroalimentari che impropriamente richiamano prodotti caseari italiani protetti (mozzarella, ricotta, pecorino, provolone, gorgonzola, per citarne alcuni) creano confusione nel consumatore estero, oltre alle perdite di mercato costanti.
Massimo Vedovelli ha approfondito il rapporto fra il fenomeno economico-commerciale e i fatti che coinvolgono l’"abbigliamento linguistico e simbolico delle merci" (2022), rilevando il limite di un approccio di carattere denominatorio e nomenclatorio dell’attività simbolica in questione: oltre al collegamento fra il nome e la cosa, l’identità è già italiana di per sé, in ragione delle materie prime usate, della provenienza geografica, dei tipi di processi produttivi che la caratterizzano. Come impedire che questa realtà sostanziale, oltre che segnica, sia trasferibile ovunque o, se resa possibile la sua adeguata dislocazione, sia autenticamente italiana? Questo è il dato ineliminabile: non è solo questione di un nome italiano dato a un prodotto, è l’insieme del processo della produzione – dalla sua genesi alla sua realizzazione commerciabile – che implica caratteri di italianità. La risposta normativa, attraverso i documenti citati, i disciplinari di produzione, le battaglie delle istituzioni e associazioni a difesa dei prodotti italiani, ha messo in moto un movimento di consapevolezza molto profondo ed esteso.
Non ritorniamo qui alle critiche mosse al nome stesso di Italian sounding, un’espressione non italiana per definire questa deviazione dall’originale prodotto italiano, se non una vera e propria manipolazione. Parrebbe l’esito globalizzato di un uso non disciplinato della lingua, che si adatta a divenire fattore di singole attrattività commerciali, accantonando il patrimonio che una lingua dà a un popolo in tutti i risvolti possibili di carattere culturale, scientifico, sociale e umano. Non ci attardiamo nella vis polemica che il tema suscita, ma cerchiamo vie d’uscita e nuove piste attrattive per la valorizzazione dell’italiano e dei beni materiali e immateriali che può veicolare e trasmettere.
Italiano e italianità
In un suo scritto del 1987, Giovanni Nencioni – allora presidente dell’Accademia della Crusca - sottolineava la necessità della sicurezza della comunicazione in italiano nei rapporti internazionali relativi alla scienza, alla tecnologia, alla collaborazione industriale, al commercio, e scriveva: «Sono esigenze fortemente sociali, cioè rivolte, più che ai linguisti, agli utenti della lingua, e più che ai produttori di merci e di neologismi, ai quali senza dubbio giovano, agli acquirenti bisognosi d’individuare esattamente la natura, le qualità, le insidie dei prodotti». Le istanze di trasparenza e di sicurezza nella comunicazione tecnica e scientifica ponevano l’attenzione a un’adeguata terminologia, al fine di sostenere un’informazione scientifica e tecnica in lingua italiana mediante la valorizzazione dei linguaggi speciali o settoriali in lingua italiana, superando la manipolazione di ogni lingua in nome di pressioni commerciali o di influenze generalizzate.
Nencioni promosse in quegli anni, in linea con quanto avveniva presso altri paesi di lingua romanza, un’associazione dedicata alla terminologia, l’Ass.I.Term (“Associazione Italiana per la Terminologia”), così come la partecipazione a una rete internazionale di terminologia dedicata alle lingue romanze (REALITER, “Rete di terminologia delle lingue romanze”). Non bastano gli studi a fermare un’onda crescente? Può essere, ma senz’altro l’attenzione alla terminologia da allora ha iniziato a sviluppare coscienza nella comunicazione scientifica e professionale all’importanza della sua chiarezza, precisione e univocità.
Nel frattempo, negli anni aumentano i danni per la mancata protezione della terminologia aumentano. Il caso del parmesan vs. parmigiano è fra i più citati (insieme a quello del prosecco), a cui si uniscono tante fantasiose varietà di denominazioni commerciali per bevande a base di latte e caffè, per formaggi e salumi, olio extra vergine di oliva, prodotti ortofrutticoli, vini. Perché questo non è mai avvenuto con lo champagne, ben distinto dalle altre bollicine francesi, subito chiamate in modo diverso, dal crémant al blanc des blancs, ai diversi vini indicati come pétillants (effervescenti) con la territorialità di provenienza?
Il battesimo del nome e del prodotto, il vincolo all’uso di questa denominazione con la forza di difenderla hanno aiutato, in un contesto di una politica linguistica come quella francese, chiara e assertiva a partire dagli anni 70 del Novecento, a definire il campo e a proteggere, di conseguenza, i prodotti. Può darsi che per l’italiano il percorso nasca dal basso, dalla rinnovata coscienza dell’importanza dell’uso e poi giunga a un radicamento istituzionale, ma senz’altro oggi l’apparato ‘difensivo’ è presente anche istituzionalmente. Si dimentichi allora una distorta idea di prestigio di altre lingue, si ragioni piuttosto sull’importanza di non inventare denominazioni in nome di un italiano globalizzato e si resti radicati alla realtà della lingua e al suo potere espressivo.
Si è spesso confusa la riflessione in difesa della lingua come un atteggiamento purista e antimoderno: questo è un atteggiamento tendenzioso e non corretto, che imposta un falso ragionamento. La chiarezza e la precisione della denominazione corrispondono alla necessità di definire e univocamente denominare anche le nuove realtà commerciali, produttive, sociali, proprie di una società nella sua crescita e nel suo divenire.
La terminologia italiana e la trasmissione della conoscenza
Rispetto alla diffusione di termini tecnici e scientifici in italiano, parte della preoccupazione nasce dai bisogni della loro diffusione: come tradurli? Il problema di una terminologia plurilingue è quello di determinare le esatte corrispondenze fra le lingue rispetto a un concetto dato. Ora, se questo concetto dato ha la propria denominazione in italiano, nel caso di prodotti agroalimentari – dove il nome identifica il prodotto stesso – non è il caso di creare adattamenti o calchi, ma di vincolare quel termine al suo uso tale e quale, come prestito. Abbiamo citato il caso di champagne, così sarà per parmigiano reggiano, grana padano, pistacchio di Bronte, culatello… Insistere sull’uso del termine italiano deve insistere sulla corrispondente definizione, in modo tale che non si creino false definizioni. Una finestra aperta per spalancare l'osservazione sul rapporto fra terminologia e made in Italy, in ogni campo della nostra produttività.
Sono osservazioni che conosciamo, che diamo per scontate, che ci rattristano quando vediamo i nostri termini corrispondere a significati ridotti e storpiati, ma ci rendiamo conto della rilevanza economica, sociale e culturale del non difendere la nostra terminologia? L’esperienza di altre lingue romanze dovrebbe essere vista non come mera chiusura difensiva e protezionistica della lingua stessa, ma come attenzione alla prioritaria importanza di seguire in modo vigile la creazione, la diffusione e la penetrazione di una terminologia chiara e precisa.
La terminologia vive nella situazione comunicativa concreta, nel dialogo inventore-produttore-fornitore-cliente, nella comunicazione fra professionista e professionista, nella scrittura specialistica di un articolo, di un saggio, e così via, per qualunque terminologia scientifica o tecnica. Il grado di efficacia comunicativa aumenta quanto più il possesso dell’ampiezza espressiva di questa terminologia è consapevole. La precisione terminologica è anche un bene in sé, con valore economico e giuridico: il glossario di un’azienda costituisce la proprietà esclusiva del saper fare di quell’azienda, ed è la ragione per la quale molto patrimonio terminologico tecnico non è accessibile, ma vive all’interno del mondo del lavoro che lo possiede. Un singolo termine identifica un prodotto tecnico e industriale, e quanto è importante che la sua corretta definizione sia divulgata insieme al termine stesso. La conoscenza terminologica è linguistica e concettuale e culturale al tempo stesso.
L’italiano è già stata lingua internazionale della musica – in quante lingue ritroviamo i termini dei segni dinamici (agitato, amoroso, animato, appassionato, arioso, diminuendo, forte, furioso, grazioso, maestoso, moderato, smorzando, sostenuto), di qualche strumentista e cantante (concertista, diva, duetto, maestro, mezzo-soprano, quartetto, solista, terzetto). La presenza lessicale dell’italiano nelle altre lingue – che si estende a numerosi ambiti, dalla marineria all’area bancaria e finanziaria, dall’arte alla gastronomia e alla cucina – è costituita da migliaia di voci: questi italianismi sono presenti come prestiti integrali, altri adattati ortograficamente e/o foneticamente, altri ancora di cui si scopre solo per via etimologica la traccia di provenienza. È una storia di internazionalità, scritta a partire dai primi apporti medievali del XII e XIII secolo, relativi a prodotti diffusi dai mercanti italiani e dalle loro monete (si pensi al fiorino e al carlino).
Gli affari di lingua sono spesso affari di stato: nelle dinamiche politiche attuali, i criteri di influenza si intersecano e costituiscono oggi, con la pratica e l’uso, sicure vie di convincente diffusione.
L’internazionalità della lingua italiana
Nel 2024 un progetto di RAI Ufficio Studi ha portato a una pubblicazione sull’italiano lingua internazionale della cultura: la lingua italiana è presentata come contenuto culturale, un testimone di una tradizione capace di influenzare oltre i suoi confini geografici. L’italiano è anche l’ottava lingua più usata su Internet (secondo W3Techs, aprile 2024) e trova attraverso l’area digitale ulteriore strumento di disseminazione: una lingua che, viaggiando, porta i suoi tesori e il proprio patrimonio con sé.
Non dovremmo ignorare le argomentazioni usate dagli atenei anglosassoni e americani per promuovere lo studio dell’italiano: oltre ai dati quantitativi relativi alla presenza dell’italiano fra le lingue più influenti e studiate al mondo, al numero di premi Nobel vinti, al maggior numero di siti del patrimonio mondiale dell’UNESCO, figurano le motivazioni di opportunità rispetto agli sbocchi professionali e di diplomazia d’influenza che l’italiano e l’italianità esercitano.
Il cosiddetto Made in Italy riunisce così valori condivisi di unicità e specificità, di distintività e appartenenza: grazie alla lingua caratterizza questa italianità, che va dalle quattro A riconosciute (abbigliamento, agroalimentare, arredamento, automotive) al mondo manifatturiero, filmico e audiovisivo, che a sua volta definisce tradizioni, percorsi e intrecci artistici e culturali che accompagnano le tante storie della nostra creatività.
L’italiano è lingua internazionale della cultura, nel suo senso più ampio, e da qui abbraccia le forme dell’italianità che più efficacemente inquadrano un panorama ricchissimo di azioni di pace, di apertura al bello, di promozione dell’umano, di futuro di speranza per tutti.
*L'articolo è stato originariamente pubblicato su "Vita&Pensiero” (2, 2025, pp. 115-121), ed è qui riproposto con alcuni minimi rimaneggiamenti.
"La dimensione internazionale dell’italiano porta l’attenzione alla cultura italiana - dall’arte alla musica, dalla scienza alla gastronomia -, superando la diffusione del “falso” italiano": l'Accademica Maria Teresa Zanola invita a riflettere sulla questione del rilancio commerciale dell'italianità e di come questo abbia impatto sulla lingua.
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