Francesco Sabatini propone ai nostri lettori una riflessione sull'impatto che la Prima Guerra Mondiale ha avuto sulla lingua degli italiani.
Marzo 2014
"... in questo mio silenzio
una parola..."
G. Ungaretti, Commiato
La “Grande Guerra” fu l’evento che, insieme con le bibliche migrazioni dei decenni precedenti, movimentò nel profondo, come mai era accaduto da oltre un millennio, l’intera popolazione della Nazione italiana. Quell’evento portò alla luce anche le fortissime diseguaglianze economiche e culturali esistenti tra i diversi strati sociali e tra le diverse aree del Paese e, in particolare, rivelò quanto fosse ancora priva di capacità linguistiche adatte alla comunicazione efficace, interclasse e interregionale, una buona metà della popolazione. Nel decennio 1911-1921 l’analfabetismo in Italia era intorno al 40%, quando in Germania, Austria e Paesi europei del Nord era all’1%.
La lontananza dalle proprie famiglie e dal proprio luogo di vita, i patimenti della trincea o della prigionia, il costante pensiero rivolto alla morte fecero sentire alla massa dei soldati il dramma della solitudine linguistica. Si avvertì allora acutamente da parte loro, com’era stato per le schiere di emigrati, il bisogno di conquistare, insieme con l’italiano, l’uso della scrittura: le tante dichiarazioni pervenuteci di questi fatti e la testimonianza diretta delle lettere, dai combattenti ai familiari e viceversa, scritte o fatte scrivere con le minime capacità disponibili sono tra i documenti più veritieri delle condizioni di vita ereditate dal passato e del cammino assai lungo che milioni di Italiani dovevano ancora percorrere per consolidare la propria posizione di cittadini di uno Stato e abitanti nel mondo moderno.
I dialetti sono stati più volte oggetto del Tema. In questa occasione Annalisa Nesi, accademica segretaria, invita a discutere sul dialetto in Toscana.
L'Accademico Mirko Tavoni affronta il tema dell'insegnamento della grammatica a scuola e del suo rapporto con le effettive competenze linguistiche e metalinguistiche degli italiani.
L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.
La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.
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Intervento conclusivo di Francesco Sabatini
Abbiamo aperto le riflessioni del mese ricordando che cento anni fa, sui fronti del primo conflitto mondiale, l’Italia scoprì anche l’arretratezza culturale di un’alta percentuale della sua popolazione, per circa la metà ancora analfabeta. Vogliamo ora concluderle segnalando che a cento anni di distanza da quegli eventi non dobbiamo più fare i conti con la massa degli analfabeti totali, ma con un diffuso analfabetismo “funzionale”. Una scarsa padronanza dell’italiano, appreso parzialmente negli anni di scolarizzazione e non ampliato e consolidato nell’età adulta attraverso il suo uso per le funzioni sociali e culturali, mette ugualmente una gran parte della popolazione in una condizione di debolezza e improduttività.
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