Una curiosità linguistica sul termine gatta
Non è casuale che sia stata utilizzata sempre la forma femminile gatta per riferirsi all'immagine delle marche tipografiche. Nell'antichità infatti, soprattutto in Toscana, la forma gatta non specificava il sesso dell'animale, ma serviva per riferirsi al gatto in generale, maschio o femmina che fosse. Nel Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1612 (s.v. Gatta) infatti è riportata a lemma soltanto la forma gatta, forma che ricorre all'interno dell'intero Vocabolario, sotto varie voci e negli esempi, 52 volte, contro le uniche 8 volte della forma gatto sempre contenuta in esempi d'autore e mai utilizzata dai vocabolaristi. Una prova molto forte della larga e popolare diffusione della forma gatta è fornita dai numerosissimi proverbi e modi di dire che contengono la forma gatta e non gatto, senza naturalmente che ci sia la necessità di un particolare riferimento alla femmina piuttosto che al maschio, e senza che lo richiedano ragioni di rima: "Meglio esser capo di gatta, che coda di Lione; Cadere in piè come la gatta; Vender gatta in sacco; Dove non son gatte i topi vi ballano; Andare alla gatta pel lardo; Tenere un'occhio alla padella, e uno alla gatta; Alla pentola, che bolle non vi s'accosta la gatta; Andare a vedere affogare, pescare, o ripescar la gatta (cfr. Vocabolario degli Accademici della Crusca, s.v. Gatta).
A proposito di gatta bisogna poi ricordare che il primo bidello dell'Accademia, redattore tra l'altro dell'introduzione alla prima Cruscata di Leonardo Salviati pubblicata dalla Crusca (Il Lasca Dialogo: Cruscata, ovver Paradosso d'Ormannozzo Rigogoli: rivisto e ampliato da Panico Granacci, Cittadini di Firenze, e Accademici della Crusca: nel quale si mostra, che non importa, che la Storia sia vera, e quistionarsi per incidenza alcuna cosa contra la Poesia) viene ricordato come "il Gatta", ma in questo caso, nonostante la bizzarra coincidenza, dovrebbe proprio trattarsi del cognome di questo personaggio.
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