Parole “a caso”: random, randòmico, randomizzare

di Lucia Francalanci

È ormai sempre più comune, soprattutto in ambito scientifico e in campi come la statistica, l’informatica, la sperimentazione clinica o la teoria dei giochi, imbattersi nell’aggettivo random (usato principalmente in riferimento a un campione, un criterio, un modo, una ricerca, uno studio, una selezione, un metodo, un ciclo, un numero) e in una serie di termini a questo collegata: randomizzare, randomizzazione, randomizzato, randomico, randomicità e randomicamente. In questo lavoro ho cercato di individuare l’origine di tali voci, di spiegarne il significato e, per quanto possibile, di ricostruirne la storia.

Random

Il termine random è un prestito integrale dall’inglese. I dizionari inglesi (Cambridge Dictionary, Collins Dictionary, Merriam-Webster, Oxford Dictionary) registrano random come aggettivo, come sostantivo e come avverbio. Come aggettivo significa ‘casuale; accaduto, fatto o scelto a caso; privo di un piano o di uno schema definito’ e, nell’uso informale e con riferimento a una persona, vale ‘sconosciuto, estraneo, strano’; in statistica ‘che ha la stessa probabilità di verificarsi; relativo a elementi che hanno la stessa possibilità di occorrenza’ (Merriam-Webster, Oxford Dictionary), ‘che ha un valore che non può essere determinato ma solo descritto in modo probabilistico’ (Collins Dictionary). Come sostantivo random indica attualmente ‘una persona sconosciuta, estranea’ e come avverbio significa ‘in modo casuale’. Secondo il Merriam-Webster l’avverbio random è attestato dal 1618, mentre come aggettivo è documentato dal 1619, anche se i dizionari etimologici lo datano intorno al 1650.

In base alla ricostruzione presente nell’Online Etymology Dictionary, random verrebbe dall’espressione at random ‘a grande velocità’ (datata intorno al 1560), alterazione del sostantivo medio inglese (Middle English) randon, randoun ‘impetuosità, velocità’ (1300 circa), che deriva dal francese antico randon ‘fretta, disordine, forza, impetuosità’. Stando ai dizionari storici (DMF, TLFi) ed etimologici francesi (DEAF, FEW), randon deriva dal verbo randir ‘correre velocemente, con impeto (di cavallo o di persona)’ (av. 1888), proveniente probabilmente dal franco *rant ‘corsa’, che viene dall’antico basso francone (a.b. frq = ancien bas francique) *rand ‘corsa’, corrispondente al verbo tedesco rennen ‘correre’.

In italiano random è registrato dalla lessicografia come aggettivo invariabile, proprio del linguaggio specialistico della statistica e dell’informatica, con il significato di ‘casuale, aleatorio’ (un campionamento random) e, per estensione, ‘che avviene senza sistematicità, privo di un criterio regolare’ (lettura random).

Il termine è generalmente usato per indicare una variabile statistica suscettibile di assumere valori aleatori, cioè valori non prevedibili a priori. Si pensi, ad esempio, al lancio di un dado: l’uscita di un numero da 1 a 6 è random, ovvero non si può conoscere a priori il risultato effettivo; dal punto di vista statistico, la probabilità di ottenere ciascun numero è infatti la stessa (1/6, cioè circa 16,67%). La voce random può essere usata anche in riferimento a un campione statistico ottenuto in modo casuale.

Alcuni dizionari (Zingarelli, Vocabolario Treccani online) segnalano anche il significato non specialistico di ‘a caso, senza uno scopo o un ordine preciso’ (fare un giro random in auto); lo Zingarelli lo marca come voce gergale, tipica soprattutto del linguaggio giovanile.

Il GRADIT e il Vocabolario Treccani online registrano anche l’uso di random come avverbio, il primo con il significato di ‘che avviene senza sistematicità, privo di un criterio regolare’ (studiare random), il secondo con quello di ‘casuale, casualmente, senza un ordine preciso’ (due pensieri random sulla situazione attuale). Il Garzanti è l’unico a lemmatizzare il termine esclusivamente come avverbio, con l’accezione di ‘casualmente, a caso’. I dizionari registrano anche la locuzione accesso random ‘accesso diretto o casuale’ (dal Devoto-Oli 2023: in informatica, “metodo di accesso diretto ai dati precedentemente memorizzati, realizzato mediante calcolo algoritmico e utilizzato in particolare per la memoria temporanea (detta random access memory ‘memoria ad accesso casuale’, in sigla RAM)”) e la polirematica random walk ‘passeggiata casuale, aleatoria’ (dal GRADIT: in statistica, “modello matematico con cui si rappresenta il movimento di un punto soggetto a spostamenti casuali”).

Effettuando delle ricerche in rete, si nota che, talvolta, al posto del semplice aggettivo random, viene usata l’espressione a random (dimmi una cosa a random). Si tratta probabilmente dell’adattamento della locuzione inglese at random ‘a caso’ (he opened the book at random ‘ha aperto il libro a caso’), registrata da tutti i dizionari inglesi (la lessicografia italiana non registra invece la locuzione); la presenza della preposizione a anche in italiano potrebbe essere influenzata dalla frequenza, nella nostra lingua, delle locuzioni avverbiali formate con tale preposizione [1]. Le due espressioni risultano abbastanza diffuse: l’interrogazione delle pagine in italiano di Google (in data 6/3/2023) restituisce infatti 390.000 risultati per a random e 109.000 per at random [2]. Se però prendiamo in considerazione un altro dato, ovvero il numero di occorrenze totali di random (11.400.000) [3], ci rendiamo conto del fatto che i risultati di a random/at random corrispondono soltanto al 6,6% delle attestazioni totali e che vi è quindi una netta preferenza per la forma senza preposizione.

Stando alla lessicografia italiana, la data di prima attestazione dell’aggettivo random è il 1974, ma tramite una ricerca in Google libri è possibile retrodatare il termine. La prima occorrenza rintracciata di random è nel Dizionario Universale delle arti e delle scienze di Ephraim Chambers del 1749 (Venezia, presso Giambattista Pasquali, p. 412), in cui si parla di tiro a caso come traducente dell’inglese random-shot; nel corso della descrizione l’autore utilizza anche la locuzione tiro random, in questo caso senza tradurre l’aggettivo:

TIRO a caso, o colpo perduto, random-shot, chiamano gli Inglesi, un tiro o colpo fatto quando la bocca del cannone è alzata al di sopra della linea orizzontale, e non è intesa a tirare direttamente, o di punto in bianco. […] Lo spazio o distanza del tiro random si conta dalla piattaforma al luogo, ove la palla comincia a rasentare.

Sembrerebbe però trattarsi di un caso isolato, tanto che la successiva attestazione si ha un secolo dopo, nel 1874, in una rivista mensile dedicata all’arte della stampa (Composizione e impaginazione d’un giornale in Inghilterra, “L’arte della stampa”, anno VI, n. 1, p. 53):

La copia, giacchè [sic] è oggimai uso di chiamar così ciò che altre volte in Italia chiamavasi esclusivamente l'originale dopo essere stata divisa in varie parti, viene consegnata ai compositori.
Ogni compositore, terminato che ha la propria porzione la colloca sul vantaggio.
Questo vantaggio - o per parlare più esattamente, questi vantaggi, giacché vi sono ad un tempo varii articoli in composizione, ed ogni articolo ha il proprio vantaggio - vengono collocati sopra un random (adottiamo la parola inglese random, che vuol dire cosa fatta in fretta finché non sia trovato un vocabolo più acconcio).

In tale esempio si fa però riferimento al sostantivo inglese random e al suo significato antico di qualcosa che è fatto con particolare velocità: si tratta dunque, in entrambi i casi, non solo di attestazioni isolate che non hanno successo, ma anche di usi molto settoriali dell’anglicismo integrale.

Il termine riappare poi soltanto nel 1950 in una rivista di citologia in cui si parla di mutabilità non-random, il cui significato sembrerebbe quello di ‘(mutabilità) non priva di regolarità, sistematica’; si tratta però di un prelievo diretto della locuzione non random dalla fonte inglese (come attestano le virgolette):

Nel frattempo Gustavsson e Mac Key (1948) mostravano che su 7 mutazioni clorofilliane indotte dal gas mostarda nell'Orzo ben 6 erano «viridis» e 1 sola «albina»; ciò che induceva i ricercatori svedesi, anche sulla base di nuove osservazioni inedite, alla conclusione che Ia mutabilità clorofilliana indotta nell'Orzo dall'yprite è tipicamente «non-random» e che, quindi, le azioni mutagene delle radiazioni e del gas mostarda sono distintamente differenti.
I dati da noi raccolti nella presente ricerca mostrano che anche Ia mutabilità clorofilliana indotta dai derivati acridinici è una mutabilità «non-random», come denotato dalla assenza del tipo «albina», dalla buona frequenza del tipo «viridis» e dalla comparsa di mutanti rari o rarissimi, quali Ia «tigrina-like» e Ia «maculata» (Francesco D'Amato, Mutazioni clorofilliane nell'orzo indotte da derivati acridinici, “Caryologia”, vol. 3, 2, 1950, pp. 217-218).

La prima vera e propria occorrenza (rintracciata) in italiano dell’aggettivo random con il significato di ‘casuale, aleatorio’ si ha solo nel 1959 in un testo di geofisica applicata (il termine è qui tra virgolette, probabilmente perché percepito ancora dall’autore come poco comune):

Tale principio è valido, tuttavia, solo nel caso in cui il disturbo si possa considerare completamente «random», cioè come una variabile casuale (Quaderni di geofisica applicata, vol. XX, Milano, Fondazione Ing. C. M. Lerici e Istituto di Geofisica Applicata del Politecnico di Milano, 1959, p. 40).

Vi sono poi diverse attestazioni negli anni successivi (si parla di campionatura random, numeri random, processo random, modo random), tutte in volumi di ambito scientifico (matematica, medicina, fisica, geofisica, chimica, informatica, ecc.). In base a tali testimonianze, possiamo supporre che l’aggettivo si sia diffuso in campo scientifico tra il 1950 e il 1970.

A partire dal 1969, l’aggettivo random fa il suo ingresso nella stampa quotidiana, anche se, almeno fino agli anni Ottanta, si tratta di attestazioni sporadiche. Riportiamo l’esempio del 1969 presente sul “Corriere della Sera”; si tratta del racconto di un inviato speciale che si trova a bordo dell’incrociatore lanciamissili Andrea Doria D 553 della Marina Militare italiana durante un’operazione navale nel Mediterraneo (si nota che l’autore del testo spiega il significato del termine, probabilmente perché lo considera poco conosciuto):

Noi del Doria, o meglio noi del gruppo occidentale, la nostra parte l’avevamo fatta abbastanza bene, nel corso della giornata e della nottata di ieri. Eravamo stati fortunati. Avevamo effettuato una ricerca random, cioè una ricerca non sistematica, quasi a casaccio, e a metà del pomeriggio avevamo ottenuto un successo insperato, a sorpresa (Max David, L’insidia delle boe gialle, “Corriere della Sera”, 26/4/1969, p. 5)

Riassumendo, l’aggettivo random ha fatto la sua comparsa in italiano intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso, diffondendosi da subito nel linguaggio scientifico. Il numero così elevato di occorrenze in rete che il termine ha attualmente e la varietà dei contesti in cui compare ci confermano che ormai l’aggettivo non è più soltanto un vocabolo specialistico della statistica e dell’informatica, ma è entrato a tutti gli effetti nella lingua comune.

Randomizzare, randomizzazione e randomizzato

Il verbo randomizzare è un calco del verbo inglese to randomize (nell’inglese britannico è preferita la variante randomise), derivato di random e registrato da tutti i dizionari inglesi consultati (Cambridge Dictionary, Collins Dictionary, Merriam-Webster, Oxford Dictionary) [4]. Il significato riportato nell’Oxford Dictionary è quello di ‘rendere (un insieme di elementi, persone, ecc.) imprevedibili, non sistematici o casuali nell’ordine o nella disposizione’ [5]; più specifica la definizione del Collins Dictionary: ‘impostare (un processo di selezione, un campione, ecc.) in modo volutamente casuale al fine di aumentare la validità statistica dei risultati ottenuti’ [6].

Il verbo transitivo randomizzare è registrato da tutti i principali dizionari italiani (non compare però nel Sabatini-Coletti) come termine specialistico della statistica e dell’informatica, con il significato di ‘rendere casuale’, sinonimo di casualizzare ‘rendere casuale un procedimento o sim. introducendo un elemento di accidentalità’ (GRADIT). Il Devoto-Oli 2023 riporta anche due definizioni più specifiche: in statistica ‘attribuire a ogni possibile scelta o eventualità un grado di probabilità’; in informatica, ‘simulare una distribuzione casuale di probabilità’. Nel GDLI troviamo esclusivamente l’accezione informatica: ‘disporre elementi numerici in un elaboratore elettronico secondo una sequenza regolata da leggi molto complesse in modo da simulare una distribuzione casuale’.

Cerchiamo di semplificare il concetto. Ragionando a grandi linee, possiamo affermare che esistono almeno due tipologie di esperimento: gli esperimenti deterministici, ovvero quelli il cui esito può essere previsto con precisione [7] e gli esperimenti casuali (detti anche random, aleatori o stocastici), di cui non si può stabilire con certezza il risultato [8]. L’esempio classico è quello del lancio della moneta: per ogni singolo lancio non sarà mai possibile stabilire con sicurezza se uscirà testa o croce [9].

Senza addentrarci troppo nella complessità matematica dell’argomento, possiamo aggiungere che alcuni fenomeni aleatori conservano una qualche prevedibilità, ovvero taluni esiti possono essere ritenuti più plausibili di altri, cioè hanno maggiore probabilità di verificarsi. Abbiamo visto che, nel lancio di un singolo dado, ciascun numero ha la medesima probabilità di uscire; ma lanciando due dadi, il risultato più probabile sarà il 7, l’esito a cui corrisponde un maggior numero di combinazioni (1+6, 2+5, 3+4, 4+3, 5+2, 6+1).

Passando a definizioni più specifiche, si dice variabile casuale (o aleatoria) la variabile che può assumere valori diversi (i possibili esiti dell’esperimento, come la somma dei dadi) rispetto a un fenomeno aleatorio. Ogni variabile aleatoria è definita univocamente dalla sua distribuzione di probabilità, ovvero un modello matematico che associa a ciascun valore possibile della variabile la probabilità con cui tale valore si verifica [10].

Per avere un’idea significativa delle possibili evoluzioni di un dato fenomeno si può ricorrere a una simulazione, ovvero alla costruzione di un modello matematico rappresentativo di quel fenomeno. I valori assegnati a ogni variabile possono essere scelti sulla base di esperienze precedenti oppure possono essere assegnati casualmente. La simulazione di un fenomeno casuale (simulazione stocastica) si basa sulla generazione di sequenze di numeri casuali (o random) [11: per ogni variabile aleatoria è quindi necessario disporre di una gamma di valori distribuiti uniformemente, ovvero in modo tale che ciascuno di essi abbia la stessa probabilità di essere assegnato (si pensi ad esempio all’estrazione di uno o più vincitori in un concorso, in cui tutti i partecipanti devono avere la stessa probabilità di essere sorteggiati).

Tornando finalmente al verbo randomizzare, siamo quindi ora in grado di affermare che il suo significato è ‘rendere casuale un processo o un esperimento’, ovvero ‘assegnare casualmente valori a una data variabile aleatoria’, o ancora più specificamente ‘simulare una distribuzione casuale di probabilità’.

La maggior parte dei dizionari italiani, tranne il Sabatini-Coletti e il Garzanti, mette a lemma un derivato del verbo randomizzare, il sostantivo femminile randomizzazione. Il termine, derivato da randomizzare con il suffisso -zione, sul modello dell’inglese randomization, di uso specialistico (statistica e informatica), è sinonimo di casualizzazione (dal GRADIT: in informatica e statistica, “l’effetto di algoritmi, processi e sim. che introducono, in un procedimento o in un’operazione, un elemento casuale”) e significa ‘atto, effetto del randomizzare’ (Vocabolario Treccani online), ‘il randomizzare (e nella statistica medica indica l’operazione con la quale si prescelgono casualmente alcuni pazienti per sottoporli a sperimentazione terapeutica)’ (GDLI). Il GDLI segnala inoltre la locuzione algoritmo di randomizzazione ‘insieme di istruzioni con le quali si ricava matematicamente la posizione di un dato in una memoria ad accesso diretto’.

La randomizzazione può essere definita come ‘il processo di assegnazione casuale di valori a una variabile’. È molto impiegata nel campo della statistica medica. Ad esempio, nel corso di uno studio clinico in cui si vuole testare un dato farmaco, la popolazione viene divisa in due gruppi, il gruppo di trattamento, ossia quello a cui viene somministrato il farmaco, e il gruppo di controllo (di confronto, di trattamento standard o placebo). La randomizzazione consiste nell’assegnazione casuale di ciascun membro a uno dei due gruppi, tale che ogni membro abbia le stesse probabilità di essere scelto. Tale tipo di studio è detto studio controllato randomizzato (RCT, dall'inglese randomized controlled trial).

Il GDLI e il GRADIT registrano anche un secondo derivato del verbo randomizzare, l’aggettivo (coincidente con la forma del participio passato del verbo) randomizzato, sempre di uso specialistico, che significa ‘effettuato in modo casuale, senza un criterio o un ordine preciso’. 

Per quanto riguarda la datazione della forma verbale e dei suoi derivati, Zingarelli 2023, Devoto-Oli 2023 e GDLI indicano il 1986 come data della prima attestazione del verbo randomizzare, mentre il GRADIT la anticipa al 1967. Anche il sostantivo randomizzazione è datato 1986 (stavolta anche dal GRADIT); l’esempio, tratto dalla “Stampa”, è riportato nel GDLI:

Sperimentazione sull’uomo. A volte paiono giochi crudeli. La «randomizzazione», ad esempio, una parola derivata dall’inglese, per spiegare un sorteggio dei malati che saranno inseriti, «a caso» appunto, in gruppi che verranno trattati in modi diversi. (Giuliana Mongelli, Sugli ammalati-cavia dibattito in Regione, “La Stampa”, 4/12/1986, p. 16)

Il sostantivo è però già messo a lemma nel Dizionario di informatica di Chandor del 1972 (Bologna, Zanichelli), con il rimando alla voce algoritmo di randomizzazione:

algoritmo di randomizzazione (randomizing algorithm) Algoritmo che permette di ricavare matematicamente dall’indicativo di un dato l’indirizzo al quale il dato stesso si trova in una memoria ad accesso diretto.

Ancora nel GDLI troviamo il primo esempio datato (1988) registrato dai dizionari dell’aggettivo randomizzato:

Alle ditte sono stati richiesti i dati relativi alle modalità con cui effettuano i controlli. Nel frattempo si pensa di effettuare test randomizzati, ossia a caso, sui prodotti in commercio. (s.p., Aids, sotto inchiesta i profilattici, “La Stampa”, 11/10/1988 [12], p. 9)

Grazie a una ricerca nel corpus di Google libri possiamo però retrodatare tali termini di qualche anno; le prime attestazioni individuate dell’aggettivo randomizzato e del sostantivo randomizzazione si trovano entrambe in un articolo del 1949 presente su una rivista di agraria:

Blocco randomizzato
Utile quando il numero delle varietà da controllare è troppo elevato per essere disposte in quadrato latino, vale a dire superiore a 10 […]. Lo schema a blocco randomizzato comprende tanti blocchi quante sono le replicazioni adottate, ed in ogni blocco sono indipendentemente distribuite in ordine randomizzato, cioè secondo il caso, tutte le varietà. […].
Per procedere alla randomizzazione delle varietà, cioè alla loro distribuzione secondo il caso, è opportuno seguire uno dei metodi consigliati da Fisher. È di solito sufficiente un pacco di carte numerate da 1 a 100. (Renzo Scossiroli, Impiego di schemi e metodi statistici nella sperimentazione agraria, “Annali della sperimentazione agraria”, vol. 3, fascicolo straordinario, 1949, p. 562)

Nella stessa rivista, ma nel 1952, troviamo la prima occorrenza, al gerundio, del verbo randomizzare:

È stato adottato lo schema distributivo a Split-plot, randomizzando in ogni blocco i tre parcelloni con le varietà, e in questi le sei sub-parcelle con i singoli trattamenti di spaziamento. (Giovanni Aguzzi, Ricerche su la densità e la disposizione delle piante, in varietà e ibridi di mais, coltivati in asciutto e in irriguo, nella pianura emiliana, in “Annali della sperimentazione agraria”, vol. 6, 1952, p 1340)

In base a tali dati, sembrerebbe che l’aggettivo randomizzato e il sostantivo randomizzazione siano giunti in italiano prima del verbo randomizzare, da cui sembrano derivare. E addirittura, parrebbero anticipare anche l’aggettivo random (randomizzato e randomizzazione: 1949 – non random: 1950 – random: 1959 – randomizzare: 1952). Si potrebbe ipotizzare che tali voci siano giunte direttamente in italiano come calchi traduzione (in particolare si tratterebbe di calchi di derivazione, cfr. le categorie proposte da Coco in Giovanardi, Gualdo, Coco 2008, pp. 74-75) modellati sui rispettivi termini inglesi, ma è plausibile anche l’ipotesi che esistano attestazioni precedenti sia dell’aggettivo random che del verbo randomizzare in volumi che non sono ancora stati digitalizzati. Un’altra ipotesi, sostenuta da Bisetto 2003 (p. 90), è che la forma verbale randomizzare sia una retroformazione da randomizzazione, che è a sua volta adattamento del nominale inglese randomizing [13].

Se nelle riviste specializzate (principalmente di agraria, di agricoltura o di statistica) questi termini sono diffusi fin dagli anni Cinquanta del Novecento, si devono attendere diversi anni prima che facciano il loro ingresso anche nella stampa quotidiana. Il primo a comparire è l’aggettivo randomizzato, in un articolo di argomento scientifico della “Stampa” risalente al 1977 (si evidenzia il fatto che l’articolo è a cura di un oftalmologo e non di un giornalista; si ricordi inoltre che l’aggettivo random era già documentato nei quotidiani nel 1969):

Uno dei gruppi di ricerca clinica randomizzata, operanti sia negli Stati Uniti che in Europa e nel Regno Unito per la valutazione obbiettiva della validità della fotocoagulazione nel trattamento della retinopatia diabetica, («diabetic retinopathiy cooperative study») ha di recente comunicato i risultati di uno studio molto preciso e particolareggiato condotto in Usa […] (Prof. Boles-Carenini, Laser all’argon guarisce la retinopatia diabetica, “La Stampa”, 2/3/1977, p. 14).

Il sostantivo randomizzazione, invece, giunge nella stampa quotidiana nel 1984, in un articolo del “Corriere della Sera” dedicato al tema dell’imparzialità della magistratura (non, dunque, di ambito scientifico, ma si tratta chiaramente di un traslato: la non familiarità del termine è indicata dal fatto che l’autore – un giurista – mette il sostantivo tra virgolette):

I singoli magistrati inquirenti determineranno, di volta in volta, quali reati vadano più urgentemente perseguiti, secondo soggettivi criteri di priorità e importanza, sorretti – è ancora lecito presumere – anche dalle proprie posizioni ideologiche. In queste condizioni, obbligatorietà dell’azione penale troppo spesso significa «randomizzazione» dell’azione penale (Giorgio Freddi, Nessuno insegna al giudice il suo mestiere né lo sostiene nel distacco dalle ideologie, “Corriere della Sera”, 21/12/1984, p. 7).

Sulla stampa il verbo randomizzare è praticamente coevo al sostantivo: la prima occorrenza sulla stampa è infatti in un articolo del 1986 sul “Corriere della Sera”:

Ci saranno donne che, in base ai fattori di rischio considerati maggiori […] verranno inserite nel gruppo a rischio maggiore e sottoposte a numerosi controlli ed esami; altre donne, a rischio minore, verranno inserite in altri gruppi, con altri controlli, e circa 400 (su 2.000) verranno «randomizzate», un parolone che significa, in breve, essere inserite nella «popolazione di controllo», indipendentemente dalle risposte al questionario (Daniela Gabrielli, Un’indagine a Sesto e Cotogno per prevenire i tumori al seno, “Corriere della Sera”, 25/4/1986, p. 28).

La presenza delle virgolette qui indica che il termine viene avvertito come specialistico, poco conosciuto, tanto che l’autrice sente l’esigenza di spiegarne il significato (dimostrando, tuttavia, di non averlo del tutto compreso: nella spiegazione, infatti, viene omessa la parte concettuale rilevante, ovvero che l’inserimento nella popolazione di controllo avviene “casualmente”, cioè tramite una procedura di selezione casuale).

Nell’occorrenza successiva, del 1988, il verbo sembrerebbe invece essere considerato più accessibile, anche se l’ambito resta comunque quello scientifico:

Malgrado questi ostacoli, i cardiologi di Calgary sono riusciti a trovare 57 pazienti che avevano superato gravi aritmie ventricolari i quali erano adatti per uno qualsiasi dei due suddetti approcci (e quindi potevano essere randomizzati indifferentemente all’uno o all’altro approccio) e che potevano essere poi seguiti in media per oltre due anni (Gianfranco Rizzato, Provocare l’aritmia per curarla meglio, “Corriere della Sera”, 10/5/1988, p. 18).

Nel 1991 abbiamo finalmente un esempio in cui la forma verbale è usata al di fuori del linguaggio scientifico e anzi, in questo caso, il tecnicismo è impiegato in senso metaforico in riferimento allo stile di Carlo Emilio Gadda:

All’ingegneresco Gadda si addiceva un verbo altamente tecnico come «randomizzare», ossia simulare, nella trama del discorso, una distribuzione casuale; o per maggiore semplicità, come avrebbe detto il suo Cherubini, stare ora sul pomo ora sul pero… (Guliano Gramiglia, Caro ingegnere, come va la vita?, “Corriere della Sera”, 9/4/1991, p. 5).

Che in quegli anni il verbo fosse in circolazione non esclusivamente in ambiti specialistici è testimoniato dal fatto che se ne trova anche un esempio in letteratura: la citazione è tratta dal romanzo Il pendolo di Foucault di Umberto Eco (Milano, Bompiani, 1988, p. 297):

“Interessante,” disse Diotallevi. “Questo mi riconcilia con la tua macchina. Quindi se io ci mettessi dentro tutta la Torah e poi gli dicessi – com’è il termine? – di randomizzare, lei farebbe della ver e propria Temurah e ricombinerebbe i versetti del Libro?”

Randomizzazione, randomizzato e randomizzare risultano quindi presenti nei quotidiani già negli anni Ottanta del secolo scorso; una maggiore diffusione, sia nella stampa, sia in rete, si ha però a partire dalla fine degli anni Novanta, primi anni Duemila.

Negli stessi anni si registra anche un aumento della loro circolazione in altri linguaggi settoriali (in cui risultano tuttora presenti): se ne rintracciano, ad esempio, molte attestazioni nel settore scolastico (principalmente universitario), in particolare in riferimento alla procedura di selezione dei candidati o allo svolgimento di prove ed esami:

La cosiddetta randomizzazione avviene solo all’interno di ciascuno dei 4 blocchi di quesiti (26 logica + 18 biologia + 18 chimica + 18 matematica e fisica). Per chiunque abbia qualche esperienza delle prove passate è facile riconoscere i quesiti e pilotare le risposte di più persone che siano sedute vicino. Era indispensabile una disposizione, questa sì, randomizzata dei candidati e una sorveglianza intransigente durante la prova. (Corrado Augias, Università, i futuri medici e il test dei furbi, “la Repubblica”, 10/10/2003, p. 16)

Il test s’è svolto in contemporanea in tutt’Italia, con le stesse domande «che sono state come sempre “randomizzate”: l’ordine dei quesiti è cioè mescolato a caso dal computer, in modo che nessuno svolga lo stesso compito dei vicini. (Giovanna Favro, «Ai test di medicina si è copiato» Allieva denuncia, la facoltà nega, “La Stampa”, 11/9/2005, p. 43)

Un altro ambito di diffusione è quello videoludico:

Migliorata randomizzazione dei mostri nei livelli. […] Randomizzato l’ingresso nelle partite...ora ci sono 4 possibilità del posto da dove cominciare a giocare. (dal forum Diablo Expansion: The Rebirth, diablorebirth.net, 21/3/2006)

Nella schermata di selezione dei personaggi, premere X per randomizzare la selezione dei personaggi o del team. (Mario power tennis trucchi e soluzioni, dal forum Mario’s Castle, mariocastle.forumfree.it, 1/11/2009)

Resta comunque il fatto che, nonostante ciascuna disciplina specialistica usi random, randomizzazione, randomizzato e randomizzare in relazione a fatti e procedure diverse, l’intera famiglia di parole rimanda pur sempre al comune tratto semantico della casualità.

Parallelamente alla diffusione in vari linguaggi settoriali, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila si registrano le prime incursioni anche nella lingua comune, a indicare qualcosa ‘che è fatta a caso, senza un ordine preciso’. Va però precisato che, se ciò è vero per random, randomizzare e randomizzato, il sostantivo randomizzazione resta invece sempre legato ad ambiti specialistici.

Riportiamo alcuni tra i primi esempi rintracciati che sembrano testimoniare l’entrata delle forme nella lingua comune. Come si può notare, i contesti d’uso sono vari, dalla scrittura creativa, alla musica, ai trasporti aerei, al linguaggio giovanile, ecc.:

Poi con un altro programma si “randomizza” e cioè si mescolano tutti quei testi, con qualche aggiustamento, per esempio eliminando tutte le “a”. Così oltre al romanzo si ha un lipogramma. (Gesualdo Bufalino, Come si scrive un romanzo, a cura di Maria Teresa Serafini, Milano, Bompiani, 1996, p. 54)

La consegna dei bagagli, a un certo punto, diventa random: inutile fidarsi dei tabelloni che indicano quale nastro li porterà, bisogna avvistare le valigie da lontano e corrergli incontro felici. (Fabrizio Ravelli, Malpensa, decollo con caos, “la Repubblica”, 26/10/1998, p. 10)

Tant’è che sabato scorso ho deciso di andare in trasferta a Milano. Spostamento con l’«Interregionale», che è un po’ come prendere la cremagliera per andare a Tokyo, arrivo in Centrale con il walkman in chiodato a random su Lady, il tormentone ibizenco dell’estate […]. (Fabrizio Vespa, To-Mi, andata e ritorno, “La Stampa”, 22/9/2000, p. 43)

Per iniziare a intuire il senso dei loro discorsi occorre almeno mezz'ora: sembra di essere stati catapultati in un villaggio di una tribù aliena che parla una lingua ignota e osserva strani rituali. Invece siamo in un bar del centro con Leo, Attila e George, che bevono caffè e divorano cannoli alla crema. «È anche un po' colpa nostra che ogni tanto spariamo frasi randomizzate...», spiegano, convinti di aver fatto definitivamente chiarezza. (Monica Perosino, In sella a una moto sognando la libertà, “La Stampa”, 19/12/2004, p. 58)

Randomizzare o casualizzare?

Il verbo casualizzare, derivato di casuale (dal latino tardo casualis, derivato di casus ‘caso’), registrato dalla maggior parte dei dizionari sincronici (GRADIT, Vocabolario Treccani online, Supplemento 2004 del GDLI, Garzanti, Zingarelli e Devoto-Oli), è generalmente considerato come sinonimo di randomizzare: anche i dizionari italiani riportano lo stesso significato, cioè ‘rendere casuale, introdurre un elemento di casualità in un procedimento, in un esperimento e simili’ (test o esperimento casualizzato) e gli stessi ambiti d’uso (statistica e informatica).

Casualizzare ha anche un’altra accezione meno comune (il GRADIT la marca come rara, di basso uso), quella di ‘considerare qualcosa come dovuto esclusivamente al caso’:

[…] una sequenza altamente casualizzata offre molta informazione; se l’informazione viene identificata con l’ordine si produce il paradosso per cui la sequenza meno strutturata sarà la più ordinata. (Pier Marco Turchetti, Ordine, disordine, informazione, entropia. Una nota orientativa in cinque punti, turchettiblog.wordpress.com, 27/6/2017)

Al primo giro la scommessa ha ripagato di brutto essendo la console più venduta, al secondo giro si vedrà, ma il gaming ragazzi si sta casualizzando, è quello che vuole la massa e Nintendo gliel’ha dato con wii ed ha intenzione di continuare con WiiU. (dal forum di hwupgrade.it, 23/11/2012)

Il GRADIT, il Vocabolario Treccani online e lo Zingarelli registrano anche un derivato di casualizzare, il sostantivo casualizzazione, che indica “in informatica e in statistica, l’effetto di algoritmi, processi e sim., che introducono in un procedimento o in un’operazione un elemento aleatorio o casuale” (Vocabolario Treccani online); il GRADIT lemmatizza anche l’aggettivo casualizzato.
In realtà, casualizzazione ha anche una seconda accezione, ma collegata all’aggettivo casual ‘di stile, di abbigliamento o di capo, disinvolto e informale’ (prestito integrale dall’inglese, propriamente ‘casuale’); in questo caso, casualizzazione indica ‘il vestirsi in modo casual’:

Gli americani stanno reagendo eccessivamente alla “casualizzazione” sul posto di lavoro, indossando qualsiasi cosa trovino nei loro armadi […]. (Maria Sturani, Manager Usa a scuola di stile, “Corriere della Sera”, 17/7/2000, p. 20)

Come si può spiegare la presenza in italiano di due forme verbali (casualizzare e randomizzare, e relativi derivati) con lo stesso significato? Si potrebbe supporre che i due termini abbiano avuto una diversa distribuzione cronologica.
Per quanto riguarda la prima attestazione, lo Zingarelli 2023 data la forma verbale casualizzare 1986, mentre il GRADIT e il Devoto-Oli 2023 la datano 1994; nel GRADIT anche il sostantivo è datato 1994.
Il corpus di Google libri ci consente, come spesso succede, di retrodatare tali termini: si rintraccia una prima attestazione del verbo casualizzare nel 1935 (nell’accezione ‘rendere casuale’), una del sostantivo casualizzazione nel 1942 e una dell’aggettivo casualizzato nel 1950:

Un’altra ragione per la quale i lavoratori agricoli erano stati esclusi dal sistema generale di assicurazione è racchiusa in un appunto che si fa al sistema stesso, e cioè che l’assicurazione contro la disoccupazione tenda a casualizzare il lavoro. (Joseph L. Cohen, L’assicurazione contro la disoccupazione per i lavoratori agricoli in Gran Bretagna, “Le assicurazioni sociali: pubblicazione della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali”, vol. 11, II, 1935, p. 243)

Amleto nega la fonte stessa dell’azione, ciononostante la sua vicenda prosegue e si svolge in un succedersi quasi casuale di eventi. […] In questo fantomatico susseguirsi di eventi egli stesso rimane vittima della casualizzazione dei suoi propositi. (Nicola Ciarletta, Commento ad Amleto, “Maestrale: rivista mensile di poesia e di cultura”, III, fascicolo 5, 1942, p. 5)

Nel citato suo lavoro del 1945 il de Freitas è ricorso al metodo dei blocchi randomizzati (casualizzati), dimostran[d]o la possibilità di poter così valutare correttamente tanto l’affinità quanto l’adattamento, mediante l'esame delle interiezioni: marza x soggetto x ambiente. (Giovanni Dalmasso, Nuove vedute sull’affinità d'innesto in viticoltura, “Atti dell’Accademia italiana della vite e del vino”, vol. II, parte II, 1950, p. 130)

Casualizzare e derivati sembrerebbero quindi essere precedenti di qualche anno rispetto alle forme verbali concorrenti, anche se il numero di occorrenze prima del 1950 è piuttosto esiguo.
Si può quindi ipotizzare che si sia formato per primo il verbo italiano casualizzare, usato anche in ambiti scientifici, e che a questo si sia poi affiancato randomizzare per influsso dell’inglese, lingua di prestigio in tali ambiti. Le due forme hanno poi convissuto in modo parallelo, anche se randomizzare e la sua famiglia di derivati hanno avuto una maggiore diffusione.

Guardando i dati relativi alle pagine in italiano di Google (in data 6/3/2023), si hanno 8.670 risultati per la forma verbale all’infinito randomizzare e 1.350 per casualizzare; se prendiamo in considerazione la forma del participio passato, coincidente con quella dell’aggettivo, vediamo che lo scarto aumenta considerevolmente a favore di randomizzato, che ha 605.200 occorrenze (nelle varie flessioni), contro le 5.058 di casualizzato (sempre nelle varie flessioni). Lo stesso avviene per il sostantivo: 81.990 risultati per randomizzazione/i e 4.062 per casualizzazione/i [14].

L’uso del verbo randomizzare è stato più volte criticato: Dardano e Trifone suggeriscono l’uso del verbo alternativo casualizzare, mentre la critica di Gian Luigi Beccaria è più aspra:

L’altra via da percorrere nella formazione delle terminologie tecnico-scientifiche comporta l’uso di parole di origine greca e latina. Lungo tale via l’italiano e l’inglese si incontrano. L’italianizzazione di molto termini dell’informatica non è difficile: analyzeranalizzatore, interfaceinterfaccia, microprocessormicroprocessore. Talvolta si italianizzano, mediante un suffisso, verbi che sarebbe meglio tradurre: (to) listlistare, (to) processprocessare (c’è una collisione con il nostro verbo ‘giuridico’), (to) randomizerandomizzare; le alternative possibili sono: stampare (su tabulatrice), elaborare, casualizzare. (Maurizio Dardano, ‎Pietro Trifone, La lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1985, p. 375)

Ma sono già di uso del tutto corrente tra gli utenti di computer adattamenti tipo editare, stringa, interattivo, printare, inputare, runnare, settare, overlappare, formattare, tempo e metodo di accesso, suicciare (da to switch “commutare”) […], craccare (da crak), sdoppiare un Cd che ha una protezione, quei Cd che poi si dicono craccati, e da random, “ricerca casuale”, una vera sodomizzazione della nostra lingua, randomizzare. (Gian Luigi Beccaria, Io formatto, tu randomizzi, egli setta, noi cracchiamo…, “Tutto libri”, 25/5/2002, p. 6)

Randomico e altri derivati

Oltre al verbo randomizzare esiste un altro derivato di random, l’aggettivo randomico ‘casuale, accidentale’, che Treccani inserisce tra i Neologismi 2018 (sia nella versione cartacea, sia in quella digitale), riportando questo primo esempio:

l’aspetto rivoluzionario della sua [di Steve Reich] ricerca è stato anche quello di portare nell’avanguardia americana spunti e ispirazioni tratte dalla musica africana e da quella orientale, con le quali ha trovato sorprendenti affinità concettuali. I suoi pezzi parlano di vibrazioni sottili, di slittamenti ritmici, si adattano al ciclo del respiro, esplorano le combinazioni randomiche nate da progressivi sfasamenti. Tutto sommato descrive la natura, ma come se la vedessimo attraverso un potente microscopio elettronico, priva di orpelli e ornamenti, una sequenza di strutture base, di liquidi e luminosi cristalli. (Gino Castaldo, Note e vibrazioni di un genio del suono ,“la Repubblica”, 3/6/2012, p. 33)

Il repertorio specifica, però, che il termine era già attestato nella “Stampa” del 29 dicembre 1988:

Gli impianti della «Toshiba», numero uno nel settore dei chip di memoria da un megabit ad accesso randomico dinamico, hanno detto le fonti, si fermeranno solo per cinque o sei invece dei previsti nove giorni. (Chi fa «chip» non va in vacanza, “La Stampa”, 29/12/1988, p.10)

Secondo i due dizionari italiani che registrano il termine, lo Zingarelli (dal 2006) e il Devoto-Oli (dal 2021), si tratterebbe di una formazione direttamente dall’aggettivo italiano random, con l’aggiunta del suffisso -ico, molto diffuso nelle terminologie tecnico-scientifiche. Non si spiega però la presenza di due aggettivi con lo stesso significato, tanto più che in italiano la derivazione aggettivale deaggettivale è piuttosto infrequente.
In alternativa, potrebbe trattarsi di un calco dall’inglese randomic, voce non registrata dalla lessicografia inglese.
Da randomico si sarebbe poi formato il sostantivo femminile invariabile randomicità (accolto soltanto dallo Zingarelli), corrispondente all’inglese randomness, lemmatizzato dai dizionari anglofoni [dal Merriam-Webster: ‘la qualità o lo stato dell’essere o l’apparente casualità (come nella mancanza o nell’apparente mancanza di un piano, scopo o modello definito)’15]. L’Oxford Dictionary segnala anche la forma sinonimica randomicity. Nella lessicografia inglese compare inoltre l’avverbio randomly, mentre la corrispettiva voce italiana randomicamente si trova esclusivamente nello Zingarelli.

L’ipotesi della trafila derivativa randomico > randomicità sembrerebbe confermata dalle attestazioni rintracciabili nel corpus di Google libri: l’aggettivo randomico è infatti attestato dal 1963 (i dizionari lo datano invece 1994), mentre il sostantivo randomicità compare solo nel 1993:

Tutte le precedenti considerazioni hanno lo scopo di convincere di quanto segue, in riferimento allo studio in generale dei modelli totalmente o parzialmente randomici sopra esemplificati. (Antonio Zanella, Programmi di calcolo automatico nel controllo della qualità e nella programmazione degli esperimenti, “Statistica”, XXIII, 2, 1963, p. 260)

Ho iniziato con textures programmate caratterizzate da elementi di rottura che Dorfles definì in seguito «randomici». Da una figurazione «randomica» sono poi passato a interventi rappresentativi di un sistema disequilibrante, cercando di applicare queste esperienze alla lettura della realtà urbana. […] Dopo il ’65 il mio lavoro si è sviluppato cercando di mettere a frutto le ipotesi che nascevano dalla «randomicità». (Cristina Morozzi, Progettare l’ambiente. Città da usare? Città da abitare?, “Modo: mensile di informazione sul design”, vol. 147, 1993, p. 30)

In realtà sappiamo, come si legge anche nel passo appena citato, nel quale l’autrice intervista l’architetto italiano Ugo La Pietra, che già nel 1965 Gillo Dorfles aveva utilizzato le voci randomico e randomicità proprio in riferimento alle opere di Ugo La Pietra. E anzi, in diversi articoli dedicati all’artista, si attribuisce a Dorfles la paternità dell’aggettivo:

Gillo Dorfles, in una mostra di La Pietra alla Galleria Cenobio di Milano del 1965, utilizzava per la prima volta il termine randomico: “la programmazione delle aree strutturali nelle opere di Ugo La Pietra è di tipo randomico, provvista cioè di un alto quoziente di randomicità, di azzardo”. (Noemi Gadaleta, Le strutturazioni tissurali. Il segno randomico 1964/65, redmag.it, 6/10/2009: https://redmag.it/le-strutturazioni-tissurali-il-segno-randomico-196465/)

È quindi probabile che le due forme randomico e randomicità siano coeve.

Per quanto riguarda la circolazione di tali termini, randomico è presente nei quotidiani nazionali dal 1988 (sulla “Stampa”), anche se il numero di occorrenze è piuttosto contenuto [16]; in rete è diffuso invece dagli anni Duemila. Si nota che nel web sono documentate sia la forma italiana randomico sia quella inglese randomic [17]. Guardando i vari contesti d’uso, si osserva che l’aggettivo non compare esclusivamente in ambiti scientifici, ma anche in documenti istituzionali, come il Piano Triennale di prevenzione della corruzione 2015-2017 dell’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli (ADM), in cui si parla di “un’applicazione informatica randomica per la scelta del campione” [18].
Randomicità è invece praticamente assente nella stampa quotidiana: vi è un solo risultato del 2018 sulla “Repubblica”. Piuttosto scarse anche le attestazioni in rete (8.610 occorrenze) e tutte a partire dagli anni Duemila.
Quanto, infine, a randomicamente, la prima attestazione rintracciata risale al 1965, quindi anche l’avverbio sembrerebbe coevo alle altre due voci:

Alla fine dell'esperimento sono stati scelti randomicamente 5 soggetti per gruppo dai quali sono stati singolarmente prelevati il tessuto adiposo periviscerale, il tessuto muscolare della coscia (muscoli c.d. rossi) e del petto (muscoli c.d. bianchi). (A. Canale, C. Patrucco, R. Fosson, P. Durio, Rilievi sulla componente lipidica della carcassa del pollo ca carne alimentato con differenti mangimi semplici di «base». Studio sull’influenza esercitata dal mais e dalla risina, “Annali della Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino”, vol. XV, 1965, p. 185)

Nei quotidiani nazionali se ne trovano soltanto 5 risultati, di cui il primo, del 1999, nell’archivio della “Repubblica”:

Il sistema di Passfaces non richiede hardware aggiuntivo ed è gratuito. Al momento della registrazione al Pass Center si dovrà per prima cosa scegliere se si preferisce un primo piano di uomo o di donna. Poi vengono presentati un gruppo di immagini che variano randomicamente per scegliere quelle corrispondenti alla password. (Marta Mandò, La nuova password? Un viso sorridente, Repubblica.it, 6/11/1999)

Le attestazioni in rete sono numerose (132.000 risultati), anche se la forma è decisamente minoritaria rispetto al più diffuso casualmente, che conta più di 23 milioni di occorrenze.

In conclusione, l’aggettivo random risulta attestato in italiano a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso e acclimato da subito nel linguaggio scientifico. Negli stessi anni fanno la loro comparsa anche il verbo randomizzare e i suoi due derivati, il sostantivo randomizzazione e l’aggettivo randomizzato, tutti vocaboli di uso specialistico, tipici dell’informatica e della statistica (anche statistica medica).

Alla fine degli anni Sessanta random inizia a circolare anche nella stampa quotidiana e, a partire dagli anni Ottanta, si registra una crescita esponenziale delle occorrenze dell’aggettivo in vari ambiti d’uso. La diffusione attuale della forma in rete e la varietà dei contesti in cui compare confermano l’ipotesi che ormai l’aggettivo possa essere considerato di uso comune e non più soltanto un vocabolo specialistico della statistica e dell’informatica.

Per quanto riguarda le altre voci, la loro diffusione si ha invece a partire dalla fine degli anni Novanta del Novecento, anche in ambiti non scientifici, come quello istituzionale; agli stessi anni risalgono le prime incursioni nella lingua comune (tranne che per randomizzazione, usato esclusivamente in linguaggi settoriali). Nonostante tali forme siano ancora oggi strettamente legate all’uso specialistico, l’analisi dei dati relativi alla loro crescita in rete ci consente di affermare che la tendenza generale è quella di una sempre maggiore diffusione anche al di fuori di tali contesti.

L’aggettivo randomico, il sostantivo randomicità e l’avverbio randomicamente seguono, invece, una trafila diversa rispetto a random e ai suoi derivati: fanno il loro ingresso nella nostra lingua negli anni Sessanta, circolando prima in ambiti scientifici, poi anche in altri settori, per raggiungere una più vasta diffusione a partire dagli anni Duemila.

Sembrerebbe che le due correnti si siano fuse nel consolidare sia l’anglicismo integrale, per cui nella coscienza dei parlanti random e randomico sono considerati sinonimi, sia i due rami della famiglia dei derivati.


Note:

[1] Si veda il caso di gratis > a gratis nell’articolo di Raffaella Setti.
[2] Si evidenzia però il fatto che a novembre 2021 i risultati di a random erano 635.000, mentre quelli di at random erano 626.000; a luglio 2022 le occorrenze di a random erano invece 641.000 e quelle di at random 119.000: la tendenza registrata è quindi una diminuzione drastica della frequenza della locuzione inglese. Va comunque tenuto presente che i numeri che emergono dalle ricerche non sono del tutto attendibili a causa dell’alto rumore: l’espressione a random, per esempio, potrebbe comparire in frasi inglesi riportate in testi italiani, e in questo caso non si tratterebbe di una locuzione avverbiale ma la a corrisponderebbe a un articolo indeterminativo (es. a random access).
[3] Dobbiamo comunque considerare che tale dato comprende un’alta percentuale di rumore.
[4] Il Merriam-Webster riporta il 1926 come data di prima attestazione, l’Oxford Dictionary lo data a partire dal 1920 e il Collins Dictionary tra il 1925 e il 1930.
[5] “Make (a set of items, people, etc.) unpredictable, unsystematic, or random in order or arrangement”, trad. mia.
[6] “To set up (a selection process, sample, etc.) in a deliberately random way in order to enhance the statistical validity of any results obtained”, trad. mia.
[7] Ad esempio, se lascio cadere un oggetto da una certa altezza, essendo note le condizioni iniziali del sistema, come altezza, velocità iniziale, ecc., posso prevedere il comportamento futuro del sistema, come la velocità finale dell’oggetto all’impatto con il suolo o il tempo impiegato per raggiungerlo.
[8] L’insieme di tutti i possibili risultati di un esperimento casuale è chiamato spazio campionario.
[9] Teoricamente, in una sequenza di lanci successivi, potrebbe uscire sempre testa o sempre croce; tuttavia, tanto più il numero di lanci salirà, tanto più gli esiti si stabiliranno attorno a un 50%.
[10] Si parla di distribuzione di probabilità discreta quando la variabile viene misurata con valori numerici interi (ad esempio i 6 possibili valori che può assumere la variabile nel lancio di un dado); se la variabile assume un insieme continuo di valori (ad esempio nella misurazione della temperatura corporea), si parla invece di distribuzione di probabilità continua.
[11] I numeri casuali hanno molte applicazioni: oltre alle simulazioni, sono usati nelle tecniche di campionamento, nei videogiochi, nel gioco d’azzardo, nella crittografia, ecc. I numeri generati da un computer sono detti pseudocasuali, non sono cioè realmente casuali ma si comportano come tali; appaiono come derivanti da un campionamento casuale di una distribuzione uniforme, ma sono in realtà generati da un algoritmo deterministico.
[12] Nel GDLI è erroneamente indicata la data 14/10/1988.
[13] Bisetto (id.) preferisce la definizione ‘adattamento’ a quella di ‘calco’ e fa risalire il sostantivo randomizzazione alla forma inglese randomizing e non a quella randomization.
[14] Va comunque tenuto presente che i numeri che emergono dalle ricerche si riferiscono alle forme in tutti i loro significati: non è infatti possibile distinguere i risultati relativi alle diverse accezioni.
[15] “The quality or state of being or seeming random (as in lacking or seeming to lack a definite plan, purpose, or pattern)”, trad. mia.
[16] 1 risultato sulla “Stampa”, 30 sulla “Repubblica” e 17 sul “Corriere della Sera”.
[17] 151.900 risultati per randomico nelle varie flessioni e 2.060 per randomic nelle pagine in italiano di Google, in data 6/3/2023.
[18] Il testo è consultabile a questo indirizzo.

Nota bibliografica:

  • Bisetto 2003: Antonietta Bisetto, Da formattare a calcio mercato: l’interferenza dell’inglese sull’italiano contemporaneo, in Italiano e inglese a confronto. Atti del convegno «Italiano e inglese a confronto: problemi di interferenza linguistica» (Venezia, 12-13 aprile 2002), a cura di Anna-Vera Sullam Calimani, Firenze, Cesati, 2003
  • DEAF: Kurt Baldinger, Frankwalt Möhren, Thomas Städtler, Dictionnaire Étymologique de l’Ancien Français, Québec/Tübingen/Paris, Université Laval/Niemeyer/Klincksieck, 1974
  • DMF: Sylvie Bazin-Tacchella, Robert Martin, Gilles Souvay , Dictionnaire du Moyen Français, version DMF 2020, ATILF - CNRS & Université de Lorraine, 2020.
  • FEW: Walther von Wartburg, Französisches Etymologisches Wörterbuch, Bonn, Leipzig, Tübingen, Basel, 1928.
  • Giovanardi, Gualdo, Coco 2008: Claudio Giovanardi, Riccardo Gualdo, Alessandra Coco, Inglese-Italiano 1 a 1: tradurre o non tradurre le parole inglesi?, Lecce, Manni, 2008