L'8 novembre 2018 si è tenuto, alla Coop.fi di Ponte a Greve, l'incontro Politica linguistica oggi. I due relatori, Nicoletta Maraschio e Paolo Caretti, visibilmente emozionati dalla loro prima conferenza assieme, come da loro stessi dichiarato, hanno intrattenuto un folto pubblico su aspetti recenti e meno recenti degli interventi dello Stato nell'ambito della lingua.
Quando si parla di "politica linguistica", il pensiero non può che andare a quanto messo in atto dal fascismo: una politica contro i dialetti e contro le lingue straniere. Proprio il ricordo di quel tempo ha fatto sì che dall'era post-fascista in poi l'Italia si sia sempre caratterizzata per una scarsa politica linguistica, laddove altre nazioni hanno messo in atto politiche statali di sostegno alla lingua nazionale. Il punto è, come ha ricordato Nicoletta Maraschio, che una politica linguistica, implicita o esplicita, esiste sempre. Quella attuale, che sembra, per l'appunto, non esistere, ha permesso che si formasse una coscienza linguistica debole, secondo le parole di Francesco Sabatini, che va di pari passo con una coscienza nazionale debole.
Di questi tempi, ha continuato la professoressa Maraschio, nessuna misura può di fatto essere esclusivamente nazionale, perché c'è una dimensione europea di cui occorre tenere conto. Il punto cruciale è che oggi si stanno accentuando le disuguaglianze linguistiche, cognitive e sociali, e che la scuola non riesce a sopperire a questa tendenza. In più, nonostante le politiche comuni, le lingue europee hanno ancora oggi pesi diversi all'interno dell'Unione. Ogni lingua, quindi, dovrebbe essere prima di tutto rafforzata nel proprio paese, per superare, ma con basi solide, l'idea del monolinguismo che ha come conseguenza il monoculturalismo.
In Europa, ha concluso Maraschio, esiste invece un innegabile sostrato culturale comune, e quindi occorrerebbe lavorare per mettere in risalto quanto unisce le varie lingue europee (che è molto, tanto da garantire una vera e propria intercomprensione romanza) piuttosto che quanto divide.
Il professor Caretti si è soffermato sulla situazione dell'italiano e delle altre lingue nell'insegnamento universitario, rilevando prima di tutto come in realtà l'italiano non sia lingua ufficiale della Repubblica, dato che questo è un implicito dell'articolo 6 della Costituzione. Ed è altrettanto vero che l'inglese, in questo momento, è la lingua della scienza. Ciononostante, l'idea di somministrare interi corsi universitari in lingua straniera è pericolosa, perché ciò contribuirebbe a far perdere alla lingua italiana le sue massime funzioni cognitive: quelle di comunicare le nozioni più complesse sia in ambito scientifico che umanistico. Nessuno, ribadisce il professor Caretti, si è mai dichiarato contro il plurilinguismo: corsi di studio misti, con intere materie insegnate in lingue straniere, esistono da tempo e sono visti con favore. L'unica soluzione da non perseguire è quella di sostituire completamente la lingua nazionale con un'altra, per forza di cose, peraltro, meno interiorizzata della propria lingua madre. Tutto questo, infatti, porterebbe a perdite rilevanti anche nella trasmissione della materia stessa. Insomma, la prospettiva deve continuare a rimanere quella dell'aggiunta di competenze linguistiche, non della sostituzione.
Le questioni affrontate hanno generato un vivace dibattito, con molti interventi che hanno, in linea di massima, manifestato preoccupazione per lo stato di salute dell'italiano; preoccupazione, peraltro, che è stata almeno in parte ridimensionata dalle risposte dei due professori, che tuttavia hanno rimarcato l'esigenza di una nuova coscienza linguistica da parte degli italiani, da perseguire sia nel "macro" (scuola, istituzioni, politiche statali) sia nel "micro" (curando le proprie personali competenze linguistiche). Riassumendo: più che preservato, l'italiano va amato.
a cura di Vera Gheno
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