L'italiano internazionale della Chiesa cattolica: la voce della Curia romana

Per la discussione con i nostri lettori proponiamo l'intervento pronunciato da Monsignor Paolo Rizzi, Officiale della Segreteria di Stato vaticana, alla giornata dedicata agli Stati Generali della lingua italiana, cui ha partecipato anche il presidente dell'Accademia della Crusca, Claudio Marazzini.

Da tempo la rubrica “Il Tema” viene affidata esclusivamente a nostri accademici, proprio perché esprime l'opinione ufficiale della Crusca su questioni di rilevante attualità. Questa volta, tuttavia, faremo un'eccezione, ospitando l'importante scritto di Monsignor Paolo Rizzi, Officiale della Segreteria di Stato di Sua Santità. Innanzitutto ringraziamo Monsignor Rizzi per aver accettato di pubblicare da noi il suo intervento, pronunciato lunedì 22 ottobre 2018 a Roma, agli Stati Generali della lingua italiana. Gli Stati Generali si sono svolti quest'anno in una cornice di prestigio, a Villa Madama, alla presenza del ministro Moavero Milanesi. L’iniziativa è stata promossa dal Ministero degli affari esteri, a conclusione della “Settimana della lingua italiana nel mondo” (per la quale la Crusca ha pubblicato il volume L'italiano e la rete, le reti per l'italiano, a cura di G. Patota e F. Rossi).  È stata un'occasione importante per ribadire l'importanza della lingua nei rapporti internazionali, sia culturali sia economici: la lingua, insomma, è anche uno strumento di buona politica estera. All'interno del convegno, Monsignor Rizzi ha trattato il tema dell'italiano usato oggi nella Curia romana. Più volte, anche nel “Il Tema”, abbiamo dedicato attenzione all'importanza della Chiesa nella storia dell'italiano, e abbiamo riconosciuto  la  straordinaria vitalità propulsiva della voce dei Pontefici (ricorderò almeno, tra i contributi sull'argomento, il libro di Salvatore Claudio Sgroi Il linguaggio di Papa Francesco, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2016): si può dire senza paura di essere smentiti che la Chiesa Cattolica romana è il più potente strumento di diffusione internazionale della nostra lingua attivo oggi nel mondo.

Nello scritto di Monsignor Rizzi troveremo (per la prima volta) una descrizione accurata dell'uso linguistico all'interno della Curia, e anche troveremo indicazioni sul tipo di italiano che la Curia romana ritiene adatto a questo importantissimo scopo.  Si tratta di un modello sorvegliato, distante da ogni cedimento al forestierismo e alle forme popolari. Allo stesso tempo, è un italiano distante da ogni eccesso di ricercatezza snobistica. È insomma un modello sobrio, comunicativo, misurato ed elegante, su cui i linguisti e i giornalisti, troppo spesso attratti dalla devianza e dalla marginalità, cioè dagli eccessi che fanno notizia (quasi fossero gli unici fenomeni interessanti del nostro tempo), dovrebbero riflettere di più. Mi pare che l’italiano normato e misurato, sobrio ed elegante, possa essere riconosciuto come un valido esempio di comunicazione formale internazionale. Anche noi faremo bene a tenerne conto, con nostro grande vantaggio.

Claudio Marazzini

Presidente dell'Accademia della Crusca

 

 

Ottobre 2018

    

Mons. Paolo Rizzi, Officiale della Segreteria di Stato di Sua Santità

 

Lo scopo di questo mio intervento è quello di illustrare l’uso attuale della lingua italiana nella Curia romana, cioè in quell’insieme di organismi – Dicasteri e Uffici vari – che aiutano il Pontefice nell’esercizio del suo universale ministero. Pertanto, non prenderò in considerazione tale uso né nella Chiesa in genere – contesti di catechesi, predicazione e missioni – né nei testi liturgici delle celebrazioni papali, ad eccezione dell’omelia.

La Curia Romana è una realtà internazionale, nel senso che vi operano vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici provenienti da tutto il mondo. Ma il Regolamento Generale della Curia Romana prevede che per essere assunti come personale di ruolo nei livelli più alti, è necessaria la conoscenza dell’italiano (art. 14 § 2); nella prassi, tale conoscenza, almeno minima, è richiesta a tutto il personale di ogni ordine e grado. Ciò vale anche per gli ecclesiastici che vengono inquadrati tra il personale diplomatico della Santa Sede in servizio nelle Rappresentanze Pontificie: essi devono avere una buona padronanza di questa lingua, strumento indispensabile per rapportarsi con gli organismi vaticani.

L’italiano, in pratica, è la lingua più diffusamente in uso in tutta la Curia Romana, che comprende circa quaranta strutture, le quali si occupano dei vari ambiti dell’azione pastorale del Papa, in favore dei cattolici sparsi in tutto il pianeta. In queste realtà istituzionali, la maggior parte delle pratiche è redatta in italiano: mi riferisco alla corrispondenza all’interno della Curia stessa, tra Dicasteri e uffici, e anche all’esterno di essa con diocesi, parrocchie, istituti religiosi, associazioni sia italiani che di altri Paesi. Lo stesso vale per la quasi totalità dei dispacci inviati alle Nunziature Rappresentanze diplomatiche pontificie all’estero e i Rapporti che queste inoltrano alla Curia. Come anche le comunicazioni scritte interne ai Dicasteri tra superiori (dirigenti) e officiali (impiegati).

Le bozze, e di frequente il testo stesso, di molti discorsi Pontifici, come pure di documenti ufficiali del Papa e della Sede, che verranno poi pubblicati in altra lingua, il più delle volte sono redatti nell’idioma di Dante. Pertanto in ogni organismo della Curia Romana, pur trovandosi, ovviamente, le diverse Sezioni linguistiche o almeno esperti nella varie lingue, il settore con più personale è quello di lingua italiana. Ciò si riscontra soprattutto nella Prima Sezione della Segreteria di Stato, che attende al disbrigo degli affari quotidiani riguardanti il ministero del Santo Padre. È noto, infatti, come i Papi, finora, specialmente negli incontri pubblici, adoperino la lingua italiana: nell’Udienza Generale del mercoledì e in altre udienze speciali; nelle omelie delle celebrazioni liturgiche; nelle Parole pronunciate prima dell’Angelus domenicale; nei discorsi più diversi rivolti a gruppi o personalità; ecc…

Papa Francesco, poi, anche in tante Visite Pastorali all’estero si avvale della lingua italiana che ben conosce. In tutte queste circostanze, per favorire la fruttuosa partecipazione di tutti, si adottano doverosamente dei sistemi di traduzione simultanea o differita nella diverse lingue, tramite speakers o supporto cartaceo.

Da tutto ciò si comprende come l’italiano sia considerato, in un certo senso, la lingua ufficiale della Chiesa, in quanto è la più utilizzata negli incontri di massa dei fedeli provenienti dai vari Continenti, specialmente quando è presente il Papa a Roma o in altri Paesi. Di certo è quello abitualmente e ampiamente usato nei vari ambiti e ad ogni livello di tutta la Curia Romana.

Qualche accenno allo stile dell’italiano curiale. Alcuni criteri che si tengono presenti:

Purezza di lingua. Consiste nell'usare parole proprie della lingua, cioè consacrate dall'uso secolare e dall'esempio dei buoni scrittori. La purezza esige pertanto di non mescolare la lingua italiana a elementi che ne mutino le qualità o ne diminuiscano il pregio. Si evitano, tra l'altro:

  • i barbarismi o provincialismi, cioè parole o locuzioni mutuate da un'altra lingua senza un preciso motivo funzionale. Ad esempio “flash” per “lampo”; “dossier” per “fascicolo”; “budget” per “piano di spesa”; “forfait” per “contratto globale”;
  • arcaismi – ad esempio: “benignarsi” per “compiacersi”; “l’augusta parola del Santo Padre” per “la parola del Santo Padre”;
  • neologismi, anche se alcuni sono ormai ammessi nell’italiano corrente, parlato e scritto, nella Curia Romana, per quanto possibile, si evitano almeno nei testi ufficiali. Ad esempio “localizzare” per “circoscrivere”, “propagandare” per “divulgare”; “selfie” per "autoscatto fotografico".

Proprietà di linguaggio. Consiste nell'impiegare i vocaboli secondo l'uso migliore e il significato preciso. Si tratta di evitare improprietà o imprecisioni:

  • per difetto– ad esempio: “fare” un errore, un compito, una casa, un arrosto, un quadro, un bella azione; per commettere, eseguire, costruire, cucinare, dipingere, compiere;
  • per eccesso– ad esempio: “la fama si divulgò”, quando si tratta di poche persone;
  • per ridondanza– ad esempio: profondere molte parole, elogi; attenzione ai superlativi: “il Vescovo più noto”, “il teologo più in vista”, ecc.;
  • per contraddizione– ad esempio: “completamente vuoto”.
  • per tautologia– ad esempio: “come si dirà in seguito”; “come già detto precedentemente”.

 

Pertanto, nella redazione delle pratiche interne e dei testi ufficiali della Curia Romana, l’italiano consente una produzione letteraria che combina alcune qualità importanti: naturalezza, eleganza e armonia, evitando ricercatezza, retorica, prosopopea e trascuratezza. Con questa combinazione equilibrata il testo risulta chiaro e lineare, e si ottiene la distinzione nella semplicità cioè quella nobilis simplicitas, che caratterizza lo stile dell’italiano curiale.

 

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